Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|2 settembre 2022| n. 25901.
Accertamento in capo alla parte soccombente della mala fede o della colpa grave
In tema di spese processuali, poiché le risorse del “servizio giustizia” sono scarse rispetto al fabbisogno, l’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti nei singoli casi è una variabile dipendente dalla capacità del sistema giudiziario di allocare le proprie risorse in modo tale da garantire risultati medi efficienti nella gestione della massa delle controversie. Un sistema – come quello italiano – che garantisce l’accesso alla giustizia in modo pieno e rimesso all’apprezzamento individuale (articolo 24, comma 1, Costituzione) deve poter mettere in campo degli strumenti diretti a sanzionare “ex post” (con funzione anche dissuasiva pro futuro rivolta alla collettività) gli abusi della “potestas agendi” che si manifestano con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte, oltre che per la collettività dei cittadini utenti (attuali o potenziali) del predetto servizio giustizia. La condanna ex articolo 96, comma 3, del codice di procedura civile secondo cui “…quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata…” è uno di tali strumenti. A tal fine, tale condanna non richiede né la domanda di parte né la prova del danno, essendo tuttavia necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione (Nel caso di specie, respingendo il ricorso, la Suprema Corte, nel ritenere incensurabile la sentenza impugnata, ha giudicato infondato anche il motivo con cui parte ricorrente aveva lamentato che la domanda era stata disposta senza che i convenuti avessero allegato e dato la prova del danno, nonché l’esistenza di qualsivoglia colpa grave o malafede in capo alla ricorrente medesima per aver proposto l’azione di nullità del testamento pur non essendo erede; infatti, osserva l’ordinanza in esame, la sentenza gravata è del tutto in linea con l’enunciato orientamento, dal momento che – rinunciando ad intrattenersi sul profilo irrilevante dell’allegazione e della prova del danno – ha concentrato le proprie energie sul profilo della colpa grave dell’attrice con un apprezzamento congruo, che in concreto non si espone a censure in sede di sindacato di legittimità). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezioni civili unite, sentenza 13 settembre 2018, n. 22405).
Ordinanza|2 settembre 2022| n. 25901. Accertamento in capo alla parte soccombente della mala fede o della colpa grave
Data udienza 20 maggio 2022
Integrale
Tag/parola chiave: Spese processuali – Condanna ex articolo 96, comma 3, del cpc – Domanda di parte e la prova del danno non richieste – Accertamento in capo alla parte soccombente della mala fede o della colpa grave – Necessità – Pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata – Manifesta inconsistenza giuridica delle censure – Palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere
Dott. CAPONI Remo – rel. Consigliere
Dott. MASSAFRA Annachiara – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 20086/2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), che la rappresenta e difende in virtu’ di procura speciale allegata in atti in seguito alla nomina di nuovo difensore;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. (OMISSIS), in virtu’ di procura allegata al controricorso;
– controricorrente –
nonche’
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 77/2017 della CORTE DI APPELLO DI GENOVA, depositata il 20/01/2017;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 20/5/2022 dal Cons. Dott. REMO CAPONI.
RILEVATO
Che:
1. – Con atto di citazione del 16/12/2009 (OMISSIS), odierna ricorrente in cassazione, conviene in giudizio dinanzi al Tribunale di Chiavari (OMISSIS) e i di lei figli (OMISSIS) e (OMISSIS) (odierni resistenti in cassazione), proponendo una serie di domande di accertamento di nullita’ e/o inesistenza e/o inefficacia del testamento con il quale (OMISSIS) vedova (OMISSIS) ha nominato erede sua sorella (OMISSIS), ovvero di accertamento che il testamento stesso sarebbe stato revocato; ovvero di accertamento che i convenuti avrebbero dovuto essere esclusi dalla successione di (OMISSIS) per indegnita’. L’attrice soccombe, viene condannata alle spese, nonche’ al risarcimento dei danni per lite temeraria.
2. – Proposto appello dinanzi alla Corte di Appello di Genova, in un primo tempo con domanda di totale riforma della sentenza di primo grado, all’udienza di precisazione delle conclusioni la (OMISSIS) rinuncia all’impugnazione nel merito, mantenendo solo la domanda relativa alla liquidazione delle spese di primo grado. Sotto questo profilo, la Corte di appello accoglie in parte l’impugnazione.
3. – Ricorre in cassazione (OMISSIS) con quattro motivi, illustrati da memoria. Resiste (OMISSIS) con controricorso, illustrato da memoria. Rimane intimato (OMISSIS).
CONSIDERATO
Che:
1. – Con il primo motivo si censura ex articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 91 c.p.c., in combinato disposto con l’articolo 9 c.p.c., comma 2 e articolo 10 c.p.c., anche eventualmente ragguagliati con gli articoli 12, 13, 14 e 15 c.p.c.. In sintesi, con il primo motivo si censura la violazione delle norme sulla condanna alle spese, poiche’ il giudice di secondo grado ha confermato la decisione del giudice di primo grado che, ai fini della liquidazione dei compensi professionali, ha individuato uno scaglione di valore diverso da quello relativo alle cause di valore indeterminato e/o indeterminabile, che’ tale era stata qualificata la causa in sede di domanda introduttiva.
Con il secondo motivo si censura ex articolo 360 c.p.c., n. 5, l’omessa e/o contraddittoria motivazione in riferimento all’articolo 9 c.p.c., comma 2, articolo 10 c.p.c., anche eventualmente ragguagliati con gli articoli 12, 14 e 15 c.p.c., in combinato disposto con l’articolo 91 c.p.c., poiche’ la Corte di appello, nel rideterminare le spese del primo grado di giudizio, sarebbe caduta in contraddizione laddove ha ricostruito il criterio logico-giuridico che il giudice di primo grado avrebbe utilizzato per individuare lo scaglione tariffario applicato in aumento rispetto al valore indeterminabile dichiarato.
Tali primi due motivi sono da esaminare congiuntamente, poiche’ sono diretti a censurare uno stesso aspetto della sentenza impugnata (cfr. il testo di quest’ultima, p. 6-7).
2. – La sentenza impugnata resiste alle censure che le vengono mosse attraverso i primi due motivi, poiche’ applica correttamente al caso di specie l’orientamento costante di questa Corte che considera controversia di valore indeterminabile solo quella che non sia suscettibile di valutazione economica o di cui sia particolarmente complesso individuare il quantum. Infatti l’indeterminabilita’ e’ da concepirsi in termini relativamente oggettivi, quale conseguenza di una intrinseca inidoneita’ (o notevole difficolta’) della pretesa fatta valere in giudizio a essere valutata secondo parametri pecuniari, mentre sono di valore determinabile le cause in cui l’esame degli atti depositati consenta una tale valutazione, quand’anche le parti non abbiano indicato il valore del petitum al tempo della domanda, ovvero l’abbiano indicato come indeterminato (cfr., per una recente conferma, Cass. 23873/2021, con richiamo a Cass. 11056/2016, citata nella sentenza impugnata).
Nel caso di specie, lo scaglione di valore in cui rientra il petitum e’ stato determinato in modo tale da non esporlo alle censure della ricorrente (nonche’ all’apodittica affermazione, contenuta ex abrupto a p. 20 del ricorso, secondo la quale sarebbe stato applicato lo scaglione per le cause di valore superiore a 5.164.600,00 Euro). Infatti, lo scaglione e’ stato fissato in base alla documentazione prodotta, da cui si ricava che “solo i beni mobili, compresi nella successione di (OMISSIS), avevano un valore di Euro 2.700.000,00, come da vendita effettuata da (OMISSIS), a cui va aggiunto il patrimonio immobiliare, individuato nell’attivo ereditario della denuncia di successione della (OMISSIS) agli atti” (cosi’, sentenza di appello, p. 7).
Pertanto, i primi due motivi sono da rigettare.
3. – Con il terzo motivo si censura ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e/o falsa applicazione con riferimento all’articolo 91 c.p.c. – ratione temporis – del Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, articoli 5, 6 e 7, nonche’ del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articoli 4, 5, e conseguente contraddittoria motivazione. In sintesi, con il presente motivo la ricorrente si duole della violazione delle norme sulla condanna alle spese, in particolare da parte del: (a) giudice di primo grado, che – nonostante la sostanziale identita’ di contenuto delle difese adottate dai convenuti – ha violato il Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, articoli 5, 6 e 7, non essendosi limitato a una maggiorazione del compenso spettante al difensore, bensi’ lo ha duplicato; (b) giudice d’appello, che – nonostante la sostanziale identita’ di contenuto delle difese adottate dagli appellati – ha violato il Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articoli 4, 5 e 8, non essendosi limitato a una maggiorazione del compenso spettante al difensore, bensi’ ha liquidato le spese del grado, previa compensazione di esse nella misura del 20%, in 7.000,00 Euro per compensi a ciascun avvocato.
Il motivo e’ infondato, poiche’ le disposizioni di cui si censura la violazione, segnatamente il Decreto Ministeriale n. 127 del 2004, articolo 5, comma 4, in relazione al giudizio di primo grado, e il Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, articolo 4, comma 2, in relazione al giudizio d’appello, prevedono la mera maggiorazione del compenso per l’ipotesi in cui un solo avvocato assista piu’ persone aventi la stessa posizione processuale, mentre nel caso di specie vi erano piu’ difensori, mentre e’ irrilevante la circostanza che – a dire della ricorrente – si e’ trattato di un unico pool di avvocati.
4. – Con il quarto motivo si censura ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 96 c.p.c., commi 1 e 2, e/o carenza o contraddittorieta’ di motivazione sulla condanna al risarcimento dei danni da responsabilita’ aggravata disposta da parte del giudice di primo grado e confermata in appello. In particolare, sotto un primo profilo, si censura che la condanna sia stata disposta senza che i convenuti abbiano allegato e dato la prova del danno. Sotto un secondo profilo, si contesta l’esistenza di qualsivoglia colpa grave o malafede in capo all’attrice, oggi ricorrente in cassazione, per aver proposto l’azione di nullita’ del testamento pur non essendo erede. Sotto un terzo profilo e’ censurata la motivazione con cui la Corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado, poiche’ avrebbe confuso tra di loro le due fattispecie, previste rispettivamente al secondo e dell’articolo 96 c.p.c., comma 3, e non avrebbe tenuto conto dell’orientamento della Corte di cassazione sui limiti alla “retroattivita’” del mutamento di giurisprudenza.
Il motivo e’ infondato. Il presente processo e’ stato instaurato dopo il 4/7/2009, per cui la disciplina della responsabilita’ aggravata di cui all’articolo 96 c.p.c., si applica nella versione arricchita dal comma 3 di quest’ultimo, secondo cui “quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, puo’ altresi’ condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata”. La condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3, e’ uno strumento diretto a contenere in modo flessibile l’abuso del processo.
Poiche’ le risorse del “servizio giustizia” sono scarse rispetto al fabbisogno, l’effettivita’ della tutela giurisdizionale dei diritti nei singoli casi e’ una variabile dipendente dalla capacita’ del sistema giudiziario di allocare le proprie risorse in modo tale da garantire risultati medi efficienti nella gestione della massa delle controversie. Un sistema come quello italiano – che garantisce l’accesso alla giustizia in modo pieno e rimesso all’apprezzamento individuale (articolo 24 Cost., comma 1) deve poter mettere in campo degli strumenti diretti a sanzionare ex post (con funzione anche dissuasiva pro futuro rivolta alla collettivita’) gli abusi della “potestas agendi (che si manifestano) con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per se’ legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso e’ preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte” (Cass. SU 22405/2018), oltre che per la collettivita’ dei cittadini utenti (attuali o potenziali) del servizio giustizia.
La condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3, e’ uno di tali strumenti. A tal fine “non richiede ne’ la domanda di parte ne’ la prova del danno, essendo tuttavia necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosita’ dell’iniziativa giudiziaria per contrarieta’ al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione” (Cass. SU 22405/2018).
La sentenza in epigrafe e’ del tutto in linea con questo orientamento, dal momento che – rinunciando ad intrattenersi sul profilo irrilevante dell’allegazione e della prova del danno – ha concentrato le proprie energie sul profilo della colpa grave dell’attrice con un apprezzamento congruo, che in concreto non si espone a censure in sede di sindacato di legittimita’. La Corte di appello non menziona espressamente l’articolo 96 c.p.c., nel suo comma 3, ma il richiamo che essa compie a Cass. 19285/2016 (che, appunto, e’ pronuncia in tema di articolo 96 c.p.c., comma 3) attesta che la Corte si e’ rappresentata l’articolo 96 c.p.c., comma 3, come parametro normativo di giudizio.
Pertanto, al fine di mantenere fermo questo capo di pronuncia, non e’ necessario procedere ad una correzione della motivazione ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 4, che invece si sarebbe resa necessaria ove fosse stato corretto l’avviso della ricorrente (secondo il quale la Corte di appello avrebbe inteso applicare l’articolo 96 c.p.c., comma 2).
Non appare congruente invocare Cass. SU 15144/2011, cui la ricorrente sembra riferirsi (al fine di neutralizzare il richiamo a Cass. Cass. 19285/2016) come pronuncia indice di introduzione di un principio generale di limitazione verso il passato del mutamento di giurisprudenza. Infatti, la pronuncia delle Sezioni Unite de qua si applica ad una tipologia di casi ben delineata, con la quale la fattispecie oggetto del presente giudizio non e’ paragonabile.
In conclusione, anche il quarto motivo e’ da rigettare.
5. – Il ricorso e’ rigettato nel suo complesso. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio di legittimita’, liquidate in 3000 Euro, oltre a 200 Euro per esborsi, nonche’ spese generali, pari al 15% sui compensi, ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, si dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore somma pari al contributo unificato per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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