Consiglio di Stato
sezione III
sentenza 4 settembre 2015, n. 4120
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL CONSIGLIO DI STATO
IN SEDE GIURISDIZIONALE
SEZIONE TERZA
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso n. 10236/2011 RG, proposto dall’Associazione sindacale dei titolari di farmacia privata – FE. della Provincia di Arezzo, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Ro.Ri., con domicilio eletto in Roma, via (…),
contro
– il Comune di Terranuova Bracciolini (AR), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Lu.Ca., con domicilio eletto in Roma, via (…), presso lo studio dell’avv. Ma. e
– la Regione Toscana, in persona del Presidente pro tempore, non costituita nel presente giudizio e
nei confronti di
A. s.p.a., corrente in Montevarchi (AR), in persona del legale rappresentante pro tempore, controinteressata, non costituita nel presente giudizio,
per la riforma
della sentenza del TAR Toscana, sez. II, n. 1347/2011, resa tra le parti e concernente l’acquisizione di quota di partecipazione in società e l’affidamento in gestione della farmacia comunale;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del solo Comune intimato;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore all’udienza pubblica del 12 febbraio 2015 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, gli avvocati Fr.Pa. ed altri;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con deliberazione n. 65 del 2 marzo 2009, la Giunta regionale della Toscana dispose la revisione della p.o. delle farmacie nei Comuni della Provincia d’Arezzo, per cui ne fu individuata una sede nel territorio del Comune di Terranuova Bracciolini (AR), fraz. Penna.
La Regione Toscana, con decreto dirigenziale n. 1509 del 6 aprile 2009, offrì tal nuova sede in prelazione al predetto Comune che poi l’esercitò, con assunzione della gestione pubblica, in forza della deliberazione della Giunta comunale 105 del successivo 4 giugno.
Con la delibera consiliare n. 96 del successivo 30 settembre, il Comune scelse quindi di gestire tal nuova sede nella forma dell’in house providing di cui all’allora vigente art. 23-bis, commi 3 e 4 del DL 25 giugno 2008 n. 112 (conv. modif. dalla l. 6 agosto 2008 n. 133). In vista di tal affidamento in house alla A. s.p.a. —già affidataria delle altre due sedi farmaceutiche in Terranuova Bracciolini—, il Comune chiese all’Autorità antitrust di rendere al riguardo il parere ex art. 23-bis, c. 4 del DL 112/2008. Ma l’Autorità non ritenne opportuno emanare l’invocato parere, a causa della sopravvenuta novella ex art. 15, c. 1 del DL 25 settembre 2009 n. 135 (conv. modif. dalla l. 20 novembre 2009 n. 166).
Nel frattempo, però e con delibera consiliare n. 3 del 13 gennaio 2010, il Comune acquisì una quota della A. s.p.a. e le affidò in house la gestione della nuova sede farmaceutica.
Avverso tutti i citati provvedimenti la Fe. di Arezzo, quale ente esponenziale dei farmacisti della relativa Provincia, si gravò in via straordinaria e, a seguito della relativa trasposizione in sede giurisdizionale, riassunse la causa innanzi al TAR Toscana. La Fe. colà dedusse l’omessa considerazione comunale, da un lato, della novella di cui all’art. 15 del DL 135/2009 (che impose di gestire le farmacie comunali soltanto con uno dei moduli ex art. 9, I c. della l. 2 aprile 1968 n. 475, escludendo la gestione in house, donde la volontà dell’Autorità di non dar parere al riguardo) e, dall’altro, dell’arresto procedimentale derivante da tal diniego e del difetto di motivazione (nonché di proporzionalità) circa la scelta gestionale in house. L’adito TAR, con sentenza n. 1347 del 29 agosto 2011, ha dichiarato inammissibile il gravame attoreo per difetto dell’interesse azionato, ché nessuna delle forme gestionali ex art. 9 della l. 475/1968 prevede il coinvolgimento di imprese e di soggetti privati; ha rilevato il difetto di legittimazione attiva in capo alla Fe., in quanto i titolari di farmacie hanno soltanto un interesse di fatto ad impugnare gli atti con cui un Comune, una volta divenuto titolare d’una farmacia neoistituita a seguito della prelazione ex art. 9, ne attivi le procedure per la gestione; e ha poi dichiarato irricevibile per tardività l’impugnazione contro la delibera consiliare n. 96/2009 in tema di in house providing.
Appella quindi la Fe. di Arezzo, con il ricorso in epigrafe, deducendo in punto di diritto l’erroneità dell’impugnata sentenza e riproponendo in questa sede i motivi assorbiti in primo grado. Resiste in giudizio il solo Comune intimato, concludendo per il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza del 12 febbraio 2015, su conforme richiesta delle parti costituite, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
DIRITTO
Si controverte in questa sede del (preteso) illegittimo affidamento in house della neostituita sede farmaceutica n. 3) in Terranuova Bracciolini (AR), assegnata al relativo Comune in prelazione dalla Regione Toscana, contro gli atti della quale e dello stesso Comune insorse a suo tempo la Fe. della provincia di Arezzo.
L’appello non è fondato e va respinto, per le considerazioni qui di seguito indicate.
La Fe. di Arezzo lamenta anzitutto l’erroneità della sentenza, laddove, nel dichiararne inammissibile l’impugnazione contro le modalità di gestione comunale in prelazione d’una farmacia neoistituita poiché queste ultime non contemplano comunque la partecipazione di farmacisti privati, non considera l’illegittimità in sé dell’affidamento in house stante l’inutile decorso, per la relativa apertura, del termine semestrale di decadenza ex art. 14, c. 4 della l. reg. Tosc. 25 febbraio 2000 n. 16, decorrente dalla pubblicazione in BUR del provvedimento regionale di assegnazione. Il motivo in esame non ha pregio, ma abbisogna d’un percorso argomentativo un po’ più articolato, che una risposta soltanto binaria.
Infatti, se la questione si fosse limitata al mero aspetto della prelazione (che NON è), certo ben si potrebbe discettare, come fa l’appellante, se in effetti la decadenza per inutile decorso di tale termine ex art. 14, c. 4 legittimi i farmacisti privati e la loro associazione di categoria a far constare la consumazione del potere del Comune nel mantenere la neoistituita sede farmaceutica nella mano pubblica.
Tuttavia, anzitutto i due piani logici, quello dell’esercizio della prelazione ex art. 9, I c. della l. 2 aprile 1968 n. 475 e quello dei modi di gestione della farmacia colà indicati, sono sì connessi ma del tutto distinti, essendo il secondo attuabile solo se il primo si compia entro il termine decadenziale. Se ciò non accade, non sembra possibile comunicare in modo meccanico al primo piano i vari profili di difetto di legittimazione ricavabili dal secondo, tra cui la circostanza che, per il medesimo art. 9, I c., le modalità di gestione non implicano la partecipazione dei farmacisti privati.
In realtà, a prescindere che, se ci si limitasse alla sola lettura del II per. di tal I c., questo assunto non sarebbe del tutto vero, l’inammissibilità comunque rimane, perché tardivo è e resta anzitutto il gravame avverso il provvedimento con il quale il Comune intimato esercitò la prelazione, ossia la deliberazione della Giunta comunale n. 105 del 4 giugno 2009. L’incontestato esercizio di siffatta prelazione determinò al riguardo la definizione dell’assunzione della sede neoistituita alla gestione comunale e, per l’effetto, si consolidò in capo ai farmacisti privati (ed alla loro Associazione) la relativa lesione e di ciò, per vero lealmente (cfr. pag. 16 del ricorso in epigrafe), dà atto la stessa appellante. È solo da soggiungere che, quand’anche s’arrivasse all’accoglimento dell’appello, in ogni caso la prelazione resterebbe integra ed il giudicato non potrebbe che colpire le mere modalità di gestione pubblica, NON certo l’attività di riemanazione. Va considerato che, ove il Comune stabilisse ad ogni modo di fuoriuscire dallo schema ex art. 9, I c., II per. della l. 475/1968 e pur a volerlo ritenere tuttora vigente, ben potrebbe ribadire, emendandolo da ogni eventuale vizio, l’affidamento in house della gestione della sede farmaceutica, con il solo e ben noto limite dell’esercizio del c.d. “controllo analogo” sulla società affidataria (cfr. sul punto Cons. St., III, 13 novembre 2014 n. 5587).
Né il discorso cambia se si sposta l’attenzione sulla deliberazione consiliare n. 96 del 30 settembre 2009, con cui il Comune intimato decise di gestire la sede farmaceutica de qua ai sensi dell’art. 23 – bis, commi 3 e 4 del DL 25 giugno 2008 n. 112 (conv. modif. dalla l. 6 agosto 2008 n. 133). Invero, tal delibera fu regolarmente pubblicata nell’albo pretorio comunale dal 13 ottobre 2009 e per i prescritti quindici giorni, come accadde pure alla deliberazione consiliare n. 107 del successivo 12 novembre (in albo pretorio dal 24 novembre), la quale approvò lo studio di fattibilità – analisi di mercato ai fini dell’affidamento in house alla controinteressata A. s.p.a. In entrambi i casi, non essendo i farmacisti privati e/o la loro Associazione né destinatari dei relativi contenuti, né soggetti necessariamente contemplati dalle due delibere citate, per loro il termine per la relativa impugnazione sarebbe comunque decorso dall’ultimo giorno delle rispettive pubblicazioni. Dunque rettamente il TAR ha precisato che la tardività dell’eventuale contestazione della delibera n. 96 impedì di rimettere in discussione, una volta consolidata la prelazione pubblica ex art. 9, I c. della l. 475/1968, sia la scelta in sé della relativa gestione con il metodo dell’in house providing, sia la concreta attuazione di tal modalità mercé l’affidamento in house alla controinteressata, impresa a totale partecipazione pubblica.
Di ciò è tanto consapevole l’appellante (cfr. pagg. 19/20 del ricorso in epigrafe), ché tenta d’inferire dall’esito negativo della manifestazione di interesse verso i privati, nonché dallo studio di fattibilità – analisi di mercato, da inviare all’AGCM per il parere ex art. 23-bis del DL 112/2008, elementi per dimostrare la natura solo programmatica della delibera n. 96/2009. In altre parole, essa predica così l’assenza d’ogni suo onere d’immediata impugnazione e tenta di concentrarlo nei soli riguardi della delibera consiliare n. 3 del 13 gennaio 2010, con cui fu acquisita una quota di partecipazione e fu affidata la gestione della sede farmaceutica alla contronteressata A. s.p.a. Invece, tali due vicende pregresse alla delibera n. 3/2010, ben lungi dal porsi in contrasto con essa, costituirono con questa l’esecuzione delle varie opzioni gestorie stabilite dalla delibera n. 96/2009, le quali a loro volta sono le possibili declinazioni dell’in house providing. Sicché, esaurite le prime opzioni, la seconda, cioè l’affidamento diretto della gestione della nuova sede alla Società controinteressata, è pur essa nulla più che la mera esecuzione della scelta gestionale posta dalla delibera n. 96/2009.
Consolidatasi la prelazione ed impossibile essendo ormai revocare in dubbio tal scelta gestionale —neppure attraverso l’escamotage dell’ impugnazione congiunta con la delibera n. 3/2010—, manca così ogni concreto interesse protetto all’ottenimento della gestione privatistica della neoistituita sede farmaceutica. È corretta quindi la declaratoria d’inammisibilità (oltre che di tardività) resa dal TAR nella sentenza appellata, in quanto l’intangibilità dei due predetti eventi primigeni elide ogni modificazione di tal assetto e rende inutile l’impugnazione degli atti a valle, ove essi si limitino ad eseguirne le statuizioni. Questo scenario non cambia, quand’anche fosse (ma NON è) possibile pervenire alla disapplicazione della scelta in house, perché ciò dovrebbe esser in sé manifesta e sempre che il soggetto, che pretenda un tal risultato, non sia a sua volta incorso in una decadenza secondo una regola di diritto interno non irrazionale o discriminatoria.
Resta così assorbita ogni questione sul preteso difetto di motivazione sulla scelta della gestione in house, anch’esse da proporre tempestivamente contro la delibera n. 96/2009.
È appena da precisare che, allo stato e pur dopo l’abolizione dell’art. 23-bis del DL 112/2008 e del conseguente art. 15 del DL 25 settembre 2009 n. 135 (conv. modif. dalla l. 20 novembre 2009 n. 166) ad opera del referendum ed in forza del DPR 18 luglio 2011 n. 113, gli artt. 113 e ss. del d. lgs. 18 agosto 2000 n. 267 ha regolato l’intera materia sulle forme giuridiche di prestazione dei servizi pubblici locali, determinando l’abrogazione delle leggi anteriori che regolavano quelle inerenti ai i singoli servizi.
Sicché il sistema di gestione dei servizi farmaceutici comunali ex art. 9, I c. della l. 475/1968 è stato abolito, pure nella parte in cui previde che le farmacie comunali potevano esser gestite mediante società di capitali, seppur a condizione che avessero come soci i farmacisti i quali, all’atto della costituzione di queste ultime, fossero in servizio nelle farmacie di cui il Comune avesse la titolarità (cfr. così Cons. St., III, 9 luglio 2013 n. 3647). Come si vede, l’abolizione sia del DL 112/2008, sia del DL 135/2009 ha definitivamente ricondotto i metodi di gestione delle sedi farmaceutiche sotto l’imperio della disciplina unitaria ed esclusiva recata dall’art. 113 del TUEL, onde non vi sono più, quand’anche vi fossero mai state, preclusioni all’in house providing. Ma tali preclusioni, al di là dell’opera di razionalizzazione discendente da detto referendum, neppure si sarebbero potute dire esistenti sotto la vigenza del ripetuto art. 9, I c., almeno per quanto attiene al mantenimento del servizio farmaceutico in mano pubblica. Infatti, l’impresa in house, appunto grazie al c.d. “controllo analogo”, costituisce al contempo la nuova forma dell’azienda speciale ed il modello ordinario (e non certo derogatorio) di gestione pubblica dei servizi pubblici locali.
Proprio per questo, pare al Collegio che nessuna utilità giuridica può esser ritratta dall’appellante dall’eventuale accoglimento del motivo sull’arresto procedimentale, a suo dire, rinvenibile nella nota del 21 dicembre 2009, con la quale l’AGCM ritenne di non rendere il parere ex art. 23-bis, c. 4 del DL 112/2008 che a suo tempo il Comune le richiese. Infatti, tal avviso dell’AGCM va letto non necessariamente come atto negativo (e, nella prospettazione dell’appellante, statuizione lesiva), ma come precisazione della sopravvenuta superfluità del parere stesso a seguito della novella recata dall’art. 15, c. 1, lett. a) e a-bis) del DL 135/2009. Poiché quest’ultimo escluse dalla disciplina generale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica il servizio di gestione delle farmacie, riconducendolo alla disciplina dell’art. 9, I c. della l. 475/1968, non si può dire più necessario detto parere e, al tempo stesso, preclusa la gestione in house, non incompatibile con la norma testé citata.
In definitiva, l’appello va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. III), definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso n. 10236/2011 RG in epigrafe), lo respinge.
Condanna l’Associazione appellante al pagamento, a favore del Comune resistente e costituito, delle spese del presente giudizio, che sono nel complesso liquidate in Euro 5.000,00 (Euro cinquemila / 00), oltre IVA, CPA ed accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 12 febbraio 2015, con l’intervento dei sigg. Magistrati:
Carlo Deodato – Presidente FF
Vittorio Stelo – Consigliere
Roberto Capuzzi – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere, Estensore
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Depositata in Segreteria il 4 settembre 2015.
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