Corte di Cassazione, sezione sesta civile, Ordinanza 4 giugno 2018, n. 14189.
La massima estrapolata:
L’istanza di revocazione di una pronuncia della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell’articolo 391 bis c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilita’, un errore di fatto riconducibile all’articolo 395 c.p.c., n. 4, che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato: l’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreche’ la realta’ desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione.
Ai sensi dell’articolo 395 c.p.c., n. 4, il nesso causale tra errore di fatti) e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la valutazione di essenzialita’ e decisivita’ dell’errore revocatorio, e un nesso di carattere logico-giuridico, nel senso che non si tratta di stabilire se la decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell’errore, per necessita’ logico-giuridica.
Ordinanza 4 giugno 2018, n. 14189
Data udienza 17 aprile 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere
Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23942-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 19941/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, depositata il 10/08/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 17/04/2018 dal Consigliere Dott. MASSIMO FALABELLA;
dato atto che il Collegio ha autorizzato la redazione del provvedimento in forma semplificata.
FATTI DI CAUSA
1. (OMISSIS), soggetto dichiarato fallito come titolare dell’impresa individuale omonima, e (OMISSIS), coniuge del medesimo, impugnavano per cassazione il decreto del Tribunale di Vibo Valentia con cui e’ stato dichiarato inammissibile il loro reclamo L. Fall., ex articolo 26, avverso il decreto con cui il giudice delegato del fallimento aveva ordinato il trasferimento della farmacia, facente parte dell’attivo, in favore di un terzo, (OMISSIS).
Questa Corte, con sentenza n. 19941/2017, dichiarava inammissibile il ricorso, stante la tardivita’ dell’impugnazione. Rilevava, in particolare, che il termine per proporre ricorso per cassazione, ex articolo 111 Cost., avverso i decreti emessi dal tribunale fallimentare in sede di reclamo contro i provvedimenti del giudice delegato, non sia soggetto, per la generale previsione introdotta dalla L. Fall., articolo 36 bis, alla sospensione feriale L. n. 742 del 1969, ex articolo 3 in relazione all’articolo 92 dell’ordinamento giudiziario. Con riferimento alla restrizione in carcere di (OMISSIS) (evenienza dedotta dallo stesso istante), osservava poi la Corte che non risultava essere stata “prospettata una situazione di incompatibilita’ assoluta ad un atto di impulso al legale per l’ulteriore impugnazione ed in ogni caso non risulta essere stata depositata alcuna istanza di rimessione in termini rivolta al giudice come immediatezza della reazione al palesarsi della necessita’ di svolgere un’attivita’ processuale ormai preclusa” (Cass. 19290/2016), ma solo inoltrato il ricorso per cassazione tardivamente, senza fare menzione alcuna dell’assunto impedimento”.
2. – Contro tale sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso per revocazione; l’impugnazione si fonda su due motivi. La curatela fallimentare e (OMISSIS), intimati, non hanno svolto difese. Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Lamenta anzitutto il ricorrente che la sentenza impugnata abbia ritenuto esistente un fatto, la legittimazione del difensore, al contrario inesistente, e considerato possibile un’attivita’ (la notifica del ricorso entro il termine di sessanta giorni in assenza di procura speciale) al contrario tecnicamente impossibile. Osserva, infatti, che il proprio arresto aveva avuto luogo prima del conferimento della procura speciale e prima che potesse essere condiviso il contenuto del ricorso redatto dal difensore: per consentire ad esso istante di prendere conoscenza dell’atto di impugnazione e di sottoscrivere la procura speciale il proprio difensore aveva dovuto ottenere specifica autorizzazione da parte del giudice per le indagini preliminari, il quale aveva acconsentito all’accesso in carcere del nominato professionista con provvedimento notificato a quest’ultimo l’8 novembre 2011 (allorquando, e’ qui da aggiungere, il termine per l’impugnazione era oramai scaduto).
L’istante censura inoltre la sentenza impugnata nella parte in cui ha dato atto che non risultava essere stata depositata alcuna istanza di rimessione in termini rivolta al giudice “come immediatezza della reazione al palesarsi della necessita’ di svolgere un’attivita’ processuale ormai preclusa”. La Corte di legittimita’ secondo il ricorrente – aveva infatti inteso escludere un fatto oggettivamente dimostrato, ovvero la sussistenza di una domanda di rimessione in termini: tale domanda era stata ritualmente avanzata nella memoria del 10 marzo 2012, in replica al controricorso avversario, e nella memoria ex articolo 378 c.p.c. depositata il 1 giugno 2017. Osserva, d’altro canto, che al momento del ricorso “non si aveva, ne’ poteva aversi certezza circa la desunta tardivita’, considerato che la natura dell’atto impugnato lasciava severi dubbi circa l’esclusione della sospensione ex L. n. 742 del 1969, nonche’ della non applicazione del termine lungo ex articolo 327 c.p.c.”; in definitiva, secondo la parte oggi istante, al momento della notifica del ricorso per cassazione si registravano elementi che rendevano non scontata, ne’ facilmente deducibile, l’ipotesi di tardivita’ del gravame.
2. – Il ricorso e’ inammissibile.
Secondo la giurisprudenza di questa S.C., l’istanza di revocazione di una pronuncia della Corte di cassazione, proponibile ai sensi dell’articolo 391 bis c.p.c., implica, ai fini della sua ammissibilita’, un errore di fatto riconducibile all’articolo 395 c.p.c., n. 4, che consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso, su cui il giudice si sia pronunciato: l’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreche’ la realta’ desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio, formatosi sulla base di una valutazione (Cass. 11 gennaio 2018, n. 442; Cass. 29 ottobre 2010, n. 22171).
Nella fattispecie in esame la Corte di legittimita’ ha escluso che la condizione di restrizione personale dell’odierno istante valesse ad escludere l’inammissibilita’ del ricorso, e cio’ sulla base di due rilievi: non era stato allegato un impedimento assoluto allo svolgimento dell’attivita’ idonea ad impedire la decadenza neanche per il periodo di citata restrizione della liberta’ personale; non poteva ritenersi rituale e tempestiva la richiesta di rimessione in termini in presenza di una deduzione della causa del ritardo contenuta nelle “note controdeduttive” successive al ricorso e depositate in risposta alle eccezioni contenute nel controricorso (cfr. sentenza impugnata, punto 6).
La decisione della Corte poggia, dunque, su due autosufficienti svolgimenti argomentativi, entrambi censurati, come si visto.
L’infondatezza di una sola delle due doglianze sollevate dal ricorrente determina, come conseguenza, l’inammissibilita’ del ricorso, giacche’, in tale evenienza la pronuncia risulterebbe comunque reggersi sulla ratio decidendi immune dal denunciato errore di fatto. Va ricordato, in proposito, che ai sensi dell’articolo 395 c.p.c., n. 4, il nesso causale tra errore di fatti) e decisione, nel cui accertamento si sostanzia la valutazione di essenzialita’ e decisivita’ dell’errore revocatorio, e un nesso di carattere logico-giuridico, nel senso che non si tratta di stabilire se la decisione della causa sarebbe dovuta essere diversa, in mancanza di quell’errore, per necessita’ logico-giuridica (Cass. 99 marzo 2016, n. 6038., Cass. 18 febbraio 2009, n.. 35).
In realta’, nessuna delle richiamate rationes decidendi e’ efficacemente contrastata dal ricorso per revocazione.
Non lo e’ quella basata sulla mancata allegazione di un impedimento assoluto allo svolgimento dell’attivita’ che avrebbe consentito di evitare la decadenza. Sul punto, difatti, il giudice di legittimita’ ha formulato un giudizio circa l’insussistenza di deduzioni che dessero conto dell’impossibilita assoluta, da parte del difensore di (OMISSIS), di redigere il ricorso per cassazione e di sottoporlo all’esame dell’odierno istante, allora ristretto in carcere, anche per la sottoscrizione della procura speciale ad litem, nell’arco di tempo intercorrente tra l’applicazione della misura cautelare (che l’istante data 20 settembre 2011) e il momento in cui scadeva il termine per l’impugnazione straordinaria per cassazione (16 ottobre 2011). Quello formulato nella sentenza impugnata merita ribadire – e un apprezzamento: esso si fonda, infatti, sulla ritenuta impossibilita’ di ravvisare, nel corpo delle note in replica al controricorso, la prospettazione di un impedimento che avesse il connotato dell’assolutezza elimino alla tempestiva proposizione dell’impugnazione; non viene quindi in discorso l’errore percettivo contemplato dall’articolo 395 c.p.c., n. 4.
Ma non coglie nel segno nemmeno la censura vertente sulla rimessione in termini. Come risulta manifesto dal tenore dell’impugnata sentenza, infatti, la Corte non ha inteso escludere, puramente e semplicemente, la proposizione, da parte dell’interessato, di una istanza in tal senso: ha voluto piuttosto rimarcare che tale istanza non venne formulata nel ricorso per cassazione: cio’ e’ tanto vero che nella pronuncia impugnata viene sottolineato che nel predetto ricorso non era fatta menzione dell’assunto impedimento e che, inoltre, non appariva rituale e tempestiva la deduzione del ritardo che era contenuta nelle richiamate note depositate in risposta al controricorso. L’affermazione, contenuta nel provvedimento censurato, per cui non era stata depositata alcuna istanza di rimessione in termini “come immediate” della reazione al palesarsi della necessita’ di svolgere un’attivita’ processuale ormai preclusa” sta proprio a significare che nel primo atto successivo al verificarsi dell’impedimento (e cioe’ nel ricorso) non era contenuta una richiesta siffatta.
Quanto, poi, alle considerazioni critiche svolte con riguardo alle ragioni che avrebbero giustificato il mancato inserimento dell’istanza in parola nel ricorso per cassazione, e’ del tutto evidente che esse esulino dal tema dell’errore revocatorio e investano, invece, profili di diritto che in questa sede sono del tutto privi di rilevanza.
3. non deve statuirsi sulle spese di giudizio, in mancanza di attivita’ difensiva da parte degli intimati.
P.Q.M.
LA CORTE
dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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