Cassazione10

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 30 luglio 2015, n. 33602

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente

Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nata a (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 16-02-2015 del tribunale della liberta’ di Taranto;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Francesco Salzano che ha concluso per l’annullamento con rinvio limitatamente ai ratei gia’ versati;

udito per il ricorrente l’avvocato (OMISSIS), quale sostituto processuale dell’avvocato (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) ed (OMISSIS) ricorrono per cassazione impugnando l’ordinanza emessa dal tribunale della liberta’ di Taranto che ha rigettato l’appello cautelare interposto avverso l’ordinanza con la quale il Gip presso il tribunale della medesima citta’ aveva respinto l’istanza di revoca del sequestro preventivo disposto con decreto del 22 aprile 2013 per il reato di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 4, per avere indicato nelle dichiarazioni annuali Irpef per gli anni di imposta 2006, 2007, 2008, 2009 e 2010 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, con imposta evasa per l’anno 2007 di euro 151.796,04; per l’anno 2008 di euro 129.353,03; per l’anno 2009 di euro 132.459,78 e per l’anno 2010 di euro 149.160,28.

2. Per la cassazione dell’impugnata ordinanza i ricorrenti sollevano, a mezzo del comune difensore, un unico ed articolato motivo di gravame, qui enunciato, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.

Con esso si lamenta la violazione di legge penale e processuale (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c)) sul rilievo che in relazione alle contestate violazioni fiscali, l’agenzia delle entrate aveva accolto l’istanza di accertamento con adesione formulata dal (OMISSIS), rideterminando di conseguenza l’Irpef ritenuta evasa con riferimento a ciascuno degli anni di imposta 2008, 2009 e 2010. Successivamente il ricorrente, in adempimento dell’impegno assunto con l’agenzia delle entrate, aveva effettuato il pagamento delle prime due rate (per complessivi euro 43.662,66) per ognuno dei tre periodi di imposta innanzi indicati.

Sulla base di cio’, aveva chiesto, tra l’altro, la riduzione del valore complessivo dei beni sequestrati in ragione dell’importo delle due menzionate rate dell’Irpef versate dal contribuente per ciascuno degli anzidetti periodi 2008, 2009 e 2010 ed oggetto dei riferiti piani di ammortamento, essendo pacifico, anche in giurisprudenza, che cio’ comporta il diritto del contribuente ad una proporzionale riduzione della quantum in giudiziale sequestro in ragione di quanto versato e quindi il rapporto alle singole rate pagate in favore dell’agenzia delle entrate.

Sennonche’ il tribunale cautelare riteneva fondati i rilievi difensivi sollevati in proposito contro il provvedimento reiettivo del Gip e tuttavia respingeva ugualmente l’istanza sul rilievo che il contribuente avesse diritto alla riduzione del quantum in giudiziale sequestro non gia’ in ragione dell’importo complessivo di ciascuna rata versata all’erario, ma invece soltanto in ragione della parte di ogni rata corrispondente all’imposta evasa e con esclusione, quindi, della parte del medesimo rateo relativa agli interessi dovuti. Siccome dai modelli di pagamento e dalle quietanze di versamento prodotti dalla difesa non risultavano quali somme fossero state versate a titolo d’imposta evasa e quali quelle pagate a titolo di interessi, riteneva che la decisione in ordine alla riduzione del quantum in giudiziale sequestro competesse all’organo dell’esecuzione.

Epilogo, questo, contestato dal ricorrente il quale rileva che dalla documentazione prodotta fosse possibile scorporare gli interessi dalla sorta capitale co conseguente riduzione del quantum in giudiziale sequestro in corrispondenza ai ratei corrisposti al fisco; in ogni caso, il tribunale cautelare avrebbe dovuto accogliere l’appello nei termini in cui la stessa ordinanza ha ritenuto valide le ragioni di una riduzione del quantum, riservando poi alla sede esecutiva, rimessa ai competenti organi, quella di individuare le somme corrisposte per la sorta capitale del debito e quelle corrisposte per gli oneri accessori.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono infondati nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.

2. L’appello cautelare e’ un mezzo di impugnazione de libertate il cui perimetro cognitivo e’ segnato dal principio devolutivo, con la conseguenza che, nei limiti della materia devoluta con l’impugnazione, il provvedimento conclusivo della fase procedimentale, quando non sia di rigetto del gravame, puo’ produrre esclusivamente, secondo i casi, effetti costitutivi (se l’impugnazione e’ proposta dal pubblico ministero), modificativi o estintivi del rapporto giuridico cautelare (se l’impugnazione e’ proposta da una delle parti interessate) sicche’ l’epilogo procedimentale non puo’ mai essere segnato da un provvedimento di mero accertamento, che e’ estraneo alla logica ed alla dinamica cautelare.

Cio’ premesso, quanto al punto controverso, risulta dal provvedimento impugnato che il Gip aveva disatteso l’istanza di riduzione sul rilievo che, in fase di esecuzione del decreto di sequestro preventivo, non erano stati sottoposti a vincolo beni sino alla concorrenza del profitto del reato.

Il tribunale cautelare – pur avendo evidenziato che dagli atti, diversamente da quanto ritenuto dal provvedimento impugnato, il sequestro del 22 aprile 2013 e quello del 3 giugno 2014 erano stati eseguiti per il loro esatto ammontare – ha tuttavia affermato, dopo aver esaminato l’elenco dei versamenti effettuati con il modello di pagamento unificato, non essere possibile determinare con esattezza le somme versate a titolo di imposta evasa e quelle versate a titolo di interessi, con la conseguenza che doveva ritenersi preclusa al tribunale cautelare la possibilita’ di disporre la riduzione del sequestro in misura proporzionale alle somme versate, trattandosi di operazione che avrebbe richiesto, nel caso di specie, accertamenti non compatibili con la fase procedimentale instaurata innanzi al tribunale della liberta’, ma demandati alla fase esecutiva.

Nel caso di specie, dunque, il tribunale cautelare si e’ attenuto al principio di diritto espresso da questa Corte secondo il quale, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l’Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, non puo’ essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione, poiche’, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non puo’ mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (Sez. 3, n. 6635 del 08/01/2014, Cavatorta, Rv. 258903).

Tuttavia – quando, con il sequestro per equivalente, si vincolano oppure si mantengono in vinculis beni di valore superiore al prezzo, al prodotto o al profitto del reato – si ha una violazione del principio di proporzionalita’ della misura, con la conseguenza che la privazione del bene della vita, nella parte eccedente, rende il sequestro illegittimo, per quella parte, e cio’ esula dai profili riguardanti l’esecuzione del sequestro che ha una ragion d’essere in un errore compiuto a seguito della fase genetica del vincolo quando cioe’ sia riscontrabile una discrasia desumibile dal mero raffronto tra il contenuto impositivo del provvedimento cautelare e l’adprehensio ossia di cio’ che e’ stato oggetto dell’esecuzione e che non doveva esserlo.

Il tribunale cautelare ha pero’ respinto l’appello sul fondamentale rilievo che non fosse possibile stabilire il quantum da restituire e cio’ ha fatto in maniera corretta perche’, in sede di riesame o di appello avverso una misura cautelare reale, il tribunale, salvi i casi di evidenza dell’accertamento ossia di soluzione di una questione che sia ictu oculi definibile sulla base degli atti, non e’ tenuto a dirimere le questioni contabili essendo sprovvisto di poteri istruttori che sono incompatibili con l’incidente cautelare (Sez. 3, n. 19011 del 11/02/2015, Citarella e altro, Rv. 263554).

L’ordinanza impugnata e’ quindi giunta ad una soluzione corretta ed il ricorrente, anziche’ impugnare quella decisione, avrebbe dovuto rivolgersi al pubblico ministero, ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 3, dimostrare il quantum corrisposto per i ratei di imposta depurati da interessi e sanzioni ed eventualmente ottenere dallo stesso pubblico ministero la revoca del sequestro in parte qua, perche’ divenuto nel frattempo illegittimo per l’eccedenza in violazione del principio di proporzionalita’. In siffatti casi, nel corso delle indagini preliminari, quando il pubblico ministero non accoglie in tutto o in parte la richiesta di revoca del sequestro proposta dall’interessato, deve trasmettere al giudice per le indagini preliminari la richiesta e gli atti del procedimento con le sue valutazioni (articolo 321 c.p.p., comma 3) e, avverso la decisione del Gip, se di rigetto dell’istanza, l’interessato puo’ proporre l’appello cautelare (articolo 322 bis c.p.p.), che cognita causa puo’ essere definito.

I ricorrenti, solo con affermazione apodittica ed assertiva, hanno contestato che dagli atti fosse possibile scorporare le somme pagate a titolo di sorta capitale da quelle corrisposte a titolo di interessi ed infatti non hanno indicato alcun elemento specifico che consentisse una verifica di fondatezza dell’assunto.

Ne’ il tribunale cautelare poteva, come precisato in premessa, emettere una pronuncia di mero accertamento ma, in tal caso, esclusivamente di rigetto per mancanza di idonea prova cautelare circa il quantum detraibile e rivendicato in relazione al diritto fatto valere (riduzione del sequestro).

3. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *