La fattispecie relativa al danno da ritardo va pienamente ricondotta allo schema generale dell’art. 2043 c.c., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell’illecito, con l’avvertenza inoltre che, nell’azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c., opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento
Consiglio di Stato
sezione IV
sentenza 30 giugno 2017, n. 3222
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2789 del 2007, proposto dai signori Fe. e Fe. Gi., rappresentati e difesi dall’avvocato Ro. Gi., con domicilio eletto presso l’avvocato Ma. Ca. in Roma, viale (…); indi dell’avvocato Pi. So., domiciliata ex art. 25 c.p.a. presso la segreteria della IV sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati An. Sc. e Ri. Bi., con domicilio eletto presso l’avvocato Ri. Br. in Roma, via (…);
Re. Fe. It. s.p.a., in persona dell’institore dottor Do. Ma., rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Bu., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Liguria, sezione I, 21 gennaio 2008, n. 56, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di Re. Fe. It. s.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 giugno 2017 il consigliere Giuseppe Castiglia;
Uditi per le parti gli avvocati Ga., su delega dell’avvocato So., Qu., su delega dell’avvocato Bu., e Bi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. In data 14 marzo 2000 i signori Fe. e Fe. Gi. hanno proposto al Comune di (omissis) un progetto di strumento urbanistico attuativo relativo alla zona residenziale detta (omissis), sulla base del P.R.G. allora vigente. Ne è seguita un articolato scambio di corrispondenza con l’Amministrazione.
2. Nel frattempo il Comune ha adottato il piano urbanistico comunale – P.U.C., che avrebbe comportato una consistente riduzione dell’indice di fabbricabilità del comparto.
3. Sul presupposto di una sopraggiunta irrealizzabilità parziale del piano di lottizzazione a seguito di una colposa condotta omissiva della P.A., i signori Gi. hanno agito in giudizio per ottenere il risarcimento del danno subito.
4. In seguito (giugno 2003) i signori Gi. hanno presentato una nuova proposta di S.U.A., che prevedeva fra l’altro l’utilizzazione di aree di proprietà delle FF. SS. Anche in questo caso ne è sorta una complessa interlocuzione, all’esito della quale il Comune, dopo avere acquisito il parere negativo di Re. Fe. It. – R.F. s.p.a. all’impegno di aree di proprietà ferroviaria, ha comunicato l’improcedibilità dello S.U.A. (nota n. 10795 del 28 luglio 2007).
5. I signori Gi. hanno impugnato la nota comunale con un ulteriore ricorso.
6. Con sentenza 21 gennaio 2008, n. 56, il T.A.R. per la Liguria, riuniti i ricorsi, li ha respinto entrambi e condannato i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio.
7. Il Tribunale regionale ha ritenuto che:
a) i ricorrenti avrebbero incluso nel proprio progetto aree di R.F. senza averne alcun titolo;
b) quanto al profilo risarcitorio, la fondatezza della relativa pretesa richiederebbe un giudizio prognostico favorevole sulla titolarità di un’aspettativa giuridicamente fondata a ottenere il bene della vita preteso, nella specie invece escluso dalla declaratoria di infondatezza del ricorso.
8. I signori Gi. hanno interposto appello avverso la sentenza n. 56/2008, ricordando di avere impugnato, con successivo ricorso, anche la delibera di approvazione del P.U.C. e censurando la decisione impugnata perché avrebbe trattato una domanda risarcitoria come se avesse carattere impugnatorio di un atto.
9. Ricordati i motivi prodotti nei giudizi di primo grado, che considerano tutti riproposti, essi hanno sviluppato partitamente sette ragioni di censura nei confronti della decisione di primo grado:
a) violazione di legge, erroneità dei presupposti, insufficiente motivazione e contraddittorietà. Erroneamente il T.A.R. avrebbe ritenuto applicabile l’art. 18 della legge regionale n. 24/1987, abrogata dalla successiva legge regionale n. 36/1997. Di questa non opererebbe la disposizione transitoria dell’art. 81, in quanto il S.U.A. sarebbe stato ripresentato nel 2003 dopo l’adozione del P.U.C. e dovrebbe essere valutato solo sulla base della nuova disciplina di piano. R.F. non potrebbe essere considerata Amministrazione pubblica e il suo assenso si intenderebbe tacitamente formato a norma dell’art. 38, comma terzo, della legge regionale n. 36/1997;
b) violazione di legge e difetto di istruttoria. Il P.U.C. sarebbe stato definitivamente approvato con destinazione a parcheggio dell’area di R.F., che avrebbe omesso di impugnarlo nei termini e avrebbe risposto tardivamente pur essendo stata più volte invitata a prendere posizione;
c) omessa motivazione sul secondo e sul terzo motivo del (secondo) ricorso di primo grado;
d) insufficienza di motivazione e carenza di istruttoria. Durante l’istruttoria il Comune non avrebbe mai eccepito la mancanza della proprietà delle aree di R.F. (per la presentazione del piano attuativo sarebbe sufficiente il consenso dei proprietari rappresentanti il 75% del valore catastale degli immobili), avrebbe trascurato la possibilità che le aree necessarie fossero acquisite mediante espropriazione o accordo bonario e avrebbe omesso di ricorrere allo strumento della conferenza di servizi decisoria;
e) omessa motivazione sulla radicale mancanza di motivazione del diniego di R.F.;
f) in via subordinata, iniquità della condanna alle spese del giudizio di primo grado;
g) mancata valutazione della domanda di risarcimento, che sarebbe fondata in quanto il Comune, se avesse deciso celermente sul progetto di piano attuativo, lo avrebbe sottratto all’applicazione alle successive vicende, caratterizzate da una costante diminuzione dell’indice di edificabilità; ne risulterebbe un lucro cessante (correlato alle maggiori aspettative di edificabilità) e un danno emergente (le spese di progettazione, pari ad almeno euro 150.000 e ulteriori spese ancora da determinare per le richieste giudiziali dei promittenti venditori di aree comprese nel piano).
10. R.F. s.p.a. si è costituita in giudizio per resistere all’appello, senza svolgere difese.
11. Si è del pari costituito in giudizio il Comune di (omissis), dichiarando di non accettare il contraddittorio rispetto ai motivi nuovi e riproponendo puntualmente le deduzioni svolte in primo grado.
12. Con comunicazione pervenuta in segreteria il 7 marzo 2017, il difensore degli appellanti ha comunicato la propria rinunzia al mandato difensivo.
13. Con memoria depositata il 10 maggio 2017, il Comune ha comunicato che gli appellanti, nelle more del giudizio, avrebbero ceduto i terreni in proprietà alla Società Sa. Fe. s.r.l., la quale avrebbe ottenuto il permesso di costruire e pressoché ultimato la realizzazione di un intervento edilizio. Ne discenderebbe il venir meno del bene della vita (l’annullamento dell’atto di diniego del S.U.A.) cui l’appello sarebbe inteso.
14. R.F. ha sviluppato le proprie difese con memoria depositata il 22 maggio 2017, sottolineando la propria estraneità al giudizio risarcitorio attivato in primo grado ed eccependo anch’essa la parziale inammissibilità dell’appello. Con altra memoria depositata il 1° giugno, ha aderito alla tesi del Comune circa la sopravvenuta carenza di interesse a coltivare il gravame.
15. Con atto depositato il 21 giugno 2017, gli appellanti si sono costituiti in giudizio con un nuovo difensore.
16. All’udienza pubblica del 22 giugno 2017 – nel corso della quale il difensore dei ricorrenti ha chiesto il rinvio della discussione o la cancellazione della causa dal ruolo per poter valutare la permanenza dell’interesse alla decisione – il Collegio, ritenuto di non poter accedere a tale richiesta dato il carattere risalente della controversia, ha trattenuto la causa in decisione.
17. In via preliminare, il Collegio:
a) osserva che la ricostruzione in fatto, sopra riportata e ripetitiva di quella operata dal giudice di prime cure, non è stata contestata dalle parti costituite ed è comunque acclarata dalla documentazione versata in atti. Di conseguenza, vigendo la preclusione posta dall’art. 64, comma 2, c.p.a., devono darsi per assodati i fatti oggetto di giudizio;
b) reputa superfluo l’esame delle eccezioni di parziale inammissibilità dell’appello per violazione del divieto dei nova in questo grado di giudizio, perché il mezzo è in parte infondato nel merito, in parte improcedibile.
18. A questo riguardo, occorre esaminare distintamente le domande risarcitoria e di annullamento entrambe sottese all’appello.
19. La domanda risarcitoria è infondata sotto svariati profili, poiché non è possibile scorgere sia nel comportamento dell’Amministrazione comunale l’elemento soggettivo della colpa (che sarebbe invece indispensabile – per giurisprudenza consolidata – a integrare la responsabilità civile della P.A.), sia nell’effetto di tale condotta un danno giuridicamente apprezzabile.
19.1. Secondo una giurisprudenza consolidata, dalla quale il Collegio non vede ragione di discostarsi, la fattispecie relativa al danno da ritardo va pienamente ricondotta allo schema generale dell’art. 2043 c.c., con conseguente applicazione rigorosa del principio dell’onere della prova in capo al danneggiato circa la sussistenza di tutti i presupposti oggettivi e soggettivi dell’illecito, con l’avvertenza inoltre che, nell’azione di responsabilità per danni, il principio dispositivo, sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, c.c., opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (cfr. ex multis Cons. Stato, sez. IV, 4 maggio 2011, n. 2675; sez. IV, 7 marzo 2013, n. 1406; sez. V, 13 gennaio 2014, n. 63; sez. V, 10 febbraio 2015, n. 675; sez. V, 25 marzo 2016, n. 1239; sez. IV, 28 dicembre 2016, n. 5497; sez. IV, 9 febbraio 2017, n. 563). Il comma 1 bis dell’art. 2 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, che per la prima volta dà rilievo normativo al danno da mero ritardo collegandovi un diritto all’indennizzo, è stato inserito dall’articolo 28, comma 9, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98) e, in disparte ogni altra considerazione, è inapplicabile ratione temporis alla vicenda controversa.
19.2. Nel caso di specie:
a) è escluso l’elemento soggettivo dell’illecito, in quanto manca la colpa, e ancor prima l’illegittimità, nel comportamento dell’Amministrazione.
Ciò è dimostrato dalla scansione temporale della vicenda, come è riportata nelle prime quattro pagine del ricorso in appello.
A fronte di una proposta originaria del 14 marzo 2000 e alla discussione che si è sviluppata circa la compatibilità fra il progetto e il P.U.C. in itinere, l’ultimo atto del Comune è la nota del 3 settembre 2001, con cui l’Amministrazione chiedeva, ai fini di tale verifica, il deposito di ulteriori elementi progettuali. Si tratta di un contegno che, alla luce dell’imminente mutamento della disciplina generale di piano, non appare dilatorio o per altri versi irragionevole o scorretto, ma solo improntato alla necessaria prudenza che il caso richiedeva;
b) gli appellanti non hanno allegato né provato il danno asseritamente sofferto, declinato in termini del tutto ipotetici e apodittici.
In particolare, il risarcimento del danno da ritardo, relativo ad un interesse legittimo pretensivo, non può essere avulso da una valutazione concernente la spettanza del bene della vita e deve, quindi, essere subordinato, tra l’altro, anche alla dimostrazione che l’aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e, quindi, alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 novembre 2016, n. 4580).
Né è possibile ravvisare il pregiudizio nell’adozione e poi nell’approvazione di un P.U.C. improntato a criteri più restrittivi di quelli del previgente P.R.G.; con il che, peraltro, l’Amministrazione ha agito in modo perfettamente legittimo (come ha affermato espressamente la Sezione, decidendo sull’ulteriore sviluppo della controversia, con la sentenza 5 dicembre 2016, n. 5104);
19.3. Da ciò, in conclusione, l’infondatezza della pretesa sotto ogni suo aspetto.
20. La domanda di annullamento della nota comunale n. 10795/2007 è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.
20.1. Come non è specificamente contestato tra le parti costituite e va dato dunque per ammesso, a norma dell’art. 64, comma 2, c.p.a.:
a) diversamente dal P.R.G., il P.U.C. non richiede più un piano attuativo ma consente l’edificazione diretta mediante permesso di costruire (cfr. ancora Cons. Stato, sez. IV, n. 5104/2016);
b) gli appellanti hanno alienato i terreni di proprietà a un altro soggetto, che ha portato avanti e si accinge a concludere un articolato intervento edificatorio e comunque ha dichiarato di non avere interesse all’accoglimento dell’appello (vedi la comunicazione compresa fra i documenti prodotti dal Comune in data 10 maggio 2017);
c) dunque dall’eventuale accoglimento dell’appello sul punto i privati non otterrebbero alcuna utilità, sia perché il S.U.A. non sarebbe comunque assentibile, sia perché, anche se per ipotesi così fosse, essi si sono spogliati della proprietà delle aree e non avrebbero alcuna possibilità di procedere a una edificazione in proprio.
21. Infine, non ha pregio la domanda subordinata di revisione della sentenza impugnata sul capo delle spese di giudizio, perché queste per legge seguono la regola della soccombenza e solo una decisione difforme richiederebbe una motivazione sia pure per implicito. Peraltro la determinazione impugnata è di puro merito e, nella fattispecie, non presenta quei caratteri di palese irragionevolezza, rispetto alla motivazione adottata, che unicamente ne potrebbero consentire il sindacato in sede di appello (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 24 novembre 2016, n. 4948).
22. Dalle considerazioni che precedono discende che – come anticipato – l’appello è in parte infondato, in parte improcedibile.
Segue da ciò la conferma della sentenza di primo grado.
23. Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: fra le tante, per le affermazioni più risalenti, cfr. Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663).
24. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
25. Apprezzata la complessità della vicenda, le spese del presente grado di giudizio possono essere compensate fra le parti, mentre resta a carico degli appellanti il contributo unificato versato per l’attuale appello.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, in parte lo respinge e in parte lo dichiara improcedibile; per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa fra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Dispone che resti a carico degli appellanti soccombenti il contributo unificato versato per l’attuale appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Carlo Schilardi – Consigliere
Giuseppe Castiglia – Consigliere, Estensore
Daniela Di Carlo – Consigliere
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