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Non ricorre, quindi, errore revocatorio nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o sulla base di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi, queste, che danno luogo ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione, la quale altrimenti si trasformerebbe in un ulteriore grado di giudizio, non previsto dall’ordinamento.
In conclusione, l’errore di fatto è configurabile in ordine a documenti e ad atti processuali, ma solo nell’attività di lettura e di percezione del loro incontestabile significato letterale e logico da parte del giudice, giacché l’errore di interpretazione e di valutazione dei fatti è errore di diritto nei cui confronti è, appunto, inammissibile la revocazione stessa (tra le più recenti, Cons. Stato, se. III. 30 agosto 2017, n. 4108; sez. VI, 22 agosto 2017, n. 4055; sez. V, 6 aprile 2017, n. 1610; 12 gennaio 2017, n. 56).
4.2. Applicando tali consolidati principi al caso in esame, la Sezione è dell’avviso che non sussista l’errore di fatto revocatorio denunciato.
In effetti, al di là della stringatezza della motivazione su cui si fonda la sentenza revocanda, non può negarsi che quest’ultima abbia in realtà correttamente apprezzato la situazione di fatto (la circostanza cioè che l’amministrazione avesse adottato un provvedimento definitivo in relazione alla procedura sulla quale la ricorrente lamentava l’ingiustificato silenzio), traendone la conclusione che ciò determinasse la sopravvenuta carenza di interesse al ricorso, con compensazione delle spese di giudizio
E’ esclusivamente tale conclusione che viene contestata dalla ricorrente, ad avviso della quale, anche ad ammettere la correttezza formale della statuizione di sopravvenuta carenza di interesse, in sostanza vi sarebbe stata una soccombenza virtuale dell’amministrazione che avrebbe imposto la condanna alle spese di giudizio.
Sennonché, così correttamente ricostruito il substrato fattuale della controversia. il presunto errore in cui sarebbero incorsi i giudici di appello non è qualificabile come errore di fatto, ma tutt’al più quale errore di diritto, sulla qualificazione e sulle conseguenze da attribuire al provvedimento emanato dell’amministrazione, determinativo della sostanziale sopravvenuta carenza di interesse al ricorso e non già sintomatico della sostanziale fondatezza del ricorso, cui ricollegare la compensazione delle spese e non invece la soccombenza virtuale dell’amministrazione.
4.3. Peraltro la Sezione non può esimersi, sia pur per mera completezza, dall’evidenziare che il provvedimento emanato dall’amministrazione recava la revoca del procedimento di gara e non già l’aggiudicazione definitiva del procedimento di gara sollecitato dall’interessata col ricorso avverso il preteso silenzio serbato dall’amministrazione: il che escludeva la sussistenze della soccombenza virtuale su cui si fondava la pretesa dell’interessata (essendo non corretto neppure il riferimento alla pretesa violazione dell’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241).
5. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese di giudizio, stante la mancata costituzione della parte intimata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione indicato in epigrafe, lo dichiara inammissibile.
Nulla per le spese.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 ottobre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Roberto Giovagnoli – Consigliere
Claudio Contessa – Consigliere
Fabio Franconiero – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere, Estensore
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