Appello: ammesse prove nuove per fatti sopravvenuti

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|2 gennaio 2025| n. 34.

Appello e le prove nuove per fatti sopravvenuti

Massima: Nel procedimento d’appello, il divieto di introdurre nuove prove documentali non opera nel caso di fatti sopravvenuti, verificatisi dopo lo scadere del termine per la loro deducibilità nel giudizio di primo grado, dal momento che l’insussistenza del fatto storico nelle more del giudizio di prime cure, che ha reso impossibile sollevare la relativa eccezione nei termini processuali, non contrasta con l’esigenza di assicurare il doppio grado di giudizio sul merito. In particolare, il novellato articolo 345, comma 3, cod. proc. civ. ammette, in via eccezionale rispetto al divieto di “nova” indicato al primo comma, la produzione dei documenti in appello ove la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado; tale limitata facoltà, peraltro, è del tutto slegata dal carattere di indispensabilità della prova previsto prima della novella del 2012 (Nel caso di specie, relativo ad un giudizio di responsabilità professionale promosso nei confronti di un avvocato, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha cassato con rinvio la decisione gravata per avere la corte del merito omesso nella circostanza di valutare correttamente se l’attività difensiva svolta nel giudizio di appello in favore della odierna ricorrente, convenuta e condannata al risarcimento in altra causa, fosse stata diligentemente compiuta in conformità agli enunciati principi). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile I, ordinanza 12 giugno 2024, n. 16289; Cassazione, sezione civile II, sentenza 24 ottobre 2023, n. 29506; Cassazione, sezione civile II, ordinanza 19 luglio 2021, n. 20556; Cassazione, sezione civile I, sentenza 5 luglio 2019, n. 18219; Cassazione, sezione civile II, sentenza 18 aprile 2001, n. 5703).

 

Ordinanza|2 gennaio 2025| n. 34. Appello e le prove nuove per fatti sopravvenuti

Integrale

Tag/parola chiave: Procedimento civile – Impugnazioni – Giudizio di appello – Divieto di introdurre nuove prove documentali – Portata – Fatti sopravvenuti dopo la scadenza del termine per la loro deducibilità nel giudizio di primo grado – Operatività – Esclusione – Condizioni – Fattispecie relativa a giudizio di responsabilità professionale. (Cpc, articolo 345)

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RUBINO Lina – Presidente

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere

Dott. FIECCONI Francesca – Relatore

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 824/2023 R.G. proposto da:

Be.Um., elettivamente domiciliata in ROMA Vi.Ma., presso lo studio dell’avvocato AL.FL. (Omissis) rappresentata e difesa dall’avvocato AD.GA. (Omissis)

– ricorrente –

Contro

De.Ma., elettivamente domiciliata in Mestre-Venezia Pi.Fe., presso lo studio dell’avvocato PA.MA. (Omissis) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CA.MA. (Omissis)

– controricorrente –

avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 2367/2022 depositata il 04/11/2022.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/12/2024 dal Consigliere FRANCESCA FIECCONI.

Appello e le prove nuove per fatti sopravvenuti

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato in data 25 .12.2022, illustrato da successiva memoria, Be.Um. insta per la cassazione della sentenza n. 2367/22, pubblicata dalla Corte di Appello in data 04.11.2022 e notificata in pari data. Resiste l’avv. De.Ma., con controricorso illustrato da memoria.

Il Tribunale di Venezia ha rigettato la domanda di risarcimento danni proposta da Be.Um. nei confronti dell’avvocato De.Ma. dedotta in riferimento all’espletamento del mandato defensionale ricevuto dalla ricorrente Be.Um. allorché era stata convenuta in giudizio innanzi al Tribunale di Padova dalla Co. Spa (poi At. Spa, successivamente fallita), per ottenere il risarcimento del danno per l’inadempimento di un accordo concluso nel 2006, in cui St.Re. Srl risultava quale debitrice principale. A tale richiesta aveva resistito la Be.Um. assistita dall’avv. De.Ma. Il Tribunale di Padova l’aveva condannata a pagare un risarcimento di oltre 1.300.000 Euro. La sentenza era stata confermata dalla Corte d’Appello di Venezia e dalla Corte di cassazione, e la Be.Um. subiva l’espropriazione della casa in seguito al mancato pagamento dell’importo condannatorio portato nella sentenza definitiva.

Assume la ricorrente Be.Um. che nel giudizio di primo grado svoltosi a Padova l’avvocato De.Ma. che l’aveva assistita, prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni, avrebbe potuto acquisire documentazione attestante la stipula di una datio in solutum intervenuta nel frattempo tra la società creditrice e la debitrice principale St., a estinzione dell’obbligazione rimasta inadempiuta, pari a Euro 1.470.000,00; deduce pertanto la responsabilità dell’avvocato per non aver prodotto per tempo detta documentazione attestante l’estinzione del debito già nel primo grado e per non avere coinvolto per tempo in via di regresso la debitrice principale St., chiamandola in giudizio.

Il Tribunale di Venezia, adito dalla Be.Um., rigettava la domanda di accertamento della responsabilità dell’avvocato De.Ma. La ricorrente interponeva appello deducendo la mancata considerazione della omessa produzione di documentazione formatasi prima della emissione della sentenza di primo grado e la omessa chiamata di St. nel giudizio innanzi alla Corte d’Appello di Venezia.

La Corte di merito rigettava l’impugnazione sulla base del rilievo che la Corte di cassazione non aveva ritenuto inammissibile la produzione comprovante l’avvenuto ristoro, integrabile con una successiva istanza, bensì tardiva l’allegazione del pagamento o ristoro del danno in quanto effettuata, per la prima volta, solo in sede di gravame. In breve, rilevava che fosse stata considerata dirimente, nella causa gestita dall’avv. De.Ma., la mancata allegazione del fatto estintivo che doveva essere dedotta, quale eccezione in senso proprio, in comparsa di risposta venti giorni prima dell’udienza, trattandosi di una eccezione di merito non rilevabile d’ufficio; riteneva che l’appellante Be.Um., tuttavia, non aveva considerato, nell’instaurare il giudizio avverso il suo avvocato, che il fatto storico della datio in solutum era venuto ad esistenza dopo che l’avv. De.Ma. si era costituita per conto della Be.Um., né aveva dedotto alcunché sul fatto che l’avvocato fosse a conoscenza che Co. era stata soddisfatta dal debitore principale, posto che la datio in solutum è in data 4.6.2008, laddove la comparsa di costituzione era del 10.5.2007, essendo già a quel tempo maturate le preclusioni assertive. Quanto alla mancata chiamata in via di regresso della debitrice principale verso la quale il creditore aveva agito a sua volta in via di regresso, la Corte di merito assumeva che detta azione ben potesse essere esercitata in via principale, sicché anche sotto questo aspetto non ravvisava una negligenza dell’avvocato nella scelta di non coinvolgere la debitrice principale nel giudizio.

Appello e le prove nuove per fatti sopravvenuti

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso la ricorrente Be.Um. deduce quattro motivi: 1) violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, n. 1, n. 4 e n. 5 c.p.c., per aver la Corte d’Appello omesso di motivare in ordine all’irrilevanza del fatto storico riguardante l’estinzione del debito di St.Re. Srl nei confronti di Co. Spa; 2) violazione e falsa applicazione degli artt. 157 e 167 cpc in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c. per aver la Corte d’Appello ritenuto inammissibile la proposizione di eccezioni proprie oltre il termine di cui all’art. 167 c.p.c. sebbene le stesse fossero basate su fatti successivi allo scadere di detto termine; 3) violazione e falsa applicazione degli artt. 1176 e 1218 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., per aver la Corte d’Appello di Venezia ritenuto esente da responsabilità l’avv. De.Ma. sebbene la stessa potesse astrattamente sapere dell’avvenuta estinzione del debito di St.Re. Srl nei confronti di Co. Spa; 4) violazione e falsa applicazione degli art. 1176, 1218 e 1950 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. per aver la Corte d’Appello di Venezia ritenuta corretta la scelta dell’avv. De.Ma. di non chiamare in causa la St.Re. Srl

A supporto del primo motivo la ricorrente deduce che la datio in solutum e l’estinzione del debito da parte della debitrice St. rappresentano il “fatto storico” evincibile dalla documentazione prodotta, e non un fatto processuale scaturente da un giudizio. In ogni caso la domanda svolta dalla ricorrente presupporrebbe un accertamento incidentale dell’estinzione del danno invocato contro la stessa e, ove si ritenesse il fatto non accertato, la sentenza sarebbe altresì nulla per violazione dell’art 112 c.p.c. per omessa pronuncia. Sul punto la Corte veneziana avrebbe licenziato il fatto come irrilevante, senza specificare se si trattasse di irrilevanza perché il fatto non è contestato, ovvero perché irrilevante ai fini della decisione sebbene sussistente.

Osserva la Corte che il motivo è inammissibile sotto due profili: il primo riguarda il rilievo che, ex art. 348 ter c.p.c., trattandosi di deduzione di un vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 rispetto a una sentenza “doppiamente conforme” la ricorrente avrebbe dovuto indicare quali elementi diversi, non analizzati dal giudice di primo grado di Venezia, siano stati omessi in motivazione come fatti primari o secondari rilevanti; il secondo profilo, riguarda il rilievo che la deduzione non considera che la motivazione della Corte di merito è riposta su valutazioni delle deduzioni della Be.Um. volte a ottenere l’esame della documentazione tardivamente prodotta nel giudizio di primo grado dopo la costituzione in giudizio: e proprio su questo punto la sentenza impugnata fonda il rigetto della domanda avverso l’avvocato difensore, soprattutto in riferimento alla mancata sua conoscenza pregressa del fatto estintivo, tenuto conto della data della datio in solutum, intervenuta successivamente alla costituzione in giudizio dell’avvocato nell’interesse della Be.Um. Pertanto, la motivazione della sentenza impugnata non risulta certamente apparente o violatoria del cd minimo costituzionale di cui alle sentenze gemelle n. 8053 e 8054 del 2014 delle Sezioni Unite della Suprema Corte.

Appello e le prove nuove per fatti sopravvenuti

A supporto del secondo motivo la ricorrente espone che la sentenza della Corte d’Appello di Venezia incorre in una evidente violazione degli artt. 153 e 167 c.p.c., allorquando nega fermamente che il fatto sopravvenuto all’ordinaria scadenza delle preclusioni assertive del convenuto, possa essere dedotto in un momento successivo al deposito della comparsa di costituzione.

La decisione della Corte di merito assume che, nel caso concreto, è mancata la deduzione della sussistenza di nesso causale tra l’inadempimento assertivo dell’avvocato e il danno, atteso che la sua personale conoscenza del fatto estintivo, certamente riferibile alla parte in causa coinvolta nella vicenda, ma non necessariamente all’avvocato che l’assisteva, non è stata allegata né dimostrata sussistere entro i termini processuali del giudizio di primo grado.

Il motivo è fondato.

La Corte di Cassazione, Sezione 3, con la sentenza 11 ottobre 2022 n. 29656, nel giudizio de quo ha applicato un principio che avrebbe dovuto essere meglio considerato dalla Corte d’Appello per valutare la sussistenza o meno di una qualche responsabilità dell’avvocato nella mancata allegazione del fatto estintivo dell’obbligazione nei termini processuali. La preclusione delle allegazioni assertive nel giudizio di primo grado, infatti, non impedisce l’allegazione e la produzione di prove in ordine ai fatti nuovi sopraggiunti nel corso del processo, rilevanti ai fini della decisione quanto meno fino all’udienza di precisazione delle conclusioni.

Fermo il divieto dei nova in appello, sancito dall’articolo 345 c.p.c. (su cui si veda, da ultimo, Cass. n. 9211/2022), È anche ben noto che nel procedimento d’appello, il divieto di introdurre nuove prove documentali non opera nel caso di fatti sopravvenuti, verificatisi dopo lo scadere del termine per la loro deducibilità nel giudizio di primo grado, dal momento che l’insussistenza del fatto storico nelle more del giudizio di prime cure, che ha reso impossibile sollevare la relativa eccezione nei termini processuali, non contrasta con l’esigenza di assicurare il doppio grado di giudizio sul merito (così, Cass. n. 18219/2019; Cass. n. 5703/2001). Più precisamente, il novellato art. 345, co. 3, c.p.c. ammette, in via eccezionale rispetto al divieto di nova indicato al primo comma, la produzione dei documenti in appello ove la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado. Tale limitata facoltà, peraltro, è del tutto slegata dal carattere di indispensabilità della prova previsto prima della novella del 2012 (Cass.Sez.1-, Ordinanza n. 16289 del 12/06/2024; Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 29506 del 24/10/2023; Cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 20556 del 19/07/2021).

Pertanto, seppur l’allegazione dell’intervenuto pagamento non fosse idonea a suffragare una decisione di primo grado che ne tenesse conto (giacché non solo effettuata a preclusioni assertive ed istruttorie maturate, ma anche successivamente alla precisazione delle conclusioni – v. Cass. n. 14267/2017), la difesa della ricorrente aveva la possibilità – e dunque l’onere – di veicolare la medesima circostanza dinanzi al giudice d’appello, affinché questi la prendesse in considerazione, a riduzione del quantum condannatorio.

Tale principio diviene ancora più esplicito nell’esame dei passaggi motivazionali che sottendono alla decisione della succitata Corte di cassazione nel giudizio condotto dall’avv. De.Ma. nell’interesse della cliente qui ricorrente: “Ebbene, gli odierni ricorrenti incidentali allegarono solo in seno alla comparsa conclusionale – nel giudizio pendente dinanzi al Tribunale di Bologna, esitato nella sentenza n. 2425/2011, poi azionata in executivis – di aver effettuato detto pagamento, benché esso fosse avvenuto un anno prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni, tenutasi nel marzo 2011. Proprio per tale ragione, ossia per la tardività dell’allegazione, con la ripetuta sentenza n. 2425/2011 il Tribunale felsineo escluse di poter detrarre dal quantum condannatorio la stessa somma; detta specifica statuizione non venne però impugnata…. Non essendo ciò avvenuto, sulla debenza dell’intera somma ivi accertata È inesorabilmente sceso il giudicato, sicché nell’intimazione del (in sé considerata) circa il residuo credito derivante dalla stessa sentenza n. 2425/2011 non può ravvisarsi alcun abuso del processo, come invece sostenuto dai ricorrenti incidentali”.

Stando così le cose, nel valutare la sussistenza o meno di un comportamento contrario ai doveri di diligenza inerenti al mandato difensivo ricevuto dalla De.Ma., la Corte di merito avrebbe dovuto considerare se l’attività compiuta nella fase di appello dall’avvocato De.Ma., e ciò in base a quanto dedotto dalla Be.Um. a motivo della sua responsabilità, sia stata svolta in ottemperanza alla normativa sopra richiamata, riportando la situazione non tanto al giudizio di primo grado ove era inesorabilmente caduta la scure delle preclusioni assertive per fatto non imputabile all’avvocato, ma al giudizio d’appello ove il fatto estintivo, se venuto in esistenza dopo le preclusioni maturate nel giudizio di primo grado, in base alla giurisprudenza sopra richiamata poteva essere dedotto dalla difesa della appellante e – in eventum – positivamente vagliato dalla Corte d’Appello a titolo di inadempimento professionale, sulla base della valutazione prognostica collegata alla responsabilità dell’avvocato.

Appello e le prove nuove per fatti sopravvenuti

L’accoglimento di tale motivo assorbe la terza censura in cui la ricorrente deduce la errata applicazione delle norme in tema di diligenza dell’avvocato nell’espletare il proprio mandato, denunciando che la sentenza giunge al paradosso di elevare la diligenza pretendibile dal soggetto non professionista, addossando al soggetto non titolato (la parte) la responsabilità per una attività che per il soggetto titolato (il difensore) non è invece richiesta né sanzionata, non avendo mai sostenuto che l’avv. De.Ma. fosse a conoscenza dell’operazione ed abbia dolosamente taciuto la circostanza, in quanto sarebbe motivo di una responsabilità anche penalmente rilevante, ma di avere diversamente affermato che l’allora difensore in primo grado, che aveva seguito la medesima ricorrente anche nel processo penale che si occupava della medesima questione, ha omesso di analizzare con la dovuta diligenza professionale alcune circostanze di fatto che lasciavano intendere una anomala acquisizione di partecipazioni azionarie da parte della creditrice Co. dalla debitrice principale.

Con il quarto motivo la ricorrente deduce l’erroneità della sentenza impugnata là dove ha escluso ogni responsabilità dell’avvocato per non avere chiamato in causa la parte debitrice principale verso la quale la creditrice stava agendo in un separato giudizio, sull’assunto che sia stata omessa un’attività difensiva nell’interesse della parte assistita che, oltre a non svolgere una domanda consequenziale all’accoglimento di quella contro di sé rivolta, ha consentito a Co. di tenere aperti due distinti fronti del tutto autonomi, condotta che sarebbe stata inibita all’avversario ove St. fosse stata convenuta in giudizio. La rivalsa verso St. nel simultaneus processus, avrebbe provocato una probabile riunione al giudizio già pendente intrapreso da Co., e tutti i protagonisti avrebbero agito in trasparenza. In punto di diritto osserva che quand’anche la sig.ra Be.Um. avesse agito in separato giudizio su suggerimento del nuovo difensore, si sarebbe trovata di fronte ad una difesa tranciante, in quanto St. avrebbe opposto l’adempimento dell’azione di regresso esercitata da Co. e quindi l’infondatezza della domanda della sig.ra Be.Um.

La deduzione è inammissibile, in quanto non riferisce un inadempimento del professionista al proprio mandato, come anche rilevato dalla sentenza impugnata con valutazione ex ante riferita alla possibilità di instaurare un separato giudizio nei confronti della debitrice principale, anche successivamente, ma afferma, quale titolo di responsabilità professionale dell’avvocato patrocinatore, il mancato esercizio di una opzione processuale in grado di impedire, in eventum, un comportamento sleale della controparte rivelatosi come tale solo ex post. Il mancato esercizio di una opzione processuale (la chiamata in causa di una terza parte tenuta alla manleva in caso di condanna del convenuto), tuttavia, fuoriesce dal campo di valutazione della diligenza dell’avvocato nell’espletare il mandato, rientrando nel merito di scelte difensive del tutto insindacabili e, in ogni caso, nel caso specifico non ab origine in rapporto causale con l’evento di danno lamentato. L’avvocato, i cui obblighi professionali sono di mezzi e non di risultato, è tenuto ad operare con diligenza e perizia adeguate alla contingenza, così da assicurare che la scelta professionale cada sulla soluzione che meglio tuteli il cliente nella situazione quo ante (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 21953 del 21/07/2023; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4790 del 28/02/2014).

Conclusivamente, il ricorso va accolto per quanto di ragione relativamente al secondo motivo, assorbito il terzo, inammissibili il primo e il quarto; con conseguente cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia perché decida, in diversa composizione, anche sulla regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio.

Appello e le prove nuove per fatti sopravvenuti

P.Q.M.

accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, relativamente al secondo motivo; dichiara inammissibili primo e il quarto, assorbito il terzo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto; rinvia alla Corte di appello di Venezia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2024.

Depositato in Cancelleria il 2 gennaio 2025.

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