Il principio di legalità dell’azione amministrativa, di rilevanza costituzionale (artt. 1, 23, 97 e 113 Cost.), impone che sia la legge a individuare, anche se indirettamente, lo scopo pubblico da perseguire e i presupposti essenziali, di ordine procedimentale e sostanziale, per l’esercizio in concreto dell’attività amministrativa, aliis verbis, il principio di legalità che ispira l’azione amministrativa involge non solo il potere e gli atti che ne costituiscono espressione, ma anche quelli che appartengono al novero del relativo iter procedimentale, costituendo il procedimento la forma della funzione.
Sentenza 14 marzo 2018, n. 1616
Data udienza 22 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4172 del 2011, proposto dai signori Be. Em., Be. Gi. e Ca. Lu., tutti rappresentati e difesi dagli avvocati Pa. Se., Fr. Ac. e Ni. Di Pi., elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gu. Sa. e Fa. Lo., con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per il Veneto, Sezione II, n. 5973 del 4 ottobre 2010, resa tra le parti, concernente domanda di accertamento relativa all’insussistenza dell’obbligo di cedere al Comune di (omissis) area di proprietà.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2018 il Consigliere Giovanni Sabbato e udito, per l’appellante, l’avvocato Gi. Al., su delega di Fr. Ac.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. I signori Be. Em., Be. Gi. e Ca. Lu., con ricorso proposto innanzi al T.a.r. per il Veneto, Sezione II, hanno invocato:
a) l’accertamento della mancata previsione – ad opera del Piano di Recupero di Iniziativa Pubblica (PRIpu) “zona A.2.1” del centro storico, approvato con Deliberazione del Consiglio comunale n. 82 del 18.11.1997 del Comune di (omissis), ed in particolare delle NTA dello stesso – dell’uso pubblico di area appartenente ai ricorrenti in adempimento della mai sottoscritta convenzione urbanistica, allegata alla concessione edilizia prot. n. 2940 dell’1.8.2000 e rilasciata per la demolizione e ricostruzione di immobili di loro proprietà;
b) l’accertamento, di conseguenza, dell’insussistenza dell’obbligo di cessione di aree pubbliche ricadenti nell’Unità Minima d’Intervento (UMI) n. 7 allora di proprietà della signora Carnielli prima del loro trasferimento ai figli Em. e Gi. Be.;
c) in subordine, l’annullamento in parte qua della delibera di Consiglio comunale n. 49 del 5.10.2007 che ha prorogato la validità, per anni 5, del predetto piano, e segnatamente per la parte in cui prevede l’obbligo di cessione al Comune della porzione di area di proprietà dei ricorrenti;
d) la declaratoria di nullità e/o l’annullamento della deliberazione C.C. n. 44 del 26.4.2000, che introduceva la variante generale del piano di recupero;
e) il risarcimento dei danni consequenziali.
2. A sostegno delle proprie deduzioni nei riguardi dell’atto indicato sub c), i ricorrenti hanno lamentato, in primis, l’incertezza circa gli effettivi componenti dell’organo collegiale all’atto della votazione della previa deliberazione consiliare n. 44 del 2000 – che si assume pertanto affetta da nullità con conseguente effetto invalidante a carico della susseguente deliberazione n. 49 del 2007 – nonché il difetto di motivazione circa lo stato di avanzamento delle opere per ciascuna UMI – peraltro evidenziando, per quella n. 7, la sufficienza dell’assetto viario esistente – ed il mancato esame delle considerazioni della Provincia di Venezia in ordine alla rilevata insussistenza di “indicazioni circa l’uso pubblico del porticato previsto nell’ambito di intervento dell’UMI n. 7…”.
3. Con l’impugnata sentenza – del T.a.r. per il Veneto, Sezione II, n. 5973 del 4 ottobre 2010 – il Tribunale:
a) ha osservato che “non vi è dubbio che la situazione giuridica soggettiva ascrivibile in capo ai ricorrenti sia di interesse legittimo in quanto sebbene formalmente venga richiesto l’accertamento dell’insussistenza del vincolo di cessione di aree in loro proprietà sostanzialmente si contestano le previsioni di piano senza che i ricorrenti abbiano mai proceduto all’impugnazione né della variante generale di cui alla deliberazione C.C. n. 44/2000 né della concessione edilizia 2940 del 01.08.2000”;
b) ha rilevato che “i ricorrenti – anche a prescindere dagli ulteriori atti adottati dall’Amministrazione, divenuti inoppugnabili in quanto non hanno costituito oggetto di gravame nei termini di decadenza – erano nella condizione di pienamente apprezzare, come, peraltro, già avvenuto in precedenza, l’esistenza di quel vincolo che oggi, tardivamente, pretendono di contestare”;
c) ha richiamato il giudicato formatosi inter partes (sulla sentenza del medesimo T.a.r. n. 2223 del 2004);
d) ha disatteso le censure articolate avverso i predetti atti deliberativi evidenziando:
d1) la tardività di quella afferente alla denunciata puntuale elencazione dei consiglieri presenti e dei votanti siccome causa di annullabilità e non di nullità;
d2) la legittimità della proroga secondo quanto previsto dall’art. 20 della legge regionale 23 aprile 2004, n. 11;
d3) la irrilevanza del parere della Provincia “nell’iter di approvazione e di proroga dello strumento urbanistico attuativo”;
d4) l’insussistenza dei vizi di difetto di motivazione e istruttoria.
4. Il Tribunale ha, quindi, deciso il ricorso di primo grado nei termini che seguono:
e) ha dichiarato inammissibile l’azione di accertamento;
f) ha respinto la subordinata azione di annullamento;
g) ha respinto, conseguentemente, l’azione risarcitoria;
h) ha condannato i ricorrenti alle spese di giudizio.
5. Con l’appello in esame, ritualmente notificato in data 3 maggio 2011, i signori Be. Em., Be. Gi. e Ca. Lu. hanno impugnato la menzionata sentenza, deducendo quanto di seguito sintetizzato.
5.1. Sull’azione di accertamento:
a) la normativa di piano non prevede in alcun modo l’uso pubblico dell’area in questione, atteso che “non vi era [però] alcuna indicazione della destinazione pubblica dei percorsi carrabili e dei porticati. Nè appariva alcuna coloritura in verde che consentisse una simile identificazione”;
b) “nel progetto dei percorsi e della viabilità prodotta dal Comune manchi qualsivoglia segno e/o indicazione di un percorso PUBBLICO nel porticato dei ricorrenti e ciò solo rende ammissibile il ricorso”;
c) non vi era alcuna necessità d’impugnare la variante generale di cui alla deliberazione di Consiglio Comunale n. 44/2000, così come la concessione edilizia 2940 del 01.08.2000;
d) “il Piano non prevede in nessuna sua parte (progettuale e/o normativa) la destinazione ad uso pubblico dell’area di proprietà dei ricorrenti”.
5.2. Sull’azione impugnatoria:
e) la deliberazione n. 44 del 26 aprile 2000 è priva di “elementi essenziali sia in ordine agli autori che alla volontà espressa”;
f) l’atto di proroga non è assistito da adeguata motivazione;
g) il Comune non ha tenuto conto del parere della Provincia ancorchè acquisito agli atti in suo possesso.
6. Si è costituito il Comune di (omissis), che ha concluso per il rigetto dell’appello, evidenziando l’inammissibilità dell’azione di accertamento per violazione del principio del ne bis in idem (essendo intervenuto sulla medesima questione il T.a.r. Veneto con la sentenza reiettiva n. 2223/2004), la infondatezza di tutte le censure articolate e la inammissibilità per carenza di interesse ad impugnare la proroga del piano attuativo.
7. In prossimità dell’udienza di trattazione dell’appello, le parti hanno depositato memorie insistendo per le rispettive conclusioni.
8. All’udienza pubblica del 22 febbraio 2018, la causa è stata riservata in decisione.
9. L’appello è infondato.
9.1. Gli appellanti indirizzano i loro motivi innanzitutto avverso la prima parte della pronuncia impugnata, con cui il Tribunale ha dichiarato inammissibile il ricorso riqualificando – alla stregua della causa petendi o petitum sostanziale – la posizione giuridica azionata in termini di interesse legittimo, ancorché l’azione esercitata sia formalmente intesa all’accertamento dell’insussistenza dell’obbligo di cessione di aree in mano pubblica; la pronuncia in rito è corroborata anche dall’osservazione che, alla luce della immutata “rappresentazione grafica (quadratini paralleli) della viabilità veicolare e pedonale pubblica insistente sulla proprietà dei ricorrenti” i ricorrenti erano già da lungo tempo nella condizione di apprezzare l’esistenza della previsione vincolistica che quindi contestano tardivamente.
Per dirimere la questione controversa occorre, quindi, verificare se effettivamente la documentazione cartografica comprova la destinazione pubblica dell’area in questione (interessata da un piccolo porticato retrostante un Condominio servito dalla viabilità di accesso).
Ebbene, al quesito va data risposta affermativa, in quanto, come evidenziato da parte appellata, le norme tecniche di attuazione del piano di recupero prevedono – all’art. 12, comma 1 – che “le aree inedificate esterne saranno trattate come specificato dalla tavola 3 della variante al P.R.I.Pu.”, così come l’art. 14 delle N.T.A. statuisce che “l’uso degli spazi esterni nei percorsi è regolamentato dalla tavola 3 della variante P.R.I.Pu.”. Orbene, la tavola n. 3 della variante generale al piano di recupero, richiamata espressamente dalle N.T.A., individua tutta la viabilità di collegamento tra i vari comparti edificatori risultando il percorso pedonale ivi tracciato (mediante pallini paralleli) necessario non solo per accedere alle “proprietà retrostanti” (come precisato nella relazione tecnica del piano di recupero), ma anche per raggiungere il parcheggio pubblico individuato sempre all’interno dell’UMI n. 7.
Emergono quindi elementi univoci e convergenti, rilevabili dai documenti costitutivi della disciplina pianificatoria, che depongono, ab origine, per la destinazione pubblica dell’area de qua e quindi per la sussistenza dell’obbligo di cessione della stessa al Comune. Va così rilevato, condividendo quanto sul punto osservato dal Tribunale, che essendo l’obbligo di cessione previsto in formali atti urbanistici coperti da onere di impugnativa, la reazione processuale degli odierni appellanti è palesemente tardiva, non valendo la sua qualificazione formale in termini di accertamento a comportare la trasfigurazione della posizione giuridica azionata nei prospettati termini del diritto soggettivo. E’ ben noto, infatti, che spetta al giudice interpretare la domanda o le domande proposte, tenendo presente il contenuto sostanziale della domanda (petitum e causa petendi) quale desumibile dagli atti del giudizio e dalle allegazioni delle parti, ossia considerando l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva addotta in giudizio ed individuata dal giudice stesso con riguardo alla sostanziale protezione accordata a quest’ultima dal diritto positivo. Nel caso di specie si discetta sì della sussistenza o meno di un obbligo di cessione di aree in mano pubblica, quindi di una posizione formalmente ascrivibile al rapporto diritto-obbligo, ma scaturente da precise disposizioni urbanistiche rimaste inoppugnate.
9.2. L’inammissibilità del ricorso di primo grado va apprezzata sotto altro concorrente profilo, dovendosi rilevare che – con la menzionata sentenza irrevocabile del T.a.r. per il Veneto, sezione I, n. 2223 del 30 giugno 2004, resa nel giudizio (R.G. n. 4/1999) promosso dalla signora Carnielli (originariamente unica proprietaria del compendio immobiliare dante causa dei propri figli Em. e Gi. Be.) avverso la deliberazione comunale di controdeduzioni alle osservazioni presentate dalla stessa proprietaria contro detta previsione viaria – è stata riconosciuta la legittimità del piano di recupero, con specifico riferimento alla previsione viaria oggetto del presente giudizio. Difatti, con tali osservazioni (menzionate nel relativo atto alla lett. a), la signora Carnielli ha evidenziato proprio la “mancanza di un pubblico interesse nella individuazione di tale infrastruttura, a servizio di proprietà già autonomamente servite da viabilità esistenti”, così dimostrando di avere avuto piena consapevolezza del vincolo odiernamente contestato.
L’azione intrapresa con il ricorso deciso con l’appellata sentenza risulta quindi in conflitto con il giudicato nelle more formatosi su detta pronuncia.
10. Infondati sono poi i motivi di appello, con i quali sono state riproposte le censure di primo grado articolate a sostegno dell’azione impugnatoria avverso la deliberazione consiliare n. 47 del 5 ottobre 2007.
10.1. In particolare:
– l’appellante assume la nullità della previa deliberazione n. 44 del 26 aprile 2000, tale da determinare il travolgimento del successivo atto consiliare, per la mancata puntuale indicazione dei componenti dell’organo collegiale presenti alla seduta ed argomenta il vizio – motivo evidenziando che dalle indicazioni contenute nella suddetta deliberazione non è dato risalire ai componenti effettivi del collegio per la mancata corrispondenza tra i presenti e i votanti, in modo da integrare il vizio di nullità del difetto degli elementi essenziali secondo l’elencazione tassativa di cui all’art. 21-septies della legge n. 241 del 1990;
– il rilievo non può essere condiviso per la dirimente circostanza che la lamentata mancanza si traduce non in una causa di nullità ma al più di annullabilità, in quanto “L’atto amministrativo è solo illegittimo e non anche inesistente quando esso sia irretito da vizi del procedimento che lo ha preceduto – e, quindi, dalla mancata corrispondenza delle modalità di esercizio in concreto del pubblico potere al suo modello legale -, in quanto essi attengono non già all’esistenza dell’atto stesso, che resta integro nei suoi elementi costitutivi, bensì alla sua validità ed ai suoi presupposti, ossia alla legittimità del complessivo comportamento della p.a. Pertanto, la mancata osservanza delle regole sulla verbalizzazione dell’attività compiuta da un organo collegiale o sulla sottoscrizione di tutti i relativi componenti non implica, di per sè e in assenza di un’espressa sanzione di nullità, alcuna compromissione degli elementi costitutivi dell’atto collegiale, dovendosi interpretare le regole medesime secondo il principio della strumentalità delle forme” (cfr. Cons. Stato sez. V, 13 febbraio 1998, n. 166);
– ne consegue la tardività, in parte qua, dell’impugnativa avuto riguardo alla data cui risale la deliberazione n. 44/2000;
– anche a ritenere la deliberazione n. 44/2000 affetta da vizio di nullità, questa condizione patologica non sarebbe comunque in grado di refluire sulla legittimità della deliberazione n 47/2007, in quanto la proroga del termine di validità del piano di recupero si riferisce al termine originario (decennale), decorrente dalla deliberazione del Consiglio comunale del 18 novembre 1997, approvativa di detto strumento urbanistico, e non della sua variante;
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