Associazione per delinquere di stampo mafioso ed estorsione

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|10 settembre 2021| n. 33703.

Associazione per delinquere di stampo mafioso ed estorsione.

Per la sussistenza del delitto previsto dall’art. 611 cod. pen. è sufficiente che la violenza o la minaccia sia idonea, nel momento in cui viene esercitata, a determinare altri a commettere un fatto costituente reato, non essendo necessario che il reato-fine sia consumato o tentato.

Sentenza|10 settembre 2021| n. 33703. Associazione per delinquere di stampo mafioso ed estorsione

Data udienza 17 marzo 2021

Integrale

Tag – parola: Associazione per delinquere di stampo mafioso – Estorsione – Usura – Minaccia o violenza per costringere a commettere reato – Circostanze aggravanti – Condanna – Continuazione – Presupposti – Elementi probatori – Valutazione del giudice di merito – Articolo 416 bis comma 1 cp – Determinazione della pena – Parametri

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IASILLO Adriano – Presidente

Dott. FIORDALISI Domenico – Consigliere

Dott. CASA Filippo – Consigliere

Dott. LIUNI Teresa – Consigliere

Dott. CAPPUCCIO Daniele – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/04/2020 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere CAPPUCCIO DANIELE;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COCOMELLO ASSUNTA, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ dei ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ed il rigetto dei residui ricorsi;
uditi i difensori:
avv. (OMISSIS), che conclude riportandosi all’atto di impugnazione chiedendone l’accoglimento;
avv. (OMISSIS), che conclude riportandosi ai motivi di ricorso;
avv. (OMISSIS), che conclude riportandosi ai motivi di ricorso ed insistendo per l’accoglimento;
avv. (OMISSIS), che conclude chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata per i motivi espressi in ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28 aprile 2020 la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma di quella con la quale, il 4 ottobre 2018, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva condannato (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) a pene variamente determinate per i reati di associazione mafiosa, estorsione aggravata, tentata e consumata, usura aggravata, minaccia o violenza per costringere a commettere un reato aggravata, ha:
– rideterminato la pena irrogata a (OMISSIS) e (OMISSIS) in cinque anni di reclusione e 850 Euro di multa ciascuno;
– rideterminato, previo riconoscimento della continuazione tra i reati ascritti ai capi M) e N), la pena irrogata a (OMISSIS) in sei anni di reclusione e 12.000 Euro di multa;
– rideterminato la pena irrogata a (OMISSIS) in dieci anni di reclusione;
– rideterminato la pena irrogata a (OMISSIS) in quattro anni e dieci mesi di reclusione e 13.000 Euro di multa, revocando, per l’effetto, le sanzioni accessorie applicate dal primo giudice ed applicando quella dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni;
– rideterminato la pena irrogata a (OMISSIS) in diciotto anni di reclusione;
– assolto (OMISSIS) dal reato ascrittogli al capo A) per non aver commesso il fatto, rideterminando, nei suoi confronti, la pena in cinque anni e dieci mesi di reclusione e 15.000 Euro di multa;
– dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) in ordine ai reati ascrittigli per morte dell’imputato;
– confermato la sentenza appellata nei riguardi di (OMISSIS) e (OMISSIS), che ha condannato alle spese processuali del grado;
– confermato, nel resto, l’impugnata sentenza.
2. Il procedimento penale nell’ambito del quale e’ stata emessa la sentenza impugnata attiene alle attivita’ illecite commesse, fino alla meta’ del 2015, da un gruppo di soggetti residenti nella cittadina di Maddaloni e gravitanti nell’orbita del clan camorristico denominato “(OMISSIS)”, capeggiato dai fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS).
Le contestazioni attengono, in particolare, alla partecipazione associativa di alcuni soggetti nonche’ a reati – di estorsione, usura e, in un caso, violenza o minaccia per costringere a commettere un reato – perpetrati avvalendosi del metus proprio del sodalizio ed al fine di agevolarne l’attivita’.
Le fonti di prova sono costituite dalle dichiarazioni rese da talune persone offese e dall’imputato, divenuto collaboratore di giustizia, (OMISSIS), nonche’ dagli esiti di attivita’ investigativa tradottasi nell’esecuzione di operazioni di intercettazione telefonica ed ambientale ed in paralleli servizi di osservazione, pedinamento e controllo.
3. (OMISSIS), condannato alla pena di quattro anni ed otto mesi di reclusione e 2.000 Euro di multa perche’ ritenuto responsabile dell’estorsione commessa in danno di (OMISSIS) e contestata al capo I), propone, con l’assistenza dell’avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Con il primo motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di appello confermato il giudizio di attendibilita’ espresso dal primo giudice nei confronti della persona offesa, a sua volta dedita all’illecito e poco affidabile, e, al contempo, disatteso la, pur credibile, versione alternativa che egli ha tempestivamente offerto.
Ulteriormente, rileva che, pure accettando che sia stato (OMISSIS) a proporre a (OMISSIS) (il quale, peraltro, non risulta essere stato sottoposto ad indagini per il reato sanzionato dall’articolo 642 c.p.) la promozione della truffa in danno dell’assicurazione, non vi e’ prova che la richiesta, da parte di (OMISSIS), di versamento della somma pattuita sia stata accompagnata da azioni violente, minatorie o, comunque, tali da coartare la volonta’ della presunta vittima.
Ne’, aggiunge, puo’ essere posto a suo carico il fatto che (OMISSIS), approfittando della situazione, abbia proposto a (OMISSIS), in sua (di (OMISSIS)) assenza, la rateizzazione del debito merce’ la corresponsione di una somma piu’ elevata e comprensiva di interessi, cosi’ adottando una iniziativa del tutto autonoma e slegata da quella, scevra, ribadisce, da toni intimidatori, da lui posta in essere.
Con il secondo motivo, deduce violazione di legge per avere la Corte di appello ritenuto la sussistenza dell’aggravante ex articolo 416-bis c.p., comma 1, senza considerare che (OMISSIS), nell’eseguire il tentativo di mediazione che si assume essergli stato da lui demandato, agi’ a titolo individuale e senza in alcun modo evocare la caratura criminale propria o della sua famiglia.
Con il terzo ed ultimo motivo, eccepisce, in chiave di violazione di legge e vizio di motivazione, che la Corte di appello abbia illegittimamente disatteso la richiesta di rinnovazione istruttoria mediante audizione di (OMISSIS), genero di (OMISSIS), il quale avrebbe potuto riferire del segmento della vicenda che aveva visto il suocero rifiutare la consegna a (OMISSIS) di una parte della somma liquidatagli a titolo risarcitorio.
4. (OMISSIS), condannato alla pena di cinque anni di reclusione e 850 Euro per la tentata estorsione ai danni di (OMISSIS) contestata al capo E), propone, con l’assistenza dell’avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato a sette motivi.
Con il primo motivo, eccepisce vizio di motivazione per essere stata affermata la sua penale responsabilita’ a dispetto dei dubbi residuati in ordine alla sua partecipazione all’episodio, provata sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, sul punto tutt’altro che univoche ed individualizzanti.
Con il secondo motivo, lamenta vizio di motivazione per essere stata applicata la circostanza aggravante prevista dall’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3), sebbene egli, al pari di (OMISSIS), sia risultato estraneo al sodalizio mafioso nel quale militava, invece, il mandante (OMISSIS).
Con il terzo motivo, deduce vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante ex articolo 416-bis c.p., comma 1 applicata quantunque la somma della quale e’ stato richiesto il pagamento non fosse destinata ad alimentare le casse del clan ne’ possa dirsi che egli abbia fatto scientemente ricorso al c.d. metodo mafioso.
Con il quarto motivo, eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di appello applicato le aggravanti, tra di loro incompatibili, previste, rispettivamente dall’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3) e articolo 416-bis c.p., comma 1.
Con il quinto motivo, deduce vizio di motivazione per avere la Corte di appello omesso di spiegare come e’ pervenuta alla determinazione della pena e, in particolare, quale riduzione abbia operato ai sensi dell’articolo 56 c.p..
Con il sesto motivo, lamenta vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che i giudici di merito hanno ancorato a considerazioni di mera apparenza, senza tener conto dei fattori che, in concreto, avrebbero consigliato la mitigazione del trattamento sanzionatorio.
Con il settimo ed ultimo motivo, eccepisce che la pena e’ stata erroneamente calcolata, per essere stata duplicata la valutazione della circostanza aggravante ex articolo 628 c.p., comma 3, n. 3, che determina l’applicazione di una cornice edittale autonoma rispetto a quella dell’estorsione non aggravata.
5. (OMISSIS), condannato alla pena di cinque anni di reclusione e 850 Euro per la tentata estorsione ai danni di (OMISSIS) contestata al capo E), propone, con l’assistenza dell’avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
Con il primo motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di appello travisato le dichiarazioni della persona offesa (OMISSIS) nella parte in cui egli riferisce che, in occasione dell’incontro con (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), i Carabinieri si trovavano, in borghese, a distanza di appena 150 metri, circostanza che ha inciso sulla ricostruzione del significato probatorio della dichiarazione di (OMISSIS), rendendola illogica.
Con il secondo motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per essere stata applicata la circostanza aggravante prevista dall’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3), sebbene egli, al pari di (OMISSIS) e di (OMISSIS), sia risultato estraneo al sodalizio mafioso nel quale militava, invece, il mandante (OMISSIS) e quantunque la richiesta estorsiva sia stata avanzata dal solo (OMISSIS).
Con il terzo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante ex articolo 416-bis c.p., comma 1 applicata in difetto della prova che egli fosse a conoscenza del fatto che la somma della quale e’ stato richiesto il pagamento sarebbe stata destinata ad alimentare le casse del clan e senza che egli, estraneo alla fase esecutiva, abbia fatto scientemente ricorso al c.d. metodo mafioso.
Con il quarto ed ultimo motivo, lamenta vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che i giudici di merito hanno ancorato a considerazioni di mera apparenza, senza tener conto dei fattori che, in concreto, avrebbero consigliato la mitigazione del trattamento sanzionatorio.
6. (OMISSIS), condannato alla pena di sei anni di reclusione e dodicimila Euro di multa perche’ ritenuto responsabile dei reati di violenza o minaccia per costringere a commettere un reato ed usura, di cui ai capi M) e N), propone, con l’assistenza dell’avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
Con il primo motivo, eccepisce vizio di motivazione per avere la Corte di appello ritenuto la consumazione del reato sanzionato dall’articolo 611 c.p. a dispetto del fatto che le pressioni esercitate nei confronti di (OMISSIS) erano destinate all’ipotetica commissione di un reato di favoreggiamento che, quand’anche fosse stato commesso, non sarebbe stato punibile, stante l’operativita’ dell’esimente ex articolo 384 c.p..
Con il secondo motivo, lamenta vizio di motivazione per avere la Corte di appello fondato la decisione in merito al contestato delitto di usura sulla scorta, tra l’altro, delle dichiarazioni del suocero (OMISSIS), il quale non avrebbe potuto essere escusso quale testimone – se non previa esecuzione dell’avvertimento di cui all’articolo 199 c.p., – perche’ a lui legato da rapporti di parentela.
Addebita, ulteriormente, ai giudici di merito di avere male interpretato il compendio probatorio attribuendogli un ruolo di concorrente nel reato di usura, perpetrato da (OMISSIS) ai danni di (OMISSIS) ad onta del fatto che egli, secondo quanto emerge, in particolare, dalle intercettazioni, non ha apportato alcun contributo di tipo morale o materiale.
Con il terzo motivo, deduce vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante di cui all’articolo 416-bis c.p., comma 1, ritenuta sussistente sebbene egli si sia, in un caso, rivolto a (OMISSIS) ignorando quali fossero i termini del rapporto tra la vittima dell’usura e (OMISSIS) e, nell’altro, abbia agito per aiutare il suocero a procurarsi la somma di denaro di cui questi aveva bisogno e cercato, successivamente, di convincere (OMISSIS) ad accettare, in restituzione, una somma inferiore a quella pretesa.
Con il quarto motivo, deduce vizio di motivazione per avere la Corte di appello fissato la pena base per il delitto di usura in misura largamente superiore al minimo edittale senza spiegare in modo convincente le ragioni che hanno orientato tale determinazione.
Con il quinto ed ultimo motivo, lamenta vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che i giudici di merito hanno ancorato a considerazioni di mera apparenza, senza tener conto dei fattori che, in concreto, avrebbero consigliato la mitigazione del trattamento sanzionatorio.
7. (OMISSIS)Vittorio (OMISSIS), condannato alla pena di dieci anni di reclusione per il delitto associativo contestato al capo A), propone, con l’assistenza dell’avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale lamenta che la Corte di appello abbia rigettato il motivo di impugnazione relativo all’applicazione delle circostanze attenuanti generiche senza tener conto del suo positivo contegno processuale, tradottosi nella rinunzia a tutti i motivi di appello, fatta eccezione per quelli attinenti al trattamento sanzionatorio, e nell’ammissione dei fatti ascrittigli.
8. (OMISSIS), condannata alla pena di quattro anni e dieci mesi di reclusione e 13.000 Euro di multa per il delitto di usura aggravata nei confronti di (OMISSIS), contestato al capo F) propone, con l’assistenza dell’avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Con il primo motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di appello ritenuto la sua penale responsabilita’ in ordine al reato a lei ascritto mutuando le illogiche considerazioni gia’ svolte dal giudice di primo grado in ordine alla credibilita’ delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in dibattimento cosi’ come durante le indagini preliminari, alla consapevolezza della natura usuraria del rapporto intercorso tra (OMISSIS) ed il marito (OMISSIS) – il quale, pur ammettendo l’addebito, ha espressamente escluso che ella vi abbia concorso – nonche’ al contenuto delle conversazioni intercorse con il marito ed intercettate mentre egli era ristretto in carcere.
Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante ex articolo 416-bis c.p., comma 1, applicata in difetto della prova che ella fosse a conoscenza del fatto che il profitto del reato sarebbe stato destinato ad alimentare le casse del dan e che i versamenti indebiti sarebbero stati frutto del ricorso al c.d. metodo mafioso.
Con il terzo ed ultimo motivo, lamenta vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che i giudici di merito hanno ancorato a considerazioni di mera apparenza, senza tener conto dei fattori che, in concreto, avrebbero consigliato la mitigazione del trattamento sanzionatorio.
9. (OMISSIS), condannato alla pena di un anno e quatto mesi di reclusione e seicento Euro di multa, stabilita a titolo di continuazione con altro reato, per l’estorsione contestata al capo B) propone, con l’assistenza dell’avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di appello negato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche senza tener conto della positiva evoluzione della sua personalita’ e dell’ottimo comportamento tenuto in sede sia processuale che extraprocessuale.
10. (OMISSIS), condannato alla pena di diciotto anni di reclusione quale esponente, con ruolo qualificato, dell’associazione mafiosa contestata sub A) e per un gran numero di reati-fine, propone, con l’assistenza dell’avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Con il primo motivo, eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione per avere i giudici di merito ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante prevista dall’articolo 416-bis c.p., comma 6, in difetto dei relativi elementi costitutivi.
Con il secondo motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di appello applicato, a titolo di continuazione, aumenti sproporzionati per eccesso rispetto alla pena stabilita per il reato associativo, da ridursi in forza dell’accoglimento del primo motivo, ed operando, contraddittoriamente, la riduzione in relazione solo a due dei reati-satellite.
Con il terzo ed ultimo motivo, lamenta vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che i giudici di merito hanno ancorato a considerazioni di mera apparenza, senza tener conto dei fattori che, in concreto, avrebbero consigliato la mitigazione del trattamento sanzionatorio.
11. (OMISSIS), condannato alla pena di cinque anni e dieci mesi di reclusione e 15.000 Euro di multa per la tentata estorsione di cui al capo E) e l’usura di cui al capo H) propone, con l’assistenza dell’avv. (OMISSIS), ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
Con il primo motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di appello ritenuto la sua penale responsabilita’ in ordine al reato di estorsione mutuando le illogiche considerazioni gia’ svolte dal giudice di primo grado in ordine alla credibilita’ delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in dibattimento cosi’ come durante le indagini preliminari, ai negativi riscontri costituiti dalle conversazioni captate e dalle dichiarazioni di (OMISSIS), alla consapevolezza della natura estorsiva del rapporto intercorso tra il fratello (OMISSIS) (il quale ha ammesso l’addebito) e (OMISSIS).
Con il secondo motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte di appello ritenuto la sua penale responsabilita’ in ordine al reato di usura dando illogicamente credito alle originarie dichiarazioni della vittima, che le ha confermate in dibattimento solo a seguito di formale contestazione, nonche’ ad una conversazione telefonica suscettibile di diversa e lecita interpretazione.
Con il terzo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla circostanza aggravante ex articolo 416-bis c.p., comma 1, applicata in difetto della prova che egli fosse a conoscenza del fatto che il profitto dei reati sarebbe stato destinato ad alimentare le casse del clan (cio’ che, con riferimento al delitto di usura, dovrebbe in radice escludersi, trattandosi di iniziativa che, come confermato anche da (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) aveva promosso in autonomia rispetto al sodalizio criminoso di appartenenza) e che i versamenti indebiti sarebbero stati frutto del ricorso al c.d. metodo mafioso.
Con il quarto motivo, lamenta vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che i giudici di merito hanno ancorato a considerazioni di mera apparenza, senza tener conto dei fattori che, in concreto, avrebbero consigliato la mitigazione del trattamento sanzionatorio.
Con il quinto ed ultimo motivo, eccepisce che la pena sia stata erroneamente calcolata, avendo la Corte di appello indicato in un terzo l’aumento della pena ex articolo 416-bis c.p., comma 1, poi effettivamente quantificato in misura eccedente di due mesi il terzo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) sono passibili di rigetto, mentre quelli di (OMISSIS), (OMISSIS)Vittorio (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) vanno dichiarati inammissibili.
2. Il ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile perche’ incentrato su doglianze manifestamente infondate o non consentite.
2.1. I giudici di merito (cfr. sentenza di primo grado, pagg. 41-45, e di appello, pagg. 5-8) hanno concordemente valorizzato, in relazione al capo I), il contributo della persona offesa (OMISSIS), che ha riferito che, dopo avere commesso, su input di ed in concorso con (OMISSIS), una truffa assicurativa dalla quale aveva tratto un profitto complessivo di circa settemila Euro, ha rifiutato di corrispondere al correo la somma da lui pretesa e di essere stato, pertanto, destinatario di pressioni estorsive, operate, su incarico di (OMISSIS), da (OMISSIS), dal quale era stato, in sostanza, costretto a soddisfare, almeno in parte, le indebite pretese di (OMISSIS).
Hanno, invece, reputato inattendibile la versione dell’imputato, a dire del quale la somma in ordine al cui versamento era insorta contestazione rappresentava la provvigione concordata per il suo interessamento alla pratica finalizzata ad ottenere un risarcimento che egli riteneva dovuto, mentre il successivo intervento di (OMISSIS) prescindeva da logiche di tipo estorsivo o, comunque, criminale.
La Corte di appello, nel replicare alle obiezioni mosse con l’atto di impugnazione, ha tratto conferma dell’attendibilita’ della persona offesa, oltre che dall’assenza di apprezzabili motivi di risentimento nei confronti degli accusati, dal fatto che (OMISSIS) ha riferito di avere organizzato unitamente a (OMISSIS) una truffa assicurativa, inscenando un sinistro in realta’ mai avvenuto, cosi’ rendendo dichiarazioni che lo espongono al rischio di essere, a sua volta, coinvolto in un procedimento penale; tanto, peraltro, in linea con la storia criminale dello stesso (OMISSIS), gravato da svariati precedenti per reati contro il patrimonio e, segnatamente, truffa.
Ha aggiunto che l’esposizione debitoria maturata da (OMISSIS) verso (OMISSIS) e’ difficilmente ricollegabile alla cooperazione dell’imputato in una ordinaria e lecita pratica di risarcimento del danno da sinistro stradale, che si sarebbe risolta, a dire di (OMISSIS), nel prestare ausilio in attivita’ che (OMISSIS) avrebbe ben potuto compiere in totale autonomia, mentre e’ di gran lunga piu’ logico ritenere, in adesione alla prospettazione della vittima, che il debito di cui (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno preteso l’adempimento avesse causa illecita.
Ha rilevato, ulteriormente, che (OMISSIS) si e’ indotto ad effettuare una prestazione che egli, altrimenti, avrebbe rifiutato perche’ intimorito dall’intromissione di (OMISSIS), la cui statura criminale gli era ben nota anche per essere stato, in precedenza, sottoposto dallo stesso (OMISSIS) ad usura ed estorsione.
Ha, quindi, ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante del c.d. “metodo mafioso”, atteso che (OMISSIS), provocando l’intervento di un esponente di spicco della criminalita’ organizzata locale, ha consapevolmente generato nella vittima uno stato di soggezione discendente dalla forza di intimidazione del clan di appartenenza di (OMISSIS).
2.2. Al cospetto di una ricostruzione scevra da tangibili falle razionali e coerente con le emergenze istruttorie, il ricorrente, con il primo motivo, si pone in una prospettiva di mera, sterile confutazione, deducendo che i giudici di merito si sono adagiati sul narrato di (OMISSIS) senza considerare adeguatamente la plausibilita’ della proposta ricostruzione alternativa.
Contesta, in specie, il giudizio di attendibilita’ riservato a (OMISSIS) a dispetto dei suoi trascorsi personali e giudiziari e della sua propensione a disattendere gli impegni economici assunti nei confronti di terzi: circostanze, questa, delle quali, come si e’ detto, la Corte di appello si e’ fatta carico, spiegando perche’, cio’ nonostante, l’apporto di (OMISSIS) supporti l’impostazione accusatoria e consenta di ritenere accertata, al di la’ di ogni ragionevole dubbio, la responsabilita’ di (OMISSIS) in ordine al delitto ascrittogli in concorso con (OMISSIS) (il quale, peraltro, ha, in fase di appello, ammesso l’addebito).
Le obiezioni difensive, volte a segnalare le ragioni che squalificano (OMISSIS) ed il suo contributo processuale, non superano, dunque, la soglia della sollecitazione alla rivalutazione della vicenda, inibita al giudice di legittimita’, il quale e’, piuttosto, deputato a verificare se la sentenza impugnata e’ affetta o meno da uno o piu’ dei vizi elencati all’articolo 606 c.p.p., la cui sussistenza non e’ dato, nel caso di specie, apprezzare.
Il ricorso non merita miglior sorte laddove revoca in dubbio la ravvisabilita’, nella fattispecie, degli elementi costitutivi del delitto di estorsione, che i giudici di merito hanno logicamente inferito dalla effettiva attitudine intimidatoria delle pressioni operate, per conto di (OMISSIS), da (OMISSIS) e dall’ingiustizia del profitto, connesso all’assenza di titolo alcuno, in capo agli agenti, per pretendere la corresponsione di una rilevante quota della somma incassata da (OMISSIS).
Ne’, ancora, pare potersi ipotizzare, come fa il ricorrente, che (OMISSIS) abbia agito in modo estemporaneo ed autonomo ed in difetto di un previo accordo con il mandante il quale, hanno inferito i giudici di merito, si e’ rivolto al parente, autorevole esponente criminale, proprio allo scopo di conseguire, grazie alla caratura delinquenziale del concorrente, un risultato che, sino al quel momento, gli era stato precluso dalla resistenza del preteso debitore, il quale aveva rifiutato di corrispondergli quanto da lui indebitamente reclamato.
La circostanza, da ultimo, che il danno subito dalla vittima attenga, sul piano patrimoniale, al profitto di attivita’ illecita perpetrata con il suo decisivo concorso non incide sulla qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’articolo 629 c.p..
Tale norma incriminatrice presuppone, invero, la produzione, nei confronti dell’estorto, di un danno che deve ritenersi ingiusto anche laddove, come nel caso in esame, la coartazione della liberta’ morale e dell’integrita’ individuale -oggetto di tutela penale al pari del patrimonio (sulla natura plurioffensiva del delitto di estorsione cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 32234 del 16/10/2020, Fanfarilli, Rv. 280173; Sez. 2, n. 46504 del 13/09/2018, B., Rv. 274080) – induce alla corresponsione di una somma che, quale che sia il percorso in esito al quale essa e’ pervenuta nella disponibilita’ della persona offesa, a buon diritto non sarebbe stata consegnata in assenza di violenza fisica o morale.
La giurisprudenza di legittimita’ ha da tempo chiarito, sul punto, che le illecite pressioni volte a coartare la liberta’ di determinazione individuale assumono connotazione tipicamente estorsiva in tutte le ipotesi in cui la pretesa fatta valere con violenza o minaccia non e’ azionabile in sede giurisdizionale (in questo senso, cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 3498 del 30/11/2018, dep. 2019, D., Rv. 274897; Sez. 2, n. 22136 del 19/02/2013, Nisi, Rv. 255727; Sez. 2, n. 25613 del 22/04/2009, Marsala, Rv. 244160).
2.3. Manifestamente infondato e’ il secondo motivo di ricorso, con il quale si eccepisce che, non avendo (OMISSIS) evocato, nei riguardi di (OMISSIS), la propria militanza mafiosa, l’aggravante ex articolo 416-bis c.p., comma 1, non avrebbe potuto essere legittimamente contestata e ritenuta.
La Corte di appello, come sopra gia’ ricordato, ha, infatti, ritenuto che (OMISSIS), frustrato dalla resistenza frapposta da (OMISSIS) alle sue pretese economiche, si rivolse a (OMISSIS), suo parente ed a lui noto quale componente apicale della locale consorteria di camorra, per indurre a piu’ miti consigli la controparte che, a sua volta ben conoscendo chi era il soggetto che lo stava invitando a mutare atteggiamento, si risolse a sottostare al diktat per il timore che, ostinandosi a resistere, avrebbe patito ripercussioni commisurate al rango camorristico dell’interlocutore.
Stando alla ricostruzione dei giudici di merito, della cui legittimita’ non vi e’, si ribadisce, ragione di dubitare, si assiste, quindi, ad un tipico fenomeno di impiego del c.d. “metodo mafioso”, ovvero di commissione del reato “avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis”, cio’ che puo’ avvenire anche senza l’espressa rivendicazione, da parte dell’agente, della propria appartenenza alla criminalita’ organizzata, dato che, come accaduto nel caso in esame, non vi era bisogno alcuno di esplicitare perche’ perfettamente noto alla vittima.
Pertinente appare, al riguardo, il richiamo all’indirizzo ermeneutico secondo cui “La circostanza aggravante prevista dal Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7, convertito in L. 12 luglio 1991, n. 203 (aver commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attivita’ delle associazioni previste dallo stesso articolo) e’ legittimamente desumibile laddove la richiesta economica di natura estorsiva, seppure formulata in maniera implicita, provenga da un soggetto ben noto alla vittima quale associato alla locale malavita organizzata e dedito all’attivita’ estorsiva, salvo che non ricorrano elementi indicativi della riconducibilita’ della indebita richiesta economica ad altri contesti” (Sez. 2, n. 36115 del 27/06/2017, Pacilli, Rv. 271004; Sez. 2, n. 47404 del 30/11/2011, Fisichelia, Rv. 251607).
2.4. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento al terzo ed ultimo motivo di ricorso, con il quale viene censurato il rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria mediante audizione di (OMISSIS), genero di (OMISSIS), il quale si era interessato della pratica assicurativa in esito alla quale era stata liquidata la somma della quale (OMISSIS) reclamava la parziale corresponsione e sarebbe stato presente al momento dell’incasso da parte della persona offesa.
La Corte di appello ha, invero, disatteso l’istanza sul rilievo della superfluita’ dell’approfondimento istruttorio, afferente ad un profilo gia’ compiutamente accertato – il carattere fraudolento dell’iniziativa assunta presso la societa’ assicuratrice – e tale da porre il testimone nella condizione di riferire in ordine ad attivita’ illecita in ipotesi consumata con la sua collaborazione.
Tale valutazione appare, ad onta di quanto obiettato dal ricorrente, insindacabile, perche’ frutto di un giudizio, quello in ordine alla completezza degli accertamenti istruttori ed alla definitiva e sicura ricostruzione dei fatti di interesse processuale e delle relative responsabilita’, che, se, come nel caso di specie, congruamente motivato, si sottrae ad ogni censura in sede di legittimita’, come stabilito, peraltro, dal corrente indirizzo ermeneutico, secondo cui “Il rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello si sottrae al sindacato di legittimita’ quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla responsabilita’” (Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, G., Rv. 280589; Sez. 6, n. 30774 del 16/07/2013, Trecca, Rv. 257741; Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, D.S.B., Rv. 247872).
3. Il ricorso di (OMISSIS) e’ passibile di rigetto perche’ incentrato su motivi infondati.
Il capo e), in relazione al quale e’ stata affermata la responsabilita’ dell’imputato, attiene alla condotta illecita posta in essere in pregiudizio di (OMISSIS), vittima, tra il 2011 ed il 2015, di svariate estorsioni, la piu’ recente delle quali, arrestatasi allo stadio del tentativo, avrebbe visto la partecipazione di (OMISSIS) e (OMISSIS).
(OMISSIS), in particolare, sarebbe stato costretto a versare periodicamente somme di denaro, provenienti dalle numerose truffe che egli aveva commesso per via telematica e dalle quali aveva ricavato un profitto pari, grossomodo, a 50.000 Euro, a (OMISSIS) ed al suo entourage.
Dopo l’arresto di (OMISSIS), l’esazione del profitto delle estorsioni sarebbe stata curata dal fratello (OMISSIS) e, una volta che anche questi era stato privato della liberta’ personale, dal figlio di quest’ultimo, (OMISSIS).
L’8 giugno 2015, poi, (OMISSIS) era stato avvicinato da (OMISSIS), zio di (OMISSIS), il quale, trovandosi in compagnia dei fratelli (OMISSIS) e (OMISSIS), gli aveva intimato, spendendo il nome di (OMISSIS), di consegnare il denaro, per quel mese, nella misura di 410,00 Euro, presso il luogo di lavoro dello stesso (OMISSIS), dovendosi evitare incontri con (OMISSIS), oggetto di presumibile interesse investigativo.
In quella occasione, (OMISSIS) sarebbe stato destinatario della minaccia di una grave ritorsione nel caso di inadempimento, specificamente alludendo al collegamento degli agenti al clan (OMISSIS).
I giudici di merito hanno ricostruito la vicenda sulla base delle dichiarazioni della persona offesa, che hanno ritenuto attendibili ancorche’ condizionate, in dibattimento, dall’imbarazzo tangibilmente palesato dal testimone, e confermate dal tenore delle conversazioni captate, che attesta la sussistenza di un debito in capo a (OMISSIS), e dalle dichiarazioni di (OMISSIS), medio tempore divenuto collaboratore di giustizia.
Per quanto attiene, piu’ specificamente, all’episodio risalente all’8 giugno 2015, denunziato da (OMISSIS) appena tre giorni dopo ai Carabinieri della Compagnia di Maddaloni, i giudici di merito hanno tratto argomento, in funzione di riscontro alla parola della persona offesa, da una conversazione intercettata pochi giorni prima in ambiente carcerario, nel corso della quale (OMISSIS) ha, tra l’altro, incaricato il figlio (OMISSIS) dell’esazione, presso (OMISSIS), di 410,00 Euro.
La responsabilita’ concorsuale dei germani (OMISSIS) e’ stata ritenuta per avere costoro accompagnato (OMISSIS) all’incontro con la vittima, in tal modo rafforzando l’effetto intimidatorio.
La Corte di appello, a fronte delle contestazioni sollevate dall’imputato e dal fratello, ha ribadito che (OMISSIS) e’ attendibile nel momento in cui assume, a distanza di qualche giorno, che i due giovani si erano presentati, unitamente a (OMISSIS), sotto casa sua, e quindi intenzionalmente, cosi’ rendendosi autori di un comportamento sintomatico di piena adesione all’iniziativa estorsiva, posta in essere ad immediato ridosso dell’input del capo (OMISSIS) ed affidata al fratello (OMISSIS) che, essendo, sino a quel momento, rimasto defilato nel contesto criminale, meglio poteva fare le veci del congiunto recluso rispetto al giovane (OMISSIS), che i protagonisti della vicenda temevano essere finito sotto la lente degli investigatori.
3.1. Cio’ posto, il primo motivo di ricorso si risolve nella confutazione delle conclusioni concordemente raggiunte dai giudici di merito e nella riproposizione dei dubbi, gia’ motivatamente disattesi dalla Corte di appello, sulla correttezza del riconoscimento effettuato da (OMISSIS) e sull’effettiva partecipazione di (OMISSIS) ai fatti dell’8 giugno 2015.
In tal modo, il ricorrente invoca, in buona sostanza, la riconsiderazione del giudizio di merito senza, al contempo, enucleare specifici vizi di legittimita’ nella motivazione della sentenza impugnata, che, in coerenza con le emergenze istruttorie e senza incorrere in fratture razionali ne’ contraddittorieta’, sorregge l’affermazione della penale responsabilita’ dell’imputato e del fratello per avere arrecato, con la loro presenza al menzionato incontro, un apporto causalmente efficiente all’impresa criminosa, non coronata da successo per la provvida reazione della vittima, che si rivolse tempestivamente alle forze dell’ordine.
3.2. La sequenza degli accadimenti, per come ricostruita dai giudici di merito, attesta l’infondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso, dovendosi ritenere, in base ad elementari considerazioni di ordine logico, che i due (OMISSIS), all’atto di portarsi nei pressi dell’abitazione di (OMISSIS), fossero perfettamente edotti del mandato che (OMISSIS) aveva conferito al fratello (OMISSIS) il quale, peraltro, non ha mancato, nella circostanza, di chiarire, ove ve ne fosse stata necessita’, che egli ed i suoi accompagnatori si presentavano quali emissari del clan (OMISSIS), del quale (OMISSIS) (il quale, va qui ricordato, ha, in fase di appello, ammesso anche questo addebito) era esponente di spicco, ed cui vantaggio l’illecito, evidentemente, ridondava.
Atteso, allora, che (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno consapevolmente cooperato ad un’estorsione promossa da autorevole esponente di camorra, corretta si palesa la contestazione tanto della circostanza aggravante prevista dall’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3), quanto di quella disciplinata dall’articolo 416-bis.1 c.p., comma 1, nella sua duplice declinazione oggettiva e soggettiva, per essersi gli agenti avvalsi del metodo tipico delle organizzazioni mafiose, l’attivita’ di una delle quali intendevano favorire; coerenti ed esaustive si palesano, sotto questo aspetto, le argomentazioni svolte dalla Corte di appello alla pag. 12 della sentenza impugnata.
In replica, poi, a specifica obiezione difensiva, vertente sull’essere risultati i (OMISSIS) estranei al sodalizio criminoso di appartenenza di (OMISSIS), va ricordato che la giurisprudenza di legittimita’ e’ ferma nel ritenere che “In tema di estorsione, la circostanza aggravante della commissione del fatto ad opera di un partecipe all’associazione di tipo mafioso, non richiede che tutti gli agenti rivestano tale qualita’ e si estende anche ai concorrenti nel reato, trattandosi di circostanza che, ancorche’ soggettiva, attiene alla qualita’ personale del colpevole” (Sez. 5, n. 9429 del 13/10/2016, dep. 2017, Mancuso, Rv. 269365; Sez. 6, n. 41514 del 25/09/2012, Adamo, Rv. 253807; Sez. 1, n. 5639 del 03/11/2005, dep. 2006, Calabrese, Rv. 233839).
3.3. Erra, ancora, il ricorrente nel postulare, con il quarto motivo, la reciproca incompatibilita’ tra le menzionate aggravanti, che, invece, possono essere, ricorrendone i rispettivi elementi costitutivi, congiuntamente applicate.
In questa direzione si colloca, invero, la giurisprudenza di legittimita’, costante nell’affermare che “In tema di rapina ed estorsione, la circostanza aggravante di cui al Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7, convertito in L. 12 luglio 1991, n. 203 puo’ concorrere con quella di cui all’articolo 628, comma 3, n. 3, richiamata dall’articolo 629 c.p., comma 2, in quanto la prima presuppone l’accertamento che la condotta sia stata commessa con modalita’ di tipo mafioso, pur non essendo necessario che l’agente appartenga al sodalizio criminale, mentre la seconda si riferisce alla provenienza della violenza o minaccia da soggetto appartenente ad associazione mafiosa, senza che sia necessario accertare in concreto le modalita’ di esercizio di tali violenza e minaccia, ne’ che esse siano state attuate utilizzando la forza intimidatrice derivante dall’appartenenza all’associazione mafiosa” (Sez. 1, n. 4088 del 06/02/2018, dep. 2019, Poerio, Rv. 275131; Sez. 5, n. 2907 del 23/10/2013, dep. 2014, Cammarota, Rv. 258464; Sez. 6, n. 27040 del 22/01/2008, Aparo, Rv. 241008).
3.4. Privi di pregio sono, infine, i motivi quinto, sesto e settimo, dedicati al trattamento sanzionatorio.
3.4.1. Trattandosi, invero, di reato tentato e pluriaggravato, la Corte di appello, tenuto conto dell’obiettiva gravita’ dei fatti in contestazione, ha stabilito la pena base, gia’ ridotta ex articolo 56 c.p., comma 2, in tre anni di reclusione e 500 Euro di multa (cioe’ all’interno del range edittale previsto per il reato di estorsione tentata e non aggravata, compreso tra un anno ed otto mesi di reclusione e 333 Euro di multa e sei anni ed otto mesi di reclusione e 2666 Euro di multa), la ha aumentata, quanto alla componente detentiva, nella misura minima di un terzo (mentre quella pecuniaria e’ stata aumentata in misura inferiore al minimo di legge, errore non emendabile in assenza di impugnazione) e, ulteriormente e nel rispetto dell’articolo 63 c.p., comma 4, sino a cinque anni di reclusione e 850 Euro di multa.
Il giudice di merito si e’, pertanto, determinato in ossequio al dettato normativo e senza incorrere nella carenza motivazionale adombrata con il quinto motivo di ricorso.
3.4.2. Priva di riscontro appare, del pari, la censura articolata con il settimo motivo, con il quale si ventila, innanzitutto, la duplicata applicazione dell’aggravante ex articolo 629 c.p., comma 2, sul presupposto, che si e’ detto essere stato erroneamente rappresentato, della parametrazione della pena base alla sanzione edittale prevista dall’articolo 629 c.p., comma 2, anziche’ a quella propria dell’estorsione non aggravata.
Nella delineata cornice, va altresi’ respinta la residua doglianza formulata con il settimo motivo, concernente l’applicazione del criterio moderatore previsto dall’articolo 63 c.p., comma 4, – e, in particolare, il rispetto, nella successione degli aumenti, del criterio della gravita’ delle circostanze – che il ricorrente contesta con argomentazioni la cui marcata ed insuperabile genericita’ e’ dato apprezzarsi ove si rilevi che manca, nel ragionamento difensivo, qualsivoglia proposizione in ordine al diverso, ed in ipotesi piu’ favorevole per (OMISSIS), esito del calcolo della pena effettuato in ossequio alla prospettazione del ricorrente, cioe’ considerando, dapprima, la circostanza ex articolo 629 c.p., comma 2 e solo in seconda battuta quella disciplinata dall’articolo 416-bis.1 c.p., comma 2.
3.4.3. Infondato si rivela, da ultimo, il sesto motivo di ricorso, vertente sulla congruita’ della motivazione adottata dai giudici di merito per escludere l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, che l’imputato, si sostiene, avrebbe meritato in ragione della pregressa incensuratezza, la modestia del contributo arrecato, l’estraneita’ a piu’ vasti contesti criminali.
Cosi’ facendo, si invoca, a dispetto di quanto affermato, una diversa e piu’ favorevole interpretazione di circostanze di fatto delle quali i giudici del merito hanno fornito una lettura aliena dal vizio ipotizzato.
Premesso che e’ pacifico, in giurisprudenza, che “In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e’ insindacabile in sede di legittimita’, purche’ sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione” (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va attestato che la Corte di appello ha indicato, alla pag. 13 della motivazione della sentenza impugnata, le ragioni che precludono, a dispetto della formale incensuratezza dell’imputato, l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, riferendosi specificamente all’elevata offensivita’ della condotta illecita posta in essere, costituita dalla partecipazione ad un’iniziativa estorsiva tutt’altro che estemporanea e gestita da accreditati esponenti della locale criminalita’ organizzata, ai quali (OMISSIS) non ha esitato accompagnarsi.
Un iter argomentativo, quello sviluppato dalla Corte di appello, che si mantiene all’interno della fisiologica discrezionalita’ e che non soffre delle incoerenze segnalate dal ricorrente il quale, va ancora una volta ribadito, sollecita un intervento che il giudice di legittimita’ non puo’ compiere al cospetto di una motivazione esente da vizi logici e che tiene debitamente conto delle conquiste processuali.
4. Analoghe valutazioni – con conseguente rigetto – devono essere riservate al ricorso di (OMISSIS), condannato, al pari del fratello, per la tentata estorsione ai danni di (OMISSIS) contestata al capo e), episodio gia’ descritto, in termini generali, nel paragrafo dedicato all’esame della posizione del germano.
4.1. Il primo motivo di ricorso si impernia sul contrasto tra l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l’incontro dell’8 giugno 2015 e’ avvenuto in un’area nella quale non erano presenti forze dell’ordine – sicche’ esso si e’ potuto protrarre per un tempo sufficiente a (OMISSIS) per scorgere i tratti dei soggetti che accompagnavano (OMISSIS) – ed il racconto della persona offesa che, rendendo deposizione all’udienza del 14 settembre 2017, ha riferito che, nell’occasione, la presenza, a distanza di circa 150 metri, di alcuni Carabinieri in borghese aveva inciso sulla rapidita’ del contatto, esauritosi in un paio di minuti.
La contestazione difensiva – che enfatizza il rilievo della discrasia, che attesterebbe, da un canto, la mera occasionalita’ del colloquio, e, dall’altro, l’impossibilita’ per (OMISSIS) di individuare, in pochi secondi, i tratti somatici dei fratelli (OMISSIS), che egli conosceva solo di vista – non coglie nel segno.
La Corte di appello, nell’assumere che, l’8 giugno 2015, non vi erano, diversamente da quanto accaduto il 21 aprile 2015, Carabinieri in prossimita’ del luogo in cui (OMISSIS) ed i (OMISSIS), trovandosi a bordo di una autovettura, incrociarono la vittima dell’estorsione, disattende, in effetti, il narrato di (OMISSIS), nella parte in cui egli riferisce – con affermazione non circostanziata ne’ concretamente verificabile e relativa, comunque, ad un profilo dalla circoscritta rilevanza probatoria – di avere notato la presenza di militi in borghese.
In ogni caso, qualora pure si accetti che, quella sera, i protagonisti dell’incontro furono indotti a contenerne la durata – entro un limite che, a dire il vero, (OMISSIS) indica in due minuti, anziche’ in pochi secondi – dal timore di essere sottoposti a controllo dai Carabinieri, resta fermo che il testimone ha confermato, in aula, di avere avuto la possibilita’ di notare i tratti somatici degli occupanti del veicolo, che ha riconosciuto nei fratelli (OMISSIS).
In tal modo, (OMISSIS) e’ stato autore di una dichiarazione dall’univoco tenore accusatorio, che la Corte di appello, con argomentazioni aliene da vizi di sorta, ha ritenuto attendibile ed idonea, unitamente alle concorrenti emergenze istruttorie, a supportare l’impostazione accusatoria ed attestare, al di la’ di ogni ragionevole dubbio, la consapevole fattiva partecipazione dell’imputato e del fratello all’impresa criminosa, si’ da imporre il rigetto del motivo di ricorso.
4.2. In ordine al secondo ed al terzo motivo, concernenti la sussistenza delle aggravanti rispettivamente previste dall’articolo 629, comma 2 (in relazione all’articolo 628 c.p., comma 3, n. 3), e 416-bis.1 c.p., comma 1, e’ sufficiente rinviare alle considerazioni gia’ svolte nell’analizzare le censure mosse da (OMISSIS) e ribadire, con specifico riferimento all’obiezione del ricorrente – il quale eccepisce di essere stato mero spettatore ad un fulmineo scambio di battute tra soggetti con i quali non condivide l’appartenenza criminale – che la genesi della vicenda e le sue modalita’ esecutive sono state logicamente interpretate dai giudici di merito come espressive tanto della finalizzazione (della quale i (OMISSIS) erano, con ogni evidenza, a parte, stante anche il tenore delle frasi rivolte da (OMISSIS) a (OMISSIS)) dell’azione illecita a vantaggio del clan di cui (OMISSIS) e’ stato esponente di spicco, quanto dell’effettiva evocazione, al fine di costringere il destinatario delle pressioni estorsive al tempestivo ed integrale adempimento dell’obbligazione su di lui gravante, della forza intimidatoria propria del sodalizio mafioso.
4.3. Incensurabile si palesa, infine, la decisione impugnata nella parte in cui rigetta il motivo di appello articolato in merito al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Al riguardo, vale, per (OMISSIS), quanto gia’ statuito per il fratello, la cui posizione e’, in sostanza omogenea, non potendosi, in questa sede, sindacare la preclusiva rilevanza attribuita dai giudici di merito al concreto coefficiente di offensivita’ del reato rispetto ad elementi in se’ privi di decisivita’, quali quelli afferenti all’assenza di precedenti penali, all’esclusione dell’addebito associativo a ed alla vicarieta’ del ruolo assunto dall’imputato nella vicenda.
5. Il ricorso di (OMISSIS) e’ infondato e deve, dunque, essere rigettato.
L’imputato e’ stato condannato, in primo luogo, per avere avvicinato, il 3 giugno 2015, (OMISSIS), in quel periodo sottoposto ad usura da parte di (OMISSIS), e, dopo avergli chiesto se egli si era rivolto ai Carabinieri in relazione al debito maturato verso (OMISSIS) ed avere ricevuto risposta negativa, avergli detto che, laddove fosse stato chiamato dai Carabinieri a riferire in ordine alle dazioni di denaro effettuate nei confronti di (OMISSIS), avrebbe dovuto giustificarle quale adempimento di debiti contratti acquistando merce presso la salumeria gestita dal creditore.
I giudici di merito hanno ritenuto l’attendibilita’ delle propalazioni della vittima, parzialmente riscontrate dallo stesso imputato, il quale, pur negando di avere proferito minacce, ha ammesso di essersi rivolto a (OMISSIS) per sollecitarlo all’adempimento del debito vantato da (OMISSIS).
Hanno, inoltre, stimato l’idoneita’ della condotta serbata dall’imputato ad integrare gli elementi costitutivi del contestato delitto di violenza o minaccia per costringere a commettere un reato.
A tal fine, hanno osservato che l’iniziativa di (OMISSIS) si e’ inserita all’interno di un rapporto usurario nel corso del quale la vittima aveva gia’ patito violenza, anche fisica, e si trovava in condizione di soggezione psicologica nei confronti di (OMISSIS) e dell’intero suo gruppo familiare.
L’immediato accenno di (OMISSIS) al temuto interessamento delle forze dell’ordine tradisce, in questo contesto, la sua piena consapevolezza della causale del prestito e della natura illecita del rapporto sottostante, mentre il tenore dell’intimazione rivolta a (OMISSIS) convince del fatto che, attraverso di essa, il destinatario e’ stato oggetto di una coartazione finalizzata alla commissione, da parte sua, di un reato.
5.1. Con il primo motivo di ricorso, (OMISSIS) obietta che le pressioni da lui esercitate nei confronti di (OMISSIS) erano destinate ad indurlo alla commissione di un reato di favoreggiamento personale in quel frangente, ipotetico ed eventuale e, comunque, non punibile ai sensi dell’articolo 384 c.p..
La doglianza e’ priva di pregio.
La figura criminosa di cui all’articolo 611 c.p. prevede, invero, una forma aggravata del reato di violenza privata che, a differenza di quest’ultima – che si consuma nel momento e nel luogo in cui l’agente ha costretto taluno a fare, tollerare ed omettere qualcosa – si consuma nel momento stesso in cui viene usata la violenza o la minaccia al fine di costringere o determinare altri a commettere un reato, indipendentemente dal fatto che il reato venga poi effettivamente perpetrato.
Ne discende, ha da tempo chiarito la giurisprudenza di legittimita’, che “Per la sussistenza del delitto previsto dall’articolo 611 c.p. e’ sufficiente che la violenza o la minaccia sia idonea, nel momento in cui viene esercitata, a determinare altri a commettere un fatto costituente reato, non essendo necessario che il reato-fine sia consumato o tentato” (Sez. 5, n. 34318 del 19/01/2015, Ielo, Rv. 264992; Sez. 2, n. 9931 del 01/12/2014, dep. 2015, Iovine, Rv. 262567; Sez. 5, n. 38222 del 12/06/2008, Bevilacqua, Rv. 241491).
Tanto basta ad attestare la correttezza, dal punto di vista logico e giuridico, delle argomentazioni spese dai giudici di merito a sostegno della decisione impugnata, incentrate sull’attitudine della minaccia portata da (OMISSIS) ad incidere sull’atteggiamento di (OMISSIS) di fronte agli investigatori, nell’eventualita’, tutt’altro che remota (stante, ricorda la Corte di appello, l’avvenuto avvio di indagini a carico di (OMISSIS)), di una sua audizione, a nulla rilevando, invece, l’esito del procedimento penale che sarebbe scaturito dalla commissione del favoreggiamento indotto dall’intervento di (OMISSIS).
5.2. Il secondo motivo di ricorso concerne l’addebito usurario mosso – oltre che a (OMISSIS), il quale, in fase di appello, ha ammesso la sua responsabilita’ – a (OMISSIS) quale concorrente nel reato perpetrato ai danni del padre della compagna, (OMISSIS), il quale, a fronte di un prestito di 500 Euro, si impegno’ alla corresponsione, a titolo di interessi, di 150 Euro mensili.
Infondata e’, in proposito, la contestazione di ordine processuale, relativa all’omesso avviso, nei confronti di (OMISSIS), della facolta’ di astenersi dal rispondere in quanto congiunto di (OMISSIS) il quale, tuttavia – per quanto si evince dall’atto di ricorso, nel quale si invoca l’estensione della disciplina di cui all’articolo 199 c.p.p. ai rapporti di fatto – e’ padre della compagna di (OMISSIS) e non rientra, quindi, nel novero dei soggetti (tra i quali chi conviva o abbia convissuto con l’imputato, ma non anche i suoi parenti o affini) cui va rivolto, a pena di nullita’, l’avviso previsto dall’articolo 199 c.p.p., comma 2.
Il ricorrente sottopone, quindi, a revisione critica le valutazioni svolte dalla Corte di appello in ordine al suo apporto, morale e materiale, alla consumazione del delitto di usura, rilevando che il prestito fu erogato su richiesta di (OMISSIS), oberato da una situazione di acuta difficolta’ economica, che gli impediva persino di far fronte al pagamento delle utenze casalinghe, e che egli non si e’ mai adoperato per il recupero del credito di (OMISSIS), cercando in ogni modo di tutelare il padre della compagna.
Le predette considerazioni critiche si risolvono, nondimeno, nella pedissequa riproposizione di argomenti gia’ sottoposti all’attenzione della Corte di appello, che li ha disattesi attraverso un percorso argomentativo logico e coerente (cfr. pagg. 15-16 della motivazione della sentenza impugnata) che muove dal riconoscimento della responsabilita’ concorsuale di colui che, rimasto estraneo alla pattuizione usuraria, si attivi per prendere possibile la riscossione degli interessi (in questo senso, cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 40380 del 11/06/2015, Cardamone, Rv. 264887), per affrontare, quindi, funditus il tema dell’apporto, morale e materiale, di (OMISSIS).
I giudici di merito hanno, in specie, rilevato, in termini fedeli alle acquisizioni istruttorie e senza incorrere in manifesta illogicita’ o contraddittorieta’, che (OMISSIS), inizialmente intervenuto su richiesta della vittima, si e’ in seguito interessato alla riscossione del profitto usurario su sollecitazione di (OMISSIS) e nel suo esclusivo interesse, secondo quanto univocamente attestato dalle conversazioni captate nel marzo del 2015 (e, in particolare, di quella delle ore 18:41:33 del (OMISSIS)), cio’ che basta a configurare, a suo carico, una partecipazione causalmente rilevante al delitto di usura, atteso, in specie, che egli era pienamente a parte del contenuto dell’accordo illecito e della natura usuraria degli interessi alla cui riscossione egli ha fattivamente cooperato.
Il motivo e’, pertanto, anche sotto questo aspetto infondato.
5.3. La motivazione della sentenza impugnata resiste ugualmente alle censure articolate dal ricorrente con il terzo motivo e relative alla sussistenza della circostanza aggravante prevista dall’articolo 416-bis.1. c.p., comma 1, in entrambe le sue declinazioni.
Al riguardo, la critica si incentra, da un canto, sul rilievo che (OMISSIS) non pati’ alcuna intimidazione per effetto della velata raccomandazione rivoltagli da (OMISSIS), il quale era peraltro all’oscuro dei precisi termini dei rapporti tra la persona offesa e (OMISSIS), e, dall’altro, sulla peculiarita’ della vicenda che coinvolse (OMISSIS), in cui egli si intromise in ausilio al padre della compagna anziche’ ad una compagine delinquenziale alla quale e’ rimasto sempre estraneo e senza in alcun modo avvalersi della relativa forza intimidatrice.
Tali obiezioni si rilevano, pero’, inidonee, ancora una volta, ad enucleare uno o piu’ vizi di legittimita’ nella decisione impugnata, la cui motivazione appare ossequiosa dei correnti canoni ermeneutici in ordine all’aggravante de qua agitur, sicche’ la doglianza e’ meritevole di rigetto.
La Corte di appello, invero, ha sottolineato, con riferimento alla violenza esercitata in pregiudizio di (OMISSIS), che (OMISSIS) ha agito con tipica metodologia “camorristica”, invitando la vittima ad agire con cautela e, in specie, a tacere in merito alla vicenda usuraria che coinvolgeva il capo del clan ed il figlio, cosi’ implicitamente utilizzando la forza di intimidazione derivante dall’organizzazione malavitosa guidata da (OMISSIS); con l’evidente intento, peraltro, di agevolare l’azione del sodalizio frapponendo ostacoli alle indagini a carico di (OMISSIS) che, in quel frangente, fungeva da portavoce del padre detenuto.
Allo stesso modo, ha osservato, in relazione all’usura perpetrata in danno di (OMISSIS), che questi si e’ determinato a sottostare al giogo usurario in considerazione della caratura criminale di (OMISSIS), per conto del quale (OMISSIS) ha sollecitato la vittima all’adempimento dell’obbligazione, ed aggiunto che il diretto coinvolgimento dell’esponente di vertice della compagine accredita la ricostruzione che vuole l’operazione diretta ad avvantaggiare l’intero gruppo, circostanza che (OMISSIS) ha conosciuto, condiviso e mutuato rendendosi autore della condotta che gli e’ valsa la condanna.
5.4. Il quarto motivo attiene al trattamento sanzionatorio e, precipuamente, alla pena base, fissata nella misura di tre anni di reclusione e 6.000 Euro di multa, superiore al minimo edittale di due anni di reclusione e 5.000 Euro di multa.
Il ricorrente svolge, in proposito, deduzioni manifestamente infondate, afferenti ad un insussistente vizio di motivazione.
Se e’ vero, infatti, che il giudice e’ tenuto ad una motivazione piu’ pregnante laddove intenda distaccarsi, nella commisurazione della pena dal minimo edittale, e, ancor piu’, valicare la media tra il minimo ed il massimo, non puo’ trascurarsi come, nella fattispecie, la pena base sia stata stabilita in misura di poco superiore al minimo e largamente inferiore alla media, pari a sei anni di reclusione e 17.500 Euro di multa, tra minimo e massimo, onde appare appropriato discorrere di sanzione di poco – anziche’ largamente, come preteso dal ricorrente – superiore al minimo, con conseguente inapplicabilita’ del principio di diritto invocato da (OMISSIS).
Ma vi e’ di piu’, giacche’ la Corte di appello ha avuto cura di spiegare che li distacco dal minimo previsto dall’articolo 644 c.p., comma 1, si giustifica in ragione della percentuale, il 30% mensile, di interessi pretesi dalla vittima, in tal modo soddisfacendo l’onere motivatorio mediante un argomento logicamente ineccepibile ancorche’ resistito da quelli spesi dal ricorrente (il quale nota di essere rimasto estraneo alla determinazione dell’aggio e di aver cercato di ottenerne la riduzione) che, pur astrattamente plausibili, non valgono ad attestare la contraddittorieta’ o la manifesta illogicita’ della decisione impugnata.
5.5. Il quinto ed ultimo motivo del ricorso di (OMISSIS) verte sulla congruita’ della motivazione adottata dai giudici di merito per escludere l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, che l’imputato, si sostiene, avrebbe meritato in ragione dell’assenza di personale ritorno economico dalle condotte ascrittegli, dalla marginalita’ dell’apporto garantito, dall’estraneita’ al contesto criminale nel quale le vicende delle quali e’ stato protagonista si sono inserite.
Cosi’ facendo, si invoca, a dispetto di quanto affermato, una diversa e piu’ favorevole interpretazione di circostanze di fatto delle quali i giudici del merito hanno fornito una lettura aliena dal vizio ipotizzato.
Premesso che e’ pacifico, in giurisprudenza, che “In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e’ insindacabile in sede di legittimita’, purche’ sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione” (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va attestato che la Corte di appello ha indicato, alla pag. 17 della motivazione della sentenza impugnata, le ragioni che precludono l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, riferendosi specificamente all’elevata offensivita’ delle condotte illecite poste in essere in stretta sequenza cronologica ed ai palesati collegamenti con la locale criminalita’ organizzata.
Un iter argomentativo, quello sviluppato dalla Corte di appello, che si mantiene all’interno della fisiologica discrezionalita’ e che non soffre delle incoerenze segnalate dal ricorrente il quale, va ancora una volta ribadito, sollecita un intervento che il giudice di legittimita’ non puo’ compiere al cospetto di una motivazione esente da vizi logici e che tiene debitamente conto delle conquiste processuali.
6. L’unico motivo del ricorso di (OMISSIS) verte sulla congruita’ della motivazione adottata dai giudici di merito per escludere l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, che l’imputato, si sostiene, avrebbe meritato in ragione del suo positivo contegno processuale, tradottosi nella rinuncia ai residui motivi di appello e nell’ammissione della responsabilita’ in ordine ai fatti in contestazione.
Cosi’ facendo, si invoca, a dispetto di quanto affermato, una diversa e piu’ favorevole interpretazione di circostanze di fatto delle quali i giudici del merito hanno fornito una lettura aliena dal vizio ipotizzato.
Premesso che e’ pacifico, in giurisprudenza, che “In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e’ insindacabile in sede di legittimita’, purche’ sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione” (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va attestato che la Corte di appello ha indicato, alla pag. 17 della motivazione della sentenza impugnata, le ragioni che precludono l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, riferendosi specificamente all’elevata offensivita’ della condotta illecita posta in essere, costituita dalla duratura partecipazione all’associazione camorristica diretta dal fratello, del quale egli e’ stato uomo di fiducia, nonche’ alla capacita’ a delinquere di (OMISSIS), gia’ condannato in via definitiva perche’ membro di un sodalizio finalizzato al narcotraffico.
La Corte di appello, peraltro, ha tenuto conto, all’atto della determinazione del trattamento sanzionatorio, del contegno serbato dall’imputato e, in particolare, della rinuncia ai motivi di appello afferenti alla responsabilita’ penale, che egli ha, in sostanza, ammesso, riducendo la pena, anche in conseguenza di una piu’ favorevole applicazione dei criteri previsti dall’articolo 133 c.p., da quattordici a dieci anni di reclusione.
Un iter argomentativo, quello sviluppato dalla Corte di appello, che si mantiene all’interno della fisiologica discrezionalita’ e che non soffre delle incoerenze segnalate dal ricorrente il quale, va ancora una volta ribadito, sollecita un intervento che il giudice di legittimita’ non puo’ compiere al cospetto di una motivazione esente da vizi logici e che tiene debitamente conto delle conquiste processuali.
Il ricorso deve essere, dunque, dichiarato inammissibile.
7. Il ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile perche’ incentrato su motivi manifestamente infondati o non consentiti.
L’imputata e’ stata condannata per avere concorso al delitto di usura aggravata perpetrato nei confronti di (OMISSIS).
Il compendio probatorio poggia, in proposito, sulle dichiarazioni della persona offesa e sul contenuto di alcune conversazioni oggetto di intercettazione, attestanti che (OMISSIS) ha ottenuto da (OMISSIS) – il quale, in fase di appello, ha ammesso l’addebito, pur escludendo la responsabilita’ della moglie (OMISSIS) – reiterati prestiti, dell’importo di cento Euro e, in una occasione, di trecento Euro, che ha dovuto restituire con la maggiorazione di interessi in misura compresa tra il 33 ed il 50% mensile.
I giudici di merito hanno ritenuto la responsabilita’ concorsuale della (OMISSIS), moglie di (OMISSIS), reputandola pienamente consapevole della causale delle dazioni e del contenuto dell’accordo illecito e legittimata a ricevere, per conto del marito, i pagamenti del debitore, ed hanno ulteriormente ricordato che, sopravvenuta la detenzione di (OMISSIS), la donna aveva rifiutato l’ennesima richiesta di prestito rivoltale da (OMISSIS).
7.1. Con il primo motivo, la ricorrente contesta il giudizio di attendibilita’ che i giudici di merito hanno riservato alla persona offesa e l’attitudine delle conversazioni intercettate a fungere da riscontro alla sincerita’ di (OMISSIS).
Trattasi di obiezioni che, a dispetto della severita’ dell’approccio critico che le connota, non oltrepassano la soglia della confutazione rispetto al percorso argomentativo concordemente seguito da Tribunale e Corte di appello, che appare ossequioso dei canoni di logica e delle regole che presidiano la valutazione della prova, oltre che coerente con le acquisizioni istruttorie.
La Corte di appello, in specie, alle pagg. 19-21 della motivazione della sentenza impugnata, ha esaustivamente risposto alle eccezioni difensive che, in sostanza, sono state riproposte con il ricorso per cassazione.
Ha spiegato, tra l’altro: che le dichiarazioni originarie di (OMISSIS), confermate in dibattimento ad onta di iniziali titubanze e del goffo tentativo di ridimensionare la reale dimensione della vicenda, ne rispecchiano l’effettivo svolgimento; che non vi e’ ragione di temere che la persona offesa si sia abbandonata alla calunnia, dovendosi, piuttosto, inferire che esitazioni ed apparenti contraddizioni costituiscano il portato del metus esercitato da (OMISSIS), autorevole esponente di potente congrega criminale, su chi, avendo reso agli investigatori dichiarazioni dall’univoco tenore accusatorio, e’ stato chiamato a ripeterle in un pubblico dibattimento; che le intercettazioni danno conto dei solleciti di pagamento rivolti da (OMISSIS) a (OMISSIS), aduso, per contro, a chiedere dilazioni, e dell’invito, formulato da (OMISSIS) al padre in occasione di un colloquio in carcere, ad esercitare pressioni sul debitore per convincerlo all’adempimento.
La Corte di appello ha, del pari, compiutamente ricostruito il ruolo della (OMISSIS), precisando le ragioni che inducono a privilegiare, all’interno della narrazione di (OMISSIS), i passaggi che piu’ nitidamente descrivono la condotta della donna la quale, secondo quanto attestato anche dalla conversazione del 30 aprile 2015, era senz’altro a parte della genesi del debito di (OMISSIS), della misura degli interessi pattuiti, delle pressioni esercitate per indurre la vittima a tener fede al patto sottoscritto ed ha scientemente posto in essere comportamenti, quale la reiterata ricezione dei pagamenti, integranti una cooperazione di sicura rilevanza eziologica (in questo senso, cfr. la gia’ citata Sez. 2, n. 40380 del 11/06/2015, Cardamone, Rv. 264887).
Il calibrato ragionamento articolato dalla Corte di appello resiste, quindi, alle eccezioni difensive, frutto di un diverso apprezzamento delle emergenze istruttorie del tutto inidoneo a giustificare l’intervento censorio del giudice di legittimita’, cui e’ inibita l’effettuata di una autonoma valutazione di merito ed al quale e’, invece, demandato uno stringente controllo sulla rispondenza della motivazione ai prescritti parametri che, nel caso di specie, sortisce esito ampiamente positivo.
7.2. Manifestamente infondato e’, altresi’, il secondo motivo di ricorso, con il quale viene dedotta l’illegittimita’ della contestazione, in chiave sia metodologica che finalistica, dell’aggravante ex articolo 416-bis.1. c.p..
In proposito, possono richiamarsi, per evitare inutili ripetizioni, le considerazioni gia’ svolte trattando il tema con riferimento alle posizioni di (OMISSIS) e (OMISSIS).
Anche la (OMISSIS), invero, ha collaborato ad un’attivita’ della cui illiceita’ ella era edotta, concretatasi nell’imposizione di interessi assolutamente spropositati, che la vittima, afflitta dal bisogno economico, si e’ disposta a pagare perche’ consapevole della caratura camorristica del finanziatore – ovviamente nota anche alla di lui moglie, presente alla stipula degli accordi ed incaricata di ricevere i pagamenti – e, pertanto, condizionata dalla forza intimidatrice promanante dal vincolo associativo.
Ineccepibile si palesa, allo stesso modo, il rilievo, esplicitato dalla Corte di appello, inerente alla destinazione dei proventi dell’usura a beneficio dell’intero clan, oltre che di (OMISSIS), che nell’usura aveva, secondo quanto riferito dai collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS) ed emerso, peraltro, dalle espletate investigazioni, una delle principali fonti di arricchimento.
A dispetto di quanto lamentato dalla ricorrente, la motivazione della sentenza impugnata e’ tutt’altro che apparente, in quanto enuclea in modo convincente gli elementi significativi tanto dell’impiego del c.d. “metodo mafioso” quanto della finalizzazione dell’azione illecita a vantaggio del sodalizio mafioso di appartenenza di (OMISSIS), nonche’ della piena consapevolezza, in capo alla (OMISSIS), della dimensione criminale nella quale il suo comportamento si e’ iscritto e delle tecniche di intimidazione utilizzate in pregiudizio, tra gli altri, di (OMISSIS).
7.3. L’ultimo motivo del ricorso di (OMISSIS) verte sulla congruita’ della motivazione adottata dai giudici di merito per escludere l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
La doglianza e’ manifestamente infondata, perche’ tende ad una diversa e piu’ favorevole interpretazione di circostanze di fatto delle quali i giudici del merito hanno fornito una lettura aliena dal vizio ipotizzato.
Premesso che e’ pacifico, in giurisprudenza, che “In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e’ insindacabile in sede di legittimita’, purche’ sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione” (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va attestato che la Corte di appello ha indicato, alla pag. 21 della motivazione della sentenza impugnata, le ragioni che precludono l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, riferendosi specificamente all’elevata offensivita’ della condotta illecita posta in essere, apprezzata dall’abnorme entita’ degli interessi richiesti e dal contesto di criminalita’ organizzata che fa da sfondo all’attivita’ usuraria, ed ha aggiunto che non si rinviene, nell’imputata, il benche’ minimo di resipiscenza o di positiva evoluzione della sua personalita’.
Un iter argomentativo, quello sviluppato dalla Corte di appello, che si mantiene all’interno della fisiologica discrezionalita’ e che non soffre delle incoerenze segnalate dal ricorrente il quale, va ancora una volta ribadito, sollecita un intervento che il giudice di legittimita’ non puo’ compiere al cospetto di una motivazione esente da vizi logici e che tiene debitamente conto delle conquiste processuali, senza, peraltro, indicare quali elementi, nel caso concreto, avrebbero consigliato o imposto la mitigazione del trattamento sanzionatorio.
Il ricorso deve essere, dunque, dichiarato inammissibile.
8. Il ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile perche’ vertente su motivo manifestamente infondato.
La giurisprudenza di legittimita’ ha da tempo chiarito che “In tema di reati di criminalita’ organizzata, la concessione delle attenuanti generiche e dell’attenuante di cui al Decreto Legge 13 maggio 1991 n. 152, articolo 8, convertito in L. 12 luglio 1991, n. 203, si fondano su distinti e diversi presupposti, sicche’ le prime non escludono, ma nemmeno necessariamente implicano, l’applicazione della seconda, poiche’ l’articolo 62-bis c.p., attribuisce al giudice la facolta’ di cogliere, sulla base di numerosi e diversificati dati sintomatici (motivi che hanno determinato il reato, circostanze che lo hanno accompagnato, danno cagionato, condotta tenuta “post delictum”), gli elementi che possono condurre ad attenuare la pena edittale, mentre l’attenuante di cui alla L. n. 203 del 1991, articolo 8, e’ conseguenza del valido contributo fornito dall’imputato allo sviluppo delle indagini allo scopo di evitare le ulteriori conseguenze della attivita’ delittuosa” (Sez. 2, n. 27808 del 14/03/2019, Furnari, Rv. 276111) e che “Gli elementi posti a fondamento della concessione della circostanza attenuante ad effetto speciale di cui al Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 8, convertito dalla L. 12 luglio 1991, n. 203 (cosiddetta attenuante della “dissociazione attuosa”), non possono essere utilizzati una seconda volta per giustificare anche il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche” (Sez. 6, n. 49820 del 05/12/2013, Billizzi, Rv. 258136).
Nella fattispecie, il ricorrente deduce la contraddittorieta’ della motivazione adottata dai giudici di merito per escludere l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche ed applicare una sanzione non rispondente all’effettivo coefficiente di gravita’ del fatto oggetto di addebito ed alla sua capacita’ a delinquere, ormai stabilmente venuta meno.
Cosi’ facendo, si invoca, a dispetto di quanto affermato, una diversa e piu’ favorevole interpretazione di circostanze di fatto delle quali i giudici del merito hanno fornito una lettura aliena dal vizio ipotizzato.
Una volta ricordato, infatti, che “In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e’ insindacabile in sede di legittimita’, purche’ sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione” (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va attestato come la Corte di appello abbia, con statuizione univoca, ritenuto che l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche sia preclusa dall’insussistenza di elementi di valutazione positivi diversi da quelli che hanno giustificato il riconoscimento dell’attenuante speciale oggi disciplinata dall’articolo 416-bis.1 c.p., comma 3.
Un iter argomentativo, quello sviluppato dalla Corte di assise di appello, che si mantiene all’interno della fisiologica discrezionalita’ e non soffre delle incoerenze segnalate dal ricorrente il quale, va ribadito, sollecita un intervento che il giudice di legittimita’ non puo’ compiere al cospetto di una motivazione esente da vizi logici e che tiene debitamente conto delle conquiste processuali.
9. Il ricorso di (OMISSIS) e’ inammissibile perche’ incentrato su censure manifestamente infondate o non consentite.
L’imputato e’ stato condannato per la tentata estorsione in pregiudizio di (OMISSIS), episodio contestato al capo e) e gia’ trattato, in via generale, all’atto di vagliare la posizione di (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ per il delitto di usura ascrittogli, in concorso con (OMISSIS), al capo h).
Il compendio probatorio si giova, in quest’ultimo caso, dell’apporto della persona offesa, il piastrellista (OMISSIS), il quale ha riferito di avere ottenuto da (OMISSIS), a partire dal 2012, trovandosi in difficolta’ economica, reiterati prestiti, per l’importo complessivo di alcune migliaia di Euro, che aveva restituito con la maggiorazione di interessi, ed ha aggiunto che, sopravvenuta la detenzione di (OMISSIS), si era rivolto, su indicazione di (OMISSIS), a (OMISSIS), con il quale si era incontrato presso la sua falegnameria per concordare tempi e modi dei successivi pagamenti.
9.1. Con il primo motivo di ricorso, (OMISSIS) si duole della patente di attendibilita’ rilasciata a (OMISSIS), dichiarante a uso modo di vedere interessato e poco credibile, e rileva che le conversazioni intercettate danno conto di pregressi rapporti commerciali intercorsi tra (OMISSIS) e (OMISSIS), la cui considerazione consente di inquadrare sotto diversa, lecita, luce l’intera vicenda.
Aggiunge che lo stesso collaboratore di giustizia (OMISSIS) ha reso, all’udienza del 22 febbraio 2018, dichiarazioni che confermano la transazione avente ad oggetto una motocicletta, dalla quale e’ scaturito il debito per il cui adempimento (OMISSIS) ed i suoi congiunti si sono attivati.
Opina che, comunque, l’espletata istruttoria non ha fatto chiarezza in ordine all’effettivo succedersi degli eventi e che non e’ stato, in particolare, accertato, con il prescritto coefficiente di certezza, se ed in quale misura egli abbia avuto contezza della natura illecita delle pretese economiche vantate dal fratello nei confronti di (OMISSIS).
In tal modo, ripropone argomenti gia’ sottoposti all’attenzione della Corte di appello che, alle pagg. 26-27 della sentenza impugnata, li ha respinti con congrua motivazione, cio’ che preclude l’invocato intervento censorio del giudice di legittimita’.
Come gia’ esposto trattando i ricorsi dei germani (OMISSIS), i giudici di merito hanno analizzato funditus l’apporto di (OMISSIS), che hanno ritenuto genuino anche in relazione al segmento che ha visto la partecipazione di (OMISSIS), ed hanno, altresi’, spiegato le ragioni che li hanno indotti a stimare, per contro, l’inattendibilita’ delle giustificazioni offerte dall’imputato, afferenti a lecite operazioni commerciali in ordine alle quali egli non e’ stato in grado di offrire riscontri di sorta.
Al cospetto di un apparato argomentativo che, saldandosi con quello della sentenza di primo grado, offre una ricostruzione completa e lineare della vicenda criminosa ed individua gli specifici tratti della responsabilita’ di (OMISSIS), questi si limita ad esprimere il proprio dissenso richiamando, a sostegno, atti istruttori (quali, ad esempio, il verbale relativo alle dichiarazioni rese da (OMISSIS) innanzi ad altra autorita’ giudiziaria o la conversazione tra (OMISSIS) ed i suoi familiari del 27 maggio 2015) che si astiene dal produrre, in tal modo confezionando un motivo privo, con ogni evidenza, del prescritto requisito di autosufficienza.
9.2. Non dissimili sono le considerazioni da compiersi in relazione al secondo motivo di ricorso, con il quale (OMISSIS) contesta il giudizio di attendibilita’ espresso dai giudici di merito nei confronti della persona offesa e l’attitudine della conversazione del 2 aprile 2015 a fungere da riscontro alle parole della persona offesa.
Il ricorrente rinunzia, anche in questo caso, a confrontarsi con il contenuto della decisione impugnata (cfr. pagg. 28-29) che ha dato puntualmente conto: delle ragioni che inducono a stimare la sincerita’ dell’originaria narrazione di (OMISSIS) il quale, in dibattimento, ha palesato esitazioni, tali da determinare numerose contestazioni di quanto da lui in precedenza riferito, che ben si spiegano in ragione dell’imbarazzo connesso al dover reiterare in pubblica udienza le accuse mosse ai fratelli (OMISSIS); della rilevanza della conversazione del 2 aprile 2015, nella quale (OMISSIS), con fare persuasivo e sibillino, invita (OMISSIS) a portarsi presso la sua falegnameria, cio’ che riscontra in pieno il narrato della vittima; del fatto che il silenzio serbato dai conversanti in ordine all’oggetto dell’incontro e’ piu’ compatibile con la natura illecita della relazione economica che con la necessita’ di regolare, come sostenuto dall’imputato, l’acquisto di mobiletti in legno; dell’inverosimiglianza delle dichiarazioni di (OMISSIS) e del testimone Crocetti, escusso su sua indicazione; della consapevolezza, in capo a (OMISSIS), del fatto che il debito da esigere era scaturito dal prestito usurario erogato dal fratello.
La responsabilita’ dell’imputato e’ stata, allora, affermata dalla Corte di appello all’esito di un compiuto ragionamento che, tenendo conto di tutte le risultanze istruttorie, ha interamente vagliato le obiezioni difensive, che ha disatteso senza incorrere in deficit razionali ne’ travisare le evidenze disponibili, onde manifestamente infondata si palesa la sterile critica del ricorrente, peraltro incentrata, anche in questo caso, sull’evocazione di atti processuali (quale il verbale relativo alla deposizione dibattimentale di (OMISSIS)) dei quali e’ stata omessa l’allegazione.
9.3. Per quanto concerne il terzo motivo, relativo alla contestazione della circostanza aggravante prevista dall’articolo 416-bis.1. c.p., occorre richiamare, in primo luogo, le considerazioni a piu’ riprese gia’ svolte nel delibare i ricorsi di altri imputati in ordine allo sfruttamento, da parte degli agenti, del c.d. “metodo mafioso” ed alla finalizzazione della condotta a vantaggio della compagine di camorra nella quale ha militato, con ruolo qualificato, (OMISSIS).
In questa cornice, il ricorrente introduce obiezioni improntate alla mera rivalutazione, che fanno leva sul personale interesse di (OMISSIS) all’estorsione commessa in pregiudizio di (OMISSIS) e sul legame parentale tra il dominus dell’attivita’ criminosa e l’odierno ricorrente, nonche’ sull’assenza, in capo a quest’ultimo, di autonoma caratura delinquenziale.
Osservazioni, queste, che non valgono a destrutturare la coerenza logica della decisione impugnata, connessa, va ribadito, all’evocazione, in pregiudizio della vittima, della forza di intimidazione della societas sceleris di cui (OMISSIS) e’ stato autorevole esponente ed all’iscrizione dell’episodio in una piu’ vasta strategia, volta allo sfruttamento parassitario ed alla sottomissione di cittadini ed operatori economici in funzione di rafforzamento, anche sul piano finanziario, della compagine camorristica.
Analogo giudizio va espresso in relazione all’usura perpetrata in danno di (OMISSIS), vicenda che vede (OMISSIS) intervenire sotto l’egida di (OMISSIS) per portare a compimento un’operazione illecita i cui effetti, ad onta di quanto eccepito dal ricorrente in ossequio ad una unilaterale interpretazione di alcuni marginali passaggi delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (OMISSIS) e (OMISSIS), si sono riverberati in favore dell’intero gruppo camorristico.
9.4. Il quarto motivo del ricorso di (OMISSIS) verte sulla congruita’ della motivazione adottata dai giudici di merito per escludere l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, che, a suo modo di vedere, egli meriterebbe in quanto incensurato e dedito ad onesto lavoro, nonche’ per il positivo contegno serbato in sede processuale sottoponendosi ad esame.
La doglianza e’ manifestamente infondata, perche’ tende ad una diversa e piu’ favorevole interpretazione di circostanze di fatto delle quali i giudici del merito hanno fornito una lettura aliena dal vizio ipotizzato.
Premesso che e’ pacifico, in giurisprudenza, che “In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e’ insindacabile in sede di legittimita’, purche’ sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione” (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va attestato che la Corte di appello ha indicato, alla pag. 29 della motivazione della sentenza impugnata, le ragioni che precludono l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, riferendosi specificamente all’elevata offensivita’ delle condotte illecite poste in essere, apprezzata anche in ragione del contesto di criminalita’ organizzata che vi ha fatto da sfondo ed ha aggiunto che non si rinvengono elementi suscettibili di positiva valutazione.
Un iter argomentativo, quello sviluppato dalla Corte di appello, che si mantiene all’interno della fisiologica discrezionalita’ e che non soffre delle incoerenze segnalate dal ricorrente il quale, va ancora una volta ribadito, sollecita un intervento che il giudice di legittimita’ non puo’ compiere al cospetto di una motivazione esente da vizi logici e che tiene debitamente conto delle conquiste processuali, senza, peraltro, indicare quali elementi, nel caso concreto, avrebbero consigliato o imposto la mitigazione del trattamento sanzionatorio.
9.5. Avuto riguardo, infine, al quinto ed ultimo motivo, va rilevato che la Corte di appello ha aumentato la pena per l’aggravante prevista dall’articolo 416-bis.1. c.p. nella misura di un anno e quattro mesi di reclusione, ovvero in misura di due mesi superiori al minimo di legge di un terzo della pena base di tre anni e sei’ mesi di reclusione.
Nel fare cio’, ha precisato che l’aumento veniva effettuato “entro il limite di 1/3”, affermazione che, nella sua letteralita’, appare errata, posto, da un canto, che il limite al cui rispetto il giudice e’ tenuto e’ quello della meta’, cioe’ di 1/2 della pena base, e, dall’altro, che l’aumento e’ stato, di fatto, determinato, come gia’ detto, in misura leggermente superiore al terzo.
Considerato, allora, che la Corte di appello non ha espressamente stabilito di voler contenere l’aumento nella misura minima di 1/3 della pena base, appare ragionevole concludere nel senso che essa e’ incorsa in un mero refuso, scrivendo “1/3” in luogo di “1/2”, cio’ che non inficia in alcun modo la legittimita’ della quantificazione della pena, avvenuta in perfetto ossequio alla cornice codici’stica.
10. Il ricorso di (OMISSIS) e’, nel complesso, infondato.
10.1. Il primo motivo e’ inammissibile, perche’ vertente sulla qualificazione del fatto ai sensi dell’articolo 416-bis c.p., comma 6, questione che non risulta (cfr. la motivazione della sentenza impugnata, pag. 23) essere stata sottoposta, merce’ l’articolazione di specifico motivo di impugnazione, alla previa cognizione del giudice di appello.
Al riguardo, pertinente si palesa il richiamo al corrente orientamento della giurisprudenza di legittimita’, secondo cui “Non sono deducibili con il ricorso per cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di motivi di gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimita’ sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al quale si configura “a priori” un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello” (Sez. 2, n. 29707 del 08/03/2017, Galdi, Rv. 270316; Sez. 4, n. 9857 del 12/02/2015, Barra, Rv. 262448; Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255577).
10.2. L’inammissibilita’ del primo motivo incide sul vaglio del secondo, nella parte in cui si deduce che l’esclusione della circostanza aggravante ex articolo 416-bis c.p., comma 6, avrebbe imposto di prendere le mosse, ai fini della determinazione della pena per la continuazione, dagli addebiti estorsivi, piu’ gravi di quello associativo.
Nell’ambito del medesimo motivo, viene posta la questione della commisurazione degli aumenti di pena a titolo di continuazione.
La Corte di appello, in proposito – ritenuta la rilevanza dell’ammissione di responsabilita’, da parte dell’imputato, con rinuncia parziale ai motivi di appello – ha corretto in melius la statuizione di primo grado, riducendo ad un anno di reclusione l’aumento per le estorsioni contestate ai capi c) e i).
In tal modo, ha operato in coerenza con lo spirito della decisione, pervenendo, sull’implicito quanto univoco presupposto della sostanziale pari gravita’ di tutti i reati-satellite (ritenuta, evidentemente, in parziale dissenso dalle conclusioni raggiunte dal Giudice dell’udienza preliminare), alla riduzione della sanzione complessiva irrogata ai sensi dell’articolo 81 c.p., comma 2.
Insussistente, si’ palesa, pertanto, la doglianza del ricorrente, atteso, da un canto, che il giudice, nel determinare la pena complessiva, oltre ad individuare il reato piu’ grave e stabilire la pena base per tale reato, ha calcolato l’aumento di pena in modo distinto per ognuno dei reati satellite, e, dall’altro, che la motivazione in ordine all’aumento per ciascuno dei reati e’ stata espressamente correlata alla oggettiva gravita’ dei fatti commessi (cfr. sentenza di primo grado, pag. 69, nonche’ quella impugnata, pag. 24) ed alla negativa personalita’ del loro autore (cfr. sentenza impugnata, pag. 24).
Risulta, pertanto, rispettato il principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimita’, secondo cui “In tema di quantificazione della pena a seguito di riconoscimento della continuazione tra diversi reati, il giudice deve fornire indicazione e motivazione non solo in ordine alla individuazione della pena base, ma anche all’entita’ dell’aumento ex articolo 81 c.p. ” (Sez. 3, n. 1446 del 13/09/2017, dep. 2018, S., Rv. 271830).
10.3. Il terzo ed ultimo motivo del ricorso di (OMISSIS) verte sulla congruita’ della motivazione adottata dai giudici di merito per escludere l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, che l’imputato, si sostiene, avrebbe meritato in ragione del suo positivo contegno processuale, tradottosi nella rinuncia ai residui motivi di appello e nell’ammissione della responsabilita’ in ordine ai fatti in contestazione.
Cosi’ facendo, si invoca, a dispetto di quanto affermato, una diversa e piu’ favorevole interpretazione di circostanze di fatto delle quali i giudici del merito hanno fornito una lettura aliena dal vizio ipotizzato.
Premesso che e’ pacifico, in giurisprudenza, che “In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione e’ insindacabile in sede di legittimita’, purche’ sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’articolo 133 c.p., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione” (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269), va attestato che la Corte di appello ha indicato, alla pag. 24 della motivazione della sentenza impugnata, le ragioni che precludono l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche, riferendosi specificamente all’elevata offensivita’ della condotta illecita posta in essere, costituita dalla duratura partecipazione, con ruolo preminente, ad una associazione camorristica e dalla commissione di plurimi e gravi reati attuativi del relativo programma criminoso, nonche’ alla capacita’ a delinquere di (OMISSIS), gia’ piu’ volte condannato in via definitiva anche per vicende estorsive.
La Corte di appello, peraltro, ha tenuto conto, all’atto della determinazione del trattamento sanzionatorio, del contegno serbato dall’imputato e, in particolare, della rinuncia ai motivi di appello afferenti alla responsabilita’ penale, che egli ha, in sostanza, ammesso, riducendo la pena, anche in conseguenza di una piu’ favorevole applicazione dei criteri previsti dall’articolo 133 c.p., da ventisei a ventidue anni di reclusione.
Un iter argomentativo, quello sviluppato dalla Corte di appello, che si mantiene all’interno della fisiologica discrezionalita’ e che non soffre delle incoerenze segnalate dal ricorrente il quale, va ancora una volta ribadito, sollecita un intervento che il giudice di legittimita’ non puo’ compiere al cospetto di una motivazione esente da vizi logici e che tiene debitamente conto delle conquiste processuali.
11. Dal rigetto dei ricorsi discende la condanna di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., comma 1, primo periodo.
Quanto ai residui ricorrenti, i cui ricorsi sono stati dichiarati inammissibili, rilevato, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale, che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, oltre all’onere delle spese del procedimento, quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 Euro.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali.
Dichiara inammissibili i ricorsi di (OMISSIS), (OMISSIS)Vittorio (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

 

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