Corte di Cassazione, sezione lavoro civile, Sentenza 16 agosto 2019, n. 21442.
Massima estrapolata:
Alla controversia che, pur non riguardando un rapporto compreso tra quelli indicati dall’art. 409 o dall’art. 442 c.p.c., sia stata trattata con il rito del lavoro, non è applicabile il regime della sospensione dei termini di impugnazione nel periodo feriale, giacché il rito adottato dal giudice assume una funzione enunciativa della natura della controversia, indipendentemente dall’esattezza della relativa valutazione, e perciò detto rito costituisce per le parti criterio di riferimento anche ai fini del computo dei termini per la proposizione dell’impugnazione, secondo il regime previsto dall’art. 3 della l. n. 742 del 1969.
Sentenza 16 agosto 2019, n. 21442
Data udienza 11 giugno 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente
Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere
Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere
Dott. PATTI ADRIANO P. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4579-2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2447/2013 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 27/12/2013, R.G. N. 2708/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/06/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CIMMINO ALESSANDRO, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso, in subordine per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 2447/2013, depositata il 27/12/2013, la Corte di appello di Palermo ha confermato la decisione di primo grado, con la quale il Tribunale della medesima sede, in accoglimento della domanda del (OMISSIS) S.p.A. (gia’ (OMISSIS)), aveva condannato (OMISSIS), gia’ dipendente di quest’ultima, in relazione alla ritenuta sua corresponsabilita’ nella spoliazione di libretti di deposito, alla restituzione delle somme gia’ versate ai clienti danneggiati in forza di transazione e di sentenza di ammissione al passivo della Cassa in liquidazione coatta amministrativa.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione lo (OMISSIS) con due motivi, cui ha resistito con controricorso (OMISSIS) S.p.A., nella qualita’ di successore del (OMISSIS).
3. A seguito del decesso del difensore del ricorrente la causa e’ stata rinviata all’udienza odierna.
4. Il nuovo difensore ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, deducendo la violazione degli articoli 651, 652 e 654 c.p.p. nonche’ dell’articolo 116 c.p.c. e articolo 2697 c.c., il ricorrente si duole che la sentenza impugnata non abbia effettuato una integrale e autonoma rivalutazione dei fatti contestati, tenendo conto degli elementi di prova acquisiti nel giudizio penale, ma si sia limitata a prendere in considerazione il contenuto delle sentenze penali che si erano occupate della vicenda, cosi’ attribuendo ad esse, peraltro prive dell’idoneita’ a costituire giudicato, l’efficacia di “accertamento” di fatti rilevanti nel giudizio civile.
2. Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo la violazione degli articoli 1223 e 1227 c.c., censura la sentenza per avere quantificato il danno subito dalla Banca in un importo pari alle somme che erano state pagate ai portatori dei libretti di deposito a seguito di transazioni, senza tenere conto del fatto colposo del creditore.
3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
4. Esso, infatti, risulta notificato il 5 febbraio 2015, a fronte di sentenza di appello depositata il 27 dicembre 2013, e, pertanto, oltre il termine annuale di decadenza (articolo 327 c.p.c.) all’epoca vigente.
5. D’altra parte, e’ da escludere che il termine fosse soggetto alla sospensione di cui alla L. n. 742 del 1969.
6. Al riguardo, premesso che il ricorso e’ stato trattato in ogni grado nelle forme del rito del lavoro e deciso, anche in appello, dal giudice del lavoro, si deve richiamare il consolidato principio, per il quale “alla controversia che, pur non riguardando un rapporto compreso tra quelli indicati dall’articolo 409 o dall’articolo 442 c.p.c., sia stata trattata con il rito del lavoro, non e’ applicabile il regime della sospensione dei termini di impugnazione nel periodo feriale, giacche’ il rito adottato dal giudice assume una funzione enunciativa della natura della controversia, indipendentemente dall’esattezza della relativa valutazione, e percio’ detto rito costituisce per le parti criterio di riferimento anche ai fini del computo dei termini per la proposizione dell’impugnazione, secondo il regime previsto dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742, articolo 3” (Cass. n. 24649/2007; conformi, fra molte altre: Cass. n. 21363/2010; n. 12524/2010; n. 9694/2010; n. 2342/2004).
7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, tenuto conto dell’elevato valore della controversia.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 13.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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