Consiglio di Stato, Sentenza|19 aprile 2021| n. 3149.
Ai fini dell’ammissibilità del ricorso avverso il silenzio, debbono cumulativamente sussistere: la presentazione dell’istanza a provvedere; l’obbligo giuridico di provvedere; la qualificazione dell’inerzia quale ‘mancato esercizio del potere amministrativo.
Sentenza|19 aprile 2021| n. 3149
Data udienza 4 marzo 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Contabilità pubblica – Enti locali – Fondo di solidarietà comunale – DPCM – Mancata emanazione – Ricorso avverso il silenzio – Condizioni di ammissibilità – Individuazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 7326 del 2020, proposto dal Comune di (omissis) ed altri, in persona dei rispettivi Sindaci pro tempore, rappresentati e difesi dagli avvocati Fe. Sc. e Gi. Qu., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fe. Sc., in Roma, via (…);
contro
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, il Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro tempore, e il Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
del Comune di (omissis) ed altri, in persona dei rispettivi Sindaci pro tempore, non costituiti in giudizio;
del Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ra. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sede di Roma, Sezione Prima, n. 5438/2020, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero dell’interno, nonché l’atto di costituzione del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 marzo 2021 – svoltasi mediante collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25, d.l. n. 137/2020 – il consigliere Daniela Di Carlo;
Nessuno è presente per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. I Comuni di cui in epigrafe hanno proposto il ricorso di primo grado dinanzi al T.a.r. del Lazio, Roma, per l’accertamento:
a) dell’illegittimità del silenzio inadempimento serbato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri o delle altre Amministrazioni intimate in ordine all’obbligo di emanare il d.P.C.M. relativo al Fondo di Solidarietà Comunale per l’anno 2019 di cui all’art. 1, comma 451, della legge n. 232 del 2016;
b) dell’obbligo di provvedere a emanare il d.P.C.M. in questione, con la conseguente condanna
della Presidenza del Consiglio dei Ministri o delle altre Amministrazioni intimate ad emanare lo stesso anche per il tramite o con l’ausilio di un Commissario ad acta, in sostituzione dell’Ente inadempiente, disponendone sin d’ora la nomina in caso di perdurante inerzia dell’Amministrazione.
2. A sostegno delle proprie pretese, i Comuni ricorrenti hanno lamentato la violazione dell’articolo 97 Cost., dell’articolo 2 della legge n. 241/1990 e dell’articolo 1, comma 451, della legge n. 232/2016.
3. Il T.a.r. del Lazio, Sede di Roma, con la sentenza di cui in epigrafe impugnata, ha respinto il ricorso, riscontrando la mancanza di “un’istanza di parte finalizzata ad ottenere proprio l’emanazione del citato d.P.C.M.” e, di conseguenza, “i presupposti per l’esperibilità del giudizio ex art. 117 c.p.a., non essendo configurabile un silenzio inadempimento”.
Infine, il T.a.r. ha compensato tra le parti le spese di giudizio.
4. I Comuni hanno appellato la pronuncia, deducendo:
4.1. Ingiustizia manifesta. Eccesso di potere giurisdizionale. Carenza dei presupposti. Travisamento dei fatti. Violazione degli artt, 31 e 117 c.p.a. Violazione art. 97 Cost. Violazione dell’art. 2 l. n. 241/1990. Violazione dell’art. 1, comma 451, della legge n. 232 del 2016.
La sentenza di primo grado viene censurata nella parte in cui essa ha statuito che “risulta per tabulas che il procedimento in questione è stato regolarmente istruito ed è stato concluso con un accordo, trasfuso in una norma della legge di stabilità, i cui esiti sono stati comunicati ai comuni interessati dal Ministero dell’Interno; risulta, altresì, che il contenuto concordato è stato successivamente portato a compimento mediante il materiale trasferimento delle risorse assegnate” e “nel caso di specie, non è configurabile un diniego, neanche tacito, di procedere alla determinazione dei criteri per la ripartizione del fondo e alla quantificazione delle risorse assegnate a ciascun comune, essendo state tali determinazioni (che di norma sono contenute nel d.P.C.M. di cui all’art. 1, comma 451, L. 232/2016) assunte con provvedimento avente consistenza normativa”.
4.2. Violazione dell’art. 117 c.p.a.
La sentenza impugnata sarebbe erronea anche per avere affermato che il ricorso avverso il silenzio non sarebbe esperibile, in quanto i Comuni odierni appellanti non avrebbero precedentemente inviato un’istanza volta a chiedere l’emanazione del citato d.P.C.M.
Tale assunto – ad avviso dei Comuni appellanti – si porrebbe in contrasto con:
(i) il dettato normativo di cui all’art. 117 c.p.a., il quale prevede la possibilità di proporre azione avverso il silenzio anche senza previa diffida;
(ii) la medesima sentenza appellata laddove, al punto 3.1., essa chiarisce che il procedimento amministrativo in questione non è un procedimento a istanza di parte, bensì attivabile d’ufficio;
4.3. In subordine, ingiustizia manifesta. Eccesso di potere giurisdizionale. Omessa pronuncia e violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e dell’art. 112 c.p.c. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. Carenza dei presupposti. Travisamento dei fatti. Erronea applicazione dell’art. 23, secondo comma, della legge n. 87 del 1953; illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 921, della l. 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione per il 2019) per contrasto con gli artt. 3, 24, 97, 113, 119 della Costituzione.
In via subordinata e gradata e per l’ipotesi in cui si ritenga che il dovere di emanare il d.P.C.M. sia stato derogato dall’art. 1, comma 921, legge n. 145/2018, viene dedotta l’incostituzionalità di quest’ultima disposizione, per violazione degli artt. 3, 24, 97, 113, 119 Cost.
5. Si sono costituiti in resistenza, con separate memorie, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’interno e il Ministero dell’economia e delle finanze, nonché il Comune di (omissis), instando per la reiezione del gravame.
6. Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive, mediante il deposito di documenti, di memorie integrative e di replica.
7. All’udienza camerale del 4 marzo 2021, la causa è passata in decisione ai sensi dell’art. 25, d.l. n. 137/2020.
8. Ritiene il Collegio che l’appello non è fondato e va, pertanto, respinto.
9. Più in particolare, va respinto il secondo motivo di appello, mentre il primo e il terzo possono essere assorbiti, difettando l’interesse alla decisione.
10. La Sezione premette che la controversia riguarda un tipico caso di ricorso avverso un prospettato mancato esercizio dell’obbligo di provvedere.
Nella specie, l’obbligo di provvedere viene imputato soggettivamente alla Presidenza del Consiglio o, comunque sia, alle altre Amministrazioni intimate nel primo grado del giudizio, e riguarda la mancata emanazione del d.P.C.M. relativo al Fondo di Solidarietà Comunale per l’anno 2019 secondo le modalità procedurali previste dall’art. 1, comma 451, della legge n. 232 del 2016.
Sulla base della prospettazione difensiva dei Comuni appellanti, infatti, la Presidenza del Consiglio si sarebbe limitata ad emanare un atto di mero adeguamento del precedente d.P.C.M., senza – dunque – procedere a una nuova e completa istruttoria, e cioè concreterebbe una classica violazione della legge.
11. Il T.a.r., con la sentenza impugnata, ha dato soluzione alla controversia sulla base di due rationes decidendi, sostanzialmente affrontando la questione sotto due diverse angolazioni prospettiche.
Per un verso, il T.a.r. è sceso nel merito della contestata violazione di legge, escludendo che essa fosse stata commessa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dando conto delle specifiche ragioni per le quali il procedimento amministrativo dovesse ritenersi compiutamente istruito.
Per un altro verso, invece, il T.a.r. ha motivato che il ricorso avverso il silenzio sarebbe comunque inammissibile per difetto del necessario presupposto, e cioè per la mancata presentazione, da parte dei Comuni interessati, di una originaria istanza sulla quale si sarebbe dovuto provvedere con un provvedimento espresso.
12. Ad avviso della Sezione, malgrado il giudice di primo grado abbia affrontato entrambi i menzionati aspetti, decidendo la causa con un dispositivo di formale rigetto del ricorso nel merito, è preliminare da un punto di vista logico giuridico e secondo l’ordine tipico della tassonomia delle questioni, affrontare per prima quella di rito, concernente la stessa ammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio, già eccepita nel corso del primo grado del giudizio dalle parti costituite e comunque sia risulta rilevabile anche ex officio.
13. La Sezione ritiene che il ricorso introduttivo del primo grado del giudizio sia effettivamente inammissibile, per mancanza del necessario presupposto rappresentato dalla mancata presentazione dell’istanza in ordine alla quale si sarebbe potuto prospettare un obbligo di provvedere mediante un provvedimento espresso.
L’istanza in parola va distinta sul piano giuridico, oltre che terminologico, dalla diffida a provvedere, non più necessaria per espressa previsione di legge al fine di attivare il ricorso avverso il’mancato esercizio del potere amministrativo’ (espressione contenuta nell’art. 7, comma 1, del codice del processo amministrativo e comunque preferibile rispetto al cd inadempimento, tradizionalmente adoperata negli ultimi decenni, ma che di per sé evoca impropriamente nozioni civilistiche).
In altre parole, rispetto al passato e ai rimedi di tutela proponibili avverso il silenzio dell’Amministrazione, individuati dapprima dalla Sezione Quarta sin dalla decisione 22 agosto 1902, n. 429, e poi dal legislatore, nell’attuale quadro normativo non è richiesta più la presentazione della diffida a provvedere sull’istanza presentata dalla parte interessata, essendo sufficiente ad integrare la condizione dell’azione la perdurante inerzia serbata dall’Amministrazione pubblica.
Ciò che, invece, risulta ancora all’attualità imprescindibile, per configurare un’mancato esercizio del potere amministrativo’ rilevante in sede giurisdizionale, è la mancata doverosa risposta dell’Amministrazione in ordine ad una specifica istanza rispetto alla quale essa sia tenuta a provvedere.
In questo senso, ai fini dell’ammissibilità del ricorso avverso il silenzio, debbono cumulativamente sussistere:
– la presentazione dell’istanza a provvedere;
– l’obbligo giuridico di provvedere;
– la qualificazione dell’inerzia quale ‘mancato esercizio del potere amministrativo’.
14. Il rigetto del secondo motivo di appello comporta la conferma, in parte qua, della sentenza impugnata, e l’assorbimento delle ulteriori doglianze articolate, non potendo la parte appellante trarre dall’esame del primo e del terzo motivo ulteriori vantaggi.
Se, infatti, la sentenza del T.a.r. avesse esaminato unicamente la questione preliminare di ammissibilità della domanda, non vi sarebbe stato neppure modo per le parti di contraddire sulle questioni, ultronee, della completezza dell’istruttoria procedimentale e della compatibilità costituzionale di un sistema che consente di aggiornare il precedente d.P.C.M. senza provvedere alla nuova edizione dello stesso.
15. Resta inteso che le Amministrazioni ricorrenti potranno valutare se proporre un ulteriore ricorso giurisdizionale, sussistendone tutti i requisiti.
16. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
La complessità delle questioni trattate costituisce giustificato motivo per compensare le spese del presente grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 7326/2020, come in epigrafe proposto, lo respinge e compensa le spese del presente grado d’appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 marzo 2021 svoltasi mediante collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25, d.l. n. 137/2020, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Daniela Di Carlo – Consigliere, Estensore
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Michele Pizzi – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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