Corte di Cassazione, sezioni unite civili, Sentenza 27 novembre 2019, n. 31030.
La massima estrapolata:
All’avvocato sono dovute, oltre al rimborso delle spese documentate e di quelle forfettarie generali (non strettamente inerenti alla singola pratica ma necessarie per la conduzione dello studio), altre spese che sfuggono ad una precisa elencazione ma che di fatto sono sostenute dal professionista nello svolgimento del singolo incarico (tra le quali, gli esborsi per gli spostamenti necessari per raggiungere l’Ufficio giudiziario in occasione delle udienze o degli adempimenti di cancelleria, diversi da quelli per viaggio e trasferta di cui all’art. 27 del d.m. n. 55 del 2014, i costi per fotocopie, per l’invio di email o per comunicazioni telefoniche inerenti l’incarico e sostenuti fuori dallo studio); tali spese sono liquidabili in via equitativa per l’impossibilità o la rilevante difficoltà di provare il loro preciso ammontare nonchè in considerazione della loro effettiva ricorrenza secondo l'”id quod plerumque accidit”.
Sentenza 27 novembre 2019, n. 31030
Data udienza 5 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente f.f.
Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente di Sez.
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente di Sez.
Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 20340-2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE N. (OMISSIS) TERAMO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
per modifica del decreto presidenziale n. 11160/2019 del Primo Presidente della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, depositato il 23/4/2019;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/11/2019 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega dell’avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1.- Con sentenza pubblicata in data 29/12/2017, n. 31228, le Sezioni Unite di questa Corte hanno dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto, per motivi inerenti alla giurisdizione, da (OMISSIS) contro la sentenza del Consiglio di Stato del 13/4/2016, n. 1472, resa nel contraddittorio con l’Azienda Unita’ Sanitaria Locale n. (OMISSIS) di Teramo (d’ora in avanti solo AUSL), e ha condannato la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, liquidate in Euro 5000,00 per compensi e Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso spese forfettarie nella misura del 15% e altri accessori di legge.
2.- Contro la sentenza, la (OMISSIS) ha proposto ricorso per revocazione (iscritto al numero di R. G. 20340 del 2018), censurando il capo relativo alle spese; al ricorso ha tuttavia rinunciato con atto notificato alla controparte in data 11/2/2019.
3.- La Ausl non ha aderito alla rinuncia e, nella pendenza del termine per l’udienza di discussione, con decreto pubblicato in data 23/4/2019, n. 11160, il Primo Presidente ha dichiarato l’estinzione del processo ai sensi dell’articolo 391 c.p.c., comma 1, come modificato da ultimo dal Decreto Legge 31 agosto 2016, n. 168, articolo 1-bis, comma 1, lettera i), n. 1, convertito con modificazioni nella L. 25 ottobre 2016, n. 197; ha quindi condannato la (OMISSIS) al pagamento delle spese, liquidate in Euro 1000,00 per compensi e Euro 200,00 per esborsi.
4.- Con istanza notificata alla controparte in data 2/5/2019 la (OMISSIS) ha chiesto, ai sensi dell’articolo 391 c.p.c., comma 3, la fissazione dell’udienza.
5.- La AUSL ha resistito al ricorso con memoria difensiva, chiedendo il rigetto dell’istanza e la condanna della ricorrente al pagamento di una somma equitativamente determinata ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3.
6.- In prossimita’ della pubblica udienza, la (OMISSIS) ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con l’istanza ex articolo 391 c.p.c., comma 3, la ricorrente pone due questioni.
1.1.- Con la prima, si duole della sua condanna al pagamento di Euro 1000,00 a titolo di compensi professionali: al riguardo, rappresenta che a) il ricorso per revocazione (iscritto al n. 20340/2018) era di contenuto identico ad altro ricorso (iscritto con il n. di R.G. 20333/2018), proposto contro la sentenza gemella di queste Sezioni Unite n. 31229 del 2017, e anche i controricorsi della AUSL nei rispettivi giudizi erano di contenuto identico; b) contestualmente alla rinuncia al ricorso iscritto al n. R.G. 20340/2018, aveva depositato analogo atto di rinuncia per il ricorso iscritto al n. 20333/2018, anch’esso non accettato dalla AUSL, e questa Corte, con ordinanza pubblicata in data 17/4/2019, n. 10766, aveva dichiarato l’estinzione del processo e condannato la ricorrente al pagamento delle spese, nella stessa misura di 1000,00 per compensi e 200,00 per esborsi.
1.2.- La ricorrente assume che l’identita’ dell’oggetto dei due giudizi e delle difese spiegate dalla AUSL di Teramo, avrebbe dovuto comportare, in sede di estinzione dei processi, la liquidazione di un unico onorario, oppure una sua forte riduzione, ai sensi del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, commi 2 e 4.
2.- Con la seconda questione, la ricorrente prospetta la erroneita’ della sua condanna al pagamento, in favore della AUSL, di Euro 200,00 per esborsi, in mancanza di idonea documentazione.
3.- In via preliminare, deve darsi atto che l’ambito della cognizione devoluta a questa Corte e’ limitato alla pronuncia sulle spese, ferma restando l’estinzione del processo: le parti, infatti, nulla deducono sul merito del provvedimento di estinzione, vale a dire sulla correttezza dei presupposti in base ai quali il Presidente ha assunto il proprio provvedimento (cfr. Cass. Sez.Un., 23/9/2014,n. 19980).
4.- La prima censura e’ infondata.
4.1.- La norma che viene in rilievo e’ il Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, articolo 4 (Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi della L. 31 dicembre 2012, n. 247, articolo 13, comma 6).
Esso, nella parte che qui interessa (comma 2), cosi’ dispone: “Quando in una causa l’avvocato assiste piu’ soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico puo’ di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 20% fino ad un massimo di 10 soggetti, e del 5% per ogni soggetto oltre i primi 10, fino ad un massimo di 20. La disposizione di cui al periodo precedente si applica quando piu’ cause vengano riunite, dal momento dell’avvenuta riunione e nel caso in cui l’avvocato assista un solo soggetto contro piu’ soggetti.”.
L’articolo 4, comma 2, ricalca la lettera del precedente Decreto Ministeriale 8 aprile 2004, n. 127, articolo 5, comma 4, e, prima ancora, del Decreto Ministeriale 5 ottobre 1994, articolo 5.
4.2.- Le sentenze di questa Corte che si sono espresse sull’interpretazione delle norme citate hanno affermato che presupposto necessario affinche’ possa liquidarsi un unico onorario, aumentato in misura percentuale in ragione del numero delle parti assistite o del numero delle controparti, e’ che vi sia un unico processo o piu’ processi che, benche’ separatamente introdotti, siano stati successivamente riuniti (Cass. 20/9/2017, n. 21829).
Diversamente, nel caso in cui l’avvocato assista la stessa parte in una pluralita’ di cause, che, pur se aventi ad oggetto identiche questioni di fatto e di diritto, non siano state riunite, la liquidazione degli onorari deve essere effettuata separatamente, in relazione a ciascun procedimento: deve, cioe’, escludersi che l’onorario relativo alla seconda causa (ed a quelle eventualmente successive) possa essere determinato nella misura del 20% di quello gia’ liquidato per la prima di esse che sia stata definita, o nella quale il giudice abbia casualmente provveduto ad emettere il primo provvedimento di liquidazione.
4.3.- Le pronunce di segno contrario (Cass. 26/8/2015, n. 17147, seguita da Cass. 27/8/2015, n. 17215, e da Cass. 30/10/2017, n. 25803, quest’ultime due rese in casi di piu’ parti difese dallo stesso avvocato con distinti atti ma in uno stesso processo, sicche’ si versa proprio nell’ipotesi attualmente disciplinata dall’articolo 4, comma 2) non appaiono persuasive, al cospetto del chiaro tenore letterale della norma e di un’interpretazione che tenga conto dell’evoluzione storica delle disposizioni.
Entrambi questi criteri convergono nel senso di delimitare l’ambito applicativo della norma al solo caso in cui l’avvocato assicuri la difesa di piu’ parti (o, al caso simmetrico, in cui la difesa riguardi un solo soggetto contro piu’ soggetti) all’interno dell’unica causa o di piu’ cause riunite.
4.4.- In primo luogo, viene in rilievo l’incipit della norma, che prevede il compenso unico quando l’assistenza dell’avvocato e’ prestata a piu’ soggetti “in una causa”, espressione quest’ultima che non puo’ che essere intesa come “uno stesso processo”; in secondo luogo, assume valore determinante il riferimento alla riunione delle cause, quale momento a partire dal quale e’ consentita la liquidazione unitaria (“La disposizione… si applica quando piu’ cause vengono riunite, dal momento dell’avvenuta riunione…”), desumendosi in tal modo, a contrario, che prima della riunione, ci saranno tanti compensi quante sono le parti assistite o quanti sono i soggetti contro cui la stessa parte e’ difesa.
4.5.- Rafforzano la tesi argomenti di carattere storico-sistematico.
L’attuale testo della norma, che riproduce in modo pressoche’ identico la lettera del precedente Decreto Ministeriale 8 aprile 2004, n. 127, articolo 5, comma 4, e, prima, del Decreto Ministeriale 5 ottobre 1994, articolo 5, si pone in modo innovativo rispetto al precedente omologo delle tariffe approvate con Decreto Ministeriale 24 novembre 1990, n. 392 (articolo 5, comma 4).
Quest’ultima norma, infatti, prevedeva la parcella unica, con aumento percentuale per ogni parte, “nei casi di assistenza e difesa di piu’ parti aventi la stessa posizione processuale, anche se non interviene riunione di cause”: l’eliminazione di questo inciso nei DD.MM. successivi e la sua sostituzione con una frase di segno opposto sono chiari indici della volonta’ normativa di riconoscere il compenso unico solo in caso di riunione e dal momento in cui essa e’ disposta.
In tal senso, si e’ gia’ espressa questa Corte in numerose seppur risalenti pronunce (cfr. Cass. 6/12/2002, n. 17354; Cass. 15/04/1999, n. 3758; Cass. 16/7/1997, n. 6482), a cui queste Sezioni Unite intendono dare continuita’.
4.6.- Non soccorre a sostenere la tesi della ricorrente la lettera del comma 4 dello stesso articolo 4, a norma del quale “nell’ipotesi in cui, ferma l’identita’ di posizione processuale dei vari soggetti, la prestazione professionale nei confronti di questi non comporta l’esame di specifiche distinte questioni di fatto e di diritto, il compenso altrimenti liquidabile per l’assistenza di un solo soggetto e’ di regola ridotto del 30%”.
Come si desume dalla formulazione della norma, il potere di riduzione del compenso spettante al professionista che abbia assistito piu’ soggetti aventi identica posizione processuale ha natura discrezionale, sicche’ il suo mancato esercizio non e’ sindacabile in sede di legittimita’ (Cass. 10/1/2017, n. 269; nello stesso senso, Cass. 18/04/2005, n. 8084, in motivazione; Cass. 03/07/2003, n. 10532).
4.7.- Per la stessa ragione, non e’ censurabile il provvedimento nella parte in cui non sono state compensate le spese di lite, perche’, la compensazione in tutto o in parte delle spese di lite rientra nel potere discrezionale del giudice, e cio’ sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, e non e’ pertanto sindacabile in cassazione (ex plurimis, cfr. Cass. 23/11/2017, n. 27871, ed ivi ampi richiami).
4.8.- Il motivo di ricorso, nella sua complessiva articolazione, deve pertanto essere rigettato, dovendosi affermare in questa sede che il Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, comma 2, che prevede la liquidazione di un unico compenso nel caso in cui l’avvocato assista piu’ soggetti aventi la stessa posizione processuale o una sola parte contro piu’ soggetti, con possibilita’ di un suo aumento percentuale per ogni soggetto oltre il primo, presuppone, secondo la formula della norma in esame, le ipotesi dell’unicita’ della causa o di una pluralita’ di cause riunite e non e’ pertanto operante nella diversa ipotesi di assistenza e difesa di piu’ persone aventi la stessa posizione processuale, o di un unico soggetto contro piu’ soggetti, in procedimenti separatamente promossi e non riuniti, ancorche’ aventi ad oggetto le medesime questioni di fatto e di diritto.
5.- Anche la seconda censura e’ infondata.
Il Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 2 prevede che all’avvocato spetti), oltre al compenso, il rimborso delle spese documentate e di una somma per rimborso spese forfettarie, di regola, nella misura del 15% del compenso totale.
Spese documentate sono tutte quelle rese necessarie dal processo, come il contributo unificato, le marche da bollo necessarie durante il procedimento, i compensi versati al consulente di parte, e tutti gli esborsi per i quali e’ previsto un documento specifico che ne attesti l’esborso e l’ammontare.
5.1.- Diverso e’ il rimborso c.d. forfetario delle spese generali, che costituisce una componente necessaria delle spese giudiziali, la cui misura e’ predeterminata dalla legge, e che spetta automaticamente al difensore, anche in assenza di allegazione specifica e di apposita istanza, da ritenersi implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali che incombe sulla parte soccombente (Cass. 30/05/2018, n. 13693, ed ivi ulteriori richiami; da ultimo, Cass. 04/04/2019, n. 9385).
Come si evince dalla relazione illustrativa al Decreto Ministeriale esaminato, “la previsione di tale rimborso mira a ristorare il professionista di quelle voci di spesa (ad esempio quelle relative alla gestione dello studio) che sono effettive ma non documentabili”.
Esse attengono a costi di carattere generale, nel senso che non sono strettamente inerenti alla singola pratica ma rientrano nelle spese necessarie per la conduzione dello studio (come stipendi dei dipendenti, assicurazione professionale, utenze, materiale di cancelleria, ecc.).
5.2.- Vi sono tuttavia altre spese, diverse tanto da quelle generali quanto da quelle documentate, che sfuggono ad precisa elencazione ma che di fatto sono sostenute dal professionista nello svolgimento del singolo incarico (si pensi ad esempio, agli esborsi per gli spostamenti necessari per raggiungere l’ufficio giudiziario in occasione delle udienze o degli adempimenti di cancelleria, diversi dalle spese di viaggio e trasferta indicate nel Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 27, ai costi per fotocopie, per l’invio di mail o per comunicazioni telefoniche inerenti al processo e sostenute al di fuori dello studio): per esse, in ragione della loro variabilita’ e scarsa rilevanza economica, nonche’ per l’assenza di documenti fiscali che ne attestino l’esborso, sarebbe oltremodo difficile chiedere uno specifico rimborso. L’impossibilita’ o la rilevante difficolta’ di provare il preciso ammontare di tali costi, unita alla considerazione della loro effettiva ricorrenza secondo l’id quod plerumque accidit, conduce ad una loro liquidazione equitativa, che nella specie risulta adeguata e congrua, trattandosi di procedimento dinanzi al giudice di legittimita’.
6.-Quanto alla liquidazione dei compensi compiuta nel decreto presidenziale di estinzione, essa e’ congrua rispetto all’attivita’ svolta e, contrariamente a quanto opina la AUSL nella sua memoria difensiva, rispettosa dei valori minimi della tariffa professionale, ove si consideri, da un lato, che il valore della controversia deve essere determinato – in ossequio al principio generale di proporzionalita’ ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera professionale effettivamente prestata – sulla base del disputatum (che, nella specie, e’ dato dall’importo delle spese liquidate da questa Corte nella sentenza oggetto di revocazione, ossia Euro 5000,00 per compensi e Euro 200,00 per esborsi: cfr. sul criterio di determinazione del valore della controversia, Cass. 23/11/2017, n. 27871, Cass. 12/06/2015, n. 12227), e che, dall’altro, nessun compenso spetta per la fase decisionale relativa al giudizio di revocazione, essendo la rinuncia intervenuta prima dell’udienza di discussione.
7.-Il ricorso deve dunque essere rigettato. Le spese di questo procedimento devono essere poste a carico della ricorrente, in applicazione del criterio della soccombenza e nella misura indicata nel dispositivo.
Non si ritiene, invece, che sussistono i presupposti per la condanna della (OMISSIS) ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3.
La responsabilita’ aggravata ai sensi dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, a differenza di quella di cui ai primi due commi della medesima norma, pur non richiedendo la domanda di parte ne’ la prova del danno, esige in ogni caso, sul piano soggettivo, la mala fede o la colpa grave della parte soccombente, sussistente nell’ipotesi di violazione del grado minimo di diligenza che consente di avvertire facilmente l’infondatezza o l’inammissibilita’ della propria domanda, non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate; peraltro, sia la mala fede che la colpa grave devono coinvolgere l’esercizio dell’azione processuale nel suo complesso, cosicche’ possa considerarsi meritevole di sanzione l’abuso dello strumento processuale in se’, anche a prescindere dal danno procurato alla controparte e da una sua richiesta, come nel caso di pretestuosita’ dell’azione per contrarieta’ al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, ovvero per la manifesta inconsistenza giuridica o la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione (Cass. Sez.Un. 20/04/2018, n. 9912; Cass. 18/1/2010 n. 654; Cass. Sez. Un. 11/12/2007 n. 25831).
Nel caso in esame, non si ritiene che sussistano queste condizioni, in presenza di un indirizzo giurisprudenziale non del tutto univoco sull’interpretazione dell’articolo 4.
Poiche’ il procedimento in esame non e’ un’impugnazione, ma si risolve solo nella richiesta di trattazione del ricorso in pubblica udienza (in tal senso, Cass. Sez.Un. 19980/2014, cit.), esso non e’ soggetto all’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater.
P.Q.M.
La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 1000,00 per compensi professionali e Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e agli altri accessori di legge.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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