Consiglio di Stato
sezione IV
sentenza 26 febbraio 2015, n. 971
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE QUARTA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1372 del 2011, proposto da:
Gi.Fr.Bi.Mo., rappresentato e difeso dall’avv. Da.Ga., con domicilio eletto presso Da.Ga. in Roma, (…);
contro
Inps – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del Presidente p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Ga.De., Fr.Fe., Da.An., con domicilio eletto presso Fr.Fe. in Roma, Via (…);
Sc. Srl, in p.l.r.p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Fr.Sc., Fi.Br., con domicilio eletto presso Ch. Studio Legale in Roma, Via (…);
Consorzio G., in p.l.r.p.t., rappresentato e difeso dagli avv. St.Ci., Fi.Do., con domicilio eletto presso Cons. Di Stato Segreteria in Roma, (…);
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Agenzia del Demanio, Ministero Lavoro e Previdenza Sociale, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via (…);
Ro. Spa;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE II n. 13836/2009, resa tra le parti, concernente provvedimenti relativi alla messa all’asta per pubblico incanto di vendita di immobile condotto in locazione
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Inps – Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, di Sc. Srl, del Consorzio G. e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Agenzia del Demanio, Ministero Lavoro e Previdenza Sociale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2014 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Da.Ga. ed altri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
L’avv. Bi.Ma. – conduttore di due unità immobiliari di proprietà dell’INPS, siti in Roma, (…), interessate, unitamente all’intero stabile, da un programma di dismissione – ha impugnato dinanzi al TAR Lazio i decreti dell’Agenzia del Demanio del 27 e 30/11/2001, il decreto interministeriale di trasferimento del 30/11/2001, il provvedimento di messa all’asta. previa cessione alla società di cartolarizzazione S. srl, nonché (a mezzo di motivi aggiunti) l’avviso di rettifica dell’asta pubblica del 15/2/2002 e le successive disposizioni interpretative degli originari decreti.
Ha in quella sede contestato, in radice, la messa all’asta delle unità immobiliari, riservata dalla legge 140/2001 ai soli immobili commerciali (circostanza asseritamente non sussistente nel caso di specie, in considerazione della loro adibizione a “studio professionale”), e rivendicato il suo diritto di prelazione, così come previsto dalle legge per gli immobili ad uso abitativo. In subordine, ha comunque dedotto l’illegittimità della procedura d’asta, per avere la stessa aggregato ai fini della vendita in blocco, una serie di unità immobiliari, anche appartenenti ad altri edifici, così da inibire di fatto l’esercizio della prelazione, pure prevista dalla legge dopo l’aggiudicazione provvisoria.
Il TAR, superati i dubbi di giurisdizione, ha accolto il ricorso, non già in relazione alla destinazione non commerciale dell’immobile, ma in relazione alle modalità di esperimento dell’asta, in proposito affermando che la stessa avrebbe dovuto avere ad oggetto singoli lotti e svolgersi in due fasi, con riconoscimento della prelazione all’esito della prima, giusto quanto previsto dall’art. 1 all. 3 del decreto interministeriale del 18/12/2001.
L’avvocato Bi.Ma. ha proposto appello, deducendo che: a) il TAR avrebbe errato nel considerare di natura commerciale le due unità immobiliari. In particolare, ancorché gli originari contratti del ’70 (per l’unità interno 4) e dell’81 (interno A) contemplassero l’utilizzo a studio professionale, l’appellante ha utilizzato l’interno 4 promiscuamente anche come propria abitazione. In ogni caso la natura commerciale o meno dell’immobile avrebbe dovuto essere individuata alla luce di criteri oggettivi e strutturali (sarebbero tali i magazzini, le fabbriche, gli alberghi….) e non contrattuali. In proposito, il TAR avrebbe altresì del tutto omesso l’esame della vicenda giudiziaria in sede civile conclusasi con sentenza del Tribunale di Roma n. 23660/2003, a mente della quale l’uso promiscuo non era più contestabile ex art.80 della legge 392/1978 (norma che impone un termine al locatore un termine di decadenza per la domanda di risoluzione nell’ipotesi di notizia dell’abusivo mutamento di destinazione d’uso); b) dall’accertamento della natura non commerciale degli immobili, discenderebbe un diritto di prelazione il cui esercizio inibirebbe l’esperimento dell’asta da parte della società di cartolarizzazione, ai sensi di quanto disposto dal DM 20/11/2001; prelazione, la cui volontà era già stata manifestata nel 1999, con lettera indirizzata a IG. spa (gestore degli immobili) con conseguente obbligo del proprietario di trasferire l’immobile; il diritto di prelazione sussisterebbe inoltre anche ai sensi dell’art. 6 della legge 104/96, norma mai abrogata.
Sia INPS che SC. srl, ritualmente costituitisi, hanno eccepito la tardività dell’appello: si applicherebbe il termine di 120 gg. previsto dall’art. 23 bis della legge TAR trattandosi di giudizi relativi a “procedure di privatizzazione e dismissione di beni pubblici”. INPS ha invece insistito sulla natura commerciale delle unità (almeno per una di esse, lo stesso ricorrente non farebbe nemmeno cenno ad un uso promiscuo), così come derivante dal contratto di locazione. La sentenza del Tribunale civile di Roma non avrebbe alcuna efficacia vincolante, essendosi limitata a dichiarare il difetto di legittimazione attiva di IG. spa.
L’appellante, dinanzi all’eccezione di tardività, ha replicato sostenendo che la controversia ha sostanzialmente ad oggetto il diritto soggettivo di prelazione e non la legittimità della procedura di dismissione. Ha chiesto di valutare la possibilità di declinare la giurisdizione in favore del GO
Considerato altresì che:
Nelle more del giudizio, l’art. 43 bis della legge 14/2009, ha previsto che gli originari enti proprietari (e quindi nel caso di specie INPS) subentrano alla SC. srl in tutti i rapporti anche processuali, ragion per cui, con ordinanza n. 201306184 del 20/12/2013, la Sezione, su comune richiesta delle parti, ha estromesso SC. dal giudizio.
Vista la reiterata richiesta di rinvio, congiuntamente perorata dagli avvocati del ricorrente e di INPS in sede di discussione ai fini di un bonario componimento della controversia, e rilevato il subentro di INPS nei rapporti sostanziali oggetto di contenzioso, il Collegio, con ordinanza istruttoria n. 201404315, ha chiesto una relazione dell’INPS illustrativa dei reali ed attuali propositi dell’Ente nei confronti della proposta di acquisto del ricorrente, già avanzata dall’appellante sull’asserito presupposto dell’esistenza di un diritto di prelazione, sì da esplorare e verificare i margini per la soluzione transattiva.
In mancanza di un bonario componimento, la causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 18 dicembre 2014.
– L’appello è irricevibile in quanto tardivo.
Non è contestabile che la controversia oggetto del presente appello, afferente ad una procedura di dismissione di immobili pubblici ad uso residenziale, rientri nell’ambito di applicazione del rito abbreviato di cui all’art. 23-bis, della legge Tar (norma ratione temporis applicabile, oggi trasfusa nell’art. 119 cod. proc. amm.).
Come già evidenziato dall’Adunanza Plenaria, la giurisprudenza si è univocamente orientata nel senso che l’art. 23-bis, lett. e), della legge Tar, si riferisce non solo alle “ampie operazioni di dismissione di beni pubblici” ma “anche all’alienazione dei singoli beni”. Il rito abbreviato trova la sua ragion d’essere nell’esigenza che i giudizi in talune materie di particolare interesse, strategico o finanziario, dello Stato e della comunità vengano definiti con sollecitudine e con priorità rispetto al generalità delle controversie; in tale prospettiva, l’alienazione dei beni dello Stato e degli altri enti pubblici riveste tali connotati, non solo per quel che attiene ai programmi generali di dismissione delle proprietà pubbliche ma anche agli atti attuativi dei programmi medesimi, in quanto strumenti essenziali per il risanamento della finanza pubblica (Cfr. Cons. Stato Ad. Plen. Sent., 09-08-2012, n. 32).
Ebbene, a mente dell’art. 23 bis cit., il termine per la proposizione dell’appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale “è di trenta giorni dalla notificazione e di centoventi giorni dalla pubblicazione della sentenza”.
Nel caso in esame, la sentenza del TAR Lazio 13836/2009 è stata pubblicata mediante deposito in data 28 dicembre 2009. Il ricorso in appello è stato notificato il 5 febbraio 2011, ossia ben oltre il termine abbreviato dei centoventi giorni.
Non c’è sicuramente margine per la concessione dell’errore scusabile sotto il profilo della incolpevole ignoranza della soggezione di tale tipo di controversia al rito abbreviato. Né può rilevare, ai fini dell’errore scusabile, l’eventuale errore del giudice di primo grado consistente nell’applicare il rito ordinario in luogo di quello speciale, atteso che come chiarito dall’Adunanza Plenaria, al fine della verifica se una determinata controversia rientri o meno nell’ambito di applicazione del rito dell’art. 23-bis della legge Tar, da un lato è del tutto irrilevante il comportamento processuale delle parti e, dall’altro lato, è del pari irrilevante la condotta processuale tenuta dal giudice nel corso del giudizio di primo grado, trattandosi di evenienza che non esclude ex se la doverosa applicazione del rito (ordinario o speciale), effettivamente stabilito dalla legge (A.p. n. 10 del 2011; in tal senso anche Cons. St., sez. IV, 23 dicembre 2010 n. 9376).
Il ricorso è pertanto irricevibile.
L’appellante, conscio dei sopra acclarati profili di irricevibilità, insiste, chiedendo in via subordinata una pronuncia in ordine ai motivi aggiunti proposti in primo grado, ed aventi ad oggetto il riconoscimento della prelazione ed il trasferimento, ex art. 2932 c.c., dell’immobile, questione sulla quale il giudice di prime cure avrebbe omesso di pronunciarsi e che ricadrebbe nella giurisdizione del Giudice ordinario, a favore del quale dovrebbe operare la traslatio.
Questa questione, analogamente a quanto già chiarito in relazione all’intero gravame, non può essere oggetto d’esame. La tardività dell’appello inibisce l’instaurazione di un valido rapporto processuale, e conseguentemente l’adozione di qualsivoglia pronuncia che esuli dalla mera dichiaratoria di irricevibilità.
Avuto riguardo alla peculiarità della questione, le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile in quanto tardivamente proposto.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2014 con l’intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi – Presidente
Nicola Russo – Consigliere
Raffaele Greco – Consigliere
Andrea Migliozzi – Consigliere
Giulio Veltri – Consigliere, Estensore
Depositata in Segreteria il 26 febbraio 2015
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