Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 9 ottobre 2018, n. 45314.
Le massime estrapolate:
Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo e’ sufficiente il dolo generico, che puo’ anche assumere la forma del dolo eventuale, e che comunque implica l’uso consapevole, da parte dell’agente, di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere.
La provocazione ricorre quando il reato sia commesso non gia’ in un generico stato di emozione, agitazione, timore o paura, bensi’ in uno stato d’ira, essendo necessario che l’agente abbia perduto il controllo di se stesso in conseguenza di un fatto che sia privo di giustificazione nei contenuti e nelle modalita’ esteriori, capace di alterare i freni inibitori, come tale costituente eccezione al principio generale, secondo cui gli stati emotivi non sono causa di diminuzione della imputabilita’
Sentenza 9 ottobre 2018, n. 45314
Data udienza 27 giugno 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SETTEMBRE Antonio – Presidente
Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere
Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere
Dott. BORRELLI Paola – Consigliere
Dott. RICCARDI Giusepp – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 03/02/2017 del TRIBUNALE di TERNI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE RICCARDI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FIMIANI PASQUALE, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore, Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 03/02/2017 il Tribunale di Terni ha confermato l’affermazione di responsabilita’ penale pronunciata dal Giudice di Pace di Terni nei confronti di (OMISSIS) per i reati di diffamazione di (OMISSIS), Comandante Provinciale della Guardia di Finanza di Terni, e (OMISSIS), Luogotenente della medesima, assolvendo, in parziale riforma, (OMISSIS).
In particolare, nel corso di una verifica fiscale presso la cooperativa AIDAS della quale l’imputata era consulente amministrativo, (OMISSIS) affermava in presenza dei militari che procedevano ai controlli che il Col. (OMISSIS) aveva manifestato la volonta’ di “far sputare sangue” alla stessa, con l’aiuto del Mar. (OMISSIS), che cercava elementi per “farla incastrare”.
2. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il difensore di (OMISSIS), Avv. (OMISSIS), deducendo i seguenti motivi di ricorso.
2.1. Con i primi due motivi denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, con conseguente nullita’ della sentenza, in relazione al rigetto dell’istanza di rinvio per legittimo impedimento proposta dal difensore Avv. (OMISSIS) all’udienza del 25.9.2013, lamentando che l’istanza non sia stata ritenuta tempestiva nonostante l’insorgenza della patologia.
2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al dolo: lamenta che la sentenza abbia fondato l’accertamento del dolo sul criterio del c.d. dolus in re ipsa, e su considerazioni congetturali concernenti l’obbligo dei verbalizzanti di riferire ai superiori, senza considerare che l’imputata, gia’ mesi prima, aveva espresso allo stesso verbalizzante preoccupazioni, senza che queste venissero divulgate ad una pluralita’ di persone.
2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli articoli 59 e 599 cod. pen.: lamenta che la sentenza impugnata, pur non avendo dubitato dell’esistenza del secondo presupposto della provocazione, lo stato d’ira, ha fornito un’interpretazione errata ed analogica del primo presupposto, il fatto ingiusto altrui, ritenendo che fosse necessario un rapporto diretto tra il comportamento del soggetto diffamato, e non di un terzo, e la reazione del soggetto diffamante. Peraltro, la “scriminante” sarebbe stata negata anche nella forma putativa, nonostante l’incertezza del quadro probatorio.
2.4. Violazione di legge in relazione all’articolo 62, comma 1, n. 2, per l’omesso riconoscimento dell’attenuante comune della provocazione.
2.5. Violazione di legge in relazione all’articolo 133 cod. pen. per la sproporzione del trattamento sanzionatorio.
3. Con memorie pervenute il 11/06/2018 le parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno chiesto il rigetto o l’inammissibilita’ del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ inammissibile.
1.1. I primi due motivi sono manifestamente infondati, in quanto l’istanza di rinvio e’ stata legittimamente rigettata, sul rilievo della natura non assoluta dell’impedimento dedotto (con il mero consiglio di cure e riposo) e della impossibilita’ di valutare la tempestivita’ della richiesta, non essendo stata indicata, nel certificato, la data di insorgenza del malessere.
1.2. Il motivo concernente il dolo e’ manifestamente infondato, oltre che generico, limitandosi a contestare la sussistenza dell’elemento soggettivo.
E’ pacifico, in tema di diffamazione, che, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo e’ sufficiente il dolo generico, che puo’ anche assumere la forma del dolo eventuale, e che comunque implica l’uso consapevole, da parte dell’agente, di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive, ossia adoperate in base al significato che esse vengono oggettivamente ad assumere (Sez. 5, n. 8419 del 16/10/2013, dep. 2014, Verratti, Rv. 258943).
Premesso che non e’ contestata la coscienza e volonta’ di adoperare espressioni offensive, che gia’ di per se’ integra il dolo di fattispecie, la sentenza impugnata, motivando in relazione alla censura difensiva, secondo cui l’assenza di dolo doveva desumersi dalla circostanza che l’imputata si era limitata a riferire quanto appreso da altri, e non a manifestare una propria valutazione lesiva dell’onore dei militari della Guardia di Finanza, si e’ limitata a rilevare che non assume rilievo scriminante che l’imputata avesse appreso da terzi dei propositi persecutori lamentati, avendo ella fatto propria tale convinzione, espressa con “particolare passione”.
Al riguardo, e’ del tutto immune da censure la motivazione con la quale e’ stata esclusa la rilevanza della provenienza da terzi della convinzione poi espressa, con autonoma volonta’, in forma diffamatoria.
1.3. I motivi concernenti il diniego della provocazione, sia nella forma esimente (articolo 599 cod. pen.), sia nella forma attenuante (articolo 62 c.p., n. 2), sono manifestamente infondati.
Secondo il motivo di appello proposto dall’imputata, la provocazione sarebbe stata integrata dal comportamento di (OMISSIS), precedente gestore della cooperativa oggetto di verifica fiscale, che avrebbe provocato i controlli della Guardia di Finanza, sollecitando il Col. (OMISSIS) e il Mar. (OMISSIS).
La sentenza impugnata, con apprezzamento di fatto immune da censure, e dunque insindacabile in sede di legittimita’, ha escluso la sussistenza della provocazione, non solo perche’ non e’ sufficiente un mero stato di agitazione soggettiva, ma anche perche’ non e’ emersa alcuna prova che lo stato di agitazione fosse stato suscitato dalla convinzione di essere vittima di atti persecutori, anziche’ dalla preoccupazione per i controlli in corso; peraltro, secondo la prospettazione difensiva, il fatto ingiusto altrui, che avrebbe determinato lo stato d’ira, sarebbe stato posto in essere non dai soggetti diffamati, ma da un terzo.
Al riguardo, assorbente l’assenza del profilo soggettivo dello stato d’ira evidenziato dalla sentenza impugnata, e’ pacifico che la provocazione ricorre quando il reato sia commesso non gia’ in un generico stato di emozione, agitazione, timore o paura, bensi’ in uno stato d’ira, essendo necessario che l’agente abbia perduto il controllo di se stesso in conseguenza di un fatto che sia privo di giustificazione nei contenuti e nelle modalita’ esteriori, capace di alterare i freni inibitori, come tale costituente eccezione al principio generale, secondo cui gli stati emotivi non sono causa di diminuzione della imputabilita’ (Sez. 1, n. 40177 del 01/10/2009, Gaudino, Rv. 245666; Sez. 1, n. 5056 del 08/11/2011, dep. 2012, Ndoj, Rv. 251833, secondo cui lo “stato d’ira” deve essere costituito da una situazione psicologica caratterizzata da un impulso emotivo incontenibile, che determina la perdita dei poteri di autocontrollo, generando un forte turbamento connotato da impulsi aggressivi).
Alcun margine emerge, peraltro, per l’operativita’ delle esimenti nella forma putativa, oggetto di deduzione difensiva meramente congetturale, priva di collegamenti con il tessuto argomentativo della sentenza impugnata e con il compendio probatorio.
1.4. Il motivo concernente il trattamento sanzionatorio e’ manifestamente infondato, in quanto, a prescindere dal rilievo che la pena inflitta e’ stata determinata nella meno grave specie pecuniaria (Euro 800,00 di multa), e’ pacifico che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, che la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 cod. pen.; ne discende che e’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (ex multis, Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142).
2. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese processuali e alla corresponsione di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, somma che si ritiene equo determinare in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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