Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 9 gennaio 2020, n. 193.
La massima estrapolata:
Appaltatore è la parte che stipula il contratto previsto dall’art. 1655 c.c., ed il fatto che l’impresa sia stata anche costruttrice dell’immobile venduto non rende evidentemente l’impresa medesima appaltatore, nei confronti dei compratori, e committenti questi ultimi. Ne consegue che l’azione per ottenere l’adempimento del contratto di appalto e l’eliminazione dei vizi e dei difetti dell’opera, a norma degli artt. 1667 e 1668 c.c., spetta esclusivamente al committente e configura una responsabilità dell’appaltatore di natura contrattuale. È viceversa la responsabilità sancita dall’art. 1669 c.c. – responsabilità di natura extracontrattuale – operante non solo a carico dell’appaltatore nei confronti del committente, ma anche a carico del costruttore nei confronti dell’acquirente.
Sentenza 9 gennaio 2020, n. 193
Data udienza 10 settembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 29661/2015 proposto da:
(OMISSIS) SRL, ORA (OMISSIS) SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
(OMISSIS) SPA, in persona del Procuratore speciale, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
e contro
(OMISSIS) SRL;
– intimata –
avverso la sentenza n. 3101/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 15/07/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/09/2019 dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) con delega depositata in udienza dall’avvocato (OMISSIS), difensore della ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
uditi gli Avvocati (OMISSIS) con delega orale dell’avvocato (OMISSIS) e (OMISSIS), difensori d resistenti, che hanno chiesto di riportarsi alle difese depositate.
FATTI DI CAUSA
(OMISSIS), (OMISSIS) e la s.r.l. Frastina Immobiliare convennero in giudizio la (OMISSIS) s.p.a., poi (OMISSIS) s.r.l., proponendo azione di accertamento negativo del diritto reale d’uso sul cortile interno del complesso edilizio sito in (OMISSIS).
Il predetto complesso, fino al 1984 in capo a un solo proprietario, fatto oggetto di vai atti di alienazione, al momento della domanda si distingueva in un “corpo interno”, in proprieta’ della s.p.a. (OMISSIS) (poi (OMISSIS) s.pa.), concesso in leasing alla (OMISSIS) s.p.a., e in un “corpo esterno”, inclusivo del cortile, di proprieta’ degli attori.
Con la prima alienazione del 1984 si era previsto che “il cortile interno, che resta di proprieta’ esclusiva della societa’ venditrice, viene concesso alla societa’ acquirente (addenda: per se ed aventi causa) in uso esclusivo da esercitare senza limitazione salvo il diritto di transito pedonale per accedere al locale e al sevizio del negozio esistente nel cortile (…) (addenda: L’area del cortile di cui e’ stato concesso l’uso alla societa’ acquirente (…) appartiene al corpo di fabbrica esterno per la necessita’ urbanistica)”.
Il Tribunale, rigettata la domanda con la quale gli attori avevano chiesto eliminarsi talune opere, qualifico’ il diritto istituito con il negozio del 1984 reale d’uso, cedibile ai terzi aventi causa, per deroga espressa inserita nell’atto, limitato alla durata trentennale, essendo stato costituito in favore di persona giuridica (articoli 1026 e 979 c.c.), con scadenza che la sentenza indicava nel 31/1/2014.
La Corte d’appello di Milano, decidendo sull’impugnazione della (OMISSIS) s.r.l., confermo’ quella di primo grado.
Avverso quest’ultima pronunzia ricorre la (OMISSIS) sulla base di tre motivi di doglianza.
Controricorrono (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali, a loro volta, in via incidentale, chiedono condannarsi la controparte ai sensi dell’articolo 96, c.p.c., per responsabilita’ processuale aggravata. Cotroricorre, del pari, la s.p.a. (OMISSIS).
All’approssimarsi dell’udienza la s.r.l. Project High tech, gia’ (OMISSIS) s.r.l., ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la societa’ ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli articoli 1021 e 1362 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Assume la ricorrente che, alla stregua delle regole sull’ermeneutica negoziale (principio di letteralita’, della comune intenzione, della complessiva logicita’ delle clausole e di buona fede), avrebbero dovuto escludersi i caratteri tipici del diritto reale d’uso, mancando, in particolare, la temporaneita’ e la caratterizzazione secondo l’intuitu personae, oltre all’obbligo per l’usuario di rispettare la destinazione economica del bene. Per contro, nel caso di specie potevano rilevarsi caratteristiche incompatibili con il diritto d’uso: la perpetuita’ e la trasmissibilita’, essendo rimasto il cortile in capo alla venditrice solo “per la necessita’ urbanistica”, essendosi, inoltre, precisato che “qualora venissero meno tali esigenze, la societa’ venditrice si impegna per se’ o suoi aventi causa a concedere il diritto di prelazione alla societa’ acquirente al prezzo e modalita’ da convenirsi”.
2. Con il secondo motivo viene denunziata violazione e falsa applicazione dell’articolo 113 c.p.c., comma 1, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Afferma la ricorrente che il giudice ha il dovere di sussumere l’accertata vicenda fattuale nel regolamento giuridico piu’ appropriato; cio’ che nel caso non si era verificato, poiche’ la fattispecie concreta indirizzava verso la costituzione di un uso atipico, nei termini prospettati dalla ricorrente, che la Corte d’appello aveva escluso attraverso valutazioni squisitamente astratte, senza peritarsi di verificare, proprio alla stregua della stessa giurisprudenza di legittimita’ richiamata dalla decisione, “se la fattispecie oggetto del contendere potesse essere assunta in quei diritti/rapporti a carattere obbligatorio cui fa riferimento (quella) giurisprudenza”, cosi’ da sottrarre, nel rispetto della volonta’ delle parti, l’istituito diritto “alla regola della tipicita’ dei diritti reali su cosa altrui”. Si trattava, in definitiva di un rapporto avente natura obbligatoria, meritevole di tutela.
Inoltre, il diritto in questione trovava ricezione nel regolamento condominiale, opponibile ai terzi, in quanto trascritto.
Infine, in parte motiva la sentenza di secondo grado aveva affermato, incidenter tantum, che “Effetto della conferma della sentenza di accertamento del diritto di uso, ora scaduto, e’ l’obbligo del rilascio del cortile, con l’obbligazione della sua rimessione in pristino”. Sibbene all’affermazione non era conseguita pronuncia, conclude la ricorrente per l’erroneita’ della stessa, tenuto conto delle mosse critiche.
3. La prospettazione censuratoria, che si ricava dai due esposti motivi, e’ in parte infondata e in parte inammissibile.
3.1. Certamente inammissibile si dimostra l’evocazione dell’articolo 113 c.p.c.: invero, pur nei casi in cui debba riscontrarsi la violazione o la errata applicazione di una norma giuridica, non puo’ addebitarsi al giudice di aver percio’ deciso secondo lo schema dell’equita’, regolato dal comma 2, del predetto articolo, piuttosto che secondo diritto. Fermo restando che l’eventuale errore di sussunzione (positivo o negativo che esso sia) o di perimetrazione e individuazione degli effetti giuridici potra’ costituire motivo di denunzia di violazione o falsa applicazione di legge.
3.2. Ammissibile, ma infondata, risulta la tesi prevalentemente svolta con il primo motivo.
La Corte territoriale ha giudicato incompatibile con l’altrui diritto di proprieta’ la costruzione di un uso reale atipico, esclusivo e perpetuo, che svuoterebbe di ogni significato il diritto di proprieta’ e darebbe vita a un diritto reale incompatibile con l’ordinamento.
Il percorso interpretativo e il risultato al quale giunge la Corte d’appello di Milano debbono condividersi.
La clausola, peraltro riportata dalla stessa ricorrente, quale che ne fosse stato il motivo (che, come noto, salvo casi tassativi, che qui non ricorrono, non assume rilievo) dell’apposizione, non incide sulla titolarita’ del bene qui in controversia, stante che il contratto lascia in piena proprieta’ dell’alienante il cortile di cui si discute, salvo a costituire un diritto di prelazione a favore dell’acquirente, ove di essa proprieta’ la venditrice non avesse avuto in futuro necessita’ urbanistica, “al prezzo e modalita’ da convenirsi”.
Di talche’ deve convenirsi che proprio nel rispetto delle regole sull’ermeneutica negoziale s’impone un’interpretazione incompatibile con quella sostenuta dalla ricorrente.
La tesi della ricorrente, scontrandosi con la evidenza contrattuale di cui si e’ detto, implicherebbe la costituzione di un diritto di proprieta’ vuoto, mero simulacro o parvenza, al quale non corrisponderebbe alcuna delle facolta’ del proprietario, prima fra tutte quella di poter godere pienamente e indisturbatamente della res. Ne’ la contraddizione potrebbe risolversi limitandosi ad affermare che in futuro esso proprietario potrebbe decidere di vendere il bene, perche’ di esso nessuno si farebbe compratore, proprio perche’ privo di utilita’; ne’ avrebbe interesse a rendersi acquirente la stessa ricorrente, la quale trarrebbe di gia’ ogni utilita’ dal predetto bene.
3.2.1. Devesi, inoltre, soggiungere che, escluso il diritto reale d’uso, la pretesa della ricorrente sconfinerebbe nella ipotesi di una servitu’ “personale” o “irregolare”, sulla scorta della quale la proprieta’ verrebbe limitata, senza apposizione di termine (evenienza questa ancor piu’ emblematica ove il fruitore non sia una persona fisica), a vantaggio di un soggetto, invece che di un fondo, in contrasto con il nostro ordinamento (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 5603, 26/2/2019). Ne’ la situazione che ne deriverebbe sarebbe in alcun modo assimilabile alla cd. servitu’ di parcheggio, riconosciuta da questa Corte a condizione, appunto, che la facolta’ che ne deriva risulti attribuita a diretto vantaggio del fondo dominante, per la sua migliore utilizzazione, quale utilitas di carattere reale (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 7561, 18/3/2019; Sez. 2, n. 16698, 6/7/2017).
In sintesi, deve affermarsi, enunciando principio di diritto, che il diritto reale d’uso, istituito in favore di una persona giuridica, a mente degli articoli 1026 e 979 c.c., non puo’ superare il trentennio; non essendo, inoltre, compatibile con l’ordinamento la ipotizzabilita’ di un diritto perpetuo di natura obbligatoria a favore di un soggetto, ne’ che un tal diritto possa privare del tutto d’utilita’ la proprieta’.
3.2.2. Infine, e’ appena il caso di soggiungere che sulla base del decisivo elemento costituito dal contenuto letterale della clausola, la interpretazione del Giudice d’appello, oltre che conforme, come si e’ visto, alla disciplina dei diritti reali, risulta rispettosa dei parametri interpretativi legali, riducendosi le censure dell’impugnante a mere enunciazioni del testo normativo, incapaci d’individuare in che consista il mancato rispetto della legge sull’ermeneutica negoziale, avuto riguardo alle specifiche emergenze di causa (sulla necessita’ per il ricorrente d’individuare nel concreto sviluppo argomentativo la violazione della regola ermeneutica e le sue effettive ricadute cfr., ex pluribus, Cass. 9.8.04 n. 15381; n. 13839, 21.7.04; n. 13579. 16.3.04 n. 5359; 19.1.04 n. 753; n. 18587, 29/10/2012; n. 2988, 7/2/2013).
4. Con il terzo motivo la ricorrente prospetta violazione e falsa applicazione dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, e articolo 102 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Secondo l’assunto la Corte locale aveva errato a condannare la societa’ ricorrente al rimborso delle spese legali in favore della terza chiamata (OMISSIS), nonostante che quest’ultima non avesse impugnato la sentenza di primo grado “nella parte in cui quest’ultima ha omesso di pronunciarsi sulla domanda di manleva dalla stessa proposta nei confronti della (OMISSIS)”. Inoltre, soggiunge la ricorrente, la chiamata era intervenuta a seguito di ordinanza d’integrazione del contraddittorio, in quanto la (OMISSIS) risultava la titolare del “corpo interno”, su richiesta degli attori. La chiamata nel giudizio d’appello di (OMISSIS), instaurato dalla ricorrente, era divenuta necessita’ processuale non eludibile.
4.1. La censura va disattesa.
Non e’ controverso che l’immobile venne acquistato da (OMISSIS), gia’ (OMISSIS) s.p.a., in esecuzione di un contratto di locazione finanziaria in lease-back, e consegnato immediatamente alla societa’ utilizzatrice. Ne consegue che correttamente risulta essere stato disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti della predetta societa’ di leasing, esclusiva proprietaria del bene, nei confronti della quale doveva reputarsi rivolta in via prioritaria l’azione di accertamento negativo del diritto reale d’uso sul cortile interno del complesso edilizio. Sull’altro fronte, se poteva reputarsi sussistere un interesse giuridicamente protetto della locataria a vedersi affermato il diritto d’uso oltre il trentennio sul cortile di cui si discute, non v’e’ dubbio che prevalente interesse avesse la proprietaria del bene, del quale il diritto d’uso era accessorio.
Escluso, pertanto, che (OMISSIS) possa considerarsi mera terza chiamata, avendo assunto posizione in contrasto con quella della ricorrente, sia pure evidenziando il suo ruolo d’intermediario finanziario, privo di materiale rapporto col bene messo a disposizione della societa’ utilizzatrice, dalla quale pretende di essere manlevato, nel rispetto del principio di soccombenza, la ricorrente, che ha resistito alla pretesa attorea, deve farsi carico anche delle spese legali di (OMISSIS).
5. (OMISSIS) e (OMISSIS), in via incidentale hanno chiesto condannarsi la ricorrente a titolo di responsabilita’ aggravata, ex articolo 96 c.p.c., comma 1, assumendo la temerarieta’ del ricorso principale.
5.1. La pretesa e’ manifestamente destituita di giuridico fondamento.
Non solo i ricorrenti incidentali non hanno dedotto quale pregiudizio economico avrebbero patito, ma ancor prima, non hanno neppure spiegato in cosa sia consistita l’addotta temerarieta’ dell’impugnazione, che, ovviamente, si caratterizza per la consapevole pretestuosita’ dell’azione giudiziaria intrapresa, occorrendo che la parte soccombente abbia agito o resistito “in giudizio con mala fede o colpa grave” (articolo 96 c.p.c., comma 1).
6. La ricorrente deve rifondere le due parti controricorrenti, senza che rilevi il rigetto della domanda di responsabilita’ aggravata per una d’esse.
Sul punto assai di recente questa Corte ha condivisamente chiarito che “Secondo un primo indirizzo, che ha trovato consacrazione nella sentenza n. 20838 del 14/10/2016 (Rv. 641572) di questa Sezione, “il rigetto di parte della domanda ovvero di alcune delle domande proposte dalla stessa parte configura l’ipotesi di parziale soccombenza reciproca, che giustifica la compensazione totale o parziale delle spese di lite, in applicazione del principio di causalita’, in forza del quale sono imputabili a ciascuna parte gli oneri processuali causati all’altra per aver resistito a pretese fondate, ovvero per aver avanzato pretese infondate (da ultimo, con ampi richiami, Cass., sez. 3, sentenza n. 3438 del 2016)”.
Altro e successivo orientamento di legittimita’ ha espresso il principio secondo il quale il rigetto, in sede di gravame, della domanda, meramente accessoria, ex articolo 96 c.p.c., a fronte dell’integrale accoglimento di quella di merito proposta dalla stessa parte, in riforma della sentenza di primo grado, non configura un’ipotesi di parziale e reciproca soccombenza, ne’ in primo grado ne’ in appello, sicche’ non puo’ giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’articolo 92 c.p.c. (Sez. 6, n. 9532, 12/4/2017, Rv. 643825).
Questa seconda opzione interpretativa risulta essere stata condivisa, sulla base di un ordito motivazionale di maggiore incisivita’, da una successiva decisione (Sez. 6, n. 11792,15/5/2018).
La Corte, dopo aver dato atto di volersi confrontare con il primo orientamento, propende per la seconda opzione interpretativa, “stante la natura meramente accessoria della domanda ex articolo 96 c.p.c., rispetto all’effettivo tema di lite cui va rapportata la verifica della soccombenza (domanda che presuppone, quale condizione necessaria – anche se non sufficiente – per il suo accoglimento, proprio il riconoscimento della soccombenza integrale della parte cui si attribuisce l’illecito processuale), nel caso – come quello all’esame – di rigetto della domanda ex articolo 96 c.p.c., proposta dagli appellati e di rigetto dell’appello (con conseguente conferma del rigetto della domanda proposta in primo grado dagli appellanti) non da’ luogo ad una ipotesi di pluralita’ di domande effettivamente contrapposte idonea a determinare la soccombenza reciproca sulla quale il Tribunale ha fondato la compensazione delle spese di lite di secondo grado”.
Il Collegio reputa doversi dare continuita’ a questo secondo indirizzo, del quale condivide la struttura argomentativa portante.
A voler completare la delineazione del quadro pare utile precisare che il dato dirimente e’ rappresentato non tanto dalla natura dell’istanza, che si traduce, per forza di cose, in una domanda, pur indubbiamente accessoria, quanto nella testuale condizione necessaria della riconosciuta integrale soccombenza del preteso litigante temerario.
L’ostacolo alla tesi opposta non si rinviene nella dedotta mancanza di contrapposizione delle domande (tutte le domande che le parti si rivolgono contro sono contrapposte per forza di cose, non essendo richiesto che siano simmetriche), ma nell’accessorieta’ della domanda per lite temeraria, la quale, come puntualmente osservato, presuppone che la controparte risulti integralmente soccombente.
Infine, non dovrebbero sorgere ostacoli ad una condanna ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., seconda parte, a carico dell’istante per responsabilita’ aggravata, ex articolo 96 c.p.c., ove, a sua volta, abbia trasgredito al dovere di cui all’articolo 88 c.p.c.”.
6.1. Le spese del giudizio di legittimita’ di entrambe le parti controricorrenti, pertanto, debbono essere poste a carico della ricorrente nella misura, stimata congrua, tenuto conto del valore e della qualita’ della causa, nonche’ delle attivita’ svolte, di cui in dispositivo.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale e di quelli incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e quello incidentale e condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese legali in favore di ciascuna delle due parti resistenti, che liquida, per ognuna d’esse, in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, (inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17), si da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale e di quelli incidentali, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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