Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 18 giugno 2018, n. 27973.
La massima estrapolata:
Ai fini della configurabilita’ del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo puo’ essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale e’ sicuramente rivelatrice di un acquisto in mala fede; in tal modo, non si richiede all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensi’ ad un onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento.
Sentenza 18 giugno 2018, n. 27973
Data udienza 12 giugno 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente
Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Consigliere
Dott. DI PAOLA Sergio – Consigliere
Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere
Dott. TUTINELLI Vincen – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza 4 marzo 2016 della Corte d’appello dell’Aquila.
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Vincenzo Tutinelli;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Molino Pietro, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento in questa sede impugnato, la Corte di appello dell’Aquila, in riforma della sentenza 19 dicembre 2012 del Tribunale di Pescara, ha condannato l’odierno ricorrente in ordine ad una fattispecie di ricettazione di un telefono cellulare.
2. Propone ricorso per cassazione l’imputato articolando i seguenti motivi.
2.1. manifesta illogicita’, contraddittorieta’ e comunque carenza della motivazione in ordine alla dichiarata penale responsabilita’.
Il ricorrente afferma che, nel corso del dibattimento, non sarebbero emersi elementi sufficienti a provare la piena colpevolezza del (OMISSIS) in ordine al reato a lui ascritto. Mancherebbe in particolare qualsivoglia richiesta da parte degli inquirenti in ordine alla provenienza del bene sequestrato, non essendo mai stata mossa all’imputato alcuna domanda tesa a chiarire come lo stesso avesse ottenuto il cellulare in contestazione. Sarebbero percio’ insufficienti a fondare la condanna i residui riferimenti – operati dalla Corte territoriale – alla provenienza delittuosa del bene, alla accertata detenzione da parte dell’imputato, all’inserimento da parte dell’imputato stesso della propria scheda Sim del telefono cellulare.
Non sarebbe stato infatti possibile infatti chiedere all’imputato, che comunque legittimamente poteva rifiutarsi di rispondere, di colmare delle insufficienze delle indagini. Peraltro, nel verbale di sequestro si fa riferimento a dichiarazioni rese dall’imputato poi non confluite del dibattimento.
2.2. violazione e falsa applicazione di legge e segnatamente dell’articolo 712 cod. pen..
Il ricorrente afferma che nemmeno vi sarebbero i presupposti per ritenere sussistente la fattispecie di incauto acquisto ma che, stante l’incoerenza del ragionamento della Corte, sarebbe preferibile ritenere che vi sia stata una mera imprudenza in relazione alla provenienza delittuosa del bene.
2.3. manifesta illogicita’, contraddittorieta’ e comunque carenza della motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche e del minimo edittale della pena.
Il ricorrente afferma che i diversi precedenti giudiziali sarebbero tutti risalenti nel tempo e quindi irrilevante e la mancanza di un qualsiasi riferimento ai criteri di cui all’articolo 133 cod. pen..
2.4. violazione e falsa applicazione di legge e segnatamente dell’articolo 131 bis cod. pen..
Il ricorrente afferma che i fatti di cui in sentenza rientrerebbero nel novero delle fattispecie che paleserebbero una rilevanza minima ai sensi dell’articolo 131 bis cod. pen. con conseguente necessita’ di una sentenza di non luogo a procedere per particolare tenuita’ del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Le doglianze relative alla dichiarazione di penale responsabilita’ e alla qualificazione giuridica del fatto sono inammissibili perche’ assolutamente prive di specificita’ in tutte le loro articolazioni (reiterando, piu’ o meno pedissequamente, censure gia’ dedotte in appello e gia’ non accolte: Sez. 4, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. 6, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), del tutto assertive e, comunque, manifestamente infondate, a fronte dei rilievi con i quali la Corte di appello – con argomentazioni esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esente da vizi rilevabili in questa sede – ha motivato l’affermazione di responsabilita’ e la qualificazione giuridica dei fatti accertati valorizzando l’accertata disponibilita’ del telefono cellulare e la mancata indicazione del dante causa. La Corte di appello si e’, in tal modo, correttamente conformata al consolidato orientamento di questa Corte (per tutte, Sez. 2 n. 29198 del 25 maggio 2010, Fontanella, rv. 248265) per cui, ai fini della configurabilita’ del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo puo’ essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale e’ sicuramente rivelatrice di un acquisto in mala fede; in tal modo, non si richiede all’imputato di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensi’ ad un onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento (in tal senso, Cass. pen., Sez. un., sentenza n. 35535 del 12 luglio – 26 settembre 2007, CED Cass. n. 236914). Tale spiegazione non vi e’ in atti.
2. Le doglianze in ordine al trattamento sanzionatorio sono parimenti inammissibili.
Va premesso che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, che la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 cod. pen.; ne discende che e’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), cio’ che – nel caso di specie – non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantita’ di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, e’ necessaria soltanto se la pena sia perlomeno superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’articolo 133 cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravita’ del reato o alla capacita’ a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596).
Nel caso di specie, la pena irrogata risulta essere ben inferiore ai valori medi edittali. Inoltre, vi e’ specifica motivazione in relazione alla valutazione della personalita’ dell’imputato e alla presenza di precedenti penali. I medesimi elementi e le medesime considerazioni fondano anche il rigetto delle circostanze attenuanti generiche seguendo un iter motivazionale pienamente legittimo dovendosi ribadire che, il giudice puo’ tenere conto di uno stesso elemento (nella specie: la negativa personalita’ dell’imputato alla luce dei precedenti penali) che abbia attitudine a influire su diversi aspetti della valutazione, ben potendo un dato polivalente essere utilizzato piu’ volte sotto differenti profili per distinti fini senza che cio’ comporti lesione del principio del “ne bis in idem” (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24995 del 14/05/2015 Rv. 264378) e che non e’ necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma e’ sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
3. Del tutto inammissibile la doglianza relativa alla mancata applicazione dell’articolo 131 bis codice di rito posto che il delitto di ricettazione per cui si procede risulta punito con la pena superiore ad anni cinque.
4. Alle suesposte considerazioni consegue la dichiarazione di inammissibilita’ del ricorso e, per il disposto dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila a favore della Cassa delle ammende.
Sentenza a motivazione semplificata.
Leave a Reply