La massima
In tema d’intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri d’informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d’investimento finanziari, può dar luogo a responsabilità contrattuale, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni d’investimento e disinvestimento. Pertanto, è sufficiente che l’investitore alleghi da parte dell’intermediario l’inadempimento delle obbligazioni poste a suo carico dall’art. 21 d.lgs. n. 58 del 1998 (integrato dalla normativa secondaria) e che provi che il pregiudizio lamentato consegua a siffatto inadempimento; l’intermediario ha invece l’onere di provare di aver rispettato i dettami di legge e di avere agito con la specifica diligenza richiesta.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
SENTENZA 6 luglio 2012, n.11412
Ritenuto in fatto
M..I. conveniva in giudizio la s.p.a.Cassa di Risparmio di Firenze per aver acquistato, per mezzo dell’intermediazione finanziaria della parte convenuta, obbligazioni Del Monte e Cirio per un importo di oltre 31.000 Euro, rivelatasi del tutto infruttuose a causa dello stato d’insolvenza delle società emittenti. Denunciava di non essere stato informato del rischio connesso all’acquisto di tali obbligazioni e chiedeva che fosse dichiarata la nullità, l’annullamento o la risoluzione del contratto, con conseguente condanna dell’istituto bancario alla restituzione della somma investita o al risarcimento dei danni. Il Tribunale di Firenze accoglieva la domanda di risoluzione del contratto di acquisto delle obbligazioni sopra indicato per difetto d’informazione dell’investitore e condannava la banca alla restituzione degli importi versati dal cliente per tale acquisto. La Corte d’Appello, investita dell’impugnazione proposta dalla Cassa di Risparmio di Firenze confermava la sentenza di primo grado.
A sostegno della decisione affermava:
a) la dichiarazione inserita nei singoli ordini di acquisto del seguente tenore: “Si da atto che mi avete fornito le informazioni necessarie e sufficienti ai fini della completa valutazione del grado di rischiosità della presente operazione” è del tutto inidonea ad assolvere gli oneri informativi posti a carico dell’intermediario dall’art. 21 d.lgs n. 58 del 1998 e dall’art. 29 del Reg. Consob n. 11522 del 1998;
b) non è credibile che l’intermediario non conoscesse la condizione di decozione del gruppo Parmalat al momento della sottoscrizione degli ordini di acquisto in contestazione (obbligazioni Del Monte 27/9/2001; obbligazioni Cirio 24/5/2002), dal momento che la situazione di grave crisi finanziaria era, a quell’epoca, ampiamente conosciuta ed il ricorso massiccio al credito obbligazionario doveva servire proprio a ridurre l’esposizione bancaria divenuta insostenibile. Pertanto, l’omessa informazione di tale situazione, costituiva una sostanziale confessione dell’inadempimento della banca, e)il difetto d’informazione, secondo l’orientamento delle S.U. (sent. 26725 del 2007), contrariamente a quanto sostenuto dalla parte appellante può determinare la risoluzione per inadempimento sia del contratto quadro che del singolo ordine di acquisto.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Cassa di Risparmio di Firenze affidandosi a due motivi. Hanno resistito con controricorso gli eredi di M..I. . La parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
Preliminarmente deve essere affrontata l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per nullità della procura derivante dalla mancata indicazione dei poteri rappresentativi in capo alla persona fisica conferente. L’eccezione, comunque da disattendere in quanto né dedotta né allegata l’assenza dei poteri rappresentativi di colui che ha conferito la procura, è del tutto superata dal deposito, ammissibile ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ., di copia della procura notarile in questione.
Riscontrata l’ammissibilità del ricorso, nel primo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 2735 cod. civ., nonché il vizio di motivazione in ordine all’errata mancata qualificazione come confessione stragiudiziale della dichiarazione sottoscritta dal cliente, relativa alle informazioni riguardanti gli acquisti di obbligazioni dedotti nel presente giudizio. Al riguardo, la parte ricorrente osserva che la seguente dichiarazione di scienza ‘si da atto che mi avete fornito le informazioni necessarie e sufficienti ai fini della completa valutazione del grado di rischiosità della presente operazione’ ha l’inequivoco valore di confessione stragiudiziale in quanto resa direttamente nei confronti della parte in conflitto d’interessi con il confidente. Essa, pertanto, avendo la stessa efficacia della confessione giudiziale, costituisce prova legale dei fatti sfavorevoli al confidente ed è vincolante nei confronti della parte e del giudice, trattandosi di un atto giuridico in senso stretto, non valutabile liberamente. A differenza della c.d. ‘clausola di stile’ che è generica e decontestualizzata, in quanto priva di un aggancio concreto all’atto in cui è inserita, la dichiarazione in contestazione si riferisce sia pure sinteticamente ad aspetti significativi dell’atto cui accede ed è in esso organicamente inquadrata. Sotto il profilo della carenza motivazionale, risulta contraddittorio ed illogico, aver dedotto, dal valore attribuito dalla banca alla predetta dichiarazione, una sostanziale confessione d’ inadempimento informativo, perché così ragionando il giudice di secondo grado ha indebitamente sovrapposto il piano dell’informazione fornita ex ante dalla banca, alla luce dei dati conosciuti e conoscibili, con le certezze conoscitive pervenute ex post. Infine, sottolinea l’istituto ricorrente, non sono state indicate le ragioni per le quali la dichiarazione in questione dovrebbe ritenersi ‘di stile’.
Nel secondo motivo viene censurata, sotto il duplice profilo della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e del difetto di motivazione, la dichiarazione di risoluzione per inadempimento, contenuta nella motivazione della sentenza di secondo grado, in quanto estesa non soltanto ai singoli ordini di acquisto ma anche al contratto quadro. Osserva il ricorrente che, come già accertato nella sentenza di primo grado, la domanda di risoluzione era stata formulata soltanto nei confronti dei contratti esecutivi del contratto quadro, con conseguente palese vizio di ultrapetizione della sentenza di secondo grado.
Entrambi i motivi sono infondati.
L’art. 21 del d.lgs n. 58 del 1998, nella formulazione ratione temporis applicabile, stabilisce, nel primo comma, lettera b) che gli intermediari devono acquisire le informazioni necessarie ai clienti e operare in modo che essi siano sempre informati. Nell’art. 28 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998 si precisa ulteriormente il contenuto di tale obbligo contrattuale posto a carico dell’intermediario e si afferma che gli intermediari autorizzati non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione (dei portafogli individuali) se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, i rischi e la implicazione della specifica operazione o servizio la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevolmente scelte d’investimento o disinvestimento. Dall’esame delle due disposizioni, aventi un contenuto conformativo delle condotte che gli intermediari devono tenere in fase precontrattuale ed in fase attuativa degli ordini di acquisto, possono individuarsi gli elementi costitutivi dell’obbligo informativo che, in esecuzione del generale principio di buona fede, su di essi incombe al fine di limitare l’asimmetria conoscitiva che caratterizza le operazioni d’investimento finanziario in modo ancora più incisivo dei contratti di consumo in senso stretto, destinati ad altre merci e servizi.
In primo luogo, si tratta di un obbligo il cui adempimento è accertabile e valutabile esclusivamente sulla base delle concrete informazioni, relative al singolo contratto, fornite al cliente.
In secondo luogo le norme parametro evidenziano un contenuto dinamico di tale obbligo che accompagna l’investitore nella scelta finale e che, conseguentemente non è riconducibile ad una generica dichiarazione di conoscenza, non riferibile al contenuto dell’operazione. In terzo luogo, come desumibile anche dal successivo art. 29 del Regolamento Consob che, con riferimento alle ‘operazioni non adeguate’, richiede l’ordine scritto o la registrazione su nastro magnetico, in caso d’insistenza del cliente, al fine di verificare l’adempimento dell’obbligo informativo, è sempre necessario, per tutte le operazioni, il riscontro probatorio del contenuto specifico delle informazioni fornite al singolo cliente, risultando, conseguentemente, del tutto inidonea una dichiarazione riassuntiva e generica dell’avvenuta completezza dell’informazione, sottoscritta dal cliente.
Peraltro, una dichiarazione che si limiti ad affermare ‘si dà atto che mi avete fornito le informazioni necessarie e sufficienti ai fini della completa valutazione del grado di rischiosità’ non può essere qualificata come confessione stragiudiziale neanche alla stregua del costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, essendo necessaria a tal fine la consapevolezza e la volontà di ammettere un fatto specifico sfavorevole per il dichiarante e favorevole all’altra parte che determini la realizzazione di un obiettivo pregiudizio (Cass. 16127 del 2002; 23495 del 2010). Quest’ultimo requisito, in particolare, esclude l’applicabilità dell’art. 2735 cod. civ. alla dichiarazione in questione. Essa, infatti, essendo contestuale al perfezionamento del vincolo contrattuale di acquisto, non può comprendere la consapevolezza del probabile pregiudizio economico connesso al risultato finanziario dell’investimento e, conseguentemente, attesta esclusivamente che la sottoscrizione dell’ordine può essere stata preceduta da un’informazione relativa alla tipologia del prodotto finanziario ed al rischio ad esso generalmente riconducibile. Entro questi limiti nessun contenuto confessorio può riconoscersi ad una dichiarazione ricognitiva di una scansione necessaria, antecedente al contratto, predisposta in ottemperanza (formale) ad obblighi posti dalla legge a carico dell’intermediario. Per poter attribuire a tale dichiarazione un’efficacia realmente confessoria sarebbe stato necessario quanto meno dimostrare che nell’adempimento dello specifico obbligo informativo contrattuale, l’intermediario avesse illustrato, in concreto, le condizioni economico finanziarie del ‘gruppo’ dal quale provenivano le obbligazioni acquistate e l’effettivo potenziale di redditività e di rischio ad esse correlato. Peraltro, attesa la presumibile riconducibilità di un acquisto di tal genere nella categoria delle operazioni non adeguate, regolate dal’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998, sarebbe stato necessario uno specifico ordine scritto o la registrazione telefonica di esso. Deve essere, infine, osservato che l’adempimento di un obbligo informativo in un settore negoziale ad alto contenuto tecnico quale quello dell’intermediazione finanziaria (o nelle prestazioni medico-sanitarie), non può mai essere dimostrato mediante la sottoscrizione di dichiarazioni generiche, unilateralmente predeterminate e predisposte in via generale e modulare, essendo necessaria l’allegazione e la prova del contenuto e delle concrete modalità di trasmissione e conoscenza delle informazioni relative alla specifica operazione proposta.
Esclusa l’applicabilità dell’art. 2735 cod. civ. alla dichiarazione esaminata, deve osservarsi che la sentenza impugnata ha riferito, con argomentazione non contestata sul punto, che nessun altro elemento di prova, ad integrazione del modulo d’acquisto, è stata fornita dall’istituto bancario al fine di dimostrare l’adempimento all’obbligo informativo su di essa incombente. Correttamente, pertanto, il giudice d’appello, ha fatto conseguire da tale inadempimento la risoluzione dei contratti d’acquisto. Al riguardo, le S.U. della Corte di Cassazione hanno definitivamente precisato (S.U. n. 26724 del 2007) che in tema d’intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri d’informazione del cliente riguardante le singole operazioni d’investimento e disinvestimento attuate in esecuzione del contratto quadro, può dar luogo a responsabilità contrattuale e condurre alla risoluzione del contratto. L’indirizzo è stato di recente ribadito ed ulteriormente arricchito in ordine al contenuto dell’onere della prova incombente sulle parti del contratto, nella sentenza n. 22147 del 2010, così massimata:
In tema d’intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri d’informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d’investimento finanziari, può dar luogo a responsabilità contrattuale, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni d’investimento e disinvestimento. Pertanto, è sufficiente che l’investitore alleghi da parte dell’intermediario l’inadempimento delle obbligazioni poste a suo carico dall’art. 21 d.lgs. n. 58 del 1998 (integrato dalla normativa secondaria) e che provi che il pregiudizio lamentato consegua a siffatto inadempimento; l’intermediario ha invece l’onere di provare di aver rispettato i dettami di legge e di avere agito con la specifica diligenza richiesta. Il secondo motivo, volto a censurare il vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata per avere affermato in motivazione che la risoluzione per inadempimento riguardava anche il contratto quadro, è inammissibile. La pronuncia di primo grado, come riferito dalla parte ricorrente nella formulazione del motivo di ricorso, aveva espressamente escluso dalla propria statuizione la risoluzione del contratto quadro in quanto non oggetto di una specifica domanda della parte attrice.
Essa, pertanto, avrebbe dovuto formare oggetto di specifica impugnazione incidentale da parte degli appellati, in mancanza della quale, deve ritenersi coperta da giudicato. A questa conclusione è pervenuta anche la Corte d’Appello che nel dispositivo della sentenza si è limitata alla conferma della pronuncia di primo grado. In questo contesto il motivo di ricorso difetta radicalmente d’interesse.
In conclusione, il ricorso deve essere respinto con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese del presente grado.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della parte controricorrente che liquida in complessivi Euro 3200 di cui Euro 3000 per onorari, oltre ad accessori di legge.
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