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4. La vicenda in trattazione si riassume nell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale: “Ladenuncia di un reato perseguibile d’ufficio o la proposizione di una querela per un reato perseguibile solo su iniziativa di parte possono costituire fonte di responsabilità civile a carico del denunciante (o querelante), in caso di successivo proscioglimento o assoluzione, solo ove contengano sia l’elemento oggettivo che l’elemento soggettivo del reato di calunnia, poiché, al di fuori di tale ipotesi, l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del denunciante (o querelante), interrompendo ogni nesso causale tra tale iniziativa ed il danno eventualmente subito dal denunciato (o querelato) (Cassazione civile, sez. III, 10 giugno 2016, n. 11898).
Rilevato che gli appellanti non hanno attivato alcun procedimento per ottenere la (né è stata adottata alcuna pronuncia di) condanna per ilreato di calunnia a carico dei funzionari o dei rappresentanti dell’ente parco succedutisi nel tempo, il ricorso in appello non può trovare accoglimento.
5. In ordine alla censura di cui alla lettera c), la pronuncia della Cassazione (n. 1592/1994), assunta a parametro di comportamento per l’ente parco, affermava: ” Con riguardo alla condanna al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., i relativi presupposti sono, oltre alla totale soccombenza, il danno della controparte e quel particolare stato soggettivo integrato almeno dalla colpa grave, che concretandosi nel mancato doveroso impiego di quella diligenza che consenta di avvertire agevolmente l’ingiustizia della propria domanda, deve ritenersi sussistente tutte le volte in cui si proponga una domanda di revocazione di una sentenza della Corte di cassazione, prospettandosi come vizio revocatorio un preteso error in iudicando commesso dalla corte stessa, in presenza di una consolidata e costante giurisprudenza che esclude l’errore di giudizio dai vizi revocatori di cui all’art. 395 n. 4 c.p.c., per le sentenze di legittimità, così come per quelle di merito. In tal caso, ai fini della quantificazione del danno da responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., non è neppure necessario che l’interessato deduca e dimostri uno specifico danno per il ritardo provocato dall’impugnazione inammissibilmente esperita sulla decisione della causa, potendo la corte di cassazione desumere detto danno da nozioni di comune esperienza e fare riferimento anche al pregiudizio che la parte resistente abbia subito di per sé, per essere stata costretta a reagire all’iniziativa del tutto ingiustificata dell’avversario e spesso senza che ciò possa essere adeguatamente compensato, sul piano strettamente economico, dal rimborso delle spese giudiziali (liquidabili secondo tariffe che non riguardano i rapporti tra le parti e il suo difensore)”.
A parte la circostanza del richiamo a un precedente giurisprudenziale un pò datato (risultando inverosimile che nell’ultimo ventennio non siano stati sottoposti al vaglio della suprema Corte casi analoghi), questo Collegio non ritiene assimilabili una denuncia all’autorità giudiziaria e la proposizione di un infondato ricorso per revocazione.
Il motivo non può trovare accoglimento.
6. In ordine alla censurata condanna alle spese di giudizio di primo grado,questo Collegio ritiene di poterla accogliere nel senso di disporre la compensazione delle spese del giudizio di appello.
‘P.Q.M.’
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2016 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Dante D’Alessio – Consigliere
Andrea Pannone – Consigliere, Estensore
Vincenzo Lopilato – Consigliere
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