La colpa cosciente è configurabile nel caso in cui la volontà dell’agente non è diretta verso l’evento

Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 25 febbraio 2019, n. 8133.

La massima estrapolata:

La colpa cosciente è configurabile nel caso in cui la volontà dell’agente non è diretta verso l’evento, ma egli abbia previsto in concreto che la sua condotta poteva cagionare l’evento ed abbia comunque agito con il convincimento di poterlo evitare, sicché, ai fini della valutazione della responsabilità, il giudice è tenuto ad indicare analiticamente gli elementi sintomatici da cui sia desumibile non la prevedibilità in astratto dell’evento, bensì la sua previsione in concreto da parte dell’imputato

Sentenza 25 febbraio 2019, n. 8133

Pres. Ciampi

est. Pezzella

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Assise di Appello di L’Aquila, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente, B.A. , con sentenza del 20/12/2017, in parziale riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Teramo, emessa in data 20/10/2016, appellata dall’imputato e dal Procuratore della Repubblica, ritenuta, in ordine al reato di cui al capo a) dell’imputazione, la circostanza aggravante prevista dall’art. 61 c.p., n. 3, ha rideterminato la pena per il predetto reato in anni quattro di reclusione, confermando nel resto.
Il G.U.P. del Tribunale di Teramo ha giudicato, con rito abbreviato, B.A. per i seguenti reati:
a) del delitto p. e p. dall’art. 584 c.p. (che sarà poi riqualificato ai sensi art. 589 c.p., commi 1 e 2) perché, tenendo una condotta diretta a cagionare a N.C.R. lesioni personali, ne cagionava la morte. In particolare, il prevenuto, alla guida dell’autovettura ‘Renault Modus’ targata (omissis), in un tratto di strada urbana regolarmente illuminato, in assenza di qualsiasi fenomeno atmosferico che riducesse la visibilità, in ore notturne, in presenza di numerose intersezioni stradali ed attraversamenti pedonali, al fine di cagionargli lesioni personali, attingeva, con il paraurti anteriore lato destro della propria autovettura, la parte posteriore del velocipede condotto dal N. che lo precedeva e si trovava sulla medesima direzione di marcia, parallelo all’asse stradale ed a circa mt 1,1 dalla linea di margine esterno della corsia di marcia e che procedeva ad una velocità di circa 20 Km/h. Inoltre, il prevenuto, nella fase immediatamente precedente all’impatto imprimeva alla propria autovettura una velocità che da 35 Km/h si elevava a 50 Km/h al momento dell’investimento della p.o. ed inoltre effettuava un cambio di direzione da destra a sinistra modificando l’angolo del proprio autoveicolo rispetto a quello condotto dal N. che da 6 si elevava a 10. A seguito dell’urto il N. subiva il caricamento del corpo sul cofano dell’autovettura che avanzava per circa mt. 4,5 con il corpo del N. , per poi proiettano ad una distanza di circa mt. 22 dalla zona d’investimento, così cagionando allo stesso lesioni personali tali ‘scompenso acuto di cuore per lesioni del midollo incompatibili con la vita’, che ne provocavano il decesso.
Fatto commesso in territorio di (omissis) .
b) del delitto p. e p. dall’art. 368 c.p., art. 61 c.p., n. 2, perché, utilizzando l’utenza telefonica cellulare n. 348/5472610 in uso alla madre, D.S.A. , telefonando all’utenza telefonica 113 e riferendo che la madre era stata coinvolta in un sinistro stradale e che si era data alla fuga, accusava falsamente D.S.A. del delitto cui all’art. 589 c.p., e art. 189 C.d.S., sapendola innocente; con l’aggravante di aver commesso il fatto per assicurarsi l’impunità del delitto indicato al capo a) che precede. Ibidem il 10/9/2013.
All’esito del giudizio di primo grado l’imputato era stato dichiarato colpevole del reato previsto dall’art. 589, commi 1 e 2, così diversamente qualificato il fatto di cui al capo a) dell’imputazione, rubricato a norma dell’art. 584 c.p., e del reato di cui al capo b) dell’imputazione, e previa concessione delle attenuanti generiche limitatamente al reato di cui al capo b) della rubrica, da ritenersi equivalenti alla circostanza aggravante contestata, applicata la diminuente per il rito, veniva condannato alla pena di anni due di reclusione per il reato sub a) e di anni uno e mesi quattro per il reato sub b), per complessivi anni tre e mesi quattro di reclusione, con interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque e con la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida di anni due; con rigetto delle domande risarcitorie delle parti civili e con la trasmissione di copia degli atti al P.M. in ordine al reato configurabile di cui all’art. 189 C.d.S..
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, B.A. , deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
a. Nullità della sentenza nella parte relativa alla sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 3, ed alla seguente applicazione dell’aumento di pena per inosservanza della legge penale – art. 521 c.p.p., e art. 522 c.p.p., n. 2, e per vizio di motivazione.
Ci si duole che il giudice di appello avrebbe ritenuto l’aggravante citata, mai contestata, applicando l’aumento di pena di un anno e mezzo.
Viene riportata la motivazione sul punto, evidenziando che gli elementi indicati dalla Corte di assiste di appello di L’Aquila come indicatori della sussistenza dell’aggravante non sono mai stati riportati nel capo di imputazione, ma anzi sono esattamente contrari a quelli indicati nello stesso capo di imputazione.
Viene, quindi, riportato il capo a) dell’imputazione rilevando l’assenza delle circostanze evidenziate nella sentenza di appello e l’ininfluenza, rispetto alla valutata aggravante, dell’unica circostanza effettivamente riportata nel capo di imputazione relativa alla velocità dell’auto, come affermato dai giudici di merito.
Pertanto, conclude il ricorrente, la circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 3, non è mai stata contestata all’odierno ricorrente, così come non sono mai stati contestati gli elementi di fatto indicati dalla corte di assise di appello.
Vi sarebbe stata una violazione del principio di immutazione del fatto, stante l’impossibilità per l’imputato di difendersi da elementi diversi da quelli indicati nel capo di imputazione, con conseguente nullità della parte della sentenza che ha ritenuto sussistente l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 3, ed ha inflitto il relativo aumento di pena, in aperta violazione dell’art. 521 c.p.p., e art. 522 c.p.p., n. 2.
Del resto, anche il P.M., pur avendo appellato la sentenza di primo grado, in relazione alla riqualificazione giuridica del fatto operata dal G.U.P. presso il Tribunale di Teramo, nulla aveva rilevato sulla sussistenza dell’aggravante. Pertanto il giudice di appello avrebbe violato anche il principio ‘ne eat judex ultra petita partium’.
In relazione al vizio di motivazione si deduce che, ai fini della configurabilità della aggravante della colpa con previsione, non è sufficiente la mera prevedibilità dell’evento successivamente verificatosi, ma occorre la prova della sua effettiva previsione accompagnata dal convincimento che esso non si sarebbe verificato, (il richiamo è a questa Sez. 4, n. 24612 del 10/4/2014).
Dalle argomentazioni del provvedimento impugnato, invece, non emergerebbe nemmeno una mera prevedibilità dell’evento successivamente verificatosi. Anzi, ritiene il B. , dall’esame del comportamento dell’imputato e degli elementi del caso concreto, sembrerebbe che lo stesso intendeva attuare una manovra volta esclusivamente ad allontanarsi dal N. , effettuando un sorpasso del velocipede in una situazione, di tempo e di luogo, oggettivamente tranquilla.
Nessuna prova vi sarebbe, quindi che il verificarsi dell’evento, solo ed eventualmente ipotizzato in astratto, sia stato percepito come suscettibile di effettiva concretizzazione né che il B. abbia posto in essere una condotta di guida antigiuridica nella consapevolezza della connessione causale tra la violazione di norme cautelari ed il successivo fatto illecito.
L’impugnato provvedimento non avrebbe valutato gli elementi indicatori della sussistenza o meno dell’aggravante in parola, come specificamente individuati ed indicati dalle SS.UU. con la sentenza 38343/2014 e che invece il primo giudice aveva valutato anche per escludere la volontarietà dell’atto e, quindi, per ritenere non configurabile il reato di omicidio preterintenzionale originariamente contestato.
Vengono quindi riportate le circostanze del fatto e gli elementi per cui sarebbe ragionevole ritenere che l’agente non abbia avuto né il modo, né il tempo di valutare scientemente l’azione che stava per porre in essere e di prevederne un esito negativo, evidenziando, tra l’altro, l’assenza di violazione di norme di circolazione stradale.
b. Violazione della legge penale, art. 597 c.p.p., e contraddittorietà della motivazione.
Ci si duole per una illegittima reformatio in pejus, da nessuno richiesta, della pena che in primo grado era stata individuata in anni tre e diminuita per il rito in anni due, mentre in appello individuata in anni quattro e mesi sei, è stata aumentata in anni sei e ridotta, per la scelta del rito, in anni quattro, con una motivazione stringata ed assolutamente smentita dalle risultanze processuali.
Si evidenzia che il P.M., proposta impugnazione relativamente e limitatamente alla riqualificazione giuridica del fatto contestato al capo a), aveva individuata la pena base per il delitto di omicidio preterintenzionale nel minimo edittale da ridurre per la scelta del rito.
c. Mancata concessione delle attenuanti generiche, eccessività della pena, mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Si lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche con una motivazione di mero stile, del tutto inconferente perché riferita al delitto di calunnia, nonostante la difesa avesse formulato, nell’atto di appello, specifiche censure analiticamente argomentate, rimaste prive di risposta.
Si evidenziano le circostanze emergenti dalle risultanze processuali, contrarie a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, ossia che il B. è persona incensurata, che subito dopo l’impatto tra i due mezzi il B. tornava immediatamente sul posto notiziando la P.G. e si recava presso la locale stazione dei CC., che la condotta di guida del velocipede che zigzagava sulla carreggiata è stata rilevata dallo stesso G.U.P. di Teramo, così come la breve durata dell’intendimento calunnioso, definita dallo stesso GUP ‘limitata durata della falsa rappresentazione’.
Il ricorrente ritiene incomprensibile, per la carente motivazione su quanto censurato nell’atto di appello, per quale motivo le circostanze e gli elementi che hanno indotto il primo giudice a concedere le attenuanti di cui all’art. 62bis c.p., per il reato di calunnia, non lo abbiano indotto a concedere le dette attenuanti anche per il reato di omicidio colposo verificatosi. Inoltre, il ricorrente lamenta l’eccessività della pena inflitta in quanto l’individuazione della pena base è obbiettivamente eccessiva, tenuto conto delle modalità dell’incidente e del comportamento dei soggetti interessati, evidenziando la mancanza di un minimo apparato argomentativo logico ed esente da censure.
Chiede, pertanto, dichiararsi nulla l’impugnata sentenza nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 3, ed applicato l’errato aumento di pena, mandando ad altra corte per la rideterminazione della stessa che vorrà applicare, contenendola nel minimo di legge e previa concessione delle attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p., anche con riferimento al reato di cui al capo a) di omicidio colposo, con i provvedimenti di legge opportuni.

Considerato in diritto

1. Fondato, per i motivi che si andranno ad evidenziare, è il solo dedotto vizio motivazionale relativo alla ritenuta circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 3, il che comporta l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame sul punto alla Corte di Assise di Appello di Perugia, avendo quella di L’Aquila che ha giudicato unica sezione.
Tutti i restanti motivi, sono, invece, infondati, e pertanto il ricorso va rigettato nel resto, con conseguente declaratoria di irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità ai sensi dell’art. 624 c.p.p..
2. Il primo motivo è infondato nella parte in cui si lamenta che sia stata ritenuta una circostanza aggravante mai contestata e che quindi vi sarebbe violazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., non essendovi correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza.
Ed invero, il fatto storico contestato, su cui l’imputato ha avuto tutte le possibilità di difendersi, è il medesimo per il quale è intervenuta condanna.
È contestato l’omicidio preterintenzionale ex art. 584 c.p., figura di delitto caratterizzata dal dolo.
Ebbene nell’aver voluto un fatto, alla base dell’ipotesi dolosa contestata, vi è la previsione in concreto dell’evento, che poi caratterizza la colpa con previsione. Come dire che nel più c’è il meno.
Tuttavia, è fondato il secondo motivo circa la motivazione in concreto in ordine alla previsione dell’evento.
In punto di fatto (cfr. pag. 19 della sentenza impugnata) la Corte territoriale è pervenuta al convincimento secondo cui il B. , con la madre a bordo e in orario notturno, si imbatté nel N. , e che la sua condotta successiva, certamente né premeditata né preordinata, appaia maggiormente compatibile con la sua volontà di evitarne l’incontro, tanto più in presenza della madre, piuttosto che con la sua volontà di colpire il velocipede del N. , sia pure non frontalmente, con possibili conseguenze anche per gli occupanti dell’autovettura e, pertanto, anche per la madre. Inoltre, rilevano i giudici del gravame del merito, se è vero che il B. , nel tratto di strada percorso antecedente all’impatto avrebbe potuto deviare il proprio percorso, è anche vero che lo stesso ha dichiarato di avere perso di vista il N. in due occasioni, di avere pertanto sperato che lo stesso avesse deviato il proprio percorso e di esserselo ritrovato ancora una volta davanti all’altezza della Pizzeria ‘Pizzicotto’, dichiarazione che, sebbene suffragata esclusivamente da quella resa dalla di lui madre, non può ritenersi con certezza non rispondente al vero.
In proposito la Corte aquilana dà atto di condividere le argomentazioni del primo giudice in ordine alle condotte di fuga e calunnia poste in essere dall’odierno ricorrente successivamente all’impatto, in quanto compatibili anche con un incidente ricollegabile a colpa, tenuto conto sia del fatto che il B. si era sicuramente reso conto dell’entità delle conseguenze di detto impatto avendo il corpo del N. sfondato il parabrezza dell’autovettura da lui guidata ed essendo quindi stato catapultato a terra (non essendo sul punto credibili le dichiarazioni del B. in senso contrario), sia dei rapporti pregressi tra le parti, che avrebbero potuto connotare, come in effetti accaduto, l’investimento in senso omicidiario.
I giudici di appello confermano argomentatamente, dunque, la qualificazione del fatto come omicidio colposo ritenuta dal primo giudice, non emergendo – pur a fronte di una congiunta valutazione degli elementi suindicati in quanto non certi o di duplice lettura – un quadro probatorio idoneo alla qualificazione del fatto nei termini dolosi rubricati, anche sotto il profilo del dolo eventuale (non potendosi neppure ritenere, come sostenuto dall’appellante, che il B. ‘non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto certezza della sicura verificazione dell’evento’).
Tuttavia, la Corte aquilana ritiene che ben possa ritenersi sussistente, sulla scorta degli elementi di fatto contestati, la circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 3, costituita dall’avere il B. agito nonostante la previsione dell’evento.
3. Orbene, ad avviso del Collegio la motivazione sul punto appare carente.
Corretto appare la premessa operata dal giudice del gravame del merito secondo cui l’evento costituisce la concretizzazione del rischio che la cautela è chiamata a governare e che dal punto di vista soggettivo per la configurabilità del mero ‘rimprovero’ è sufficiente che la connessione tra la violazione delle prescrizioni oggetto delle norme cautelari e l’evento sia percepibile dall’agente, mentre nella c.d. ‘colpa cosciente’ l’agente ha concretamente presente la connessione causale rischiosa, si pone consapevolmente all’interno di una situazione rischiosa, ma per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o qualsivoglia altra biasimevole ragione, non si astiene dalla condotta intrapresa e non si conforma a quelle doverose volte alla tutela di quel rischio.
Conferente appare il richiamo al dictum delle Sez. Un. n. 38343/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261105, che, in sostanza, hanno ritenuto che nella c.d. ‘colpa cosciente’ la verificazione dell’illecito ‘da prospettiva meramente teorica si fa evenienza concretamente presente nella mente dell’agente’, pur difettando la lucida prospettiva della possibile verificazione dell’evento concreto conseguente alla propria condotta e la consapevole determinazione ad agire comunque, accettando l’eventualità della causazione dell’offesa, tipiche del dolo eventuale.
La motivazione in punto di colpa cosciente da parte della Corte territoriale è, tuttavia, la seguente (cfr. pag. 20 della sentenza impugnata): ‘Orbene, la condotta tenuta dal B. , sebbene repentina e impulsiva a fronte dell’incontro con il N. , sicuramente integra gli estremi della c.d. colpa cosciente nei termini suindicati, dovendosi ritenere, sulla base dei dati di fatto emergenti dagli atti, che lo stesso si sia concretamente rappresentato che la propria condotta, gravemente imprudente, potesse cagionare un evento lesivo al conducente del veicolo antagonista ma che non si sia colposamente astenuto dal porre in essere la sua manovra di sorpasso. Detto atteggiamento interiore di desume dalla macro – scopicità della condotta colposa tenuta dal B. , avendo lo stesso, pur dopo aver notato, a suo stesso dire, il velocipede condotto dal N. procedere dinanzi a sé in maniera zigzagante, posto in essere una pericolosissima manovra di sorpasso a velocità sicuramente eccessiva rispetto alla condizione di tempo e luogo, senza adeguatamente calcolare la distanza di sicurezza dal mezzo antagonista e senza adeguatamente calcolare la dimensione della semicarreggiata a sua disposizione, di tal che deve ritenersi certo che lo stesso abbia percepito come concrete le possibili conseguenze della propria improvvida condotta, omettendo tuttavia ogni conseguente cautela’.
4. Va ricordato, in punto di diritto che, in tema di elemento soggettivo del reato, ricorre il dolo eventuale quando si accerti che l’agente, pur essendosi rappresentato la concreta possibilità di verificazione di un fatto costituente reato come conseguenza del proprio comportamento, persiste nella sua condotta, accettando il rischio che l’evento si verifichi; si versa invece nella colpa con previsione quando l’agente prevede in concreto che la sua condotta possa cagionare l’evento ma ha il convincimento di poterlo evitare (così questa Sez. 4, n. 24612 del 10/4/2014, Izzo, Rv. 259239 che, in relazione all’evento mortale causato da un incidente stradale, ha censurato la decisione del giudice di merito nella parte in cui riconosceva la ricorrenza della circostanza aggravante della colpa cosciente o con previsione, di cui all’art. 61 c.p., n. 3, per omessa indicazione degli elementi sintomatici da cui andava desunta non la prevedibilità in astratto bensì la previsione in concreto da parte dell’imputato del decesso della vittima, non evincibile dalla gravità della violazione in sé considerata).
Come rilevato da questa Sez. 4, n. 35585 del 12/5/2017, Schettino, Rv. 270776 la natura normativa della colpa, ormai generalmente riconosciuta, trova una significativa deroga nel caso della colpa con previsione o ‘colpa cosciente’ nella quale la componente psicologica è non solo ineliminabile ma addirittura preponderante anche se la componente normativa è parimenti essenziale (è pur sempre necessario, nella colpa con previsione, che l’agente violi una regola cautelare).
Tradizionalmente si afferma che, nella colpa cosciente ex art. 61 c.p., n. 3, l’agente prevede che la sua condotta possa cagionare l’evento ma ha il convincimento di poterlo evitare. Questa forma di colpa è contigua ad un’ipotesi di dolo, il dolo eventuale; ciò che distingue la colpa cosciente dal dolo eventuale è che, in questo secondo caso (dolo eventuale) l’agente non ha la convinzione di poter evitare l’evento ma accetta il rischio che l’evento si verifichi. Tanto che – si è affermato in dottrina – nel caso della colpa con previsione, se l’agente avesse saputo che l’evento si sarebbe verificato si sarebbe astenuto mentre, nel caso del dolo eventuale, avrebbe agito ugualmente.
La distinzione tra le due ipotesi assume un rilievo ben maggiore quando il fatto non sia previsto come reato nella forma colposa. In questi casi un fatto reato previsto soltanto come doloso difetta di tipicità se è possibile provare esclusivamente la colpa, sia pure con la previsione dell’evento, e non il dolo eventuale (e tanto meno il dolo diretto o quello intenzionale). Nel caso, poi, di colpa per omissione sarà anche necessario individuare l’esistenza di una posizione di garanzia per poter addebitare l’evento, anche da un punto di vista oggettivo, all’agente.
Pertanto, ciò che contraddistingue la colpa con previsione è la circostanza che l’agente prevede l’evento dannoso ma (a differenza di quanto avviene per il dolo eventuale) è convinto di poterlo evitare. Non è dunque sufficiente che l’evento sia prevedibile – perché la prevedibilità dell’evento costituisce elemento ineludibile ed essenziale per poter ritenere esistente l’elemento soggettivo per ogni forma di reato colposo – ma è necessario che l’agente l’abbia previsto in concreto sia pure con il convincimento di cui si è detto.
Ebbene, come spesso avviene per gli elementi della condotta che hanno una connotazione di natura psicologica, il problema più complesso in queste fattispecie è quello dell’accertamento in concreto degli elementi, per lo più di natura sintomatica e quindi indiziaria, dai quali sia possibile dedurre che l’agente avesse previsto, sia pure genericamente, un evento dannoso del tipo di quello effettivamente provocato.
5. Alla luce dei principi esposti non è possibile affermare che la decisione impugnata, che sotto il profilo in esame fa leva, in concreto, esclusivamente sulla ‘macroscopicità della condotta colposa’, li abbia correttamente applicati al caso oggetto del presente giudizio.
La sentenza, infatti, fonda la sua valutazione su elementi certamente idonei a dimostrare l’esistenza della prevedibilità dell’evento e a confermare l’elevatissimo grado di colpa da parte dell’imputato che ha agito in violazione di numerose regole di comportamento. Ma la colpa con previsione è un’altra cosa: non è, ovviamente, la prevedibilità dell’evento e prescinde dalla gravità della colpa. Ciò che è richiesto è che l’agente si sia concretamente rappresentato la possibilità del verificarsi di un evento dannoso sia pure con la convinzione di evitare che si verifichi. Non basta dunque che l’evento sia prevedibile ma occorre che l’agente lo abbia concretamente previsto.
Manca nella sentenza impugnata l’indicazione degli elementi sintomatici che consentano di ritenere previsto – e non solo prevedibile – l’evento.
Non è sufficiente affermare la gravità, peraltro indiscussa, delle violazioni compiute né che tale condotta gravemente inosservante rendesse prevedibile il verificarsi di un evento dannoso; la colpa, per la sua natura normativa, si fonda sulla violazione di regole cautelari che si formano su base normativa o tenendo conto dell’esperienza che consente di attribuire carattere di prevedibilità a certe violazioni. Non solo; la prevedibilità degli eventi dannosi sta alla base della formazione della regola cautelare ma è richiesta anche la prevedibilità dell’evento in concreto verificatosi. Se si prende a parametro della colpa con previsione la prevedibilità dell’evento si è fuori strada perché la prevedibilità è il fondamento della colpa; non è sufficiente che l’agente abbia violato una regola cautelare, che da questa violazione sia derivato l’evento dannoso e che questo evento fosse prevedibile; è necessario che questo evento fosse previsto dall’agente.
Deve quindi esistere, perché l’evento possa essere ritenuto ‘previsto’, un quid pluris rispetto alla sua mera prevedibilità e ciò non può essere costituito dalla gravità delle violazioni compiute (si può avere previsione dell’evento anche in presenza di lievi trasgressioni delle regole di prudenza o diligenza) bensì da elementi – ovviamente, nella generalità dei casi, di natura sintomatica – che consentano di affermare che l’evento è stato effettivamente previsto dall’agente.
Ed invero, non si tratta di ipotesi di scuola. Per rimanere al tema del sorpasso in situazione di pericolo oggetto di questo processo potrebbe affermarsi l’esistenza della colpa ‘cosciente’ nel caso in cui un automobilista esegua un sorpasso, confidando nella rapidità della sua manovra, pur essendosi accorto che la corsia che deve impegnare per il sorpasso è già occupata da un’autovettura che proviene dal senso inverso; o, nel caso in cui il sorpasso avvenga in curva, se l’altra corsia appaia impegnata da una serie di veicoli che la stanno percorrendo; o, ancora, quando l’agente, conscio della brevità del tratto libero nel quale può eseguire il sorpasso, lo compia ugualmente trovandosi nella necessità di rientrare anzitempo e vada ad urtare contro il veicolo che stava sorpassando).
Anche al di fuori della circolazione stradale possono agevolmente individuarsi casi di colpa con previsione: il medico che esegua un intervento chirurgico non urgente che sa non rientrare nelle sue competenze professionali e lo esegua in modo imperito con la consapevolezza dei danni che può provocare un intervento errato; il datore di lavoro che, avvertito di una situazione di grave e attuale pericolo per l’incolumità dei lavoratori (per es. che una superficie di passaggio non è in grado di sopportare il peso delle persone), insista per la prosecuzione delle attività lavorative senza l’adozione di alcuna cautela.
Va dunque ribadito che la colpa cosciente è configurabile nel caso in cui la volontà dell’agente non è diretta verso l’evento, ma egli abbia previsto in concreto che la sua condotta poteva cagionare l’evento ed abbia comunque agito con il convincimento di poterlo evitare, sicché, ai fini della valutazione della responsabilità, il giudice è tenuto ad indicare analiticamente gli elementi sintomatici da cui sia desumibile non la prevedibilità in astratto dell’evento, bensì la sua previsione in concreto da parte dell’imputato (cfr. Sez. 4, n. 32221 del 20/6/2018, Carmignani, Rv. 273460 in tema di omicidio colposo con violazione delle norme sulla sicurezza stradale consistente nell’investimento, da parte di un automobilista, di un pedone che svolgeva attività di ‘jogging’ sulla carreggiata, in cui questa Corte ha annullato la sentenza di merito che aveva ritenuto l’aggravante della colpa cosciente, in quanto la presenza di pedoni sulla carreggiata poteva ritenersi prevedibile anche per la prossimità di abitazioni; vedasi anche la già ricordata Sez. 4, n. 35585 del 12/05/2017, Schettino, Rv. 270776 che, in relazione al reato di naufragio, ha riconosciuto la sussistenza della colpa cosciente nella condotta del comandante della nave che, pur consapevole della presenza di bassi fondali e di scogli in prossimità dell’isola del XXXXXX, ordinava di modificare la rotta programmata per transitare a distanza ravvicinata dalla costa e fino all’ultimo non defletteva da tale decisione, confidando nelle proprie capacità marinaresche e ritenendo di essere in grado di evitare il concretizzarsi del rischio di impatto).
Con tale previsione, in concreto, dovrà pertanto confrontarsi lo sforzo motivazionale del giudice del rinvio.
6. Infondato è il motivo relativo alle circostanze attenuanti generiche, che, al di là del riferimento al reato di calunnia, vengono negate in ragione dei plurimi precedenti giudiziari per reati anche gravi (associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di numerosi episodi di truffa, corruzione, lesioni personali aggravate), del grado della colpa e della condotta susseguente al reato, consistita nella fuga e nella calunnia perpetrata ai danni della propria madre. E anche perché la Corte distrettuale ha ritenuto non valutabile in senso favorevole alla richiesta difensiva il fatto che il N. zigzagasse e il conseguente dedotto suo concorso di colpa, atteso che la chiara percezione di detta condotta da parte del B. , a suo stesso dire, avrebbe dovuto ancor più indurlo alla prudenza e non essendo peraltro emerso dagli esperiti accertamenti tecnici che precipuamente all’atto dell’impatto fosse stata posta in essere dal N. una manovra di zig zag ‘tale da essere considerata fondamentale per la ricostruzione del sinistro’.
Il provvedimento impugnato appare collocarsi nell’alveo del costante dictum di questa Corte di legittimità, che ha più volte chiarito che, ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (così Sez. 3, n. 23055 del 23/4/2013, Banic e altro, Rv. 256172, fattispecie in cui la Corte ha ritenuto giustificato il diniego delle attenuanti generiche motivato con esclusivo riferimento agli specifici e reiterati precedenti dell’imputato, nonché al suo negativo comportamento processuale).
Va ricordato che questa Corte di legittimità ha anche chiarito che, con un indirizzo assolutamente prevalente, che è legittima in tali casi la doppia valutazione dello stesso elemento (ad esempio la gravità della condotta) purché operata a fini diversi, come possono essere il riconoscimento del fatto di lieve entità, la determinazione della pena base, o la concessione ed il diniego delle circostanze attenuanti generiche (cfr. ex multis Sez. 2, n. 24995 del 14/5/2015, Rv. 264378; Sez. 2, n. 933 dell’11/10/2013 dep. il 2014, Rv. 258011; Sez. 4, n. 35930 del 27/6/2002, Rv. 222351.
Infondato, infine, per quanto evidentemente in parte assorbito dall’accoglimento del motivo riguardante la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 3, è l’ulteriore motivo con cui si deduce violazione del principio della reformatio in peius.
Vi era stata, infatti, impugnazione della parte pubblica, che chiedeva di rivalutare il merito del processo nella prospettiva del contestato omicidio preterintenzionale, per cui l’avere ritenuto la colpa con previsione, come detto in precedenza, in parte accedeva al devolutum della parte pubblica, non essendoci quindi problemi di reformatio in peius ed avendo legittimamente la Corte territoriale rideterminato la pena tenendo conto dell’elevato grado della colpa, dei precedenti giudiziari a carico dell’imputato e della condotta susseguente al reato.
In tal senso, va chiarito che anche il giudice del rinvio sarebbe vincolato in termini di dosimetria della pena dal primo giudizio solo qualora ritenesse di escludere la sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 3.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 3, e rinvia sul punto alla Corte di Assise d’Appello di Perugia. Rigetta il ricorso nel resto.
Visto l’art. 624 c.p.p., dichiara irrevocabile l’affermazione di penale responsabilità

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