Suprema Corte di Cassazione S.U.P. sentenza 20 novembre 2014, n. 47999 Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza depositata il 18 dicembre 2013 il Tribunale di Messina, adito in sede di riesame da G.F. contro il provvedimento con cui il locale Tribunale, in composizione collegiale, aveva disposto, il 19 novembre 2013, il sequestro preventivo del 50%...
Categoria: Cassazione penale 2014
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 20 novembre 2014, n. 48036. I soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una società per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, quando l'attività della società medesima sia disciplinata da una normativa pubblicistica e persegua finalità pubbliche, pur se con gli strumenti privatistici. Le società in house hanno della società solo la forma esteriore ma costituiscono in realtà delle articolazioni della pubblica amministrazione da cui promanano e non dei soggetti giuridici ad essa esterni e da essa autonomi. Ne consegue che gli organi di tali società, assoggettati a vincoli gerarchici facenti capo alla pubblica amministrazione, neppure possono essere considerati, a differenza di quanto accade per gli amministratori delle altre società a partecipazione pubblica, come investiti di un mero munus privato, inerente ad un rapporto di natura negoziale instaurato con la medesima società. Gli organi delle società in house sono preposti ad una struttura corrispondente ad un'articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione, sicché è da ritenersi che essi siano personalmente a questa legati da un vero e proprio rapporto di servizio, non altrimenti di quel che accade per i dirigenti preposti ai servizi erogati direttamente dall'ente pubblico. Per l'integrazione del reato di abuso di ufficio non si esauriscono nella violazione della regola esaminata. Invero, ai fini del perfezionamento del reato di abuso d'ufficio non assume alcun rilievo, stante la sua natura di reato di evento, l'adozione di atti amministrativi illegittimi da parte del pubblico ufficiale agente, ma unicamente il concreto verificarsi (reale o potenziale) di un ingiusto vantaggio patrimoniale che il soggetto attivo procura con i suoi atti a sé stesso o ad altri, ovvero di un ingiusto danno che quei medesimi atti procurano a terzi. È, quindi, necessario che sussista la cosiddetta doppia ingiustizia, nel senso che ingiusta deve essere la condotta, in quanto connotata da violazione di legge, ed ingiusto deve essere l'evento di vantaggio patrimoniale, in quanto non spettante in base al diritto oggettivo regolante la materia. Ne consegue che occorre una duplice distinta valutazione in proposito, non potendosi far discendere l'ingiustizia del vantaggio conseguito dalla illegittimità del mezzo utilizzato e quindi dalla accertata esistenza dell'illegittimità della condotta; in particolare, la violazione di legge cui fa riferimento l'art. 323 cod. pen. riguarda non solo la condotta del pubblico ufficiale in contrasto con le norme che regolano l'esercizio del potere, ma anche le condotte che siano dirette alla realizzazione di un interesse collidente con quello per quale il potere è conferito, ponendo in essere un vero e proprio sviamento della funzione rispetto alla quale si configura l'elemento soggettivo del dolo intenzionale, ossia la rappresentazione e la volizione dell'evento come conseguenza diretta e immediata della condotta dell'agente e obiettivo primario da costui perseguito
Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 20 novembre 2014, n. 48036 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 27.11.2012 il Tribunale di Pescara ha assolto D.G.B. e C.B. dal reato di cui all’art. 323 c.p. loro rispettivamente ascritto perché il fatto non sussiste. L’accusa mossa agli imputati, nella rispettiva qualità di direttore generale...
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 21 novembre 2014, n. 48430. L'allegazione da parte dell'imputato dell'erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità non può basarsi su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d'animo dell'agente, ma deve essere sostenuta da dati di fatto concreti, che siano tali da giustificare l'erroneo convincimento di trovarsi in tale situazione. Orbene, nel caso in oggetto, non vi sono spazi per sostenere che l'imputato abbia ragionevolmente ritenuto di versare in una situazione siffatta, laddove – come bene evidenziato dal giudice di primo grado – prima di allontanarsi dal domicilio per recarsi al Pronto Soccorso dell'ospedale, l'imputato contattava i Carabinieri al numero 112 e la centralinista lo avvisava che, allontanandosi dall'alloggio, egli avrebbe commesso il reato di evasione; ciò nonostante il ricorrente poneva in essere la condotta integrante il reato ex art. 385 cod. pen.
Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 21 novembre 2014, n. 48430 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 3 dicembre 2012, la Corte d’appello di Ancona ha riformato solo in punto di pena la sentenza del 22 agosto 2012, con la quale il Tribunale di Pesaro ha condannato B.D. in relazione al reato di...
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 6 novembre 2014, n. 46062. I warranty bond, di cui si è acquisita la disponibilità a titolo di garanzia della corretta esecuzione di contratto, in ordine alla quale via sia contestazione tra le parti, non sono titoli di credito ma semplici documenti contenenti una obbligazione di garanzia, più precisamente lettere spedite dalla banca emittente alla società garantita, che nel momento in cui pervengono al destinatario diventano proprietà di quest'ultimo; ne consegue che i documenti in questione non possono essere oggetto di appropriazione indebita per difetto dell’altruità dei supporti cartacei rappresentativi della garanzia
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE VI PENALE SENTENZA 6 novembre 2014, n. 46062 Svolgimento del processo Con l’ordinanza in epigrafe indicata il Tribunale di Bologna, giudicando in sede di rinvio, ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso in data 9 marzo 2013 dal G.ip. dello stesso Tribunale e ha disposto la restituzione alla...
Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 7 novembre 2014, n. 46150. Può ritenersi integrato il reato di cui all’art.416 c.p. nell’ipotesi in cui sussista un vasto programma criminoso finalizzato alla commissione di una serie indeterminata di delitti purché permanga un vincolo associativo tra i partecipanti, indipendentemente dall’effettiva commissione dei singoli reati programmati
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE V SENTENZA 7 novembre 2014, n.46150 Ritenuto in fatto Nell’ambito di un’indagine avente ad oggetto azioni di guerriglia urbana (blocchi stradali, portuali e ferroviari, occupazione di uffici pubblici, di luoghi sacri e museali, invasione e/o devastazione di sedi di partiti politici, rovesciamento e incendio di cassonetti dei rifiuti, deposito di...
Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 4 novembre 2014, n. 45504. Il reato di presentazione di falsa dichiarazione di emersione di rapporto di lavoro subordinato con cittadino extracomunitario irregolare, di cui all’art. 1, comma nono, legge n. 222 del 2002, non è in rapporto di specialità, ma concorre, con il reato di falso ideologico (indotto, ex art. 48 cod. pen.) in atto pubblico concernente i permessi di soggiorno rilasciati in difetto dei presupposti di legge. Quest’ultimo ha difatti un oggetto (il permesso di soggiorno) del tutto diverso, emesso all’esito di un articolato iter amministrativo di cui la falsa dichiarazione di emersione costituisce soltanto il primo momento procedimentale
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE sezione V SENTENZA 4 novembre 2014, n. 45504 Svolgimento del processo 1. Con sentenza del 13 aprile 2007 del Tribunale di Prato, condannava B.S. alla pena di anni sei di reclusione, D.G. G.M. alla pena di anni tre e mesi uno di reclusione, D.P.V. alla pena di anni due e mesi...
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 20 novembre 2014, n. 48011. In tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un contributo partecipativo positivo – morale o materiale – all'altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente. La Corte di merito nel caso di specie ha ravvisato il concorso nel reato valorizzando il dato – peraltro sottaciuto nei motivi di appello – della conoscenza delle intenzioni del compagno di viaggio (rifornirsi di droga) e del prestito del danaro, circostanza, questa, che secondo l'apprezzamento del giudice di merito "agevolò ed anzi fu determinante per l'acquisto delle pasticche stesse", sicché non si poteva parlare di mera connivenza ma di condotta materiale "addirittura determinante per la commissione del reato dal momento che senza la somma, sia pure data a titolo di prestito, il cui uso il mutuante ben sapeva, il reato stesso non si sarebbe potuto commettere".
Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 20 novembre 2014, n. 48011 Ritenuto in fatto La Corte d’Appello de L’Aquila con sentenza 11.5.2012 ha confermato il giudizio colpevolezza di F.K. in ordine al delitto di concorso in acquisto, con D.T.S., separatamente giudicato e per fini diversi dall’uso personale, di 95 pasticche di ecstasy vendute poi...
Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 6 novembre 2014, n. 46030. L'integrale soddisfazione del credito garantito dal «sequestro conservativo», estinguendo la pretesa, comporta la revoca del vincolo. Tuttavia, esaurito il giudizio penale, nel caso in cui la misura cautelare sia stata disposta a garanzia dell'azione civile, la competenza a revocare il vincolo non compete al giudice penale ma spetta a quello civile. Se però l'azione civile è estinta, e la misura è ancora efficacie, allora vi provvedere il giudice penale con «le forme dell'incidente di esecuzione»
Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 6 novembre 2014, n. 46030 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GIORDANO Umberto – Presidente Dott. DI TOMASSI M. – rel. Consigliere Dott. CAPRIOGLIO Piera M.S. – Consigliere Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere...
Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 19 novembre 2014, n. 47897. In tema di evasione dagli arresti domiciliari in una fattispecie in tutto sovrapponibile a quella di specie, agli effetti dell'art. 385 cod. pen. deve intendersi per abitazione il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza (aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili) che non sia di stretta pertinenza dell'abitazione e non ne costituisca parte integrante; e ciò al fine di agevolare i controlli di polizia sulla reperibilità dell'imputato, che devono avere il carattere della prontezza e della non alcatorietà (fattispecie in cui l'imputato, all'atto del controllo, si trovava in uno spazio condominiale esterno alla sua abitazione e proveniva da un altro appartamento). E' stato chiarito che il concetto di abitazione comprende sia il luogo in cui il soggetto conduce la propria vita domestica che le sue pertinenze esclusive. Se ne inferisce che, nel concetto di domicilio, si devono comprendere i terrazzi ed i giardini di pertinenza esclusiva dell'abitazione, ma non gli ambienti condominiali, quali i pianerottoli, le scale ed i cortili interni, in quanto di libero accesso ed in uso da parte di altri, come i condomini e coloro i quali siano legittimati da essi ad accedervi. L'allontanamento dal luogo di restrizione (in regime di arresti domiciliari così come di detenzione domiciliare) può dunque essere legittimamente sanzionato solo ed in quanto il soggetto si allontani dall'abitazione propriamente detta, ovvero dai luoghi che, in quanto in uso esclusivo delle persone che dispongano dell'alloggio, debbano considerarsi a tutti gli effetti parti di essa, in quanto – giusta il delineato carattere di esclusività -precluse all'accesso dei terzi estranei (salvo, ovviamente, il consenso dell'avente diritto)
Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 19 novembre 2014, n. 47897 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 9 maggio 2013, la Corte d’appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza dell’11 novembre 2010, con la quale il Tribunale di Gela condannava P.C.O. alla pena di mesi sei di reclusione, in relazione al reato di...
Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 19 novembre 2014, n. 47938. In tema di configurabilità del reato di cui all'art. 615-ter cod. pen. nel caso in cui lo stesso sia contestato ad un soggetto munito di credenziali di accesso al sistema informatico, le finalità specificamente perseguite da tale soggetto sono a tali fini irrilevanti, essendo viceversa determinante il profilo oggettivo dell'accesso o del trattenimento nel sistema informatico di un soggetto che a ciò non possa ritenersi sostanzialmente autorizzato o per la violazione delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema, quali disposizioni organizzative interne, prassi aziendali o clausole di contratti individuali di lavoro, che regolano l'accesso al sistema e stabiliscono per quali attività e per quanto tempo la permanenza nello stesso può essere protratta; ovvero per il compimento di operazioni ontologicamente diverse da quelle per le quali l'accesso è consentito
Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 19 novembre 2014, n. 47938 Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Milano del 20/04/2012, veniva confermata l’affermazione di responsabilità di C.R. per il reato continuato di cui all’art. 615-ter cod. pen., commesso quale dipendente...