Diritto alla quota della pensione di reversibilità

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|12 ottobre 2021| n. 27875.

In tema di divorzio, il diritto alla quota della pensione di reversibilità previsto dall’art. 9 l. n. 898 del 1970 spetta all’ex coniuge titolare dell’assegno divorzile e non può essere escluso per il solo fatto che tale assegno non sia stato corrisposto per un periodo più o meno lungo senza alcuna reazione, giudiziale o stragiudiziale, dell’avente diritto, poiché tale inerzia non comporta “ipso facto” la rinuncia al menzionato assegno, in assenza della necessaria verifica giudiziale in ordine all’effettività della stessa e alle correlate modificazioni dei presupposti per la sua percezione.

Ordinanza|12 ottobre 2021| n. 27875. Diritto alla quota della pensione di reversibilità

Data udienza 21 settembre 2021

Integrale

Tag/parola chiave: Inps – Pensione di reversibilità – Coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio – Titolarità dell’assegno di cui all’art. 5 della legge n. 898/1970 – Titolarità attuale e concretamente fruibile dell’assegno periodico divorzile al momento della morte dell’ex coniuge – Presupposto per l’attribuzione della pensione di reversibilità – Assenzo di un sostegno economico – Provvedimento di modifica dell’assegno divorzile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 6908/2019 proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), coma da procura rilasciata in calce al ricorso per cassazione;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS), come da procura speciale alla lite in calce al controricorso.
– controricorrente –
e nei confronti di:
I.N.P.S., nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), come da procura in calce al controricorso e presso gli stessi elettivamente domiciliato in Roma, alla Via Cesare Beccaria, n. 29, negli uffici dell’Avvocatura centrale dell’Istituto.
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di FIRENZE, n. 2878/2018, pubblicata il 12 dicembre 2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21 settembre 2021 dal Consigliere Dott. Lunella Caradonna.

Diritto alla quota della pensione di reversibilità

RILEVATO

Che:
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Firenze ha accolto l’appello proposto da (OMISSIS) (coniuge superstite) avverso l’ordinanza (poi qualificata sentenza dai giudici di secondo grado) del Tribunale di Firenze dell’11 aprile 2018, che aveva ritenuto equo attribuire a (OMISSIS) (coniuge divorziato) la pensione di reversibilita’ per la quota del 50% a partire al primo giorno del mese successivo alla morte dell’ex coniuge (OMISSIS), deceduto in data (OMISSIS), dopo avere rilevato che, ai sensi della L. n. 898 del 1970, articolo 9, il diritto alla pensione di reversibilita’ era collegato alla titolarita’ formale dell’assegno divorzile e non alla effettiva percezione dello stesso, per la cui esclusione non era sufficiente un accordo tacito tra le parti di rinuncia all’assegno divorzile e valutando che il primo matrimonio era durato 18 anni (dalla sua celebrazione alla separazione) ed il secondo 12 anni, oltre a 5 anni di convivenza more uxorio.
2. La Corte di appello, dopo avere richiamato le Sezioni Unite di questa Corte, 24 settembre 2018, n. 22434, ha affermato che era pacifico che, quantomeno dal 2010, per ammissione della (OMISSIS), come da dichiarazione del legale della medesima all’udienza dell’11 aprile 2018 in primo grado, l’assegno di mantenimento non era stato piu’ corrisposto dal (OMISSIS) alla ex moglie ed era indiscusso che, alla data della sua morte, egli non versava piu’ tale contributo alla ex moglie, che non godeva, dunque, del mantenimento e non ne conservava il diritto; ne’ rilevava una espressa rinuncia al diritto essendo stato ammesso l’accordo per la sospensione dell’erogazione almeno dall’anno 2010, tanto e’ vero che la (OMISSIS) non aveva avanzato alcuna richiesta, di talche’ il mantenimento come presupposto di fatto del diritto alla pensione o ad una sua quota, non era certamente esistente al momento del decesso, ne’ oggetto di richiesta e, dunque, solo astrattamente fruibile, ma non goduto.
3 (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione, con atto affidato ad un unico motivo.
4. (OMISSIS) e l’I.N.P.S. hanno depositato rispettivi controricorsi.
5. La Procura Generale della Corte di Cassazione ha depositato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
6. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

 

Diritto alla quota della pensione di reversibilità

CONSIDERATO

Che:
1. Con il primo ed unico motivo si lamenta, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, articolo 9, commi 2 e 3, come modificato dalla L. n. 436 del 1978 e L. n. 74 del 1987, ed interpretato dalla L. n. 263 del 2005, articolo 5, avendo la Corte di appello affermato che il requisito della titolarita’ dell’assegno di mantenimento doveva essere considerato quale effettiva erogazione e/o percezione, non potendosi riconoscere il diritto alla reversibilita’ qualora tale assegno non fosse materialmente corrisposto dal coniuge obbligato; l’assegno di mantenimento aveva natura di diritto indisponibile, collegato al principio di uguaglianza e fondato sull’articolo 143 c.c.; era assolutamente inconferente ed irrilevante l’esistenza di un accordo tacito di rinuncia di mantenimento, decisamente contestato dalla (OMISSIS) sia in primo grado, che in secondo grado, fatto, peraltro che non aveva inciso sulla decisione impugnata, poiche’ il Collegio aveva ritenuto che fosse sufficiente, per negare il diritto alla pensione, lo stato di fatto consistente nel mancato pagamento dei ratei di assegno di mantenimento, dovuti al momento del decesso del coniuge onerato; che non vi era mai stato alcun accordo tra la (OMISSIS) e il (OMISSIS) circa il venire meno dell’obbligo di mantenimento stabilito dal Tribunale di Firenze, in sede di divorzio, ne’ era mai stata offerta alcuna prova di cio’ da controparte, essendo necessario un procedimento di revoca giudiziale di tale prestazione ed essendo la (OMISSIS) titolare dell’assegno di mantenimento riconosciutole giudizialmente con sentenza n. 1475/2003 del Tribunale di Firenze, nella misura di Euro 640,44 mensili, oltre rivalutazione secondo indici I.S.T.A.T..
1.1 Il motivo e’ fondato.
1.2 Ed invero, le Sezioni Unite di questa Corte, richiamate anche dai giudici di secondo grado, hanno affermato che, ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilita’ in favore del coniuge nei cui confronti e’ stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la titolarita’ dell’assegno di cui alla L. n. 898 del 1970, articolo 5, deve intendersi come titolarita’ attuale e concretamente fruibile dell’assegno periodico divorzile al momento della morte dell’ex coniuge e non gia’ come titolarita’ astratta del diritto all’assegno divorzile gia’ definitivamente soddisfatto con la corresponsione in unica soluzione. In quest’ultimo caso, infatti, difetta il requisito funzionale del trattamento di reversibilita’, che e’ dato dal medesimo presupposto solidaristico dell’assegno periodico di divorzio, finalizzato alla continuazione del sostegno economico in favore dell’ex coniuge, mentre nel caso in cui sia stato corrisposto l’assegno “una tantum” non esiste una situazione di contribuzione economica che viene a mancare (Cass., Sez. U., 24 settembre 2019, n. 22434).
1.3 In particolare, la giurisprudenza di legittimita’ ha fatto costante applicazione del criterio enunciato dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 419 del 20 ottobre 1999, secondo cui il trattamento di reversibilita’ svolge una funzione solidaristica diretta alla continuazione della funzione di sostegno economico, assolta a favore dell’ex coniuge e del coniuge convivente, durante la vita del dante causa, rispettivamente con il pagamento dell’assegno di divorzio e con la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniugi conviventi (Cass., 21 settembre 2012, n. 16093; Cass., 7 dicembre 2011, n. 26358; Cass., 9 maggio 2007, n. 10638).
Il presupposto per l’attribuzione della pensione di reversibilita’ e’, dunque, il venire meno di un sostegno economico che veniva apportato in vita dal coniuge o ex coniuge scomparso e la sua finalita’ e’ quella di sovvenire a tale perdita economica all’esito di una valutazione effettuata dal giudice in concreto che tenga conto della durata temporale del rapporto, delle condizioni economiche dei coniugi, dell’entita’ del contributo economico del coniuge deceduto e di qualsiasi altro criterio utilizzabile per la quantificazione dell’assegno di mantenimento.
Le Sezioni Unite citate hanno, quindi, interpretato l’espressione testuale “titolare dell’assegno” di divorzio, di cui della L. n. 898 del 1970, articolo 9, comma 3, nel senso di valorizzare il significato della titolarita’ come condizione che vive e si qualifica nell’attualita’. Se infatti la finalita’ del legislatore e’ quella di sovvenire a una situazione di deficit economico derivante dalla morte dell’avente diritto alla pensione, l’indice per riconoscere l’operativita’ in concreto di tale finalita’ e’ quello dell’attualita’ della contribuzione economica venuta a mancare; attualita’ che si presume per il coniuge superstite e che non puo’ essere attestata che dalla titolarita’ dell’assegno, intesa come fruizione attuale di una somma periodicamente versata all’ex coniuge come contributo al suo mantenimento. Del resto l’espressione titolarita’ nell’ambito giuridico presuppone sempre la concreta e attuale fruibilita’ ed esercitabilita’ del diritto di cui si e’ titolari; viceversa, un diritto che e’ gia’ stato completamente soddisfatto non e’ piu’ attuale e concretamente fruibile o esercitabile, perche’ di esso si e’ esaurita la titolarita’ (cfr. Cass., Sez. U., 24 settembre 2019, n. 22434, citata, in motivazione). 1.4 La titolarita’ dell’assegno intesa come titolarita’ attuale, mediante la corresponsione periodica sino al momento della morte dell’ex coniuge obbligato, in cio’ confortata anche dalla previsione nella L. n. 898 del 1970, articolo 9, della condizione che l’ex coniuge non sia passato a nuove nozze (cfr. Cass. Sez. U., 24 settembre 2019, n. 22434, richiamata), conduce a correlare il diritto della pensione di reversibilita’ all’attualita’ della corresponsione dell’assegno divorzile.
1.5 Inoltre, la legge non prevede ai fini del riconoscimento del diritto all’attribuzione di una porzione della pensione di reversibilita’ che, al momento in cui la domanda e’ proposta, sia intervenuto l’accertamento della spettanza dell’assegno divorzile, in favore dell’istante, con una pronuncia avente efficacia di giudicato.
Questa Corte, in proposito, ha osservato di non condividere l’orientamento interpretativo contrario, affermando che la legge non consente di ritenere sufficiente nemmeno il provvedimento provvisorio di riconoscimento dell’assegno divorzile concesso dal Presidente del Tribunale in sede di comparizione delle parti, richiedendo una pronuncia del Tribunale ed appare, quindi, sufficiente la pronuncia della sentenza che definisce il primo grado del giudizio e riconosce il diritto all’assegno divorzile e che cio’ che rileva e’ che il coniuge divorziato sia titolare del diritto di percepire dall’ex coniuge l’assegno divorzile al momento della scomparsa di quest’ultimo (Cass., 20 febbraio 2018, n. 4107).
Inoltre, questa Corte ha affermato che in materia di revisione dell’assegno di divorzio, il diritto a percepirlo da parte di un coniuge ed il corrispondente obbligo a versarlo da parte dell’altro, nella misura e nei modi stabiliti dalla sentenza di divorzio, conservano la loro efficacia, sino a quando non intervenga la modifica di tale provvedimento, rimanendo del tutto ininfluente il momento in cui, di fatto, sono maturati i presupposti per la modificazione o la soppressione dell’assegno, sicche’, in mancanza di specifiche disposizioni, in base ai principi generali relativi all’autorita’, intangibilita’ e stabilita’, per quanto temporalmente limitata (“rebus sic stantibus”), del precedente giudicato impositivo del contributo di mantenimento, la decisione giurisdizionale di revisione non puo’ avere decorrenza anticipata al momento dell’accadimento innovativo, rispetto alla data della domanda di modificazione (Cass., 30 luglio 2015, n. 16173); pertanto, sino al provvedimento giurisdizionale di modifica – e con effetto dal momento della domanda (ovvero, dal momento o dai momenti posteriori eventualmente fissati dal giudice) – il giudicato produce tutti i suoi effetti, in positivo e in negativo; nel senso che, per quanto attiene all’assegno di divorzio, che e’ il tema in questione, se esso e’ stato attribuito, sara’ dovuto sino a tale momento e, parimenti, sino a tale momento la sua attribuzione comportera’ anche, ove se ne verifichino i presupposti, l’attribuzione di ogni diritto che vi si riconnetta, come quello alla pensione di reversibilita’, in caso di morte dell’obbligato (articolo 9, commi 2 e 3), ed alla quota dell’indennita’ di fine rapporto del coniuge obbligato (articolo 12 bis). Viceversa, se l’assegno di divorzio non e’ stato attribuito, in nessun caso potra’ esserne dovuta la corresponsione ancorche’ ne siano venuti a sussistenza i presupposti – senza l’emanazione di un provvedimento giurisdizionale di modifica, ai sensi dell’articolo 9, il cui effetto non potra’ essere anteriore alla domanda, cosicche’ anche gli ulteriori diritti che vi si riconnettono spetteranno solo ove si maturino dopo tale data (Cass., 22 maggio 2009, n. 11913).
1.6 Cio’ posto, e con specifico riferimento all’asserito accordo intervenuto tra la (OMISSIS) e il (OMISSIS), deve ricordarsi che questa Corte ha affermato che se e’ vero che gli accordi tra i coniugi trovino legittimo fondamento nel disposto dell’articolo 1322 c.c., e’ altrettanto vero che gli stessi sono validi ed efficaci nei limiti in cui non interferiscano con quello gia’ – omologato o con quanto disposto in sede di divorzio, ma ne specifichino il contenuto con disposizioni maggiormente rispondenti, all’evidenza, con gli interessi tutelati (cfr., Cass., 24 febbraio 2021, n. 5065).
In tale ambito, dunque, le modificazioni degli accordi devono certamente ritenersi valide ed efficaci, a prescindere dall’intervento del giudice ex articolo 710 c.p.c. (cfr. da ultimo, Cass. Sez. U., 29 luglio 2021, n. 21761).
Questa Corte ha, pure, affermato che il provvedimento di revisione dell’assegno divorzile, previsto dalla L. n. 898 del 1970, articolo 9, postula non soltanto l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma anche la idoneita’ di tale modifica a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell’assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni economiche di entrambe le parti e, nella particolare ipotesi in cui il motivo di revisione si palesi di consistenza tale da condurre alla revoca dell’assegno divorzile, e’ indispensabile procedere, poi, al rigoroso accertamento della effettivita’ dei predetti mutamenti e verificare l’esistenza di un nesso di causalita’ tra essi e la nuova situazione patrimoniale conseguentemente instauratasi (Cass., 23 aprile 2019, n. 11177).
1.7 Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione dei principi relativi all’assegno sopra richiamati, ritenendo che la (OMISSIS) avesse rinunciato per facta concludentia alla corresponsione dell’assegno divorzile, che era stato determinato giudizialmente con sentenza n. 1475/2003 del Tribunale di Firenze, nella misura di Euro 640,44 mensili, oltre rivalutazione secondo indici I.S.T.A.T., costituiti dalla dichiarazione del difensore alla medesima all’udienza di primo grado dell’11 aprile 2018 (nel corso della quale il difensore aveva dichiarato, per ammissione della (OMISSIS), che l’assegno di mantenimento non era stato piu’ corrisposto dal (OMISSIS) alla ex moglie) ed affermando che, addirittura, non era nemmeno necessaria una espressa rinuncia all’assegno divorzile, essendo stato ammesso l’accordo per la sospensione della erogazione almeno dall’anno 2010 in ragione delle difficolta’ economiche in cui si era venuto a trovare l’obbligato; ne’, a fronte dei richiamati principi, puo’ concordarsi con i giudici di merito, che la rinuncia all’assegno divorzile da parte della (OMISSIS) emergeva anche dalla circostanza che la (OMISSIS) non avesse mai avanzato contestazione in ordine all’inadempimento con formale richiesta, giudiziale o extragiudiziale.
Ed invero, successivamente alla sentenza di divorzio non risulta che le parti abbiano negoziato un diverso accordo, ne’ puo’ ricavarsi aliunde la volonta’ di rinunciare alla corresponsione dell’assegno divorzile da u mero comportamento di inerzia assunto dalla (OMISSIS), non potendo essere ricollegato alcun effetto abidicativo al diritto all’assegno di mantenimento da tale comportamento assunto dal coniuge divorziato, rilevando, piuttosto, la sussistenza di una determinazione giudiziale dell’assegno divorzile al momento del decesso dell’ex coniuge, l’insussistenza di alcun espresso e formale accordo di rinuncia allo stesso da parte del coniuge beneficiario e, in ultimo, la domanda di corresponsione di una quota della pensione di reversibilita’ dell’ex coniuge defunto azionata nei termini di legge.
2. In conclusione, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimita’.
Il giudice del rinvio si atterra’ al seguente principio di diritto: “In tema di assegno divorzile, una volta che l’emolumento sia stato riconosciuto in sede giudiziale, senza subire decisioni di revoca o modifica, la mancata corresponsione di esso in concreto, per un periodo piu’ o meno lungo senza che vi sia stata una reazione, giudiziale o stragiudiziale, da parte del coniuge-creditore (nella specie: per le temporanee difficolta’ economiche in cui versava il debitore), non comporta, ipso facto, la rinuncia al diritto, senza che vi sia stata una necessaria e corrispondente verifica giudiziale in ordine all’effettivita’ della stessa rinuncia e alle correlate modificazioni dei presupposti per la sua percezione”.

 

Diritto alla quota della pensione di reversibilità

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, che provvedera’ anche alla determinazione delle spese del giudizio di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *