Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza 28 aprile 2016, n. 17684
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza emessa il 26/02/2014 dal G.u.p. del Tribunale di Milano nei confronti di S.M.A. , ritenuta colpevole dei reati di tentata concussione in concorso e di falsità ideologica in atti pubblici e per l’effetto condannata alla pena di anni 3 di reclusione e pena accessoria ex art. 29 cod. pen..
Nei giudizi di merito si era accertato che la S. , in qualità di funzionario ispettivo della Direzione Territoriale del Lavoro di Milano, abusando di tale qualità, in concorso con M.S. , presentato quale tecnico informatico, nel corso dell’ispezione presso la Charter Bus Magnani srl aveva posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a costringere i titolari dell’azienda a promettere somme di denaro per evitare l’applicazione di sanzioni per le registrazioni dei cronotachigrafi digitali, indicate nella misura sproporzionata di 200 mila euro, prospettando l’installazione di un programma informatico, che avrebbe consentito al M. di alterare i dati dei cronotachigrafi in modo da ridurre le violazioni e determinare sanzioni lievissime dietro pagamento di 4 mila euro oltre a 600 euro per il software da installare, che i due avrebbero diviso a metà.
Le indagini erano state avviate nel maggio 2013 a seguito della denuncia sporta dai dirigenti della società, che avevano riferito dell’ispezione iniziata nel gennaio 2013 dalla S. , la quale, dopo aver richiesto l’esibizione dei fogli di registrazione dei cronotachigrafi analogici degli autisti relativi all’anno 2012 ed esaminato solo alcuni fogli, relativi ad un unico autista, aveva compilato un verbale, contestando le violazioni rilevate, e, dopo un esame sommario dei fogli relativi ad altri autisti, aveva asserito di aver rilevato numerose violazioni, che prospettava di poter sistemare sul sistema digitale mediante l’intervento di un consulente suo conoscente. Nel corso del successivo accesso informale, perché non verbalizzato, eseguito verso fine aprile 2013, nuovamente la S. , dopo aver visionato i dati del sistema digitale, aveva fatto notare ai titolari dell’azienda le numerose violazioni rilevate ed aveva quantificato le sanzioni irrogabili in 200 mila euro, prospettando, al contempo, la possibilità di far sistemare i dati da un suo consulente dietro pagamento di 4 mila euro in contanti ed in nero; concessi alcuni giorni per valutare la proposta, i titolari dell’azienda si erano determinati a sporgere denuncia ed in vista dell’incontro previsto per il 30 maggio 2013 erano state autorizzate intercettazioni ambientali e telefoniche, che documentavano la condotta della S. , la quale aveva ribadito l’entità delle sanzioni, la possibilità di evitarle mediante l’intervento del tecnico suo amico sui cronotachigrafi digitali, l’esame parziale di quelli analogici con riduzione delle sanzioni a 10 mila euro, prospettando, in alternativa, con l’aiuto di un carabiniere suo amico, la presentazione di una denuncia retrodatata di furto della documentazione, in modo da rendere impossibile ogni controllo, contestualmente manifestando il desiderio di fare dei viaggi in (…) e (omissis) . Nel corso del successivo accesso del 12 giugno 2013 la S. ed il tecnico avevano quantificato in 4 mila euro il compenso richiesto oltre al costo del programma, e la S. aveva ribadito il desiderio di fare dei viaggi in località esotiche. Il successivo 20 giugno si procedeva all’arresto della coppia, eseguito in flagranza di reato, nel momento in cui il M. consegnava i prospetti report alterati alla S. , che redigeva un verbale, datato 4 luglio 2013.
Le ammissioni del M. e della S. (anche in ordine ad analoghi abusi commessi nel corso di ispezioni ad altre aziende), ed il sequestro di un tariffario, unitamente al contenuto delle conversazioni intercettate, giustificavano per i giudici di merito l’affermazione di responsabilità dell’imputata in ordine al reato contestato, dovendo escludersi la possibilità di inquadrare i fatti nella meno grave ipotesi dell’induzione indebita in ragione dell’ingiustizia del danno minacciato ed in particolare, in ragione dell’importo della sanzione minacciata, sproporzionato e non ancorato ad alcun dato oggettivo, atteso che era stato prospettato sin dal primo momento dopo l’esame della documentazione relativa ad un solo autista e senza una verifica attendibile in relazione agli altri autisti e ribadito ancora nel corso delle successive verifiche informali: importo eccessivo, ritenuto inusuale dallo stesso M. e forse esagerato, secondo le dichiarazioni della stessa imputata, che, peraltro, aveva ammesso che per prassi dell’ufficio non venivano contestate le irregolarità di natura solo formale, cosicché la minaccia di un danno ingiusto, le modalità della condotta e le ripetute pressioni esercitate sulle persone offese non lasciavano margini di autodeterminazione alle vittime, costrette ad accettare di avvalersi della consulenza del M. e di finanziare i viaggi dell’imputata oltre a corrisponderle le altre utilità dalla stessa ammesse.
2. Avverso la sentenza propone ricorso il difensore dell’imputata, che ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi:
– violazione di legge ed erronea applicazione dei criteri distintivi delle fattispecie previste dagli artt. 317 e 319 quater cod. pen.: la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente la concussione, limitandosi a valutare un unico elemento della più complessa fattispecie ovvero il solo dato dichiarativo del pubblico ufficiale relativo all’entità della sanzione ipotizzata, mentre i dati processuali consentono di ritenere insussistente l’ingiustizia del male minacciato. Si deduce, infatti, che la verifica eseguita era legittima e doveva riguardare sia i dischi cronotachigrafi analogici che i dischi digitali; che le sanzioni amministrative previste per le violazioni formali e sostanziali sono particolarmente articolate e severe per entità di importo; che la dimensione dell’azienda verificata comportava l’analisi di migliaia di dischi e l’applicazione normale delle sanzioni avrebbe comportato importi ingenti per l’azienda; che dalla verifica parziale su un primo autista erano emerse plurime violazioni, e, se estesa rigorosamente agli altri autisti, avrebbe potuto condurre ad un importo complessivo della sanzione molto rilevante per l’azienda, mentre è indimostrato che l’imputata avesse, da subito e senza aver svolto un controllo effettivo, dichiarato ed ipotizzato l’irrogazione di una sanzione pari a 200 mila euro al solo fine di spaventare gli imprenditori e piegarli al suo volere, in quanto l’unico riscontro, risultante da un’intercettazione ambientale, è di molto successivo all’inizio della verifica. Si sostiene che non è corretto affermare che la S. si sia dichiarata incompetente ed inesperta nei controlli, al punto da non essere in grado di calcolare sanzioni così gravose, in quanto se si fosse effettuata una vera verifica la sanzione finale sarebbe stata molto rilevante. Tali elementi dimostrano, a parere della difesa, l’insussistenza dell’ingiustizia del male minacciato, atteso che la S. non inventò violazioni inesistenti, ma per proprio tornaconto lasciò intendere che con un minimo esborso si poteva sistemare tutto, cosicché non vi fu abuso di potere né minaccia per costringere il privato all’indebita dazione, ma solo un atteggiamento allusivo e complice con gli interlocutori per raggiungere con poco sforzo un risultato conveniente per entrambi, intraprendendo, dunque, una negoziazione illecita più vicina alla corruzione che alla concussione. Si censura la mancata valutazione di tali elementi e la contraddittorietà dell’apprezzamento della Corte di appello, che non ha accolto la richiesta di perizia accertativa e valutativa sui dati aziendali relativa ai cronotachigrafi; ha travisato il contenuto delle dichiarazioni del Ma. , laddove ha inteso che non fosse stato effettuato il controllo, mentre lo stesso fu svolto, ma in modo informale cioè senza lasciare traccia, e ciò avrebbe imposto di acquisire l’accertamento peritale, oggettivo, piuttosto che fare affidamento sulle parole del coimputato M. o fare riferimento alla prassi di non contestare le violazioni formali per ritenere arbitraria la condotta della S. . Si segnala l’illogica sottovalutazione della condotta dei titolari dell’azienda, che, tra un accesso e l’altro, procedettero ad una sistemazione dei cronotachigrafi analogici e si reputa erroneo l’inquadramento dei fatti, riconducibili più correttamente alla fattispecie dell’induzione indebita;
– illogico e immotivato rigetto della richiesta di perizia accertativa e valutativa sulle effettive violazioni poste in essere dall’azienda verificata per l’anno 2012: si deduce che la perizia, espletabile sui cronotachigrafi digitali presenti sul sistema TIS web e su quelli analogici, di cui 2000 sono sequestrati, era accertamento probatorio decisivo e rilevante ai fini del decidere, in quanto l’impianto accusatorio si fonda sulla presunta arbitrarietà delle sanzioni irrogabili, il cui importo sarebbe stato volutamente esagerato dalla S. . Si segnala la contraddittorietà delle motivazioni addotte per negare tale importante dato istruttorio, contrastante con i documenti ed i dati di fatto presenti in atti;
– contraddittorietà motivazionale della sentenza impugnata, che fonda la condanna sul solo dato dichiarativo della S. , definito irragionevole ed arbitrario, in contrasto con i dati probatori in atti, che depongono per la sussistenza del reato di induzione indebita piuttosto che per la ritenuta concussione.
Con memoria pervenuta il 30 marzo 2016 il difensore ha prodotto estratto della sentenza emessa dal G.u.p. di Milano il 14 luglio 2015 a carico della S. nel procedimento originato dalle ammissioni dell’imputata e dalle dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese dopo l’arresto per segnalare che nell’ambito di detto procedimento sono stati contestati all’imputata 34 capi di imputazione con inquadramento di fatti analoghi come induzione indebita e non concussione. Si ribadisce che nella serie di induzioni contestate alla S. la sentenza ben evidenzia la compartecipazione per interesse dell’imprenditore ispezionato nel comportamento illecito e nella richiesta economica effettivamente conseguita dall’imputata: si insiste, pertanto, per l’annullamento della sentenza impugnata.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato e meramente reiterativo delle censure già avanzate in appello, alle quali la Corte territoriale ha fornito puntuali ed esaustive risposte, anche in ordine al procedimento stralcio, originato dalle ammissioni della S. . Infatti, sebbene all’epoca non si fosse ancora concluso, il difensore aveva già prospettato la diversa qualificazione attribuita in termini meno gravi ai fatti, commessi dalla S. nel corso dell’attività ispettiva con richiesta di danaro ed utilità varie ai soggetti sottoposti a verifica, e la Corte di appello ha ritenuto ininfluente la circostanza, stante la singolarità di ogni vicenda e l’impossibilità di procedere ad un esame comparativo delle diverse vicende sulla scorta dei pochi elementi disponibili. Né tale esame può effettuarsi in questa sede in ragione dell’autonomia delle singole vicende e delle modalità dei fatti emerse nel presente procedimento, la cui base probatoria è costituita, contrariamente all’assunto difensivo, non solo dalle ammissioni dell’imputata e del correo, ma, soprattutto, dalle risultanze delle intercettazioni ambientali e telefoniche e dalla documentazione sequestrata.
Diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, la Corte di appello ha riconosciuto la legittimità dell’iniziativa ispettiva, ma ne ha rimarcato le modalità anomale ed i ripetuti illeciti commessi dall’imputata, valorizzando la spontanea e tempestiva denuncia, sporta il 27 marzo 2013 da Ma. Oscar, responsabile commerciale e consigliere di amministrazione della società sottoposta a verifica, nella quale riferì che, dopo un primo accesso interlocutorio, la S. aveva effettuato il 19 febbraio 2013 un primo esame di un’unica posizione, quella dell’autista A. , dando un sommario sguardo ai fogli di registrazione degli altri autisti con redazione di un verbale relativo alle irregolarità rilevate per l’A. su soli otto fogli di registrazione dei cronotachigrafi, prospettando da subito la possibilità di sistemare le altre numerose violazioni con l’intervento di un tecnico suo conoscente. Prospettazione ribadita in occasione dell’accesso informale dell’aprile successivo, nel corso del quale la S. quantificava le sanzioni irrogabili in 200 mila euro, moltiplicando la sanzione minima per il numero degli autisti, dopo aver effettuato, anche in tale circostanza, un controllo sommario, neppure verbalizzato, dei fogli di registrazione, ribadendo all’esito la possibilità di sistemare i dati tramite il suo consulente dietro compenso di 4 mila euro, lasciando tempo ai titolari dell’azienda per valutare la proposta: ripresentatasi per avere notizie, preannunciava un accesso per il 28 maggio per continuare gli accertamenti.
La Corte di appello ha evidenziato che il carattere sommario degli accertamenti compiuti dall’imputata emerge nettamente dall’intercettazione ambientale del 30 maggio 2013, in quanto la S. insieme ai titolari della azienda esaminava altri dischi e riepilogava le 8 violazioni rilevate a carico dell’A. su 263 dischi per un totale di 384 euro – coincidenti con le violazioni risultanti dalla scheda redatta dalla S. con apparente data del 27 marzo 2013-, ribadendo l’importo delle sanzioni irrogabili nella misura di 200 mila euro ed il vantaggio di ridurle a 10 mila euro, laddove fossero state accolti i suoi suggerimenti e le sue richieste.
La radicalità dell’abbattimento prospettato dimostra di per sé l’esorbitanza dell’originaria quantificazione delle sanzioni e la totale arbitrarietà della stima, specie considerando che, a fronte dell’indecisione del B. , responsabile delle risorse umane dell’azienda di trasporti, l’imputata rilanciava, indicando l’importo in 100 (mila euro)- “allora diciamo che viene 100 e basta Facciamo 100 e basta? Dottore facciamo 100? va bene?”- per mettere sotto pressione l’imprenditore.
Coerentemente ed in modo logico la Corte ha desunto dalla variabilità dell’importo delle sanzioni e dalla circostanza che da altre schede, redatte dall’imputata con apparente data 28 maggio 2013, risultassero modeste violazioni – 5 violazioni su 255 dischi per l’autista C. e 4 violazioni su 275 dischi dell’autista Ca. -, del tutto trascurate dalla difesa, l’arbitraria prospettazione di sanzioni di importo esagerato, determinata senza alcun approfondimento ed in modo del tutto sganciato dai dati oggettivi rilevati. Se a ciò si aggiunge che nella stessa circostanza l’imputata asseriva che non avrebbe guardato i cronotachigrafi analogici, limitandosi a controllarne solo alcuni mesi, non un anno, così dimostrando di voler agevolare i titolari dell’azienda, ed al contempo, parlava dei viaggi, che avrebbe voluto fare per almeno 10 giorni con un’amica, chiedendo dei preventivi e facendosi consegnare 10 biglietti per la tratta (OMISSIS) , risulta condivisibile la valutazione della Corte di appello sul punto, atteso che quello stesso giorno la S. contattava l’amica, moglie del carabiniere presso il quale si sarebbe potuta presentare la falsa denuncia di furto dei documenti, per preannunciarle che avrebbero fatto a breve una vacanza, che aveva “ordinato” anche per lei.
Risulta, pertanto, immune da censure la valutazione della Corte nel ritenere che la proposta di ridurre notevolmente le sanzioni irrogabili, grazie all’intervento remunerato del suo consulente ed all’offerta di almeno due viaggi per sé e per l’amica – “altro che viaggio mi dovete darmi a me.. altro che viaggio.. due viaggi ci vogliono qui” – dimostra l’abuso della funzione e l’ingiustizia del male minacciato, integrante la più grave fattispecie contestata.
La Corte di appello ha ritenuto ravvisabile nelle condotte descritte l’abuso della qualità di pubblico ufficiale e la minaccia nelle proposte formulate, che, rimandando alla funzione ed alla convenienza di assecondare le richieste, lasciavano intendere che un atteggiamento non condiscendente avrebbe esposto i titolari dell’azienda a ripercussioni negative, ingenerando uno stato di soggezione negli stessi, costretti a subire le pretese, costituenti un sopruso.
Tenuto conto che anche a seguito della modifica normativa ai fini della configurabilità del delitto di concussione non rileva, a differenza di quanto prospettato dalla ricorrente, la portata più o meno coartante della minaccia, ma l’ingiustizia del male minacciato (Sez. 6, n. 37475 del 21.1.2014), va evidenziato che, diversamente dal delitto di concussione ex art. 317 cod. pen., nel delitto di induzione indebita ex art.319-quater cod. pen. manca l’abuso costrittivo da parte del pubblico agente e la condizione del destinatario non è quella di chi, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene stretto fra l’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita, perché la condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno, pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, nella prospettiva di conseguire quel vantaggio, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Rv. 258470; Sez. 6, n. 6846 del 12/01/2016, Sez. 6, n.32594/15 e Sez. 6, n. 47014 del 15/07/2014, Rv. 261008).
Nel caso di specie, non risultando individuabile il vantaggio indebito per le persone offese, determinatesi immediatamente e spontaneamente a denunciare l’imputata per la chiara percezione dell’abuso di potere e dell’ingiustizia del male minacciato, integrato dalla prospettazione di sanzioni di importo esorbitante, come riconosciuto dallo stesso M. , che da anni collaborava con l’imputata, e persino dalla stessa, evitabili assecondando le richieste, parimenti illecite, dirette a falsificare dati o, in alternativa, a presentare una falsa denuncia di furto, deve ritenersi integrato il delitto di concussione, come correttamente ritenuto dai giudici di merito. Né può ritenersi, stante la denuncia sporta, che vi sia stata adesione alle richieste dell’imputata né attribuirsi rilievo alla effettiva sussistenza delle violazioni, avuto riguardo alla modestia delle stesse ed alla sproporzione delle sanzioni prospettate, individuandosi proprio in tale divario, arbitrariamente determinato dall’imputata, per sua stessa ammissione incompetente in materia di cronotachigrafi digitali o analogici, lo strumento di pressione utilizzato per costringere i titolari dell’azienda ad aderire alle sue pretese illecite, in ciò consistendo il nucleo centrale dell’accusa per l’ingiustizia del danno minacciato.
2. Sulla scorta di tali elementi è del tutto condivisibile la decisione dei giudici di merito di non disporre la perizia richiesta dalla difesa, in quanto non essenziale ai fini del decidere, atteso che l’imputata sin dalle fasi iniziali della verifica, non alla fine degli accertamenti, aveva determinato la sanzione irrogabile nella misura spropositata di 200 mila euro per costringere i titolari dell’azienda ad assecondare le sue pretese illecite e la circostanza che tale stima non fosse fondata su un esame analitico dei dischi cronotachigrafi né sulla competenza o esperienza in materia, esclusa dalla stessa imputata, che ha altresì, ammesso che i cronotachigrafi della Charter Bus Magnani srl presentavano modeste violazioni di carattere solo formale, non sostanziale, che per prassi dell’ufficio non venivano neppure contestate totalmente, dimostra la superfluità della verifica richiesta. È, inoltre, chiarito nella sentenza impugnata che nel corso dei vari accessi, formali e informali, l’imputata aveva lasciato i dischi analogici nella disponibilità della azienda ed i titolari avevano nelle more provveduto a sistemare alcune omissioni formali, come ammesso dal Ma. . Tale circostanza dimostra ulteriormente la non affidabilità dell’accertamento eventualmente disposto, considerato, peraltro, che la verifica non fu conclusa. In ogni caso, la condotta dei titolari della ditta non è minimamente idonea a far slittare l’accusa nell’induzione indebita, non essendovi stata alcuna adesione alla proposta illecita della S. , non recepita come vantaggiosa e diretta a procurare loro un indebito ed illegittimo tornaconto, tant’è che avevano subito sporto denuncia e si erano dichiarati disposti a collaborare con gli inquirenti nel corso degli accessi successivi, sapendo di essere intercettati.
3. Anche il terzo motivo è infondato, in quanto, come anticipato, il giudizio di responsabilità non si fonda sulle sole ammissioni dell’imputata bensì su un più ampio substrato probatorio, che conduce a convalidare l’impianto motivazionale della sentenza impugnata perché completo, esaustivo ed aderente alle risultanze processuali.
Per le ragioni esposte il ricorso va rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
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