Consiglio di Stato, sezione III, sentenza 11 ottobre 2016, n. 4198.

In relazione all’esercizio dei relativi poteri discrezionali, l’art. 39 attribuisce alla Prefettura il potere di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia titolare, quando sia riscontrabile una capacità «di abusarne», mentre l’art. 43 consente alla competente autorità – in sede di rilascio o di ritiro dei titoli abilitativi – di valutare non solo tale capacità di abuso, ma anche – in alternativa – l’assenza di una buona condotta, per la commissione di fatti, pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti, ma che comunque non rendano meritevoli di ottenere o di mantenere la licenza di polizia

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 11 ottobre 2016, n. 4198

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3016 del 2016, proposto dal signor Le. Te., rappresentato e difeso dall’avvocato Di. Fr.(C.F. (omissis)), con domicilio eletto presso la Segreteria della Terza Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, n. 13;
contro
Il Ministero dell’Interno – Ufficio territoriale del Governo di Torino, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Piemonte, Sez. I, n. 43/2016, resa tra le parti, concernente un divieto di detenzione di armi e munizioni;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno – Ufficio territoriale del Governo di Torino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 29 settembre 2016 il pres. Luigi Maruotti e uditi per le parti l’avvocato Di. Fr. e l’avvocato dello Stato Ma. An. Sc.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. In data 1° maggio 2014, il Comando Stazione Carabinieri di (omissis) ha segnalato al Prefetto della Provincia di Torino che aveva proceduto al ritiro delle armi e delle munizioni detenute dall’appellante, dopo aver ricevuto una sua denuncia con cui lamentava di essere vittima di atti persecutori dei suoi vicini di casa (che avrebbero di notte inserito un corpo estraneo nel suo orecchio).
Da successivi accertamenti, è risultato che la denuncia si è basata su manie persecutorie.
Su richiesta della Questura di Torino, l’ASL TO3 ha sottoposto l’interessato a visita medico-collegiale, formulando il giudizio di non idoneità alla detenzione ed al porto d’armi ad uso sportivo.
Richiamate tali risultanze, con il provvedimento di data 5 agosto 2015, emesso ai sensi dell’art. 39 del testo unico n. 773 del 1931, il Prefetto ha vietato all’appellante la detenzione di qualsiasi tipo di arma e di munizione.
2. Col ricorso n. 1271 del 2015 (proposto al TAR per il Piemonte), l’interessato ha impugnato il provvedimento del Prefetto, chiedendone l’annullamento per violazione di legge ed eccesso di potere.
Egli ha dedotto che sarebbe mancata una adeguata valutazione circa la possibilità di abuso delle armi e che è stato sottoposto ad una visita specialistica psichiatrica in data 30 aprile 2015, da cui è emersa l’assenza di una specifica patologia.
3. Il TAR, con la sentenza n. 43 del 2016, ha respinto il ricorso ed ha compensato tra le parti le spese del giudizio, rilevando che il provvedimento del Prefetto ha valutato adeguatamente l’accaduto, tenuto conto della effettiva sussistenza della mania di persecuzione.
4. Con l’appello in esame, l’appellante ha chiesto che, in riforma della sentenza del TAR, il ricorso di primo grado sia accolto.
Egli, nel riproporre le censure di primo grado, ha evidenziato che la denuncia a suo tempo presentata contro i vicini «si colloca temporalmente» in un periodo in cui gli era stata prescritta l’assunzione di farmaci antidolorifici, contenenti codeina e tramadolo, ricadenti tra gli oppioidi, ed ha lamentato l’inadeguatezza della motivazione posta a base del provvedimento del Prefetto.
5. Ritiene la Sezione che l’appello sia infondato e vada respinto.
5.1. Per comodità di lettura, va riportato il contenuto degli articoli 11, 39 e 43 del testo unico n. 773 del 1931.
L’art. 11 dispone che «Salve le condizioni particolari stabilite dalla legge nei singoli casi, le autorizzazioni di polizia debbono essere negate:
1) a chi ha riportato una condanna a pena restrittiva della libertà personale superiore a tre anni per delitto non colposo e non ha ottenuto la riabilitazione;
2) a chi è sottoposto all’ammonizione o a misura di sicurezza personale o è stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza.
Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all’autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta.
Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione».
L’art. 39 dispone che «Il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne».
L’art. 43 dispone che «oltre a quanto è stabilito dall’art. 11 non può essere conceduta la licenza di portare armi:
a) a chi ha riportato condanna alla reclusione per delitti non colposi contro le persone commessi con violenza, ovvero per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione;
b) a chi ha riportato condanna a pena restrittiva della libertà personale per violenza o resistenza all’autorità o per delitti contro la personalità dello Stato o contro l’ordine pubblico;
c) a chi ha riportato condanna per diserzione in tempo di guerra, anche se amnistiato, o per porto abusivo di armi.
La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi».
Da tale quadro normativo, emerge che il legislatore ha individuato i casi in cui l’Autorità amministrativa è titolare di poteri strettamente vincolati (ai sensi dell’art. 11, primo comma e terzo comma, prima parte, e dell’art. 43, primo comma, che impongono il divieto di rilascio di autorizzazioni di polizia ovvero il loro ritiro) e quelli in cui, invece, è titolare di poteri discrezionali (ai sensi dell’art. 11, secondo comma e terzo comma, seconda parte, e dell’art. 39 e 43, secondo comma).
In relazione all’esercizio dei relativi poteri discrezionali, l’art. 39 attribuisce alla Prefettura il potere di vietare la detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti a chi chieda il rilascio di una autorizzazione di polizia o ne sia titolare, quando sia riscontrabile una capacità «di abusarne», mentre l’art. 43 consente alla competente autorità – in sede di rilascio o di ritiro dei titoli abilitativi – di valutare non solo tale capacità di abuso, ma anche – in alternativa – l’assenza di una buona condotta, per la commissione di fatti, pure se estranei alla gestione delle armi, munizioni e materie esplodenti, ma che comunque non rendano meritevoli di ottenere o di mantenere la licenza di polizia (non occorrendo al riguardo un giudizio di pericolosità sociale dell’interessato: Cons. Stato, Sez. III, 7 marzo 2016, n. 922; Sez. III, 1° agosto 2014, n. 4121; Sez. III, 12 giugno 2014, n. 2987).
5.2. Nella specie, la Prefettura di Torino ha disposto il divieto di detenere armi e munizioni in applicazione dell’art. 39 e, dunque, esercitando un potere discrezionale, ed ha ritenuto che l’appellante non dia «affidamento di non abusare delle armi».
Ritiene la Sezione che, in considerazione delle circostanze emerse nel corso del procedimento amministrativo, il provvedimento della Prefettura impugnato in primo grado sia adeguatamente motivato e non sia affetto dai vari profili di eccesso di potere, dedotti dall’appellante.
Dalle risultanze acquisite emerge che egli è stato ritenuto inidoneo alla detenzione ed al porto d’armi, dall’ASL TO3, a seguito della visita medica effettuata il 15 maggio 2015.
Avverso tale valutazione medica – basata sulla discrezionalità tecnica dell’organo collegiale – non sono state formulate specifiche censure.
Non hanno rilievo le deduzioni dell’appellante, secondo cui – in considerazione dei farmaci a lui somministrati – non si sarebbero potuti trarre argomenti dal contenuto della denuncia a suo tempo presentata contro i vicini.
Come hanno correttamente evidenziato dapprima il Prefetto e poi il TAR, il contenuto della denuncia si è manifestato allarmante non solo per lo stato di salute del denunciante, ma anche per le conseguenti valutazioni di ordine pubblico: risulta del tutto ragionevole la determinazione dell’organo del Ministero dell’Interno di vietare l’uso delle armi e delle munizioni a chi non abbia il perfetto equilibrio delle sue facoltà intellettive, non rilevando, sotto tale profilo, l’eventualità che ciò sia conseguenza di assunzione di farmaci.
Pur se in linea di principio l’Amministrazione può mantenere il proprio giudizio sulla affidabilità dell’interessato quando per circostanze eccezionali dovute all’uso di farmaci e per un limitatissimo periodo di tempo il titolare della licenza di porto d’armi non sia stato compos sui, di certo tale giudizio non può più essere formulato quando l’alterazione risulti in tempi diversi (nella specie, quando è stata presentata la denuncia del 1° maggio 2015 e quando vi è stata la visita medica del 15 maggio 2015), soprattutto quando l’alterazione sia stata constatata da una commissione medica ed abbia condotto al giudizio di non idoneità alla detenzione delle armi.
6. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
La condanna al pagamento delle spese e degli onorari segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza) respinge l’appello.
Condanna l’appellante al pagamento di euro 2.500 (duemilacinquecento) in favore del Ministero dell’Interno, per spese ed onorari del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo Spada, nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2016, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente, Estensore
Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere
Giulio Veltri – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Pierfrancesco Ungari – Consigliere

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