Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 23 agosto 2019, n. 5822.
La massima estrapolata:
L’astratta ammissibilità del provvedimento implicito non può essere negata, qualora l’Amministrazione, pur non adottando formalmente la propria determinazione, ne determini univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un contegno conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non possa essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del corrispondente provvedimento formale non adottato: le quante volte, cioè, emerga senza equivoco un collegamento biunivoco tra l’atto adottato o la condotta tenuta e la determinazione che da questi si pretende di ricavare, onde quest’ultima sia l’unica conseguenza possibile della presupposta manifestazione di volontà .
Sentenza 23 agosto 2019, n. 5822
Data udienza 11 aprile 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9150 del 2009, proposto da
Er. Pe. S.p.A, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lo. Ac., Al. Ma. e Lu. Ga., con domicilio eletto presso lo studio Lo. Ac. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), Anas S.p.A., non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 4183/2009, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 aprile 2019 il Cons. Giovanni Grasso e udito per l’appellante l’avvocato Al. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con istanza formalizzata in data 6 marzo 1973, la Er. Pe. S.p.a., subentrata alla Ch. Oi. It. S.p.a. nella proprietà di un impianto di distribuzione di carburanti per autotrazione ubicato nel Comune di (omissis), su area di proprietà, in fregio alla SS. n. 148 Pontina, chiedeva il rinnovo dell’originaria concessione di esercizio di cui al decreto prefettizio del 30.11.1955 n. 5894.
A dispetto della ritenuta e sicura assentibilità della domanda (in tesi subordinata al mero riscontro della idoneità tecnica dell’impianto ed alla sussistenza dei requisiti soggettivi del concessionario), la stessa restava a lungo priva di riscontro, anche (e verisimilmente) in conseguenza dell’interinale trasferimento di competenze tra Stato e Comune disposto con d.p.r. n. 616/1977.
Il rinnovo della concessione veniva, quindi, sollecitato, ad opera della dante causa della società, con nuova istanza del 1° luglio 1981, con la quale si chiedeva, altresì, l’autorizzazione al potenziamento dell’impianto mediante attivazione di apparecchiatura self service.
Acquisiti i favorevoli pareri di competenza (dell’UTF in data 2 aprile 1982; dei Vigili del Fuoco in data 15 dicembre 1983 e dell’ANAS in data 17 maggio 1982), il Sindaco, con provvedimento n. 297 del 4 settembre 1984, autorizzava il potenziamento dell’impianto, i cui lavori venivano concretamente eseguiti e collaudati il 17 maggio 1985, nella regolare prosecuzione dell’attività erogativa.
Ciononostante, con parere n. 36206 del 14 gennaio 1991, reso a riscontro della nota del Comune del 10 settembre 1990, ANAS rappresentava, in guisa inopinata, l’impossibilità di acconsentire al rinnovo della concessione (che, peraltro, la società opinava implicitamente operato con il rammentato assenso al potenziamento dell’impianto), in quanto le corsie di accesso a quest’ultimo erano venute a trovarsi in contrasto con le norme tecniche medio tempore introdotte con circolare ANAS n. 5 del 25.1.1988.
A fronte del pronto rilievo della società, che contestava all’Amministrazione comunale e all’Ente gestore delle strade di aver del tutto ignorato il già avvenuto assenso al rinnovo, il Comune replicava che il provvedimento n. 297/1984 non avesse il ritenuto valore di tacito rinnovo della concessione d’esercizio, di tal che il relativo procedimento, non ancora definito, doveva soggiacere allo jus superveniens di cui alla normativa ANAS del 1988 sugli accessi.
2.- Con rituale ricorso al TAR per il Lazio, ERG impugnava, a questo punto, la nota comunale n. 11089/1991, recante implicito diniego di rinnovo della concessione d’esercizio, argomentandone l’illegittimità per violazione e falsa applicazione dell’art. 16 D.L. n. 745/70, dell’art. 16 D.P.R. n. 1269/1971 e dell’art. 54 lett. f) D.P.R. n. 616/77, nonché per violazione della delibera del Consiglio Regionale del Lazio n. 473/78, recante i criteri in materia di rilascio da parte dei Comuni delle concessioni e della relativa circolare regionale 3 aprile 1979, n. 01420.
In particolare, nell’articolato assunto critico dell’appellante, il provvedimento n. 297/1984 avrebbe avuto la ribadita consistenza, oltre che di assenso al potenziamento dell’impianto, anche di rinnovo della concessione diciottennale d’esercizio in quanto:
a) la competenza a provvedere in materia di rinnovo era dello stesso Comune;
b) era stata presentata rituale domanda per il rinnovo;
c) la definizione della domanda di rinnovo era stata reiterata e confermata congiuntamente a quella di potenziamento dell’impianto;
d) il positivo riscontro comunale era stato operato senza distinzioni in ordine all’operato assenso e senza riserve circa il relativo contenuto decisorio, peraltro correlato a preciso obbligo di provvedere;
e) i pareri favorevolmente rilasciati riguardavano entrambi i profili dell’assenso (potenziamento e contestuale rinnovo);
f) l’autorizzazione al potenziamento, infine, non avrebbe potuto essere disconnessa, per limite logico, all’implicito assenso al rinnovo della concessione in essere, da tempo scaduta ed in attesa di proroga.
Con distinta e concorrente ragione di doglianza, la società riteneva anche viziata da incompetenza la nota comunale, trattandosi di materia rimessa, ai sensi della l. n. 142/1990, all’epoca vigente, alle attribuzioni della Giunta e non già dell’assessore.
Nei limiti dell’interesse, veniva impugnato altresì il parere ostativo dell’ANAS, in quanto asseritamente reso ed argomentato sull’erroneo e travisato presupposto che la concessione non fosse già stata, nei rammentati sensi, implicitamente rinnovata.
3.- Con la sentenza epigrafata, resa nel contraddittorio delle parti, il primo giudice respingeva il ricorso, assumendo non plausibile l’assunto del tacito rinnovo della concessione ed omettendo di pronunziarsi in ordine alla denunziata incompetenza.
Avverso la ridetta statuizione, con atto notificato nei tempi e nelle forme di rito, la società appellante insorgeva, lamentandone la complessiva erroneità ed ingiustizia ed invocandone l’integrale riforma.
Gli Enti intimati, ancorché ritualmente evocati, non si costituivano in giudizio.
Alla pubblica udienza dell’11 aprile 2019, sulle reiterate conclusioni del difensore di parte appellante, la causa veniva riservata per la decisione.
DIRITTO
1.- L’appello non è fondato e merita di essere respinto.
2.- Giova esaminare prioritariamente, per comodità espositiva, le doglianze con le quali l’appellante imputa alla sentenza di aver disconosciuto l’attitudine del provvedimento autorizzativo al potenziamento dell’impianto a veicolare implicito rinnovo alla concessione in essere, traendone il contestato corollario: a) che, legittimamente o meno, il relativo procedimento non si sarebbe perfezionato, di tal che avrebbe dovuto essere, a tal fine, esperito il rimedio avverso la serbata inerzia (ovvero l’alternativa impugnazione del provvedimento autorizzatorio in quanto, per il suo contenuto decisorio, solo parzialmente satisfattivo); b) che, di conserva, la sopravvenuta normativa tecnica, applicabile ratione temporis, giustificava il parere ostativo e la sua pedissequa e reiettiva presa d’atto.
2.1.- Osserva il Collegio che, in termini generali, la possibilità di una determinazione assentiva assunta in via implicita non può essere astrattamente negata.
2.1.1.- Vero è che, secondo un diffuso e diverso intendimento, i principi generali (e – segnatamente – l’obbligo di definizione di ogni procedimento con provvedimento “espresso” ex art. 2 l. n. 241/1990 e quello di accompagnare ogni determinazione amministrativa da articolato supporto giustificativo ex art. 3 l. cit.) testimonierebbero quanto meno della necessità di superare il tradizionale orientamento (elaborato sulla scorta della teoria negoziale, fondata sul parallelismo tra la formazione della volontà amministrativa in forma procedimentale e quella propria delle manifestazioni di autonomia privata) che ammette manifestazioni di volontà tacite o per comportamento concludente: ciò che, sotto concorrente profilo, troverebbe conferma, per un verso, nella previsione generale di nullità dell’atto amministrativo per difetto di elementi “essenziali”, tra i quali non potrebbe non annoverarsi la forma dichiarativa esplicita (cfr., oggi, l’art. 21 septies l. cit., peraltro espressivo di regola già desumibile dal sistema) e, per altro verso, nella regola che impone, ai fini dell’adozione di misure a contenuto reiettivo, la formalizzazione di apposito e strumentale preavviso, preordinato alla attivazione del contraddittorio, che la decisione è vincolata a prendere in motivata considerazione (art. 10 bis l. cit.).
2.1.2.- Sul punto, vale nondimeno ribadire – in conformità ad un orientamento consolidato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 gennaio 2019, n. 589; Id., sez. V, 19 febbraio 2018, n. 1034; Id., sez. IV, 24 aprile 2018, n. 2456; Id., sez. V, 31 marzo 2017, n. 1499; Id., sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2112) – che l’astratta ammissibilità del provvedimento implicito non può essere negata, qualora l’Amministrazione, pur non adottando formalmente la propria determinazione, ne determini univocamente i contenuti sostanziali, o attraverso un contegno conseguente, ovvero determinandosi in una direzione, anche con riferimento a fasi istruttorie coerentemente svolte, a cui non possa essere ricondotto altro volere che quello equivalente al contenuto del corrispondente provvedimento formale non adottato: le quante volte, cioè, emerga senza equivoco un collegamento biunivoco tra l’atto adottato o la condotta tenuta e la determinazione che da questi si pretende di ricavare, onde quest’ultima sia l’unica conseguenza possibile della presupposta manifestazione di volontà .
2.1.3.- Benvero, non osta alla ribadita conclusione:
a) né l’art. 2 della l. n. 241/1990, il quale – avuto riguardo alla sua complessiva ratio, preordinata a precludere la facoltà di assumere e serbare comportamenti inerti all’esito della attivazione del procedimento – intende solo imporre una definitiva determinazione, ma non ne sancisce le necessarie modalità formali (onde “espresso”, nella semantica della disposizione, non deve ritenersi sinonimo di “esplicito”);
b) né l’art. 21 septies, che – nella parte in cui evoca la nullità per l’ipotesi di assunzione in assenza dei requisiti formali – si riferisce esclusivamente, sotto un primo profilo, ai formalismi espressamente previsti dal paradigma normativo di riferimento (arg. etiam ex art. 11 l. cit., quanto agli accordi surrogatori di provvedimento) e, comunque, alle ipotesi in cui la carenza manifestativa incida, radicalmente, sull’insieme delle caratteristiche esteriori necessarie alla qualificazione dell’atto (forma essenziale): il che trova conferma non solo nel principio generale, valido anche in diritto amministrativo, della libertà delle forme, ma anche nel (correlativo e) generale canone antiformalistico positivamente scolpito all’art. 21 octies, comma 2, nella sua comprensiva attitudine a dequotare, a fini di invalidazione, i requisiti di “forma degli atti”;
c) né l’art. 3, che – legittimando espressamente la motivazione per relationem – autorizza a prefigurare l’eventualità che il supporto giustificativo di contegni circostanziatamente concludenti risulti da atti amministrativi sottostanti, idonei a prefigurare una (necessaria) relazione di presupposizione;
d) né l’art. 10 bis, il quale – di là da ogni altro rilievo – è diffusamente interpretato (ancora e di nuovo alla luce dell’art. 21 octies cit.) nel senso che la violazione dell’obbligo formale partecipativo non assume attitudine invalidante, in difetto di prospettica allegazione, ad infringendum, di fatti od elementi idonei ad inficiare le conclusioni assunte con il provvedimento impugnato.
2.1.4.- Alla luce delle esposte premesse, la problematica del provvedimento amministrativo implicito si riduce, allora, alla prefigurazione delle sue condizioni di ammissibilità (ovvero dei presupposti di fatto idonei alla ricostruzione, in via inferenziale, della volontà tacita dell’amministrazione).
La giurisprudenza elaborata in materia pretende, sul punto (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. V, n. 589/2019 cit.):
a) che debba pregiudizialmente esistere, a monte, una manifestazione espressa di volontà (affidata ad un atto amministrativo formale o anche ad un comportamento a sua volta concludente), da cui possa desumersi l’atto implicito: e ciò in quanto la rilevanza relazionale dei comportamenti amministrativi deve essere apprezzata, in termini necessariamente contestualizzati, nel complessivo quadro dell’azione amministrativa;
b) che, per un verso, la manifestazione di volontà a monte provenga da un organo amministrativo competente e nell’esercizio delle sue attribuzioni e, per altro verso, nella stessa sfera di competenza rientri l’atto implicito a valle (non palesandosi, in difetto, lecita la valorizzazione del nesso di presupposizione);
c) che non sia normativamente imposto il rispetto di una forma solenne, dovendo operare il generale principio di libertà delle forme (arg. ex art. 21 septies cit.);
d) che dal comportamento deve desumersi in modo non equivoco la volontà provvedimentale, dovendo esistere un collegamento esclusivo e bilaterale tra atto implicito e atto presupponente, nel senso che l’atto implicito deve essere l’unica conseguenza possibile di quello espresso (non potendo attivarsi, in difetto, il meccanismo inferenziale di necessaria implicazione);
e) che, in ogni caso, emergano e factis (avuto riguardo al concreto andamento dell’iter procedimentale e alle effettiva acquisizioni istruttorie: cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 1034/2018 cit.) gli elementi necessari alla ricostruzione del potere esercitato.
2.2.- Sulle esposte premesse, non può ritenersi che, nel caso di specie, l’autorizzazione al potenziamento dell’impianto, adottata con provvedimento n. 297/1984, potesse concretare implicito rinnovo della concessione.
Vi osta – per quanto ricorrano le alte condizioni, ivi compresa la competenza, ratione temporis, dell’organo decidente e la prospettica coerenza ed utilità delle strumentali e favorevoli acquisizioni istruttorie – il necessario nesso di esclusività, che consenta di desumere (non solo nella prospettiva pratica dell’id quod plerumque accidit, ma nella prospettiva logica della impensabilità, secondo stringente coerenza inferenziale, di una decisione separata ed indipendente) dall’assenso alla realizzazione di impianto automatizzato (self service) l’automatica proroga del rapporto concessorio in essere.
Nulla esclude in effetti, per quanto la circostanza possa risultare disfunzionale (ma, allora, avrebbe per l’appunto, come ritenuto dal primo giudice, dovuto avere seguito giurisdizionale), il consenso prestato alla modifica dell’impianto operasse in un contesto procedimentale ancora aperto alla definizione della pratica di rinnovo della concessione, obiettivamente e notoriamente più articolata e complessa e, soprattutto, plausibilmente affidata, anche per ragioni di certezza e di opponibilità, ad un successivo e formale momento decisionale.
2.3.- Di conseguenza, l’impianto censorio deve essere, per questo decisivo profilo, disatteso.
3.- Anche la seconda doglianza, con la quale l’appellante reitera, in difetto di disamina in prime cure, la censura di incompetenza (il diniego di rinnovo sarebbe, invero, spettato alla Giunta, e non all’Assessore), non può, per distinto profilo, essere accolta.
Vi osta – una volta acclarato, in virtù del parere negativo reso dall’ANAS, alla luce delle norme tecniche sopravvenute, ostative all’accoglimento dell’istanza – il generale canone antiformalistico (applicabile, trattandosi di regola di matrice processuale, anche alle vicende amministrative insorte antecedentemente alla sua introduzione) di cui all’art. 21 octies l. n. 241/1990, che preclude l’invalidazione di decisioni che, alla luce delle emergenze istruttorie e documentali, non avrebbero potuto, in presenza di vincolati profili ostativi, sortire esito prospetticamente alternativo (anche in relazione al vizio di incompetenza, da riguardarsi come formale: cfr. Cons. Stato, sez. VI, 6 novembre 2006, n. 6521).
4.- Alla luce delle esposte considerazioni, l’appello deve essere respinto.
Nulla per le spese, in difetto di costituzione delle parti intimate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 aprile 2019 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere
Angela Rotondano – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere, Estensore
Alberto Urso – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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