Corte di Cassazione, penale, Sentenza|9 novembre 2020| n. 31184.
Per l’apertura e la coltivazione di una cava non è richiesta la concessione edilizia del sindaco, ond’è che in materia non è configurabile il già previsto reato di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, art. 20, comma 1, lett. b). Ciò in considerazione del fatto che, in materia di cave e torbiere, l’autorità comunale non ha potere di controllo, né sotto forma di autorizzazione, né di concessione, perché l’attività urbanistica è strettamente correlata agli insediamenti sul territorio e, per quanto questi possano diversificarsi, è certo che non è tale una attività estrattiva. Va tuttavia precisato che l’attività di apertura e coltivazione di cava pur non richiedendo il preventivo rilascio della concessione edilizia, deve svolgersi nel rispetto della pianificazione territoriale comunale, configurandosi, in difetto, ovvero in caso di svolgimento della stessa in zona non consentita, la violazione dell’art. 44 lett. a) del DPR 380/01. Consegue che la mancanza o il venire meno della autorizzazione, non può configurare il reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b).
Sentenza|9 novembre 2020| n. 31184
Data udienza 23 settembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Cave e miniere – Attività di estrazione di tufo – Diritto urbanistico – Edilizia – Aperture di cave e torbiere – Preventivo rilascio da parte del Comune della concessione edilizia – Esclusione – Rispetto della pianificazione territoriale comunale – Inosservanza – Violazione dell’art. 44 lett. a) del DPR 380/01 – Beni culturali ed ambientali – Reato ex art. 181 comma 1 bis del Dlgs. 42/04
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IZZO Fausto – Presidente
Dott. SEMERARO Luca – Consigliere
Dott. NOVIELLO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere
Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 13/11/2019 della Corte di Appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOVIELLO Giuseppe;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale DI NARDO Marilia, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 13 novembre 2019, la Corte di Appello di Napoli riformava parzialmente la sentenza del tribunale di Benevento del 27 novembre 2017, pronunziata nei confronti di (OMISSIS) e con cui, derubricato il reato di cui al capo 2) relativo al reato il Decreto Legislativo n. 42 del 2004, ex articolo 181, comma 1 bis, rideterminava la pena applicata.
2. Avverso la suindicata pronuncia (OMISSIS) propone ricorso per cassazione con un unico motivo di impugnazione.
2. Lamenta, in particolare, il vizio di violazione di legge e quello di contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 44, lettera c). Oltre a quello di contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in ordine alla determinazione della pena. Con motivazione apodittica, la corte avrebbe qualificato l’attivita’ di estrazione di tufo come non inquadrabile in quella di ricomposizione ambientale per la quale era stata rilasciata autorizzazione. Quanto alla motivazione circa il trattamento sanzionatorio, si osserva che i precedenti penali richiamati a supporto della condivisione, con il primo giudice, del diniego delle attenuanti generiche, non sarebbero ne’ specifici ne’ numerosi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Preliminarmente, deve ricordarsi che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, per l’apertura e la coltivazione di una cava non e’ richiesta la concessione edilizia del sindaco, ond’e’ che in materia non e’ configurabile il gia’ previsto reato di cui alla L. 28 febbraio 1985, n. 47, articolo 20, comma 1, lettera b) (Sez. Un., 18.6.1993, n. 11, Antonelli, m. 194494); cio’ in considerazione del fatto che, in materia di cave e torbiere, l’autorita’ comunale non ha potere di controllo, ne’ sotto forma di autorizzazione, ne’ di concessione, perche’ l’attivita’ urbanistica e’ strettamente correlata agli insediamenti sul territorio e, per quanto questi possano diversificarsi, e’ certo che non e’ tale una attivita’ estrattiva (Sez. 3, 1.7.1996, n. 2864, Scacco, m. 206288). Va tuttavia precisato che l’attivita’ di apertura e coltivazione di cava pur non richiedendo il preventivo rilascio della concessione edilizia, deve svolgersi nel rispetto della pianificazione territoriale comunale, configurandosi, in difetto, ovvero in caso di svolgimento della stessa in zona non consentita, la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera a), (Sez. F., 26.8.2008, n. 39056, Iuliano, rv. 241268; Sez. 3, 21.3.2002, n. 26140, Guida rv. 222415; Sez. 3, 1.12.1995, n. 460/96, Mazzocco, rv. 203552). Consegue che la mancanza o il venire meno della autorizzazione, non puo’ configurare il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera b), (cfr. Sez. 3, n. 35602 del 07/06/2016 Rv. 268005 – 01 Arcuti; Sez. 3, n. 33162 del 26/02/2013 Rv. 255960 – 01 D’Alessandro). Tenendo conto dei suindicati principi, che escludono la necessita’ del permesso di costruire per attivita’ estrattiva di cava, e della contestazione, invece, per una tale condotta, relativa alla consumazione del reato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 44, lettera c), sul rilievo esplicito della assenza del predetto permesso, la decisione contestata risulta inerente ad una fattispecie concreta non riconducibile al reato di cui al capo di imputazione; cosicche’ si impone d’ufficio, ex articolo 129 c.p.p., il rilievo dell’insussistenza del reato ascritto. Peraltro, la motivazione formulata, secondo cui in mancanza di non meglio precisate “autorizzazioni” sussisterebbe la fattispecie contravvenzionale contestata, appare palesemente insussistente perche’ apparente.
2. Infondata e’ invece la censura circa il diniego delle attenuanti, siccome incentrata in una mera contestazione unilaterale circa la qualita’ e quantita’ dei precedenti penali, peraltro indimostrata. Quanto alla censura sulla pena essa rimane superflua in ragione del rinvio disposto ai fini della relativa rideterminazione.
3. Si impone quindi l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente al capo 1 di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera c), perche’ il fatto, tipico, non sussiste; con rigetto nel resto del ricorso e rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per la rideterminazione della pena per il residuo capo 2. Visto l’articolo 624 c.p.p., va dichiarata l’irrevocabilita’ della setenza in ordine all’affermazione della penale responsabilita’ dell’imputato relativamente al capo 2 di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo 1 (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 lettera c), perche’ il fatto non sussiste. Rigetta il ricorso nel resto e rinvia per la rideterminazione della pena per il residuo capo 2 ad altra sezione della Corte di appello di Napoli. Visto l’articolo 624 c.p.p., dichiara la irrevocabilita’ della sentenza in ordine all’affermazione della penale responsabilita’ dell’imputato relativamente al capo 2).
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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