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A differenza di quanto ritenuto dal tribunale infatti, sebbene il regolamento preveda, in via generale ed astratta, che anche le concessioni di suolo pubblico finalizzate alla distribuzione di energia elettrica rientrino tra quelle soggette al canone concessorio non ricognitorio, tuttavia, è solo l’adozione dell’atto applicativo che concretizza ed attualizza la lesione e, soprattutto, differenzia l’interesse del singolo concessionario rispetto a quello di tutti gli altri concessionari che, rispetto all’annullamento della previsione normativa generale e astratta, si trovano nella medesima indifferenziata posizione.
In senso contrario non puo? rilevare la circostanza che alcune disposizioni del regolamento possano prefigurare una incisione futura sulla sfera giuridica di chi ne risultera? in concreto destinatario, atteso che la lesione che radica l’interesse deve essere attuale e non puo? discendere da un pregiudizio futuro ed eventuale.
L’atto applicativo, oltre a radicare l’interesse al ricorso, determina, inoltre, come si è accennato, anche la legittimazione a ricorrere.
L’interesse all’annullamento del regolamento, invero, all’interno della “categoria” o della “classe” dei suoi potenziali destinatari è un interesse indifferenziato, seriale, adesposta (nella sostanza un interesse diffuso): esso diventa interesse soggettivamente differenziato (e, quindi, interesse legittimo) solo nel momento in cui il regolamento è concretamente applicato nei confronti del singolo.
Fino al momento dell’adozione dell’atto applicativo, quindi, il termine per l’azione di annullamento non può decorrere, perché non sono ancora sorte, per il singolo concessionario, le (necessarie) condizioni dell’azione, ovvero l’interesse al ricorso e la legittimazione al ricorso.
Il ricorso di primo grado (proposto soltanto a seguito della notifica del provvedimento in data 20 ottobre 2015, con il quale è stato richiesto il pagamento del canone per cui è causa) deve quindi essere dichiarato tempestivo, in quanto proposto entro l’ordinario termine di sessanta giorni decorrente dalla notifica di quel provvedimento.
3.2. Non può giungersi a conclusioni diverse da quelle appena delineate neppure in considerazione del fatto che, nel giudizio di primo grado, il ricorso avverso l’atto applicativo sia stato dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione (e che sul relativo capo della sentenza si sia ormai formato il giudicato).
L’atto applicativo, nel caso di specie, rileva soltanto come condicio sine qua non al fine di differenziare l’interesse e concretizzarne la lesione, radicando in capo al singolo concessionario (nella specie Enel) interesse e legittimazione al ricorso contro il regolamento.
L’ammissibilità (o la procedibilità) del ricorso avverso il regolamento non può, tuttavia, essere subordinata all’ulteriore condizione che l’impugnazione dell’atto applicativo rientri anch’essa nella giurisdizione del giudice amministrativo. Un simile assunto porterebbe all’inaccettabile risultato di escludere l’azione di annullamento contro quei regolamenti che (come quello oggetto del presente giudizio) regolano canoni, corrispettivi, indennità o che, comunque, incidono, a valle, su rapporti paritetici, rispetto ai quali la giurisdizione sull’atto applicativo non appartiene di regola al giudice amministrativo. Una simile conclusione, oltre che palesemente irragionevole, solleverebbe profili di significativo contrasto con i principi costituzionali che garantiscono l’effettività diritto di azione contro gli atti della pubblica amministrazione (artt. 24, 103 e 113), non consentendo che esso sia limitato o escluso “per determinate categorie di atti” (art. 113, comma 2, Cost.)
3.3. La domanda di annullamento del regolamento è, quindi, ricevibile e va, di conseguenza, esaminata nel merito.
4. Nel merito il ricorso è fondato per l’assorbente ragione che il ricorso impugnato in primo grado impone la corresponsione del canone non ricognitorio al di fuori delle ipotesi legali in cui esso può essere legittimamente imposto e preteso.
4.1. Un orientamento ormai consolidato (e qui condiviso) ha rilevato, per un verso, che l’articolo 27 del Codice della strada va essenzialmente letto alla luce del principio generale posto dall’articolo 1, vale a dire come corpo normativo inteso alla sicurezza delle persone nella circolazione stradale, rispetto al quale le sue norme sono evidentemente serventi, e, per altro verso, che l’articolo stesso fonda la legittimità dell’imposizione del canone non ricognitorio su un provvedimento di autorizzazione o di concessione dell’uso singolare della risorsa pubblica – la sede stradale – (in tal senso, ex multis: Cons. Stato, V, 1926 del 2016, cit.).
Tuttavia, l’insieme delle disposizioni del Titolo II (Della costruzione e tutela delle strade) di quel Codice (per come espressamente richiamate dal ridetto articolo 27) dimostra che le concessioni e le autorizzazioni che giustificano l’imposizione del canone non ricognitorio di cui all’articolo 27 sono caratterizzate dal tratto comune – riferibile in ultimo alla libera e sicura circolazione delle persone sulle strade – di sottrarre in tutto o in parte l’uso pubblico della res a fronte dell’utilizzazione eccezionale da parte del singolo.
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