Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 11636.
Appalto e la nullità del contratto derivante dalla mancanza dei titoli abilitativi dei lavori
Non è configurabile una responsabilità dell’appaltatore nei confronti della committente ex articolo 1669 del codice civile in un caso in cui l’opera non sia stata ultimata e l’abbandono del cantiere sia stato ritenuto giustificato per la nullità del contratto derivante dalla mancanza dei titoli abilitativi dei lavori.
Ordinanza|| n. 11636. Appalto e la nullità del contratto derivante dalla mancanza dei titoli abilitativi dei lavori
Data udienza 2 marzo 2023
Integrale
Tag/parola chiave: APPALTO PRIVATO – CONTRATTO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere
Dott. CAPONI Remo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3309-2021 R.G. proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS));
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS) presso lo studio dell’avv.to (OMISSIS) ( (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di LECCE n. 1121-2020 depositata il 23/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/03/2023 dal Consigliere LUCA VARRONE.
Appalto e la nullità del contratto derivante dalla mancanza dei titoli abilitativi dei lavori
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione (OMISSIS), titolare dell’omonima ditta, citava in giudizio innanzi al Pretore di (OMISSIS) (OMISSIS), deducendo di aver stipulato con la convenuta un contratto di appalto in data 3.3.1995 per la realizzazione di opere di edilizia, relative ad un immobile sito in (OMISSIS) e di aver dovuto sospendere l’attivita’ commissionata perche’ la sua completa esecuzione avrebbe comportato di porre in essere opere abusive. Chiedeva, pertanto, il pagamento della somma di L. 20.000.000 – pari al valore delle opere eseguite prima della sospensione dei lavori – a titolo di ingiustificato arricchimento.
2. Si costituiva in giudizio la (OMISSIS), la quale contestava le ragioni addotte dall’appaltatore a giustificazione della sospensione, assumendo che questa era stata, invece, determinata da una non corrispondenza delle opere eseguite al progetto e dal tentativo di ottenere una non chiara revisione del contratto. Chiedeva, in via riconvenzionale, il ristoro dei danni derivati dalla sospensione – perche’ ascrivibile a colpa dell’appaltatore – e quantificati in L. 100.000.000, sia a titolo di spese necessarie per la demolizione delle opere realizzate non a regola d’arte, sia a ristoro del nocumento derivatole per la violazione degli accordi contrattuali in esame. Il Pretore di (OMISSIS), preso atto della richiesta economica avanzata in via riconvenzionale, con ordinanza del 19.7.1996,
dichiarava la propria incompetenza per valore e rimetteva le parti innanzi al Tribunale di Lecce.
3. Con atto di citazione la (OMISSIS) riassumeva il giudizio innanzi al Tribunale di Lecce, il quale, all’esito delle numerose CTU, con sentenza n. 667-2010, depositata il 17.3.2010, rigettava la domanda proposta dal (OMISSIS) e accoglieva la domanda riconvenzionale proposta dalla (OMISSIS), condannando il (OMISSIS) al pagamento della somma di Euro 86.879,79, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, a titolo di risarcimento dei danni, derivanti dalla mancata esecuzione del contratto di appalto. Danni limitati a quelli emergenti con esclusione: a) dei danni relativi alla necessita’ di realizzazione di parcheggio; b) di una parte dei danni derivanti dalla necessita’ di locazione di un immobile per la propria famiglia, nelle more della sospensione dei lavori edili; c) dei danni derivanti dalla necessita’ di realizzazione di opere di salvaguardia delle abitazioni dei vicini.
4. Avverso tale sentenza proponeva appello la (OMISSIS), e subito dopo proponeva appello anche il (OMISSIS). Gli appellati, costituendosi nel giudizio rispettivamente introdotto dalla controparte, eccepivano l’infondatezza del gravame e proponevano ciascuno appello incidentale. Le due cause erano riunite avendo ad oggetto la medesima sentenza.
5. Con sentenza n. 763-2013, depositata il 21.10.2013, la Corte d’Appello di Lecce accoglieva in parte sia l’appello – principale ed incidentale – proposto dalla (OMISSIS) che l’appello – sia principale che incidentale – proposto dal (OMISSIS), per l’effetto, rideterminava in Euro 83.576,14, oltre interessi nella misura legale dalla domanda al soddisfo, la somma cui (OMISSIS) era condannato a pagare, confermando nel resto l’impugnata sentenza e compensando le spese del grado del giudizio.
6. Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione sia (OMISSIS) che (OMISSIS).
7. Questa Corte accoglieva il primo motivo del ricorso di (OMISSIS) e cassava la decisione della Corte d’Appello. In particolare, la sentenza di cassazione con rinvio evidenziava che in tema di contratti di appalto aventi ad oggetto la costruzione di immobili eseguiti in difformita’ rispetto alla concessione edilizia, occorre distinguere a seconda che tale difformita’ sia totale o parziale: nel primo caso (L. 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 7) – che si verifica quando e’ stato realizzato un edificio radicalmente diverso per caratteristiche tipologiche e volumetrie – l’opera e’ da equiparare a quella costruita in assenza di concessione, con la conseguenza che il relativo contratto di appalto e’ nullo per illiceita’ dell’oggetto e violazione delle norme imperative in materia urbanistica; detta nullita’, invece, non sussiste nel secondo caso (L. n. 47 del 1985, articolo 12), che si verifica quando la modifica concerne parti non essenziali del progetto (Cass. n. 2187 del 2011).
Appalto e la nullità del contratto derivante dalla mancanza dei titoli abilitativi dei lavori
Nella specie la Corte d’appello si era limitata all’errata affermazione secondo la quale dall’indagine tecnica sarebbe emerso che le difformita’ (non meglio identificate per gravita’) potessero essere sanate, senza verificare se le stesse rendessero la costruzione del tutto difforme rispetto al progetto approvato. Viceversa, proprio dalla CTU si evidenziava che le difformita’ rendevano l’opera non conforme rispetto al progetto approvato: infatti, il CTU (in risposta al quesito n. 6 del supplemento di perizia depositato il 7.10.2004, riportato nel ricorso incidentale a pag. 23) aveva affermato che “la realizzazione delle opere indicate in contratto, e non riportate nel progetto approvato, avrebbe comportato il mancato rispetto degli indici previsti dallo strumento urbanistico all’epoca vigente, in quanto sia la superficie che la cubatura, espresse in progetto, erano al limite dell’assentito”. Poiche’ incombe al costruttore – oltre che al titolare della concessione edilizia e al committente – l’obbligo giuridico del rispetto della normativa sulle concessioni, ai sensi della L. n. 47 del 1985, articolo 6, comma 1, (ora Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 29, comma 1), il (OMISSIS), come costruttore, era tenuto a verificare che l’opera contrattualmente prevista fosse conforme alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano, alle previsioni della concessione edilizia e alle sue modalita’ esecutive. Tale conformita’, come rilevato dai CTU, nella specie non esisteva e cio’ veniva riconosciuto dalla stessa sentenza.
La Corte di merito, dunque, si era limitata all’apodittica affermazione, sganciata dalla effettiva indagine tecnica svolta, della mera e astratta possibilita’ di una eventuale sanatoria dell’opera abusiva, senza indagare se le difformita’ fossero tali da comportare un’opera difforme (totalmente o parzialmente) da quella di cui al progetto approvato.
Per questa sola ragione aveva ritenuto ingiustificato l’abbandono del cantiere da parte del (OMISSIS) e dunque aveva affermato il suo inadempimento agli accordi contrattuali.
Inoltre la Corte d’Appello aveva commesso un altro errore nella parte in cui, pur avendo accertato l’esistenza delle difformita’ e avendo semplicemente ritenuto che esse potessero essere risolte, non aveva valorizzato la circostanza che, nel momento in cui il (OMISSIS) aveva abbandonato il cantiere, le difformita’ erano esistenti; cosi’ finendo per addossare al (OMISSIS) le responsabilita’ delle difformita’ medesime, ritenendo ingiustificato un suo inadempimento, nonostante il medesimo si trovasse nell’impossibilita’ di adempiere alle obbligazioni proprio perche’ sussistenti le difformita’ riconosciute dalla Corte.
Infatti, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 11, secondo cui “il permesso di costruire e’ rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo”, rientrano tra i doveri della committenza quello di ottenere tutti i provvedimenti amministrativi necessari per l’esecuzione dell’opera appaltata.
8. (OMISSIS) riassumeva il giudizio innanzi alla Corte di Appello di Lecce deducendo che la verifica delle caratteristiche tipologiche dell’edificio da realizzarsi in esecuzione del contratto di appalto avrebbe consentito di accertarne la radicale difformita’, per caratteristiche tipologiche e volumetriche, rispetto alle opere assentite con concessione edilizia n. 478 dell’8 novembre 1994. Le difformita’ erano state analiticamente indicate dal CTU nominato nel giudizio ed erano gia’ esistenti allorquando il (OMISSIS) abbandono’ il cantiere.
9. Si costituiva nel giudizio di rinvio (OMISSIS) deducendo che la Corte di cassazione nel disporre il rinvio aveva inteso chiedere la verifica della sussistenza di difformita’ parziali o totali rispetto alla concessione e insisteva nel ritenere l’abbandono del cantiere da parte del (OMISSIS) del tutto ingiustificato.
Appalto e la nullità del contratto derivante dalla mancanza dei titoli abilitativi dei lavori
10. La Corte d’Appello di Lecce accoglieva la domanda proposta da (OMISSIS) e dichiarava la nullita’ del contratto siglato tra le parti il 3 marzo 1995.
La Corte d’Appello rilevava come fosse incontestato che il contratto di appalto siglato tra le parti prevedesse la realizzazione di opere ulteriori e difformi rispetto al progetto esecutivo. Sulla base della pronuncia di cassazione con rinvio doveva accertarsi la sussistenza di una difformita’ totale o parziale tra l’opera da costruire e la concessione edilizia rilasciata dal Comune di (OMISSIS).
In base al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31 l’edificio realizzando dalla (OMISSIS) risultava radicalmente differente rispetto a quello assentito sia per caratteristiche tipologiche che volumetriche. Infatti, per contratto si doveva procedere alla demolizione del solaio di circa 150 metri quadri alla realizzazione di 18 plinti, pilastri e gabbie in cemento, sebbene nel progetto fosse prevista la sola ristrutturazione del solaio e la struttura portante fosse in muratura. Inoltre, nel contratto si conveniva la realizzazione di uno stanzino nel giardino non riportato in progetto, la realizzazione di una veranda di maggiori dimensioni rispetto a quella assentita, la trasformazione di una finestra del vano cucina in porta finestra non prevista in progetto, la realizzazione di un’abitazione al primo piano con aumento di una linea di conci di cm 25 dall’altezza del solaio, con aumento del medesimo solaio, la realizzazione di un altro vano bagno al primo piano in luogo della veranda, la realizzazione di un frangisole a copertura della veranda e di un frangisole sul terrazzo per tutta l’ampiezza del salone, un vano deposito e, infine, la realizzazione di un ulteriore vano al secondo piano. Tali opere analiticamente indicate dal consulente tecnico (OMISSIS) nel proprio elaborato peritale erano difformi rispetto al progetto approvato e necessitavano di una denuncia di inizio attivita’, di una concessione edilizia o di una presentazione di un progetto di variante. Peraltro, la concessione aveva gia’ previsto una superficie e una cubatura al limite dell’assentibile, dunque, le opere costituivano varianti essenziali non assentite sotto il profilo volumetrico di superficie e cubatura.
La demolizione del solaio gia’ programmata al momento della stipula del contratto di appalto del Marzo 1990 avrebbe determinato una vera e propria riedificazione, dovendosi provvedere alla realizzazione di un nuovo corpo di fabbrica.
La realizzazione di aperture non indicata in progetto come la porta finestra in luogo di una semplice finestra e l’apertura di un’ulteriore finestra modificava il prospetto ed essendo diversa rispetto a quanto approvato comportava anche una modifica della sagoma e costituivano una variante essenziale per la quale sarebbe stato necessario conseguire un nuovo titolo concessorio. Anche la demolizione del solaio e la realizzazione dei pilastri in cemento armato costituivano opere abusive non conformi al progetto. Non era condivisibile la tesi della controparte secondo cui, in base all’articolo 25 del contratto, le opere difformi rispetto al progetto approvato erano subordinate all’acquisizione dei relativi titoli abilitativi in quanto tra le opere indicate dall’articolo 25 non vi era ne’ la demolizione del solaio ne’ la realizzazione dei pilastri che erano comunque ricompresi nel contratto. Le difformita’ riguardanti le opere realizzate e quelle da realizzare erano totali, determinando l’edificazione di un corpo di fabbrica differente rispetto a quello originariamente assentito sia sotto il profilo tipologico che volumetrico.
Appalto e la nullità del contratto derivante dalla mancanza dei titoli abilitativi dei lavori
Il contratto di appalto siglato tra le parti doveva dichiararsi nullo avendo ad oggetto opere in totale difformita’ rispetto alla concessione edilizia e, dunque, legittimamente l’appaltatore si era allontanato dal cantiere non essendogli stati messi a disposizione i titoli abilitativi per la prosecuzione delle attivita’ ed essendo gia’ realizzate opere in contrasto con la concessione al momento del rilascio del cantiere.
La Corte d’Appello, infine, respingeva la domanda di arricchimento senza causa proposta (OMISSIS).
L’accoglimento della domanda di nullita’ del contratto di appalto determinava l’insussistenza di un danno risarcibile in capo alla committente.
11. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.
12. (OMISSIS) ha resistito con controricorso.
13. La ricorrente con memoria depositata in prossimita’ dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione del d. lgs. n. 380 del 2001, articolo 31, della l.n. 47 del 1985, articoli 7, 13, 26, della l. n. 457 del 1978, articolo 31, della Legge Regionale Puglia n. 26 del 1985, articolo 2 del Decreto Legge 24 marzo 1995, articolo 7, comma 7, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 7 e 10, comma 1, del Decreto Legge n. 193 del 1995, articolo 7 degli articoli 1175, 1362, 1363, 1346, 1418, 1375 c.c..
Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e violazione e falsa applicazione dell’articolo 384 c.p.c..
La censura si appunta sulla valutazione di radicale difformita’ dell’edificio contrattualmente prevista rispetto a quello approvato e assentito dal Comune di (OMISSIS) sia per caratteristiche tipologiche che volumetriche.
Secondo la ricorrente sulla base delle norme indicate in rubrica non vi sarebbe una totale difformita’. In tal senso richiama le variazioni essenziali previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 32 a differenza di quanto previsto dal precedente articolo 31.
Il citato articolo 32, peraltro, rimette alle regioni stabilire quali siano le variazioni essenziali e la legge regionale n. 26, articolo 2 prevede il mutamento di destinazione d’uso, l’aumento della cubatura oltre il 15 percento degli edifici o di oltre il 15 percento dei solai per edifici sino a 150 metri quadri. Dunque, nella specie non si trattava di totale difformita’ ma di un’opera parzialmente difforme. In tal senso la ricorrente richiama la consulenza tecnica.
La ricorrente evidenzia che neanche la demolizione del solaio, la apposizione di pilastri in calcestruzzo e le altre opere possono rappresentare una totale difformita’ rispetto al progetto. Inoltre, la Corte d’Appello avrebbe errato nell’escludere la rilevanza dell’articolo 25 del contratto.
Peraltro, la condotta di abbandono del cantiere era comunque illegittima mentre quella della (OMISSIS) era piu’ che diligente e prudente di qui la violazione e falsa interpretazione rispetto gli articoli 1175 e 1375 c.c..
Infine, vi sarebbe la violazione dell’articolo 384 c.p.c. e del disposto della sentenza di rinvio.
Appalto e la nullità del contratto derivante dalla mancanza dei titoli abilitativi dei lavori
2. Il secondo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione del d. lgs. n. 380 del 2001, articolo 31, della l. n. 47 del 1985, articoli 7, 13 e 26, della l. n. 457 del 1978, articolo 31, della Legge Regionale Puglia n. 26, articolo 2 degli articoli 1435, 1455 e 1669 c.c., buona fede esecuzione contratto. Violazione falsa applicazione articoli 1362, 1363 c.c. Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e violazione e falsa applicazione dell’articolo 384 c.p.c..
La censura attiene alla statuizione della sentenza che ha ritenuto legittimo l’abbandono del cantiere da parte del (OMISSIS). La Corte avrebbe omesso di considerare che l’abbandono del cantiere era avvenuto dopo che il (OMISSIS) aveva dato volontariamente esecuzione al contratto. Il (OMISSIS) prima di abbandonare il cantiere aveva realizzato esclusivamente la demolizione del solaio di pilastri e piccole variazioni e, dunque, non aveva ancora realizzato opere abusive ne’ tale realizzazione poteva essere imposta per via del richiamato articolo 25 del contratto. Di conseguenza la Corte avrebbe errato nel qualificare la condotta del (OMISSIS) come legittima, in violazione delle norme in materia di responsabilita’ per inadempimento e di diligenza nell’esecuzione del contratto di appalto. In tal modo avrebbe anche violato il disposto della sentenza di rinvio che aveva affidato solo il mandato di accertare la natura delle difformita’ riscontrate e di farne discendere le connesse conseguenze in termini di incidenza sulla valutazione della condotta del (OMISSIS).
2.1 I primi due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
La Corte d’Appello, in sede di rinvio, ha dato seguito alla sentenza di questa Corte e, con ampia ed esauriente motivazione, ha dichiarato la nullita’ del contratto di appalto ritenendo che le opere ivi previste fossero totalmente difformi da quelle oggetto della concessione edilizia ottenuta dalla committente. Pertanto, la censura di violazione dell’articolo 384 c.p.c. e’ manifestamente infondata.
Appalto e la nullità del contratto derivante dalla mancanza dei titoli abilitativi dei lavori
Quanto alla censura di violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 31 e 32 e della normativa anche regionale richiamata in rubrica deve evidenziarsi che l’articolo 32 ora citato recita testualmente: “Fermo restando quanto disposto dal comma 1 dell’articolo 31, le regioni stabiliscono quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato”. L’articolo 31, comma 1, del medesimo Decreto del Presidente della Repubblica n. prevede a sua volta che: “Sono interventi eseguiti in totale difformita’ dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile”.
Nel caso di specie la Corte d’Appello con accertamento in fatto ampiamente motivato ha accertato che i lavori riguardavano un’opera che per conformazione, volumi e sagoma complessivamente doveva ritenersi diversa da quella prevista dall’atto di concessione.
La sentenza e’ conforme alla giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui le variazioni essenziali sono quelle che comportano la realizzazione di un organismo edilizio diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile (ex plurimis Cons. Stato Sez. VI, 28/02/2022, n. 1392, Cons. Stato Sez. II, 23/01/2020, n. 561)
Infatti in materia urbanistico-edilizia il concetto di parziale difformita’ presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall’autorita’ amministrativa, venga realizzato secondo modalita’ diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale, quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzano in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera (Cons. Stato Sez. VI, 30/06/2022, n. 5423).
Nel caso di specie la Corte d’Appello ha evidenziato che in base al citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 31 l’edificio oggetto del contratto risultava radicalmente differente rispetto a quello assentito sia per caratteristiche tipologiche che volumetriche. Inoltre, la concessione aveva gia’ previsto una superficie e una cubatura al limite dell’assentibile, e le opere costituivano varianti essenziali non assentite.
In particolare, si doveva procedere alla demolizione del solaio di circa 150 metri quadri alla realizzazione di 18 plinti, pilastri e gabbie in cemento, sebbene nel progetto fosse prevista la sola ristrutturazione del solaio e la struttura portante fosse in muratura. Inoltre, nel contratto si conveniva la realizzazione di uno stanzino nel giardino non riportato in progetto, la realizzazione di una veranda di maggiori dimensioni rispetto a quella assentita, la trasformazione di una finestra del vano cucina in porta finestra non prevista in progetto, la realizzazione di un’abitazione al primo piano con aumento di una linea di conci di cm 25 dall’altezza del solaio, con aumento del medesimo solaio, la realizzazione di un altro vano bagno al primo piano in luogo della veranda, la realizzazione di un frangisole a copertura della veranda e di un frangisole sul terrazzo per tutta l’ampiezza del salone, un vano deposito e, infine, la realizzazione di un ulteriore vano al secondo piano. Tali opere, analiticamente indicate dal consulente tecnico (OMISSIS) nel proprio elaborato peritale, erano difformi rispetto al progetto approvato e necessitavano di una denuncia di inizio attivita’, di una concessione edilizia o di una presentazione di un progetto di variante. La concessione aveva gia’ previsto una superficie e una cubatura al limite dell’assentibile, dunque, le opere costituivano varianti essenziali non assentite sotto il profilo volumetrico di superficie e cubatura.
In definitiva deve affermarsi che al fine di valutare la totale difformita’ di un intervento edilizio rispetto a quello assentito e’ necessaria una comparazione unitaria e sintetica fra l’organismo programmato e quello che e’ stato realizzato con una valutazione complessiva e non parcellizzata delle singole difformita’, non potendosi dunque ammettere una qualificazione di ognuna di esse come difformita’ solo parziale dell’immobile assentito rispetto a quello realizzato. D’altra parte, la stessa ricorrente nel richiamare l’articolo 25 del contratto, ammette che le opere erano difformi rispetto al progetto approvato tanto da richiedere l’acquisizione dei relativi titoli abilitativi.
L’accertamento operato dalla Corte d’Appello circa la difformita’ totale dell’oggetto del contratto di appalto intercorso tra le parti rispetto al progetto assentito e’ tale da giustificare l’abbandono del cantiere con conseguente rigetto della domanda della (OMISSIS) di inadempimento contrattuale. In tal caso, infatti, come gia’ evidenziato da questa Corte nella sentenza di cassazione con rinvio, il contratto di appalto e’ nullo.
Di conseguenza anche la censura di violazione degli articoli 1175 e 1375 c.c. e’ del tutto infondata cosi’ come quella di erronea applicazione delle norme di interpretazione negoziale in relazione all’articolo 25 del contratto. Peraltro, la Corte d’Appello in sede di rinvio ha accertato che alcuni lavori abusivi erano gia’ stati effettuati e gia’ nella sentenza di rinvio si era evidenziato che alcune difformita’ erano gia’ esistenti al momento dell’abbandono del cantiere, dunque, risulta infondata anche la tesi della possibilita’ di ottenere una variante in corso d’opera.
Appalto e la nullità del contratto derivante dalla mancanza dei titoli abilitativi dei lavori
3. Il terzo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione del d. lgs. n. 380 del 2001, articolo 31, della l. n. 47 del 1985, articoli 7, 13, 26, della l. n. 457 del 1978, articolo 31, della Legge Regionale Puglia n. 26, articolo 2, degli articoli 1453, 1455, 1669, c.c., violazione e falsa applicazione del Decreto Ministeriale n. lavori pubblici del 14 febbraio 1992 degli articoli 1665 e 1163 c.c., violazione falsa applicazione dell’articolo 33 del capitolato speciale d’appalto delle opere pubbliche, violazione e falsa applicazione dell’articolo 1227 c.c..
La sentenza impugnata, pur riconoscendo la cattiva esecuzione delle opere realizzate dal (OMISSIS) prima dell’abbandono del cantiere, ne ha tuttavia addossato la responsabilita’ anche alla ricorrente. Cio’ sarebbe conseguenza dell’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione, in primo luogo l’utilizzo di conglomerato di tipo 425 previsto nel contratto, idoneo all’edificazione dei pilastri ed alla “faccia a vista” dei medesimi contrariamente al conglomerato di tipo 525. In secondo luogo, il fatto che i problemi relativi alla staticita’ dei pilastri non erano riconducibili ai calcoli dell’ingegner (OMISSIS) ma alla cattiva esecuzione posta in essere in violazione della normativa di settore del ministero dei Lavori Pubblici.
La responsabilita’ per la cattiva esecuzione dei pilastri ricadrebbe interamente sul (OMISSIS).
La Corte nel ritenere la corresponsabilita’ della ricorrente per la cattiva esecuzione delle opere sulla scorta della considerazione che avrebbe provveduto alla fornitura di materiale non idoneo e che avrebbe modificato la forma e dimensione dei pilastri previsti nei calcoli statici avrebbe evidentemente trascurato ed erroneamente interpretato quanto prescritto degli articoli 1655 e 1663 c.c. in termini di responsabilita’ dell’appaltatore.
3.1 Il terzo motivo di ricorso e’ infondato.
La sentenza della Corte d’Appello afferma la non perfetta esecuzione dei lavori in relazione alla domanda di arricchimento senza causa proposta dall’appaltatore (OMISSIS) nei confronti della committente (OMISSIS). In relazione alla domanda di risarcimento per inadempimento contrattuale, invece, conclude nel senso che la nullita’ del contratto impedisce di verificare il danno da inadempimento.
La sentenza e’ conforme all’insegnamento di questa Corte secondo il quale non e’ configurabile una responsabilita’ contrattuale dell’appaltatore nei confronti del committente per negligenza nell’adempimento di obbligazioni che solo da un negozio valido e produttivo di effetti possono sorgere. La nullita’ del contratto elide in radice la configurabilita’ di un inesatto adempimento delle obbligazioni quando la causa della nullita’ sia addebitabile alla committente (cfr. Cass., Sez. III, 23 giugno 2016, n. 12996). Infatti, la eventuale inosservanza degli obblighi di esecuzione della prestazione non puo’ essere posta a base di azioni contrattuali del committente, come quella risarcitoria per inesatto adempimento essendo questi partecipe della violazione delle norme che hanno dato causa alla nullita’ del contratto e non potendo dolersi della inesatta prestazione contrattuale in violazione di norme di ordine pubblico cui scientemente ha dato causa.
Per queste ragioni il motivo va rigettato essendo la statuizione della Corte d’appello conforme alla giurisprudenza di questa Corte in tema di inadempimento alle obbligazioni derivanti da un contratto nullo.
4. Il quarto motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: violazione e falsa applicazione del d. lgs. n. 380 del 2001, articolo 31, della l. n. 47 del 1985, articoli 7, 13, 26, della l. n. 457 del 1978, articolo 31, della Legge Regionale Puglia n. 26, articolo 2, degli articoli 1453, 1455, 1669, c.c. violazione e falsa applicazione del decreto ministeriale ministero lavori pubblici del 14 febbraio 1992 degli articoli n. 115 e 2697 c.c., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
La censura si appunta ancora una volta avverso la decisione circa la legittimita’ dell’allontanamento del cantiere del (OMISSIS) e circa l’insussistenza di un danno risarcibile in favore della ricorrente. Secondo quest’ultima sussisterebbe tanto il denunciato inadempimento quanto la responsabilita’ extracontrattuale dell’appaltatore. In particolare, con riferimento al danno derivante: dalle spese tecniche di demolizione delle opere non eseguite correttamente e rimaste esposte alle intemperie a seguito dell’abbandono; dai maggiori costi di edificazione per l’aumento dei prezzi; dalle spese tecniche conseguenti allo scadere delle concessioni edilizie; dalle spese per la locazione di altra abitazione; dai danni connessi al maggior costo degli oneri da corrispondere al Comune; dai danni lamentati dai vicini; dai costi per i nuovi oneri concessori; dalle spese sostenute nel giudizio.
4.1 Il quarto motivo di ricorso e’ in parte infondato in parte inammissibile.
Con riferimento alla domanda della (OMISSIS) avente ad oggetto la richiesta di risarcimento per l’inadempimento del (OMISSIS) delle obbligazioni nascenti dal contratto, in particolare per aver abbandonato illegittimamente il cantiere, deve ribadirsi quanto affermato in relazione al terzo motivo.
Quanto alla responsabilita’ extracontrattuale del (OMISSIS) anche ex articolo 1669 c.c. la censura e’ inammissibile. Infatti, dalla lettura del motivo emerge che i danni richiesti dalla ricorrente attengono tutti alle obbligazioni nascenti dal contratto e derivanti dall’abbandono del cantiere da parte dell’appaltatore senza alcun riferimento ad una eventuale responsabilita’ extracontrattuale. Gli unici danni che la (OMISSIS) attribuisce ad una non corretta esecuzione dei lavori astrattamente riconducibili all’articolo 1669 c.c. sono quelli relativi alla cattiva esecuzione dei pilastri in cemento armato rispetto ai quali la Corte d’Appello si e’ pronunciata in relazione alla domanda di arricchimento senza causa del (OMISSIS). Sul punto, il giudice del gravame, oltre al fatto che i pilastri erano stati realizzati in mancanza di un progetto assentito, ha evidenziato che la mancata esecuzione secondo le regole dell’arte non poteva essere ascritta esclusivamente alla ditta atteso che il risultato estetico dei pilastri non poteva realizzarsi con il cemento fornito dalla committente e, quanto alla staticita’, che i calcoli erano stati demandati a professionista di fiducia incaricato dalla committenza. Tale accertamento in fatto, fondato sulla consulenza tecnica, non e’ suscettibile di sindacato in sede di legittimita’ se non per omesso esame di un fatto decisivo che nel caso di specie non e’ indicato.
Infine deve richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte secondo cui la speciale disposizione di cui all’articolo 1669 c.c. integra – senza escluderne l’applicazione – la disciplina generale in materia di inadempimento delle obbligazioni con la conseguenza che, in caso di opera non ultimata, restando l’appaltatore inadempiente all’obbligazione contrattuale assunta, si applicano le norme generali in tema di risoluzione per inadempimento ex articoli 1453 e ss. c.c., mentre la speciale garanzia prevista dagli articoli 1667 e 1668 c.c. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l’opera sia stata portata a termine (Sez. 1, Ordinanza n. 4511 del 14/02/2019, Rv. 653113 – 01).
Tale principio deve essere adattato al caso di specie in cui la non ultimazione dell’opera non e’ stata ritenuta addebitabile all’appaltatore quanto piuttosto alla committente. Deve affermarsi pertanto che non e’ configurabile una responsabilita’ dell’appaltatore nei confronti della committente ex articolo 1669 c.c. in un caso come quello in esame in cui l’opera non sia stata ultimata e l’abbandono del cantiere sia stato ritenuto giustificato per la nullita’ del contratto derivante dalla mancanza dei titoli abilitativi dei lavori.
5. Il quinto motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato violazione falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c..
La ricorrente contesta la statuizione di compensazione delle spese e l’erronea valutazione circa la soccombenza.
5.1 Il quinto motivo di ricorso e’ infondato.
Quanto alla violazione dell’articolo 91 c.p.c. e’ sufficiente richiamare il principio secondo il quale la soccombenza comporta solo che e’ vietato condannare alle spese la parte totalmente vittoriosa (Cass. n. 18128 del 31/08/2020 Rv. 658963 – 01). Con riferimento alla violazione dell’articolo 92 c.p.c. il collegio intende dare continuita’ ai seguenti principi di diritto: La valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’articolo 92, comma 2, c.p.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimita’, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalita’ fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente. D’altra parte “in tema di spese processuali, il giudice del rinvio, cui la causa sia stata rimessa anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimita’, si deve attenere al principio della soccombenza applicato all’esito globale del processo, piuttosto che ai diversi gradi del giudizio ed al loro risultato, sicche’ non deve liquidare le spese con riferimento a ciascuna fase del giudizio, ma, in relazione all’esito finale della lite, puo’ legittimamente pervenire ad un provvedimento di compensazione delle spese, totale o parziale, ovvero, addirittura, condannare la parte vittoriosa nel giudizio di cassazione – e, tuttavia, complessivamente soccombente – al rimborso delle stesse in favore della controparte” (Sez. 1, Sent. n. 20289 del 2015).
6. Il ricorso e’ rigettato.
7. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
8. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’ nei confronti della parte controricorrente che liquida in Euro 7800, piu’ 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto;
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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