Condanna in solido e comunanza interessi spese processuali

Corte di Cassazione, civile, Sentenza|8 gennaio 2025| n. 369.

Condanna in solido e comunanza interessi spese processuali

Massima: In materia di spese processuali, la condanna di più parti soccombenti al pagamento in solido può essere pronunciata non solo quando vi sia indivisibilità o solidarietà del rapporto sostanziale, ma pure nel caso in cui sussista una mera comunanza di interessi, che può desumersi anche dalla semplice identità delle questioni sollevate e dibattute, ovvero dalla convergenza di atteggiamenti difensivi diretti a contrastare la pretesa avversaria, con la conseguenza che la condanna in solido è consentita anche quando i vari soccombenti abbiano proposto domanda di valore notevolmente diverso, purché accomunate dall’interesse al riconoscimento di un fatto costitutivo comune, rispetto al quale vi sia stata convergenza di questioni di fatto e di diritto. (Nella specie, la S.C. ha rigettato il ricorso avverso la condanna, in solido, al pagamento delle spese processuali dei creditori soccombenti in un giudizio di opposizione al piano di distribuzione dal quale erano stati esclusi per gli stessi motivi, che originariamente avevano incardinato due autonomi giudizi poi riuniti).

 

Sentenza|8 gennaio 2025| n. 369. Condanna in solido e comunanza interessi spese processuali

Integrale

Tag/parola chiave: Spese giudiziali civili – Condanna alle spese – Pluralita’ di soccombenti – Solidarieta’ condizioni – Comunanza di interessi – Nozione – Identità delle questioni sollevate e dibattute o convergenza di atteggiamenti difensivi – Diverso valore della domanda – Irrilevanza – Fattispecie.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere/Rel.

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7462/2023 R.G. proposto da:

To.Ma., Se.Gi., domiciliati per legge in ROMA, alla piazza CA. presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato GH.DA. ((Omissis)) unitamente all’avvocato MA.FA. ((Omissis)), domiciliazione telematica in atti

– ricorrenti –

contro

Mo.Do., Ce.En., Ce.To., domiciliati per legge in ROMA, alla piazza CA. presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato GA.ST. ((Omissis)), domiciliazione telematica in atti

– controricorrenti –

nonché contro

Pa.Gu., domiciliato per legge in ROMA, alla piazza CA. presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PA.CL. ((Omissis)) unitamente all’avvocato RA.PA. ((Omissis)), domiciliazione telematica in atti

– controricorrente –

nonché contro

Ca.Gi., Br.Te., Ma.Ma., Ma.An., CONDOMINIO DI T CORSO (Omissis), SOCIETA’ IM.NI.

– intimati –

avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di TORINO n. 153/2023 depositata il 16/01/2023.

Sentito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Anna Maria Soldi, che ha concluso, riportandosi alla memoria depositata, ribadendo la richiesta di rigetto del ricorso.

Sentita l’avv. Ma.Ro. per delega del difensore dei ricorrenti To.Ma. e Se.Gi., che ha concluso riportandosi agli scritti depositati.

Sentito l’avv. Pa.To. per delega del difensore dei controricorrenti Ce.To., Mo.Do. e Ce.En., che ha concluso riportandosi agli scritti difensivi depositati insistendo per l’accoglimento delle conclusioni svolte; e che, altresì comparso per delega del difensore del controricorrente Pa.Gu., ha concluso riportandosi al contenuto degli scritti difensivi, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni svolte.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/11/2024 dal Consigliere Cristiano Valle.

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FATTI DI CAUSA

Se.Gi. e To.Ma. ottennero la condanna al risarcimento dei danni da parte del Tribunale di Torino, con sentenza del 17/02/2010, nell’ambito del procedimento penale nei confronti di Ma.An. e, sulla base di detto titolo esecutivo, parteciparono, quali intervenienti titolati, alla fase di riparto nell’esecuzione immobiliare n. 1213 del 2015, iniziata dal Condominio di via (Omissis), in T, nei confronti di Ma.An. e della società Ni..

In un primo momento venne loro comunicato, dal professionista delegato alla procedura esecutiva, l’ammissione del loro credito nel piano di riparto per oltre venticinquemila euro. Successivamente, lo stesso professionista delegato predispose un diverso progetto di distribuzione, a seguito della sentenza della Corte d’Appello penale di Torino n. 1795 del 2018, di riforma di quella di primo grado e conferma delle statuizioni civili in favore dei soli Pa.Gu., Mo.Gi., Mo.Do. e Ce.Cl., interpretata quale causa del venire meno del credito degli altri intervenienti, che, conseguentemente, non risultava più ammesso al riparto.

To.Ma. e Se.Gi. proposero opposizione distributiva avverso il secondo progetto di distribuzione e altrettanto fecero, incardinando un’altra causa dinanzi allo stesso Tribunale di Torino, i creditori Ma.Ma., Ca.Gi. e Br.Te.

Le due cause vennero riunite in prima udienza e il giudice dell’esecuzione, all’esito dell’istruttoria documentale, ha, con la sentenza n. 153/2023 pubblicata il 16/01/2023, rigettato le domande proposte sia dai To.Ma.-Se.Gi. che quelle dei creditori Ma.Ma., Ca.Gi. e Br.Te.

Avverso la detta sentenza n. 153/2023 propongono ricorso per cassazione To.Ma. e Se.Gi., con atto affidato a quattro motivi di ricorso.

Rispondono con separati controricorsi da un lato Pa.Gu. e, dall’altro, Mo.Do. ed Ce.En. e Ce.Cl.

Sono rimasti intimati: Ma.Ma., Ca.Gi. e Br.Te., il Condominio di via (Omissis) in T, la società IM.NI. e Ma.An.

Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte di rigetto del ricorso.

I ricorrenti hanno depositato memoria per l’udienza di discussione del 25/11/2024, alla quale le parti hanno concluso come sopra riportato.

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RAGIONI DELLA DECISIONE

In via preliminare, il Collegio rileva che non constano rituali notifiche del ricorso nei confronti del Ma.An., sia in proprio che quale legale rappresentane della società semplice Ni., i quali, nella qualità di debitori esecutati, assumono veste, nel giudizio di opposizione distributiva, di litisconsorti necessari.

Il ricorso, nondimeno, può essere deciso sulla base della ragione più liquida, alla stregua della giurisprudenza oramai risalente di questa Corte (Cass. n. 6826 del 22/03/2010 Rv. 612077 – 01) e ribadita in anni più recenti (Cass. n. 11287 del 10/05/2018 Rv. 648501 – 01) secondo la quale il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso o qualora questo sia prima facie infondato, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio e non essendovi, in concreto, esigenze di tutela del contraddittorio, delle garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità.

I motivi di ricorso proposti da To.Ma. e Se.Gi. sono i seguenti:

I) violazione dell’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 474, 498 e 499 c.p.c., e 316 c.p.p.

Il motivo si incentra sull’essere stato disposto, dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Torino, un sequestro conservativo, che non era stato revocato con la sentenza dibattimentale di primo grado del Tribunale di Torino e che sarebbe stato mantenuto efficace per tutto il corso del procedimento penale fino alla sentenza d’appello, di riforma di quella di primo grado e che quindi costituiva valido titolo esecutivo in favore anche dei To.Ma. e Se.Gi.

Il motivo è inammissibile: la questione relativa al detto sequestro conservativo penale non risulta essere stata proposta nell’unica fase di merito civile ed è, quindi, preclusa in questa sede di legittimità.

In ogni caso, deve rilevarsi che il sequestro conservativo penale si era convertito in pignoramento, al momento dell’intervento nell’esecuzione immobiliare da parte della To.Ma. e del Se.Gi., ossia con il suo azionamento in via esecutiva civile, sicché le sue vicende quale titolo esecutivo erano determinate necessariamente dagli sviluppi del processo in cui esso era stato formato e seguivano, pertanto, le conseguenze di esso.

Per mera completezza espositiva si rileva che è radicalmente diversa la fattispecie esaminata da altra sentenza di questa (Corte Cass. n. n. 21481 del 25/10/2016 Rv. 642958 – 01), poiché ivi si verteva in tema di sequestro penale nell’ambito di procedimento conclusosi con sentenza penale di condanna generica al risarcimento dei danni e con la rimessione delle parti davanti al giudice civile ai sensi dell’art. 539, comma 1, c.p.p., dovendo il giudizio ivi proseguire per la determinazione del quantum dell’importo dovuto alla parte civile. Nella specie, al contrario, il titolo penalistico a fondamento e cautela del credito risarcitorio è stato travolto radicalmente, sicché è venuto meno l’an.

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II) violazione dell’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 336, comma secondo, c.p.c.

Con il motivo la difesa dei ricorrenti sostiene che l’art. 336 c.p.c. con l’effetto espansivo previsto comportava che gli effetti della sentenza d’appello penale a seguito della cassazione con rinvio retroagissero fino al momento della sentenza d’appello cassata, cosicché il titolo esecutivo costituito dalla sentenza penale di primo grado rimaneva fermo comportando il venir meno dell’esclusione degli odierni ricorrenti dal progetto di distribuzione, dichiarato esecutivo in data 16/01/2019.

Il motivo è infondato: l’effetto espansivo della sentenza penale che rileva nella specie è quello relativo alla sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 1795 dell’anno 2018, che, anche ai fini civili, ha comportato il venire meno del titolo esecutivo costituito dalla sentenza del Tribunale della stessa sede e il successivo annullamento (da parte di questa Corte di Cassazione) di detta sentenza d’appello aveva comportato la rinnovazione del giudizio di impugnazione, con l’emanazione di una nuova sentenza d’appello favorevole ai diritti di credito della To.Ma. e del Se.Gi. e sulla cui base essi avrebbero dovuto iniziare un nuovo procedimento d’esecuzione nei confronti degli stessi debitori Ma.An. e società Ni., come correttamente osservato dal Pubblico Ministero, risultando oramai intangibile il piano di riparto nel quale essi non erano stati soddisfatti.

In altri termini: l’annullamento della sentenza di appello che ha riformato quella di primo grado non può comportare la reviviscenza di quest’ultima, eliminata dal mondo del diritto dalla pronuncia di secondo grado, anche se questa sia a sua volta annullata, poiché l’effetto è destinato a essere prodotto dalla sentenza d’appello emessa a seguito del giudizio di rinvio.

III) violazione dell’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 512 e 617 c.p.c., 1189, comma secondo e 2041 c.c.

Con il motivo i ricorrenti censurano la sentenza d’appello per avere questa escluso l’applicabilità del rimedio dell’indebito, di cui all’art. 1189 c.c., e non avere fatto applicazione dell’istituto dell’indebito arricchimento.

Il motivo è infondato: il Tribunale ha correttamente escluso, con motivazione ampia, logica e coerente, l’applicabilità della disciplina dell’indebito, in quanto i creditori soddisfatti in sede esecutiva non possono essere considerati creditori apparenti, poiché il pagamento effettuato in loro favore in esecuzione del piano di riparto è legittimato dall’essere essi muniti di titolo e quindi legittimati a pretenderlo, sebbene nella sola misura riconosciuta dalla procedura.

La disciplina dell’arricchimento senza causa di cui all’art. 2041 c.c., inoltre, è stata invocata in causa per la prima volta in sede di legittimità e comunque non ne sussistono i presupposti applicativi, non trattandosi, nella specie, di un arricchimento o comunque di uno spostamento patrimoniale privo di giusta causa di attribuzione, in quanto le somme distribuite con il progetto di riparto erano comunque dovute ai creditori (anch’essi solo parzialmente) soddisfatti, in dipendenza della sussistenza e della misura della esecutività, al solo rilevante momento del riparto, dei rispettivi titoli di partecipazione alla distribuzione.

IV) violazione dell’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c in relazione agli artt. 90 e 91 c.p.c., 4, D.M. n. 55 del 2014 e 1292 c.c.

Il motivo contiene censure in ordine alla liquidazione delle spese di lite; in particolare, i ricorrenti affermano che la riunione di due procedimenti avrebbe comportato che fino al momento della riunione le spese dovevano essere liquidate separatamente e censurano il valore delle controversie, considerato dal giudice di merito ai fini della liquidazione delle spese di lite, come commisurato a tutti i crediti litigiosi, ossia anche per quelli degli altri creditori incapienti.

Il motivo è infondato per genericità, non risultando specificato il nocumento concreto che la To.Ma. e il Se.Gi. avrebbero subito (sotto il profilo della violazione dei limiti massimi comunque applicabili in caso di diversa modalità di liquidazione) e dovendosi concordare con la giurisprudenza, oramai stabile di questa Corte (Cass. n. 20916 del 17/10/2016 Rv. 642932 – 01) dopo un primo diverso orientamento, poi superato (Cass. n. 6976 del 2016 Rv. 639448 – 01), laddove afferma che in materia di spese processuali, la condanna di più parti soccombenti al pagamento in solido può essere pronunciata non solo quando vi sia indivisibilità o solidarietà del rapporto sostanziale, ma pure nel caso in cui sussista una mera comunanza di interessi, che può desumersi anche dalla semplice identità delle questioni sollevate e dibattute, ovvero dalla convergenza di atteggiamenti difensivi diretti a contrastare la pretesa avversaria, di talché la condanna in solido è consentita anche quando i vari soccombenti abbiano proposto domanda di valore notevolmente diverso, purché accomunate dall’interesse al riconoscimento di un fatto costitutivo comune, rispetto al quale vi sia stata convergenza di questioni di fatto e di diritto.

Nella specie, la comunanza di interessi delle diverse parti coinvolte e rimaste insoddisfatte dal progetto di distribuzione consentiva che nella valutazione del valore della lite si operasse il riferimento ai diversi crediti contestati, come dimostrato dalla circostanza dell’avere i To.Ma.-Se.Gi. assunto le stesse conclusioni, dinanzi al Tribunale delle altre Parti Ma.Ma., Ca.Gi. e Br.Te., come opportunamente evidenziato dalla difesa di Pa.Gu. alla pag. 18 del controricorso.

Il ricorso, in conclusione, è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza dei ricorrenti To.Ma. e Se.Gi. nei confronti delle parti controricorrenti e, tenuto conto dell’attività processuale espletata, in relazione al valore della controversia, sono liquidate come da dispositivo.

Nulla per le spese nei confronti delle parti rimaste intimate Ma.Ma., Ca.Gi. e Br.Te., Condominio di via D.Az. o che comunque non hanno potuto prendere parte a questa fase processuale, Ma.An. e società Ni..

Deve, infine, attestarsi la sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 30/05/2002.

Condanna in solido e comunanza interessi spese processuali

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di ciascuna parte controricorrente, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti e in favore del competente Ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2024.

Depositato in Cancelleria l’8 gennaio 2025.

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