Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 31 maggio 2018, n. 13996.
La massima estrapolata:
Legittima la revoca del concordato per la non fattibilità del piano a causa dei crediti tributari oggetto di contenzioso e della confisca in sede penale di una rilevante quantità di denaro per effetto della legge 231, disposta in danno dell’ente ritenuto responsabile di un illecito dipendente da reato.
Ordinanza 31 maggio 2018, n. 13996
Data udienza 22 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere
Dott. FICHERA Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10073/2013 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.p.a. in Liquidazione, in persona dei curatori dott. (OMISSIS), avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso
– controricorrente –
(OMISSIS) S.p.a., (OMISSIS) S.p.a., (OMISSIS) S.p.a., (OMISSIS), (OMISSIS) S.p.a., Procuratore Generale della Corte di Appello di L’Aquila, Pubblico Ministero presso il Tribunale di Teramo, (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 1139/2012 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, pubblicata il 10/10/2012;
lette le memorie ex articolo 380-bis1 c.p.c. di parte ricorrente; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/02/2018 dal cons. Dott. VELLA PAOLA.
FATTI DI CAUSA
1. Tra il 29/12/2009 ed il 01/09/2010 venivano presentate tre istanze di fallimento a carico della (OMISSIS) S.p.a., cui in data 19/10/2010 si aggiungeva analoga richiesta del Pubblico Ministero, il quale faceva presente che in data 11/10/2010 gli amministratori della societa’ erano stati condannati per reati finanziari ed in sede penale era stata disposta la confisca della somma di Euro 3.000.000,00 (poi ridotta in appello ad Euro 2.700.000,00); sempre in data 11/10/2010 la (OMISSIS) S.p.a. presentava domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, che il 20/10/2010 veniva ammessa dal Tribunale di Teramo, il quale pero’ successivamente, con sentenza del (OMISSIS), dichiarava il fallimento della societa’, previa revoca del concordato ai sensi della L. Fall., articolo 173 sulla base dei seguenti rilievi: a) attestazione di veridicita’ incompleta; b) mancato rinvenimento della posta attiva “denaro e valori in cassa” di Euro 50.995,50; c) non fattibilita’ del piano concordatario.
2. Con la sentenza qui impugnata, depositata il 10/10/2012 e non notificata, la Corte d’Appello di L’Aquila ha rigettato i reclami proposti dai tre soci (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) nonche’ dal creditore (OMISSIS), osservando che, sebbene l’attestazione di veridicita’ dei dati potesse ritenersi sufficiente ed il “modesto” ammanco di cassa (di natura solo “formale” e peraltro ripristinato dai soci) non integrasse un atto di frode (difettando il carattere doloso della divergenza tra la situazione rappresentata e quella effettiva), tuttavia il tribunale aveva legittimamente operato un “controllo sostanziale di legittimita’” per pervenire alla conclusione della evidente non fattibilita’ del piano concordatario, dal momento che la posta attiva di maggior peso (il credito fiscale per rimborso Iva pari a circa Euro 5.000.000,00 a fronte di un attivo complessivo di Euro 6.000.000,00) non poteva essere riscossa ed il debito dell’Erario assommava a circa Euro 220.000.000,00.
3. (OMISSIS) ha impugnato detta sentenza con ricorso affidato a sette motivi, notificato agli intimati indicati in epigrafe in data 11-16/04/2012, cui solo la Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.p.a. in Liquidazione ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo – rubricato “Omessa pronuncia – violazione degli articoli 112 e 132 c.p.c. con riferimento all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4, e violazione in particolare anche degli articoli 81-83 e 75 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4” – il ricorrente lamenta l’omessa pronuncia del giudice d’appello sulla propria eccezione, formulata in comparsa conclusionale, del “difetto di legittimazione attiva” (rectius passiva) “e di valido ius postulandi della resistente, visto che il reclamo e’ stato contraddetto non gia’ dal fallimento in persona dei Curatori ma dai Curatori e/o dalla Curatela in proprio”, i quali peraltro “non avevano richiesto al G.D. l’autorizzazione a stare in giudizio ma solo che Questi nominasse un legale della procedura”.
1.1. Il motivo e’ palesemente infondato, se non forse pretestuoso, tanto da potersi presumere che relativa doglianza – dichiaratamente formulata solo con la comparsa conclusionale – sia stata oggetto di rigetto implicito da parte del giudice d’appello.
1.2. E’ infatti evidente, da un lato, che il curatore e’ il soggetto destinatario della notifica del ricorso nonche’ litisconsorte necessario nel giudizio di reclamo ai sensi della L. Fall., articolo 18, comma 6, dall’altro che nel caso di specie i curatori si sono costituiti in giudizio non certo in proprio ma per la procedura fallimentare della cui gestione sono stati incaricati con la sentenza dichiarativa di fallimento, come testimonia – se mai ve ne fosse necessita’ – la richiesta di designazione di un difensore rivolta al giudice delegato (di cui invero da’ atto il ricorrente), da correlare ovviamente all’autorizzazione a stare in giudizio rilasciata dal medesimo giudice delegato in data 10/10/2011, come da documento richiamato a pag. 8 del controricorso.
1.3. Occorre altresi’ ricordare che, in punto di legitimatio ad processum del curatore, questa Corte ha chiarito come il provvedimento previsto dalla L. Fall., articolo 25, comma 1, n. 6), non necessiti di formule sacramentali, sicche’ l’autorizzazione alla costituzione in giudizio puo’ anche intendersi conferita implicitamente in altri provvedimenti che logicamente la presuppongano, come ad esempio il decreto con cui il giudice delegato attesta, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 144, l’indisponibilita’ di denaro per sostenere le spese del processo, ai fini dell’ammissione della procedura al patrocinio a spese dello Stato (Cass. n. 12947 del 2014).
2. Il secondo mezzo censura analogamente la “violazione in particolare degli articoli 81-83 e 75 c.p.c., L. Fall., articolo 25, nn. 4 e 6 e articolo 31, comma 2 con riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 3”, con riguardo al provvedimento del giudice delegato (“5 si autorizzano i curatori a stare in giudizio. In supplenza del CdC si suggerisce l’Avv. (OMISSIS)”) in base al quale il legale della curatela sarebbe stato “nominato direttamente dai signori curatori”, quando invece il curatore sarebbe “abilitato a designare i difensori L. Fall., ex articolo 25, n. 6, nei soli casi… in cui si compia una attivita’ giurisdizionale di impugnazione o di contestazione di atti del giudice delegato o del Tribunale”.
2.1. Il motivo e’ palesemente infondato.
2.2. La lettura data dal ricorrente risulta conforme ad un risalente orientamento di merito (Trib. Firenze 22 marzo 2007) che pero’ e’ rimasto sostanzialmente isolato, a fronte di un dato normativo che riserva inequivocabilmente al curatore la nomina dei difensori, stando al tenore del novellato L. Fall., articolo 25, n. 6), per cui il giudice delegato, “su proposta del curatore, liquida i compensi e dispone l’eventuale revoca dell’incarico conferito ai difensori nominati dal medesimo curatore”.
2.3. Deve inoltre considerarsi che il potere di autorizzare la nomina dei difensori, prima di spettanza del giudice delegato, e’ stato trasferito al comitato dei creditori, il quale in via generale puo’ autorizzare il curatore “a farsi coadiuvare da tecnici o altre persone retribuite, compreso il fallito, sotto la sua responsabilita’” (L. Fall., articolo 32, comma 2), fermo restando l’intervento sostitutivo del giudice delegato ai sensi della L. Fall., articolo 41, comma 4.
2.4. L’apparente distonia di un potere eliminato nel suo momento genetico (ius eligendi) ma confermato nel suo momento risolutivo (ius revocandi) puo’ giustificarsi nell’ottica, adottata dalla riforma, di sottrarre all’organo giudiziario gli atti gestori (come la selezione del soggetto da incaricare) destinati ad incidere su mere aspettative, per mantenere invece nelle sue mani i provvedimenti decisori e sanzionatori (come la liquidazione del compenso e la revoca dell’incarico) destinati ad incidere su diritti soggettivi, ferma restando in ogni caso l’iniziativa del curatore, dovendo il giudice delegato decidere sulla base della sua “proposta”, per quanto non vincolante.
3. Con il terzo motivo il ricorrente contesta la “violazione o falsa applicazione in particolare della L. Fall., articoli 160, 161, 162, 173, 180, 186 con riferimento all’articolo 360 c.p.c., n. 3), anche per come interpretati dalle Sezioni Unite della Suprema Corte” (con esplicito riferimento alla sentenza n. 1521 del 23/01/2013, successiva al provvedimento impugnato), per avere il giudice d’appello aderito alla “tesi del controllo sostanziale di legittimita’ da parte del tribunale”, quando invece “il giudizio di fattibilita’ economica del concordato e’ di competenza dei creditori, spettando al tribunale la mera verifica della fattibilita’ giuridica”, dal cui perimetro esulerebbero – si afferma valutazioni di carattere ipotetico come quelle svolte “ad esempio nella reclamata sentenza di fallimento”, con riguardo agli esiti dei contenziosi in corso.
3.1. La censura – espressamente formulata come violazione di legge e non anche come vizio motivazionale, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, – va respinta, in quanto l’affermazione del giudice a quo per cui “la verifica spettante al tribunale non puo’ essere limitata ad un mero controllo di legalita’ formale, ma deve spingersi, gia’ in sede di ammissione, alla valutazione della fattibilita’ del piano soppesando la serieta’, la completezza e l’attendibilita’ della relazione del professionista” e consentendo al tribunale “un controllo sulla manifesta inadeguatezza prima facie della relazione del professionista” risulta in linea con il formante giurisprudenziale di legittimita’.
3.2. Invero, che la fattibilita’ del piano, oggetto dell’attestazione contemplata dalla L. Fall., articolo 161, comma 3, costituisca uno dei presupposti di ammissibilita’ della proposta di concordato e’ pacifico, stante il tenore della L. Fall., articolo 162, comma 2,; con la sentenza n. 1521 del 2013 le Sezioni Unite sono state pero’ chiamate a fare chiarezza sul perimetro del relativo sindacato giudiziale, affermando (tra l’altro) che “in tema di concordato preventivo, il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimita’ sul giudizio di fattibilita’ della proposta di concordato, non restando questo escluso dall’attestazione del professionista, mentre rimane riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilita’ di successo economico del piano ed i rischi inerenti”. Successivamente, la giurisprudenza di questa Corte sul tema in questione si e’ consolidata ed affinata, approdando ad una serie di punti fermi che possono essere cosi’ brevemente sintetizzati: 1) spetta sicuramente al giudice assicurare la legalita’ della procedura concorsuale, sicche’ questi ha il dovere di esercitare il controllo di legittimita’ anche sulla “fattibilita’”, intesa come “prognosi di concreta realizzabilita’ del piano concordatario”, dal momento che essa rappresenta pacificamente uno dei presupposti di ammissibilita’ della domanda di concordato preventivo (Cass. n. 11497 del 2014); 2) tale controllo “non resta escluso dall’attestazione del professionista”, ne’ puo’ dirsi “limitato alla completezza, alla congruita’ logica e alla coerenza complessiva della relazione del professionista” (Cass. n. 11014 e n. 13083 del 2013, n. 11423 del 2014), ma “consiste nella verifica diretta del presupposto stesso, sia sotto il profilo della fattibilita’ giuridica, intesa come non incompatibilita’ del piano con norme inderogabili, sia sotto il profilo della fattibilita’ economica, intesa come realizzabilita’ nei fatti del piano medesimo, dovendosi in tal caso verificare unicamente la sussistenza o meno di un’assoluta e manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati, ossia a realizzare la causa concreta del concordato” (Cass. n. 24970 del 2013; Cass. n. 9061 del 2017); iii) il controllo in questione, da svolgersi in tutte le fasi della procedura, deve essere particolarmente penetrante in funzione della verifica di adeguatezza delle informazioni fornite ai creditori, a garanzia di un’espressione consapevole del voto (Cass. n. 7959 del 2017), che si traduca nel cd. consenso informato.
3.3. Merita altresi’ richiamare, per quanto rileva in questa sede, la pronuncia con cui si e’ affermato che, “ove a carico di una societa’ proponente un concordato preventivo con cessione dei beni sia stato disposto, con riferimento ad alcuni di essi e per un importo assai rilevante, un sequestro preventivo penale, finalizzato, secondo il regime di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001, alla confisca obbligatoria, e non sia stata previamente chiesta la cessazione del vincolo cautelare al giudice penale, resta sottratto al giudice della procedura concorsuale ogni potere di sindacare la legittimita’ del provvedimento, sicche’ la proposta deve essere dichiarata inammissibile per carenza di fattibilita’ giuridica del piano. Invero, una volta aperto il concordato preventivo, la pretesa ablatoria dello Stato, cui il sequestro preventivo e’ strumentale, ove venga disposta in danno di un ente ritenuto responsabile di un illecito dipendente da reato, e’ obbligatoria ed entra in conflitto con i diritti dei terzi di buona fede (la verifica delle ragioni dei quali spetta, in ogni caso, al giudice penale e non al giudice fallimentare) e con la garanzia patrimoniale dei creditori” (Cass. n. 26329 del 2016).
3.4. Nel caso di specie, l’ampia e dettagliata decisione della Corte territoriale perviene a negare la fattibilita’ del piano di concordato attraverso una serie di argomentazioni di natura prettamente giuridica – con particolare riguardo ai crediti tributari oggetto di contenzioso ed alla intervenuta confisca in sede penale di una rilevante somma di denaro – senza violare i principi sopra richiamati, tanto piu’ se si considerano gli ulteriori rilievi svolti a pag. 27 della sentenza circa i “rilevantissimi debiti tributari che non sono stati in alcun modo considerati”, avendo il giudice di secondo grado sostanzialmente rilevato, conformemente all’insegnamento di questa Corte, una manifesta inattitudine del piano concordatario presentato dal debitore a raggiungere gli obiettivi prefissati – ossia a realizzare la causa concreta del concordato – senza tuttavia invadere la sfera della probabilita’ di successo economico del piano e dei rischi inerenti, questi si’ rimessi esclusivamente ai creditori.
4. Con il quarto, quinto, sesto e settimo motivo il ricorrente deduce la “nullita’ della sentenza ex articolo 360, n. 4 e violazione dell’articolo 132 c.p.c. per motivazione apparente e/o inesistente”, con riguardo, rispettivamente: al giudizio di concreta non fattibilita’ del concordato; alla asserita illegittimita’ della confisca in sede penale; alla pretesa impossibilita’ di esaminare preesistenti domande di fallimento in pendenza della procedura di concordato; alla sussistenza dello stato di insolvenza.
4.1. Tutte le riferite censure risultano palesemente infondate, poiche’ e’ sufficiente leggere – senza che sia necessario trascriverle in parte qua – le numerosissime pagine della motivazione della sentenza impugnata per riscontrare all’evidenza che, su ciascuno dei temi di indagine intercettati dai motivi di ricorso, il giudice d’appello ha in effetti reso una motivazione piu’ o meno ampia (talora finanche sovrabbondante) ma sicuramente non apparente, ne’ tantomeno inesistente, tale cioe’ da rendere addirittura nulla l’intera pronuncia, come si prospetta con i mezzi in esame.
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’ in favore della parte controricorrente, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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