Oggetto del precetto penale e’ la semplice omissione della presentazione della dichiarazione da parte del soggetto che vi e’ tenuto, al fine di evadere l’imposta, senza che assuma alcuna rilevanza la dimostrazione della produzione di un effettivo danno economico per l’amministrazione finanziaria.

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 11 maggio 2018, n. 20856.

La massima estrapolata:

Oggetto del precetto penale e’ la semplice omissione della presentazione della dichiarazione da parte del soggetto che vi e’ tenuto, al fine di evadere l’imposta, senza che assuma alcuna rilevanza la dimostrazione della produzione di un effettivo danno economico per l’amministrazione finanziaria.

Sentenza 11 maggio 2018, n. 20856

Data udienza 7 novembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAVALLO Aldo – Presidente

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/03/2016 della CORTE APPELLO di ANCONA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALESSANDRO MARIA ANDRONIO;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. SALZANO FRANCESCO, che conclude per il rigetto;
Udito il difensore avv. (OMISSIS);
Il difensore presente si riporta ai motivi di ricorso chiedendone l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO

1. – Con sentenza del 18 marzo 2016, la Corte d’appello di Ancona ha parzialmente confermato la sentenza del Tribunale di Pesaro del 27 febbraio 2013, con la quale l’imputato era stato condannato alla pena di un anno e otto mesi di reclusione, oltre pene accessorie, per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5 perche’, in qualita’ di legale rappresentante della societa’ (OMISSIS) con sede legale in (OMISSIS) e residenza fiscale in Italia, attribuita dalla Agenzia delle entrate e coincidente con la sede legale di altra societa’, al fine di evadere l’Iva, ometteva la presentazione della dichiarazione annuale per detta imposta per l’anno 2007, per Euro 572.772,00; con la recidiva reiterata specifica e infraquinquennale. La Corte territoriale, considerata la continuazione con reati oggetto di precedente condanna, ha rideterminato la pena principale, a titolo di aumento su quella gia’ irrogata, in quattro mesi di reclusione. Ha altresi’ disposto la confisca, anche per equivalente, di beni nella disponibilita’ dell’imputato fino all’importo evaso.
2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si rilevano l’erronea applicazione della disposizione incriminatrice, nonche’ la mancanza e la manifesta illogicita’ della motivazione. Si sostiene che, al di la’ della esterovestizione della societa’ (OMISSIS), della quale l’imputato era legale rappresentante, non vi era stata alcuna evasione dell’Iva, perche’ tale imposta incide in modo definitivo, in via generale, esclusivamente sui consumatori finali, non potendosi configurare ne’ come un costo ne’ come un ricavo, ma solo come una componente economica neutrale. Secondo quanto sostenuto dalla difesa, sia che la societa’ fosse stata collocata fiscalmente in Italia, sia nel caso di specie, in cui e’ stata collocata fiscalmente all’estero, lo Stato italiano nei vari passaggi del prodotto dalla (OMISSIS) s.p.a. alla (OMISSIS) e da questa alla (OMISSIS) fino al consumatore finale, ha effettivamente o avrebbe effettivamente riscosso la stessa somma: con la societa’ (OMISSIS) collocata all’estero, la somma sarebbe stata riscossa direttamente da (OMISSIS); con la societa’ collocata in Italia, la somma sarebbe stata riscossa in parte da (OMISSIS), in parte da (OMISSIS) e in parte da (OMISSIS), ma l’importo totale sarebbe stato identico. E, in forza di tali considerazioni, la Commissione tributaria regionale – in via incidentale, trattandosi di una questione irrilevante ai fini della decisione di merito – avrebbe escluso l’evasione dell’Iva. Secondo la difesa, dunque, non sussisterebbe il reato di omesso versamento dell’imposta, perche’ lo stesso puo’ configurarsi solo e in quanto lo Stato non incassi il relativo gettito.
2.2. – Si contesta, in secondo luogo, la motivazione in diritto della sentenza Cass., Sez. 3, n. 13720 del 2016, nella quale si afferma che, per la configurabilita’ del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5 non assume alcuna rilevanza la produzione di un effettivo danno all’erario. Secondo la prospettazione difensiva, si tratterebbe, invece, di una fattispecie di reato di danno, per la cui sussistenza sarebbe necessaria l’effettiva dimostrazione del danno, da escludersi a priori nel caso di specie, in forza di quanto gia’ osservato con il primo motivo di ricorso circa la sostanziale neutralita’ del tributo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. – Il ricorso – i cui motivi possono essere trattati congiuntamente perche’ attengono entrambi all’interpretazione della disposizione incriminatrice e alla sua applicabilita’ nel caso di specie – e’ manifestamente infondato.
La difesa non contesta la ricostruzione dei fatti operata nella sentenza impugnata, nel senso della esterovestizione della societa’ (OMISSIS), che altro non era che una scatola vuota utilizzata a fini di interposizione fittizia, essendo tutta la sua attivita’ sostanzialmente riconducibile alla societa’ (OMISSIS), con la quale condivideva la sede operativa e rispetto alla quale non aveva alcuna autonomia funzionale o gestionale. Sussiste, dunque, l’obbligo di presentazione di una dichiarazione annuale dei redditi da parte della societa’ avente residenza fiscale all’estero, la cui omissione rileva ai fini del reato previsto dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5) tale obbligo sussiste, in particolare, se l’impresa abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano nel territorio nazionale la gestione amministrativa, le decisioni strategiche, industriali e finanziarie, nonche’ la programmazione di tutti gli atti necessari affinche’ sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell’espletamento dei servizi. Assume rilevanza, percio’, il fatto che la societa’ straniera abbia affidato, anche in via di fatto, la cura dei propri affari in territorio italiano ad un’altra struttura, sia questa munita o meno di personalita’ giuridica (ex multis, sez. 3, 21 febbraio 2013, n. 32091, rv. 257043; sez. 3, 24 gennaio 2012, n. 7080, rv. 252102; sez. 3, 26 maggio 2010, n. 29724, rv. 248109).
Quanto alle doglianze del ricorrente, non puo’ che ribadirsi quanto gia’ affermato con la sentenza Sez. 3, 20 novembre 2015, n. 13720/2016, resa in una fattispecie analoga nei confronti del medesimo imputato. La prospettazione difensiva, si basa, ancora una volta, su una serie di considerazioni relative alla mancanza di un danno da evasione Iva in capo all’amministrazione finanziaria; considerazioni motivate sia sulla base del funzionamento del meccanismo di versamento dell’Iva, sia sulla base di una pronuncia del giudice tributario che avrebbe – seppure in un obiter dictum – escluso l’evasione dell’Iva da parte della societa’ (OMISSIS).
Tali rilievi non si attagliano, pero’, al caso in esame, in cui la fattispecie contestata non e’ quella del mancato pagamento dell’Iva dovuta, di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-ter ma quella del precedente articolo 5 dello stesso D.Lgs., relativa alla mancata presentazione della dichiarazione Iva da parte di un soggetto tenuto a tale dichiarazione. Quest’ultima disposizione, nella formulazione vigente all’epoca dei fatti – piu’ favorevole, quanto alla soglia di rilevanza penale, ma sostanzialmente coincidente, quanto alle connotazioni della condotta, sia rispetto a quella introdotta dal Decreto Legge 13 agosto 2011, n. 138, articolo 2, comma 36-vicies semel, lettera f) convertito, con modificazioni, dalla L. n. 148 del 2011, sia rispetto a quella attualmente vigente, introdotta dal Decreto Legislativo n. 158 del 2015, articolo 5, comma 1, lettera a), – prevede che: “E’ punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, quando l’imposta evasa e’ superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte a lire centocinquanta milioni”.
Da tale formulazione emerge che oggetto del precetto penale e’ la semplice omissione della presentazione della dichiarazione da parte del soggetto che vi e’ tenuto, al fine di evadere l’imposta, senza che assuma alcuna rilevanza la dimostrazione della produzione di un effettivo danno economico per l’amministrazione finanziaria. Ed e’ pacifico che la societa’ (OMISSIS), pur avendo sede legale nella Repubblica di (OMISSIS), fosse effettivamente tenuta alla presentazione della dichiarazione Iva in Italia. Quanto, poi, al dolo specifico di evasione, lo stesso risulta pienamente configurato dall’esterovestizione, meccanismo utilizzato proprio allo scopo di sottrarre la societa’ all’obbligo di presentazione della dichiarazione e corresponsione dell’imposta. E non assume alcuna rilevanza la circostanza che l’Iva sia un’imposta a carattere sostanzialmente neutro, perche’, ai fini del dolo specifico del reato per cui si procede, e’ sufficiente verificare la finalita’ di evasione dell’imposta da parte del soggetto formalmente obbligato alla presentazione della dichiarazione, senza che assuma alcuna rilevanza la circostanza che detta imposta sia in concreto dichiarata e corrisposta ad altri soggetti. Nel caso di specie, peraltro, neanche la difesa assume che l’imposta evasa dalla societa’ dell’imputato sia stata in concreto dichiarata e corrisposta dalle altre societa’ coinvolte nel meccanismo fraudolento.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

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