Corte di Cassazione, penale, Sentenza|21 aprile 2021| n. 15073.
Ai fini della decorrenza del termine previsto dall’articolo 38, comma 2, del codice di procedura penale per la tempestiva proposizione della dichiarazione di ricusazione, la causa posta a fondamento dell’istanza può dirsi “nota”, nel caso in cui attiene a vicende accadute almeno in parte fuori dall’udienza, solo se è effettivamente conosciuta dalla parte, e non anche se è semplicemente conoscibile, essendo difficoltosa, in tale ipotesi, la verifica del rispetto dell’ordinaria diligenza da parte dell’interessato: e ciò perché in siffatte situazioni è preferibile valorizzare il diverso concetto di conoscenza effettiva, in maniera da garantire in forma più adeguata le ragioni di chi voglia fare valere una eventuale situazione di incompatibilità del giudice. In ogni caso, l’onere della prova della conoscenza spetta a chi contesta la tempestività della detta richiesta.
Sentenza|21 aprile 2021| n. 15073
Data udienza 31 marzo 2021
Integrale
Tag – parola chiave: Ricusazione – Inammissibilità – tempestività della richiesta – Termine ex art. 38 co 2 c.p.p. – Decorrenza – Notorietà della causa posta a fondamento dell’istanza – Solo se effettivamente e completamente conosciuta e non anche se conoscibile
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIDELBO Giorgi – Presidente
Dott. CALVANESE Ersili – Consigliere
Dott. APRILE E – rel. Consigliere
Dott. PATERNO’ RADDUSA B. – Consigliere
Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
2. (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 19/11/2020 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Ercole Aprile;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Di Leo Giovanni, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza sopra indicata la Corte di appello di Roma pronunciava la inammissibilita’ della dichiarazione di ricusazione presentata da (OMISSIS) e (OMISSIS) – imputati in relazione al reato di cui agli articoli 319 e 321 c.p. in un processo pendente nella fase del dibattimento dinanzi al Tribunale di Roma – nei confronti dei tre magistrati componenti il collegio del predetto Tribunale.
Rilevava la Corte di appello come la richiesta dovesse considerarsi tardiva, in quanto presentata l’11 dicembre 2019 senza l’osservanza del termine di tre giorni previsto dall’articolo 38 c.p.p., comma 2, posto che i due imputati non avevano fornito una prova specifica in ordine al momento in cui erano venuti a conoscenza della motivazione della sentenza che i tre componenti di quel collegio avevano adottato il 10 maggio 2019 nell’ambito di altro procedimento a carico di diversi imputati (pronuncia con la quale, secondo i ricusanti, sarebbe stato anticipato un giudizio anche sulla responsabilita’ concernente il fatto loro addebitato).
2. Avverso tale ordinanza hanno presentato ricorso il (OMISSIS) e lo (OMISSIS), con atto sottoscritto dal loro difensore, i quali hanno dedotto la violazione di legge, in relazione agli articoli 38 e 41 c.p.p., e il vizio di motivazione, per manifesta illogicita’ e travisamento, per avere la Corte distrettuale erroneamente sostenuto che l’onere di provare la tempestivita’ della richiesta di ricusazione gravasse sui due imputati e non, invece, che fosse posto in capo a chi contesta quella tempestivita’.
3. Il procedimento e’ stato trattato nell’odierna udienza in camera di consiglio con le forme e con le modalita’ di cui al Decreto Legge 28 ottobre 2020, n. 137, articolo 23, commi 8 e 9, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Ritiene la Corte che il ricorso siano fondati.
2. Costituisce espressione di un consolidato orientamento interpretativo il principio secondo il quale, ai fini della decorrenza del termine previsto dall’articolo 38 c.p.p., comma 2, per la tempestiva proposizione della dichiarazione di ricusazione, la causa posta a fondamento dell’istanza puo’ dirsi “nota”, nel caso in cui attiene a vicende accadute almeno in parte fuori dall’udienza, solo se e’ effettivamente e completamente conosciuta dalla parte, e non anche se e’ semplicemente conoscibile, essendo difficoltosa, in tale ipotesi, la verifica del rispetto dell’ordinaria diligenza da parte dell’interessato: e cio’ perche’, si e’ precisato, in siffatte situazioni e’ preferibile valorizzare il diverso concetto di conoscenza effettiva, in maniera da garantire in forma piu’ adeguata le ragioni di chi voglia fare valere una eventuale situazioni di incompatibilita’ del giudice.
(Sez. 6, n. 41110 del 18/09/2013, D’Alessandro, Rv. 256270). D’altra parte, e’ pacifico che l’onere della prova della conoscenza spetta a chi contesta la tempestivita’ della detta richiesta (cosi’, tra le altre, Sez. 1, n. 6117 del 13/01/2009, Calgano, Rv. 243224; Sez. 5, n. 4396/09 del 09/12/2008, Querci, Rv. 242609).
Di tali regulae iuris non e’ stato fatto buon governo dalla Corte di appello di Roma che – a fronte dell’affermazione fatta dai ricorrenti di essere venuti a conoscenza del contenuto di quella sentenza emessa in altro processo penale (al quale essi non avevano partecipato; sentenza che non era stata loro mai notificata o altrimenti comunicata, e che si era scoperto fosse pregiudizievole per la imparzialita’ dei magistrati componenti del collegio giudicante) solo il 10 dicembre 2019, nello studio del loro difensore, in prossimita’ dello svolgimento dell’udienza del processo che li riguardava direttamente – ha erroneamente sostenuto che l’onere di provare tale circostanza spettava agli stessi ricusanti che avrebbero dovuto specificare come, dove, quando e per effetto di che cosa e di chi essi avevano preso conoscenza di quella circostanza. Laddove, invece, era sufficiente che essi avessero allegato quella situazione, gravando su chi era interessato a dimostrare il contrario l’onere di provare che gli imputati fossero venuti altrimenti e in precedenza a conoscenza di quel dato.
3. L’ordinanza impugnata va, dunque, annullata con rinvio alla Corte di appello di Roma che nel nuovo giudizio si atterra’ all’indicato principio di diritto.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma per nuovo giudizio.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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