Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
sentenza n. 31436 dell’ 1 agosto 2012
Fatto
1.- La Corte d’appello di Firenze, con sentenza in data 24 marzo 2011, confermava la penale responsabilità di D. S. per i reati, avvinti ex cpv. art. 81 c.p., di peculato (ex art. 314 c.p.: capo e della rubrica) e illecita detenzione a fine di cessione (ex art. 73, comma 4, d.P.R. 309/90: capo g) di circa 20 grammi di hashish, sottratti, nella qualità di Capitano Comandante della Compagnia Carabinieri di (omissis), da un maggior quantitativo sequestrato a tali F.F e T.M., reati per i quali, riconosciute, oltre alle già concesse attenuanti generiche, l’attenuante ex art. 323 bis c.p. e quella di cui al comma 5 dell’art. 73 d.P.R. 309/90, determinava la pena (condonata) di anni uno e mesi sei di reclusione.
2.- Propone ricorso per cassazione a mezzo del difensore il D., deducendo:
a.- la violazione dell’art. 521 c.p.p., per essere stata la condanna irrogata per un fatto, costituito dall’immediata apprensione dei 20 grammi, nuovo e diverso rispetto a quello contestato nel capo d’imputazione, relativo a 174 grammi di hashish, risultanti dalla differenza rilevata fra la prima e la seconda pesatura della sostanza sequestrata;
b.- il vizio di motivazione in ordine alle doglianze difensive con cui si era messa in dubbio, in relazione alle modalità e alle incertezze probatorie emerse, la sussistenza degli estremi oggettivi e soggettivi dei reati attribuiti all’imputato;
c.- violazione di legge e vizio di motivazione in ordine agli effetti scriminanti della circostanza, comprovata in atti, della volontaria restituzione del piccolo quantitativo di hashish provvisoriamente appreso;
d.- l’applicabilità di una sanzione più mite.
Diritto
Si osserva, invero, in ordine ai motivi di cui sopra:
sub 2.a., che: – il vizio denunciato, in quanto idoneo in ipotesi ad integrare una nullità a regime intermedio (Cass. 15.07.1993 rv. 195068; 19.09.1995 rv. 202536; 26.04.1999 rv. 214316; 17.05.2006 rv. 234199; 29.01.2008 rv. 239545) verificatasi in primo grado, non può essere fatto valere per la prima volta in questa sede ma doveva, a sensi dell’art. 180 c.p.p., essere dedotto fino alla deliberazione della sentenza di appello: il che non è avvenuto, mancando al riguardo, nei motivi di appello, una censura specifica e articolata in merito; – in ogni caso, il vizio in questione è insussistente, in quanto la individuazione del quantum sottratto in soli 20 grammi circa di hashish, rispetto alla quantità, indicata nel capo di imputazione, di 174 grammi, non costituisce una modifica sostanziale del fatto, integrato comunque dalla sottrazione di una parte della droga dal quantitativo, di oltre un chilogrammo, sequestrato a F.F e T.M., ma ne rappresenta una mera legittima specificazione in minus, derivante dagli esiti dell’istruttoria, considerati univoci per la quantità minore e incerti per quella maggiore;
sub 2.b., che: – dalle congiunte motivazioni delle sentenze di merito risulta evidenziato con chiarezza, a piena confutazione di tutte le deduzioni difensive formulate al riguardo, che l’appropriazione della piccola quantità di stupefacente da parte del prevenuto (che la prelevò personalmente, dicendo che serviva a lui e la ripose in un cassetto, custodendola lì per qualche giorno) è stata da quest’ultimo espressamente riconosciuta, così come risulta in sostanza dal medesimo ammessa, e confermata dal contesto della vicenda (vedi il successivo tentativo di “favorire” in modo analogo detta informatrice), la destinazione di detta droga a ricompensa di una informatrice; – la descritta condotta integra senza dubbio gli estremi oggettivi e soggettivi sia del reato di peculato, sia di quello di detenzione illecita di droga, che non possono certo considerarsi elisi dal “movente” dell’azione (ausilio alle indagini); — sub 2.c., che non può valere come scriminante la circostanza della successiva restituzione della sostanza, posto che la stessa avvenne non per autonoma determinazione ma solo quando, sorti problemi sulla reale quantità dello stupefacente sequestrato, fu sollecitato a farlo dai suoi sottoposti;
— sub 2.d., che trattasi di richiesta del tutto generica.
Ciò chiarito, deve tuttavia rilevarsi che il reato ex art. 73, comma 4, d.P.R. 309/1990 (nel testo anteriore alla novella del 2006), per effetto della concessa attenuante di cui al comma 5 dello stesso articolo, è ormai estinto per essere decorso il termine massimo di prescrizione si sette anni e mezzo, maggiorato di sette mesi e 22 giorni per i periodi di sospensione, venuto a definitiva scadenza (dal 03.02.2004) il 25.04.2012. Tale estinzione deve, dunque, essere dichiarata, con eliminazione della relativa pena di mesi due di reclusione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo g) della rubrica perché estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi due di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
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