Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|18 novembre 2022| n. 34025.

Appello e nuovo documento

In tema di appello, costituisce nuovo documento, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c., la produzione dell’originale di un documento depositato in copia nel giudizio di primo grado, in quanto la “novità” cui allude la citata disposizione attiene al documento nella sua consistenza rappresentativa e non al solo contenuto. (Fattispecie relativa alla copia di una scrittura disconosciuta nella sua corrispondenza all’originale e sulla quale, nel corso del giudizio di primo grado, era stata espletata una c.t.u. grafologica).

Ordinanza|18 novembre 2022| n. 34025. Appello e nuovo documento

Data udienza 4 maggio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Sfratto per morosità – Documento in originale prodotto nella seconda udienza di trattazione – Preclusione – Ricorso per cassazione – Censure inammissibili

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. ROSSELLO Carmelo Carlo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16157/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS) SAS, domiciliata ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) (CF: (OMISSIS));
– Ricorrente –
Contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) (CF: (OMISSIS)) rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) (CF: (OMISSIS));
– Controricorrente –
avverso la sentenza di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 5220/2018 depositata il 22/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4/5/2022 dal Consigliere CARMELO CARLO ROSSELLO.

FATTO

1. Il giudizio di primo grado. – Con atto notificato in data 8/06/2012 la locatrice (OMISSIS) (di seguito: “la (OMISSIS)”, o anche “la locatrice”, odierna resistente) intimo’ alla conduttrice societa’ (OMISSIS) s.a.s. (di seguito: ” (OMISSIS)”, o anche “la conduttrice”, odierna ricorrente) sfratto per morosita’ dell’immobile sito in (OMISSIS), e la cito’ per la convalida.
Adduceva l’intimante che le parti avevano stipulato un contratto di locazione del 16/10/2008 regolarmente registrato, ad uso diverso dall’abitazione, per il canone di Euro 1.700,00 mensili oltre ISTAT ed accessori, ridotto inizialmente ad Euro 1600,00 in considerazione dei lavori di adeguamento dell’immobile, assunti dalla conduttrice, e che la stessa si era tuttavia resa morosa per il mancato pagamento dei canoni per l’importo di E 88.000,00, oltre adeguamento ISTAT ed interessi.
Si costitui’ in giudizio la conduttrice (OMISSIS), opponendosi alla convalida e deducendo l’impossibilita’ di utilizzare l’immobile poiche’ il Comune non aveva concesso le autorizzazioni necessarie all’uso convenuto (“Baby parking”), non risultando il bene in regola con le norme urbanistiche. Che infatti, con scrittura predisposta e sottoscritta dalla locatrice il 7/04/2009, il rapporto di locazione era stato formalmente sospeso con la seguente pattuizione: “il contratto resta sospeso e sara’ ripreso dalle parti con successivo verbale da sottoscrivere ad ottenimento da parte della Sig.ra (OMISSIS) di tutti i nulla osta comunali”. Che tuttavia con lettera del 6/10/2010 il Comune di S. Agnello aveva dichiarato inammissibili gli interventi di cui alla DIA presentata dalla conduttrice, stante la pendenza di istanza di condono edilizio ai sensi della L. n. 47 del 1985, non ancora definita, e comportando gli interventi proposti il mutamento della destinazione d’uso, non consentito dalle vigenti normative. Con raccomandata a/r ricevuta il 23/04/2012, quindi dopo circa 19 mesi di silenzio, la locatrice chiese il pagamento di Euro 69.700,00 per canoni di locazione non corrisposti, e la richiesta venne contestata dall’intimata, che aveva invocato la sospensione del contratto e l’impossibilita’ del suo utilizzo per responsabilita’ della locatrice. Con certificazione del 26/06/2012 lo stesso Comune di S. Agnello aveva attestato che “per l’immobile in oggetto era stato rilasciato permesso di costruire n. 6/C del 8/03/12, ai sensi della L. n. 47 del 1985, e che successivamente a tale rilascio per l’immobile in questione non risultavano rilasciati titoli per il cambio di destinazione d’uso da laboratorio ad attivita’ commerciale”.
Concessa l’ordinanza provvisoria di rilascio effettivamente eseguito in data 20/11/2012 -, il Tribunale dispose il mutamento del rito. Nelle memorie integrative la locatrice contesto’ la fotocopia della scrittura del 7/4/2009 e ne dedusse l’abusivo riempimento.
La conduttrice propose istanza di verificazione e spiego’ domanda riconvenzionale per il ripristino del contratto di locazione e per il risarcimento dei danni.
2. La sentenza di primo grado. Espletata CTU grafologica ed istruttoria, con interrogatorio formale e prova testi, il Tribunale di Torre Annunziata, con sentenza n. 1433/17 del 18/5/2017: (i) dichiaro’ risolto il contratto di locazione per inadempimento della conduttrice, con condanna della stessa al rilascio dell’immobile e al pagamento della somma di Euro 81.600,00 oltre adeguamento ISTAT per canoni non corrisposti. (ii) Rigetto’ la domanda riconvenzionale della convenuta condannandola al pagamento delle spese di lite. Il Tribunale, ritenuto di non poter riconoscere valenza alla scrittura privata del 7/4/2009 di sospensione del contratto, considero’ sussistente il grave inadempimento della conduttrice a fronte della detenzione e del provato utilizzo dell’immobile.
3. Il giudizio di secondo grado. Avverso detta sentenza propose appello la conduttrice (OMISSIS), e si costitui’ la locatrice (OMISSIS). Con il primo motivo di impugnazione l’appellante (OMISSIS) dedusse l’error in judicando et in procedendo – violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. in relazione agli articoli 2697, 2702 e 2712 c.c. – omessa ed incompleta valutazione dell’istruttoria e della documentazione depositata – motivazione carente e/o contraddittoria sulla scrittura sospensiva del 7/04/2009.
In particolare, l’appellante evidenzio’ che il Tribunale, in modo contraddittorio, avrebbe rilevato che non era stata disconosciuta la sottoscrizione e che era necessaria la presentazione di querela di falso per contestare l’abusivo riempimento ma, in mancanza di tale rimedio – che pure rientrava nell’onere probatorio dell’attrice che ne aveva avanzato la contestazione – aveva ritenuto che la scrittura non avesse valore probatorio. Con tale mezzo di impugnazione (OMISSIS) ha invece sostenuto che – non avendo la parte sottoscrittrice proposto querela di falso ne’ provato l’abusivo riempimento – la scrittura avesse piena prova legale.
4. La sentenza di secondo grado. La Corte di Appello ha rigettato il motivo, sia pure con motivazione diversa da quella del Tribunale. In motivazione si legge al riguardo che “Preliminarmente, va ritenuta inammissibile la esibizione del documento indicato dall’appellante come originale della copia prodotta in primo grado della scrittura del 7/4/2009, effettuata solo alla seconda udienza di trattazione in appello, in violazione dell’articolo 345 c.p.c.; pertanto tale documento non puo’ in alcun modo essere preso in considerazione. Nel giudizio di appello, la nuova formulazione dell’articolo 345 c.p.c., comma 3, – quale risulta dalla novella di cui al Decreto Legge n. 83 del 2012 convertito con modificazioni della L. n. 134 del 2012 – applicabile nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dal giorno 11 settembre 2012 in poi – pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova e di produzione di nuovi documenti, a prescindere dalla circostanza che abbiano o meno quel carattere di indispensabilita’ che – invece – costituiva criterio selettivo nella versione precedente della medesima norma, fatto comunque salvo che la parte dimostri di non aver potuti proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”.
Orbene – prosegue la Corte – l’appellante ha provveduto in primo grado a produrre solo una fotocopia della invocata scrittura, e non ha depositato l’originale nel corso di tutto il giudizio di primo grado. Infatti, la stessa consulenza grafologica d’ufficio e’ stata effettuata solo sulla fotocopia senza che alcun originale, pure indispensabile per l’indagine, fosse stato reso disponibile, e il CTU concludeva, infatti, per la impossibilita’ di accertare se vi fosse stato o meno un abusivo riempimento proprio perche’ oggetto dell’indagine era solo la fotocopia che non consentiva di “valutare lo stato di conservazione del cartaceo sia nei tratti che nella fibra” ne’ di avvalersi dell’approccio mediato attraverso lo stereomicroscopio digitale”.
Diversamente da quanto aveva sostenuto dall’appellante, la Corte rileva che gia’ nel verbale di prima udienza del 4/7/2012 dinanzi al Tribunale risulta che l’attrice ha espressamente contestato la fotocopia, disconoscendo la copia del documento e la conformita’ all’originale. La Corte ne fa conseguire che, per potersi avvalere della scrittura privata e per poter derivare dalla stessa le invocate conseguenze in relazione alla certezza della provenienza e alla presunzione di riferibilita’ del contenuto al sottoscrittore, la convenuta non poteva prescindere dalla produzione dell’originale che avrebbe consentito – anche in sede di CTU – di verificare la reale apposizione della firma sul foglio, essenziale per Da certezza della provenienza, da cui scaturisce la prova legale, e conseguentemente verificare la sussistenza o meno di manipolazioni.
Il fatto che parte attrice avesse altresi’ avanzato eccezione di abusivo riempimento non implica affatto – secondo la Corte – alcuna ammissione di reale apposizione della firma su quel foglio ai fini della certezza della provenienza. Ne’ l’apparente corrispondenza dei segni grafici di firma con quelli della sottoscrizione dell’attrice e’ significativa atteso che, come evidenziato dal CTU, “non si e’ potuto provvedere ad una puntuale e specifica osservazione del documento alla luce degli ultravioletti” per le necessarie verifiche, che del resto non sono state possibili proprio perche’ la parte convenuta non ha ritenuto di produrre l’originale. Sicche’ – conclude sul punto la Corte – le preclusioni maturate ostano a qualsiasi valutazione della tardiva esibizione dell’atto in appello, e va confermata la mancata valenza della fotocopia della scrittura privata prodotta dalla conduttrice posta a fondamento della pretesa legittimita’ della sospensione del pagamento dei canoni.
Con il secondo motivo di impugnazione l’appellante aveva dedotto l’error in procedendo – violazione e falsa applicazione dell’articolo 1460 c.c. in relazione agli articoli 2697, 2702 e 2712 c.c. e del principio inadimplenti non est adimplendum, sostenendo la erroneita’ della sentenza di primo grado nel non aver ritenuto che era venuta completamente a mancare la prestazione da parte della locatrice, stante la irregolarita’ urbanistica del bene, sicche’ sarebbe stata giustificata, ai sensi dell’articolo 1460 c.c., la sospensione della controprestazione del pagamento del canone da parte di essa conduttrice.
La Corte territoriale ha ritenuto tale motivo infondato. La decisione del Tribunale – motiva la Corte – e’ conforme ai principi ripetutamente affermati dalla S.C. in tema di applicabilita’ dell’articolo 1460 c.c. alle locazioni, nel senso di ritenere che il sinallagma proprio del rapporto locativo non consente al conduttore di sospendere il pagamento del canone. Infatti, la sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore e’ legittima solo qualora venga completamente a mancare la controprestazione. La sentenza impugnata – conclude la Corte – e’ percio’ pienamente conforme alla giurisprudenza della S.C. secondo la quale la sospensione unilaterale del pagamento dei canoni di locazione costituisce fatto arbitrario e illegittimo del conduttore che altera il sinallagma contrattuale, e determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti per effetto di un’unilaterale ragione fattasi dal conduttore che, percio’, configura inadempimento colpevole all’obbligo di adempiere esattamente e puntualmente al contratto stipulato ovvero all’obbligazione principale del conduttore.
Nel caso di specie, come pure rilevato dal Tribunale, la mancanza dei requisiti urbanistici non ha impedito l’utilizzo dell’immobile da parte della conduttrice che, del resto, dalla stipula del contratto di locazione nell’ottobre 2008 fino al rilascio in data 20/11/2012, in esecuzione dell’ordinanza di rilascio del Tribunale, ne ha conservato ininterrottamente la detenzione e disponibilita’, come confermato dalle testimonianze acquisite in primo grado.
Con il quarto motivo l’appellante aveva dedotto l’error in procedendo – violazione e falsa applicazione degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c. omessa ed incompleta valutazione dell’istruttoria e della documentazione depositata – vizio di omissione di pronuncia sulla domanda riconvenzionale, lamentando che il Tribunale si era limitato a condannare l’appellante al pagamento di Euro 81.600,00 per canoni locatizi non pagati dal novembre 2008 al 20 novembre 2012, senza nulla statuire circa la formulata domanda riconvenzionale, che comprendeva: (i) deposito cauzionale; (ii) mensilita’ anticipata; (iii) compensi dell’agente immobiliare e del progettista; (iv) mancato guadagno e perdita del finanziamento regionale gia’ assegnato; (v) indennita’ da perdita di avviamento ex L.392/1978.
La Corte territoriale ha ritenuto il motivo parzialmente fondato, limitatamente all’importo per deposito cauzionale di Euro 3.400,00, risultante versato come da copia di assegno e quietanza sottoscritta dalla locatrice. Essendo stato rilasciato l’immobile e cessato il rapporto di locazione, la Corte motiva che l’importo versato a titolo di deposito cauzionale costituisce una posta creditoria di cui la conduttrice puo’ chiedere la restituzione con gli interessi maturati, sicche’ il relativo importo va decurtato in compensazione, come richiesto, dall’ammontare complessivo del debito della conduttrice per i canoni non corrisposti, oggetto della pronuncia del Tribunale, che in tal senso va, dunque, parzialmente riformata.
La Corte ha invece confermato il rigetto per tutte le altre voci della domanda riconvenzionale riguardanti profili di danno emergente non spettante alla convenuta, stante l’imputabilita’ dell’inadempimento, accertata con la pronuncia di risoluzione per morosita’, e l’esclusione di illecito contrattuale della controparte.
5. Avverso la predetta sentenza n. 5220/2018 (OMISSIS) propone ricorso fondato su cinque motivi. Resiste con controricorso la (OMISSIS).
6. La trattazione del ricorso e’ stata fissata ai sensi dell’articolo 380-bis 1 c.p.c..
7. Il Pubblico Ministero non ha depositato le proprie conclusioni.
8. La parte controricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO

CHE:
1. Il primo motivo deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 345 c.p.c. Error In procedendo”. Oggetto della censura e’ la statuizione della Corte territoriale, sopra riportata, con la quale e’ stata ritenuta inammissibile la produzione, in grado di appello, del documento indicato dal ricorrente come originale della copia prodotta in primo grado della scrittura del 7/4/2009, in violazione dell’articolo 345 c.p.c. Al riguardo il ricorrente si riporta alla giurisprudenza di legittimita’ in base alla quale “in tema di appello, non costituisce nuova produzione, ai sensi dell’articolo 354 c.p.c., il deposito in originale di un documento la cui copia e’ stata prodotta nel giudizio di primo grado, trattandosi della regolarizzazione formale del precedente deposito tempestivamente avvenuto” (Cass., 26-1-2016, n. 1366; Cass., 6-8-2007, n. 17172; Cass., 10-12-2014, n. 26030).
2. Il secondo motivo deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, “Violazione e falsa applicazione dell’articolo 1453 c.c., articolo 1587 c.c., n. 2 in relazione all’articolo 2702 in relazione (sic) all’articolo 2697 c.c. e articolo 215 c.p.c.”. La ricorrente argomenta che il disconoscimento della conformita’ della copia fotostatica all’originale di una scrittura, di cui all’articolo 2719 c.c., non ha gli stessi effetti del disconoscimento della scrittura privata, previsto dall’articolo 215 c.p.c., comma 1, n. 2.
Mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione, preclude la utilizzabilita’ della scrittura, la contestazione ai sensi dell’articolo 2719 c.c. non impedirebbe al giudice di accertare la conformita’ all’originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.
Nel caso di specie, argomenta la ricorrente, a seguito della produzione in originale del documento ad essa attribuito, l’odierna resistente avrebbe dovuto disconoscere la sua sottoscrizione o proporre querela di falso civile ove avesse ritenuto trattarsi di abusivo riempimento di foglio in bianco di tale scrittura. Le conseguenze che il ricorrente rientrare da tale postulato sono le seguenti: (i) il documento di cui si discute proverebbe pienamente la verita’ di quanto pattuito (e cioe’ il suo contenuto ideologico), nonche’ la riferibilita’ di esso all’odierna resistente, quanto la sua sottoscrizione. (ii) Con quella scrittura l’odierna resistente autorizzo’ la ricorrente a sospendere l’adempimento dell’obbligazione di cui all’articolo 1578 c.c., n. 2, (iii) La Corte distrettuale avrebbe pertanto fatto malgoverno dell’articolo 1453 c.c., inapplicabile alla fattispecie stante la sospensione dell’obbligazione ex articolo 1587 c.c., e dunque dell’intero sinallagma contrattuale al suo esame. In sostanza, la Corte ha confermato la declaratoria di risoluzione di un contratto (quello di locazione) a prestazioni corrispettive nonostante che il creditore della prestazione avesse accordato al debitore la sospensione della prestazione su di esso gravante.
3. Il terzo motivo deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, “Violazione e falsa applicazione degli articoli 1453, 1460, 1571 e 1575 c.c. in relazione all’articolo 1587 c.c., n. 2”. – Oggetto della censura e’ la statuizione della Corte territoriale secondo la quale il sinallagma proprio del rapporto locativo non consente al conduttore di sospendere il pagamento del canone, e la cosiddetta autoriduzione del canone (e cioe’, il pagamento di questo in misura inferiore a quella convenzionalmente stabilita) costituisce fatto arbitrario e illegittimo del conduttore, che provoca il venir meno dell’equilibrio sinallagmatico del contratto, anche nell’ipotesi in cui tale autoriduzione sia stata effettuata dal conduttore in riferimento al canone dovuto a norma dell’articolo 1578 c.c., comma 1, per ripristinare l’equilibrio del contratto, turbato dall’inadempimento del locatore consistente nei vizi della cosa locata.
La ricorrente deduce che, successivamente alla data di inizio della locazione (16/10/2008) avente per oggetto un immobile da destinare a baby parking, si sono verificate sopravvenienze (tra le quali: il diniego del Comune all’odierna ricorrente, in data 6/10/2010, della possibilita’ di eseguire le opere per destinare il bene alla prevista funzione di Baby Parking. Il successivo diniego, sempre da parte del Comune, in data 8/3/2012, della autorizzazione al cambio di destinazione d’uso del bene da laboratorio ad uso commerciale) che hanno fatto venir meno la prestazione gravante sul locatore ai sensi dell’articolo 1575 c.c., a mente del quale il locatore deve mantenere la cosa locata “in stato da servire all’uso convenuto”, il che, nello specifico, si sarebbe tradotto nell’obbligo del locatore di garantire non solo l’avvenuto rilascio – da parte delle autorita’ – di autorizzazioni o licenze amministrative relative alla destinazione d’uso del bene immobile oggetto del contratto, ma anche il loro persistere nel tempo.
I provvedimenti amministrativi sopra richiamati avrebbero impedito la prestazione gravante sul locatore ex articolo 1575 c.c., con conseguente venir meno dell’obbligo del conduttore di pagare il canone.
4. Il quarto motivo deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, “Violazione e falsa applicazione degli articoli 1453, 1460, 1571 e 1575 c.c. in relazione all’articolo 1587 c.c., n. 2”. Oggetto della censura e’ la statuizione della Corte territoriale secondo la quale “la mancanza dei requisiti urbanistici non ha impedito l’utilizzo dell’immobile da parte della conduttrice che, del resto, dalla stipula del contratto di locazione nell’ottobre 2008 fino rilascio in data 20/11/2012, in esecuzione dell’ordinanza di rilascio del Tribunale, ne ha conservato ininterrottamente la detenzione e disponibilita’”.
La ricorrente lamenta che la Corte territoriale, decidendo su un punto decisivo della controversia oggetto di discussione tra le parti, avrebbe omesso di considerare le risultanze dell’istruttoria, dalla quale risulterebbe che, pur restando nella detenzione del bene, il ricorrente non lo ha utilizzato per la destinazione prevista di “centro ricreativo per bambini”. Qualora avesse considerato tale circostanza, deduce la ricorrente, la Corte sarebbe pervenuta a ben diversa conclusione.
5. Il quinto motivo deduce, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, “Omesso esame della domanda riconvenzionale e dei connessi motivi di appello. Violazione dell’articolo 112 c.p.c.”. Se ne riporta di seguito il contenuto testuale: “”Va, invece, confermato il rigetto per tutte le altre voci della domanda riconvenzionale che riguardano, invece, profili di danno emergente non spettante alla convenuta, stante l’imputabilita’ dell’inadempimento, accertata con la pronuncia di risoluzione per morosita’, e l’esclusione di illecito contrattuale della controparte”. Cosi’ motiva la Corte distrettuale il rigetto dei capi della domanda riconvenzionale non accolti da essa Corte e che hanno costituito motivo di puntuale e specifica impugnativa cosi’ come riportato nella denunziata sentenza. L’accoglimento dei motivi di ricorso che precedono impongono (sic) dunque l’obbligo per il Giudice di merito di esaminare profili di appello in parte qua non esaminati dal giudice napoletana (sic) a cagione della denunziata illegittima motivazione della denunziata sentenza”.
6. Il primo motivo viola l’articolo 366 c.p.c., n. 6, in quanto non fornisce l’indicazione specifica del documento di cui trattasi, astenendosi in particolare dal localizzarlo in questo giudizio di legittimita’. In aggiunta a tale rilievo, va osservato che nella sentenza e’ detto che il documento in originale e’ stato prodotto alla seconda udienza di trattazione.
Ora basterebbe questo a giustificare la tardivita’ della produzione, a prescindere dalla dubbia persuasivita’ del principio di diritto di cui a Cass. n. 1366 del 2016. Infatti, l’articolo 342 c.p.c., comma 1, richiama l’articolo 163 e questo, al n. 5, prevede che nell’atto di citazione debbano essere indicati i documenti. Cio’ significa che i documenti producibili in appello lo debbono essere con l’atto introduttivo, non essendo previsti termini ulteriori come nel regime dell’articolo 183 c.p.c. Se dunque la produzione fosse stata legittima in relazione all’articolo 345 c.p.c., comunque avrebbe dovuto farsi con la citazione in appello.
In ogni caso, il precedente di cui a Cass. n. 1366 del 2016 (gli altri citati sono non pertinenti) appare del tutto discutibile: e’ errato sostenere che l’originale di un documento prodotto in copia non sia un diverso documento e cio’, evidentemente, alludendo ad esso come contenuto. E’ corretto invece intendere la novita’ di cui all’articolo 345 c.p.c. come relativa al documento nella sua consistenza rappresentativa, ed e’ evidente che un documento in copia ed uno in originale sono diversi, il che palesa che se in appello viene prodotto il secondo si tratta di documento nuovo.
D’altro canto, consentire la produzione di un documento in originale in appello senza che si dimostri l’impossibilita’ di poterlo produrre e’ in manifesta contraddizione con il fatto che, non producendolo, si e’ impedita la verificazione e la querela, e ad esse si dovrebbe dare ingresso in appello con conseguente incongruenza e a scapito della durata del processo.
7. Il secondo motivo resta assorbito dalla sorte del primo.
8. Il terzo motivo si fonda su una serie di emergenze fattuali delle quali non si fornisce l’indicazione specifica ai sensi dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, in particolare omettendosi di precisare “se” e “come” fossero entrate nel giudizio. E’ pertanto inammissibile.
9. Il quarto motivo evoca nuovamente circostanze fattuali senza rispettare l’onere di cui all’articolo 366 c.p.c., n. 6, e comunque sollecita una rivalutazione del fatto e non denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme che indica. Pertanto, dunque, plurime ragioni di inammissibilita’.
10. Il quinto motivo resta assorbito, data la sorte dei precedenti. Era un “non motivo” auspicando solo un effetto rilevante dall’ipotetico accoglimento degli ulteriori atti.
11. Il ricorso e Pertanto inammissibile, stante l’inammissibilita’ di tutti i motivi.
12. Le spese seguono la soccombenza, e si liquidano in dispositivo ai sensi del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014.
13. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del resistente, alle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in Euro 3.500,00, oltre agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17 da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.

 

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