Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 17 ottobre 2018, n. 25997.
La massima estrapolata:
La circostanza che la banca abbia investito nel fondo patrimoniale le somme conferite nel deposito a garanzia e poi restituito il ricavato ai soci non basta ad escludere che l’operazione messa in atto sia un contratto di gestione patrimoniale.
Ordinanza 17 ottobre 2018, n. 25997
Data udienza 22 maggio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente
Dott. VALITUTTI Antonio – rel. Consigliere
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere
Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23833/2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.p.a., gia’ (OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3074/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 05/08/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2018 dal cons. VALITUTTI ANTONIO;
lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO LUCIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato il 13 marzo 2006, (OMISSIS) conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, la (OMISSIS), poi incorporata dalla (OMISSIS) s.p.a., chiedendo dichiararsi l’inadempimento della convenuta al contratto di deposito in garanzia, stipulato inter partes il 9 marzo 2000, per avere l’istituto di credito, in violazione della clausola n. 4 del contratto, investito le somme – depositate dal cessionario di quote sociali facenti capo a due societa’ delle quali la (OMISSIS) era socia – in una gestione patrimoniale di fondi, anziche’ “in titoli emessi e garantiti dallo Stato italiano”, e condannarsi la medesima al risarcimento dei danni subiti. Il Tribunale adito, con sentenza n. 6199/2010, accoglieva la domanda, condannando la banca al risarcimento dei danni in favore dell’attrice, liquidati in Euro 73.906,00, oltre agli interessi legali, per avere la convenuta posto in essere una gestione patrimoniale in fondi senza rispettare i requisiti di forma previsti dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 23.
2. Con sentenza n. 3074/2014, depositata il 5 agosto 2014, la Corte d’appello di Milano, in riforma della decisione di primo grado, respingeva in toto le domande proposte in giudizio dalla (OMISSIS). Il giudice di secondo grado riteneva, invero, che il contratto intercorso tra la ricorrente e la banca non fosse un contratto di gestione patrimoniale, bensi’ un deposito in garanzia, come tale esente dall’obbligo di forma di cui al Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articoli 23 e 24.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) s.p.a. affidato a quattro motivi, illustrati con memoria. La resistente ha replicato con controricorso e con memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Va dichiarata, in via pregiudiziale, l’inammissibilita’ della documentazione allegata – in violazione degli articoli 372 e 380 bis. 1. c.p.c. – alla memoria depositata dalla ricorrente.
2. Nel merito, va rilevato che, con il terzo motivo di ricorso – che riveste carattere assorbente rispetto agli altri -, (OMISSIS) denuncia la violazione dell’articolo 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
2.1. La premessa della censura proposta risiede nel fatto che, in data 17 febbraio 2000, era stato stipulato tra (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in qualita’ di cedenti, e la (OMISSIS) s.p.a., quale cessionaria, un contratto di compravendita di azioni e di quote delle societa’ (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.r.l., delle quali tutti erano soci, con la contestuale assunzione, da parte dei cedenti ed a favore della cessionaria, di obblighi di manleva e di indennizzo relativi alle dichiarazioni contenute nel contratto, relativamente alla consistenza dei patrimoni delle societa’ cedute.
A tal fine, le parti stipulavano con la (OMISSIS) (poi assorbita dalla (OMISSIS) s.p.a.), in data 9 marzo 2000, un contratto di deposito a garanzia, a seguito del quale la societa’ cessionaria versava alla depositaria parte del prezzo dovuto per la suddetta compravendita, pari all’equivalente in lire di Euro 1.807.599,15, destinata a costituire un fondo di garanzia, con l’obbligo per il depositario di gestire tale fondo effettuando acquisti di “titoli emessi o garantiti allo Stato italiano”, fatte salve “diverse istruzioni che possano in futuro essergli conferite per iscritto congiuntamente dal cessionario e dai cedenti” (clausola n. 4 del contratto suindicato). La banca avrebbe, per contro, effettuato – in violazione delle disposizioni succitate, e su espressa disposizione scritta della sola cessionaria, impartita con missiva del 20 marzo 2000 – una operazione di investimento in una gestione patrimoniale di fondi (g.p.f.), il cui rendimento si era rivelato – come accertato dal c.t.u. nominato dal tribunale – notevolmente inferiore a quello che si sarebbe ottenuto con un investimento in titoli di Stato, come previsto dal contratto.
2.2. Tanto premesso, la istante deduce la nullita’ dell’impugnata sentenza per difetto assoluto di motivazione, ai sensi dell’articolo 132 c.p.c., n. 4 non avendo il giudice di appello in alcun modo giustificato – sulla base dei dati fattuali emergenti dagli atti l’opzione interpretativa seguita, ossia di qualificare come adempimento del deposito in garanzia e non come gestione patrimoniale di fondi, effettuata dalla banca in violazione della clausola n. 4 del contratto in data 9 marzo 2000, l’operazione di investimento posta in essere dall’istituto di credito su richiesta scritta (missiva del 20 marzo 2000) proveniente dalla sola societa’ cessionaria.
3. Il motivo e’ fondato.
3.1. Va osservato, al riguardo, che, in seguito alla riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54 convertito con modifiche dalla L. n. 134 del 2012, non sono piu’ ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorieta’ e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimita’ sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’articolo 111 Cost., comma 6. Tale contenuto minimo del percorso motivazionale della decisione e’ individuabile nelle sole ipotesi – che si convertono in violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullita’ della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorieta’” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio in parola puo’ essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., 12/10/2017, n. 23940).
E’, pertanto, altresi’ denunciabile in cassazione, sotto i suindicati profili di violazione di legge, l’anomalia motivazionale che si concretizzi nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, quale ipotesi che non rende percepibile l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicita’ del ragionamento del giudice (Cass., 17/05/2018, n. 12096).
3.2. Premesso quanto precede, deve ritenersi che, nel caso di specie, la motivazione dell’impugnata sentenza si ponga, sotto il profilo in questione, ben al di sotto della del “minimo costituzionale” sancito dall’articolo 111 Cost., comma 6. Ed invero, la Corte d’appello si e’ limitata ad addurre – come unico elemento a sostegno del fatto che l’operazione posta in essere dalla banca costituisse, non un contratto di gestione patrimoniale, bensi’ l’adempimento del contratto di deposito a garanzia, stipulato tra le parti il 9 marzo 2000 – la circostanza che la banca aveva “pacificamente investito nel fondo patrimoniale n. (OMISSIS) le somme conferite nel deposito a garanzia (Euro 1.807.599,15) ed aveva poi restituito il ricavato degli investimenti ai soci” (p. 6), cointestatari del conto sul quale detto fondo di garanzia era stato depositato.
Nessuna altra considerazione, ne’ riferimento alcuno alle risultanze processuali – al di la’ della generica, e non significativa, constatazione dell’avvenuto investimento di somme e dell’accredito del ricavato in conto corrente – risulta, per contro, operato dalla sentenza impugnata, con riferimento all’operazione in parola.
3.3. Ma vi e’ di piu’. Nella pagina successiva (p. 7), la medesima decisione di appello, del tutto contraddittoriamente con l’assunto contenuto nella pagina precedente, ha affermato che la (OMISSIS) sarebbe stata “a conoscenza della natura degli investimenti effettuati dalla banca (gestione patrimoniale di fondi)”, dando, quindi, alla operazione una qualificazione totalmente diversa rispetto a quella poco prima attribuita alla vicenda.
Il medesimo istituto di credito – nella missiva del 27 giugno 2005, inviata alle parti – aveva, del resto, espressamente qualificato il contratto in questione come “mandato gestione patrimoniale in fondi”, affermando che la somma di Euro 1.807.599,15 era stata investita dalla depositaria in una “gpf”. Ma neppure su tale decisiva emergenza documentale la Corte territoriale ha speso una parola.
4. Per tali ragioni, la censura va accolta, restandone assorbiti gli altri motivi di ricorso (violazioni di legge in relazione alla natura giuridica del contratto de quo, prova per presunzioni circa la conoscenza da parte della istante degli investimenti effettuati dalla banca).
5. L’accoglimento del terzo motivo di ricorso – assorbiti gli altri comporta la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, che dovra’ procedere a nuovo esame del merito della controversia, facendo applicazione dei principi di diritto suesposti, e provvedendo, altresi’, alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo di ricorso; dichiara assorbiti il primo, secondo e quarto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere giudizio di legittimita’.