Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 7 novembre 2017, n. 5134. In ordine alla richiesta di condanna dell’Ente resistente al risarcimento dei danni conseguenti ad attività asseritamente illecita consistente nell’ingiusta denuncia penale in relazione ad attività edilizia intrapresa in territorio compreso nell’Ente Parco senza previo nulla osta dell’Ente Parco medesimo

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Giova altresì rilevare che la richiesta risarcitoria non viene fattaconseguire ad un singolo atto qualificato illegittimo ma alla complessiva attività dell’Ente Parco, secondo la prospettazione globalmente lesiva della posizione giuridica degli odierni ricorrenti giacché ostinatamente intesa a far valere (del tutto infondatamente) la necessità del nulla osta di esso Ente Parco, al contrario non dovuto né ex origine (con riferimento alle prime concessioni rilasciate dal Comune di (omissis)), né successivamente (con riferimento alla richiesta concessione in variante). [?].

È stato reiteramente e condivisibilmente ritenuto che la denuncia di reati perseguibili d’ufficio (e tali sono i fatti denunciati dai funzionari dell’Ente Parco) non è fonte di responsabilità per danni a carico del denunciante ai sensi dell’articolo 2043 C.C. anche in caso di proscioglimento e di assoluzione dell’imputato se non quando essa possa considerarsi calunniosa (ex plurimis, Cass. Civ., 20.10.2003, n. 15646) e che presupposto della configurabilità del reato di calunnia ex art. 368 C.P, è la consapevolezza dell’altrui innocenza.

Al di fuori ditale ipotesi, è stato ritenuto che l’attività pubblicistica dell’organo titolare dell’azione penale si sovrappone all’iniziativa del denunciante privandola di ogni effetto causale e così interrompendo il nesso tra tale iniziativa ed il danno eventualmente subito dal denunciante (Cass. Civ., n. 15646/2003, 3536/2000, ex plurimis). [?].

Comunque voglia qualificarsi la fattispecie, in alcun caso è possibile ravvisare nell’attività dell’Ente Parco la finalità calunniatoria necessaria per valutare come illecito il complessivo impulso all’azione penale di fatto verificatosi, stante l’interruzione del nesso causale determinata dalla celebrazione dei processi d’ufficio.

Neppure è configurabile nella specie il mancato doveroso impiego di quella diligenza che consenta di avvertire agevolmente l’ingiustizia della propria domanda (Cass. Civ. sez. I, n.1592/1994). [?].

Del tutto legittima si appalesa dunque la posizione dell’Ente Parco e, per esso, dei suoi funzionari ed agenti, che, in piena buona fede, hanno ritenuto di sottoporre alla giustizia penale l’attività costruttiva dei ricorrenti, non munita del prescritto nulla osta e dunque potenzialmente lesiva degli interessi tutelati.

Non è poi dubbio che, all’epoca della richiesta di variante (1993), la piena operatività della L. 394/1991 ed in particolare del suo art. 13 (“il rilascio di concessioni o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all’interno del Parco è sottoposto al preventivo nulla-osta dell’Ente Parco”), imponeva la richiesta del nulla osta e, sul piano sostanziale e nella specie, il pieno dispiegamento dell’attività tecnico discrezionale dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo a parco, non precedentemente evocata e nella specie estrinsecatasi nel provvedimento n. 4363 del 9 novembre 1993, di autorizzazione con prescrizioni, come detto non impugnato. [?].

La legittimità della concessione in variante e delle sue prescrizioni, desunte dal provvedimento autorizzatorio n. 4363 del 9 novembre 1993, esclude dunque che, per tale verso, possa comunque configurarsi attività non in iure data causativa di danni ingiusti”.

3. Gli interessati hanno impugnato la sentenza per i seguenti motivi:

a) Errore di fatto in ordine alla mancata presa d’atto della legittimità, efficacia e rilevanza della Convenzione tra il Comune di (omissis) e l’Ente prima della Legge del 6.12.1991, n. 394, entrata in vigore il 29.12.1991 relativamente alle “Zone turistico-residenziali di completamento G/3” dal 10 maggio 1989 al dicembre dello stesso anno nella vicenda de qua, contrassegnata dalla richiesta di concessione per l’esecuzione di lavori edili, Seduta Commissione Edilizia Comunale del 12 maggio 1989, dalla Concessione n. 383 del 02.02. 1990, dall’inizio dei lavori il 04/5/1998 e dalla realizzazione del rustico dell’albergo nello stesso anno 1990;

b) Errore di fatto in ordine alla presa d’atto della legittimità della Concessione Edilizia Comunale n. 383 del 2 febbraio 1990 priva del visto dell’Ente Parco in conseguenza dell’inserimento nella Commissione Edilizia Comunale a pieno titolo e funzioni di un rappresentante dell’Ente Parco (art. 16 protocollo d’intesa del 29.02.1984, sottoscritto dal sindaco Pa. Co. e dal Presidente dell’Ente sen. Mi. Ci., con conseguente deroga in ordine alla necessità del previa autorizzazione dell’Ente Parco;

c) Piena configurazione nella fattispecie de qua della fattispecie del “Mancato e doveroso impiego di quella diligenza che consenta di avvertire agevolmente l’ingiustizia della propria domanda (Cass. Civ. Sez. l, n. 1592/1994) e conseguente improvvida colposa e grave attività “repressione ambiental-urbanistica e successiva adozione di atti e comportamenti dei dirigenti dell’Ente Parco in violazione delle regole di imparzialità, corretta buona amministrazione, presenti nell’art. 97, primo comma della Costituzione della Repubblica Italiana, alle quali l’esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e che il giudice amministrativo può valutare in quanto si pongono come limiti alla discrezionalità (Cass. Civ. Sez. 1, del 22 luglio 1999, n. 500);

d) Ingiusta condanna alle spese di giudizio in favore dell’Ente Parco.

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