La misura dell’interdittiva antimafia può essere emessa dalla Amministrazione in una logica di anticipazione della soglia di difesa dell’ordine pubblico economico e non postula, come tale, l’accertamento in sede penale di uno o più reati che attestino il collegamento o la contiguità dell’impresa con associazioni di tipo mafioso, potendo, perciò, basarsi anche sul solo rilievo di elementi sintomatici che dimostrino il concreto pericolo (anche se non la certezza) di infiltrazioni della criminalità organizzata nell’attività imprenditoriale
Consiglio di Stato
sezione III
sentenza 26 maggio 2016, n. 2232
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 880 del 2016, proposto dalla
E.G. Co. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Lu. Ma. D’A., con domicilio eletto presso l’avv. Se. Co. in Roma, via (…);
contro
L’U.T.G. – Prefettura di Caserta, il Ministero dell’Interno, il Ministero della Difesa ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Campania, Sede di Napoli, Sez. I n. 3357/2015, resa tra le parti, concernente una informativa interdittiva antimafia;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni statali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 aprile 2016 il Cons. Carlo Deodato e uditi per le parti l’avvocato Lu. Ma. D’A. e l’avvocato dello Stato Ma. La Gr.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con la sentenza impugnata, il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania respingeva il ricorso proposto dalla E.G. Co. s.r.l. (d’ora innanzi EG) avverso il provvedimento emesso in data 1° dicembre 2014, con cui la Prefettura di Caserta aveva confermato l’informativa interdittiva antimafia emessa nei suoi confronti in data 16 gennaio 2014, e poi ribadita, in corso di causa, con la nota del 13 marzo 2015, in esito al riesame, sollecitato dalla società ricorrente, della misura originariamente adottata nei suoi riguardi.
Avverso tale decisione proponeva appello la EG, contestando la correttezza della statuizione reiettiva gravata e domandandone la riforma, con conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati dinanzi al TAR.
Resistevano in giudizio le Amministrazioni statali indicate in epigrafe, che contestavano la fondatezza dell’appello, domandandone la reiezione, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
L’appello veniva trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 28 aprile 2016.
DIRITTO
1.- E’ controversa la legittimità dell’interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura di Caserta in data 13 marzo 2015 nei confronti della EG, in esito al riesame richiesto dalla medesima società ed a conferma di quella inizialmente adottata in data 16 gennaio 2014, sotto il peculiare profilo della rilevanza, ai fini dell’aggiornamento della misura controversa, della sopravvenuta assoluzione del sig. An. D’A., il cui ruolo, quale titolare dell’omonima impresa individuale, era stato giudicato, nell’originaria valutazione di contiguità mafiosa della EG, significativo del presupposto pericolo di permeabilità dell’impresa alle infiltrazioni della criminalità organizzata.
Il TAR per la Campania ha giudicato legittima l’interdittiva controversa, sulla base della valorizzazione del ruolo assunto dal fratello del sig. An. D’A. (sig. Mi. D’A..), quale soggetto condannato, nel medesimo processo, per il reato di associazione mafiosa ed identificato quale effettivo amministratore dell’impresa (solo) formalmente intestata al fratello ed implicato, come tale, in un vincolo di collusione con il clan dei casalesi, finalizzato all’alterazione delle procedure per l’affidamento di appalti pubblici.
L’appellante EG contesta la correttezza del giudizio impugnato, sulla base del duplice assunto dell’insussistenza di qualsivoglia rapporto tra essa e il sig. Mi. D’A.. e, comunque, della natura episodica e risalente dell’accordo commerciale tra le due imprese.
2.- L’appello è infondato, alla stregua delle considerazioni di seguito esposte, e va respinto.
3.- Deve premettersi che la misura dell’interdittiva antimafia può essere emessa dalla Amministrazione in una logica di anticipazione della soglia di difesa dell’ordine pubblico economico e non postula, come tale, l’accertamento in sede penale di uno o più reati che attestino il collegamento o la contiguità dell’impresa con associazioni di tipo mafioso (Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743; sez. III, 15 settembre 2014, n. 4693), potendo, perciò, basarsi anche sul solo rilievo di elementi sintomatici che dimostrino il concreto pericolo (anche se non la certezza) di infiltrazioni della criminalità organizzata nell’attività imprenditoriale (Cons. St., sez. III, 1° settembre 2014, n. 4441).
4.- In considerazione dei principi già affermati da questa Sezione (cfr. sent. 3 maggio 2016, n. 1743), rileva il Collegio che l’interdittiva controversa risulta emanata in conformità ai relativi parametri valutativi e deve intendersi immune dai vizi ad essa ascritti dalla società appellante.
5.- Come già rilevato, la tesi posta a fondamento dell’atto di appello può essere sintetizzata nella deduzione della totale estraneità del sig. Mi. D’A.. alla gestione della società ricorrente e la riferibilità della relazione tra le due imprese (concretizzatasi in un unico raggruppamento in ATI) alla sola persona del sig. An. D’A., che, in quanto assolto dall’imputazione di turbativa d’asta, deve (ormai) intendersi immune da ogni controindicazione, ai fini del giudizio di pericolo di inquinamento mafioso della EG.
5.1- L’assunto difensivo, così come riassunto, non può essere condiviso.
5.2- Dalla documentazione istruttoria richiamata dalla nota interdittiva controversa, emerge, infatti, che l’impresa con la quale si era associata la EG (formalmente intestata al sig. An. D’A.) era gestita di fatto dal fratello di quest’ultimo sig. Mi. D’A., il quale, come accertato in sede penale, concordava con i casalesi le offerte da presentare, al fine di favorire gli interessi di quel sodalizio mafioso, nell’ambito di relazioni illecite e inquinate dallo scopo di alterare le aste e di indirizzare l’assegnazione degli appalti ad imprese contigue alla predetta organizzazione.
Così ricostruito il ruolo effettivo del sig. Mi. D’A.. nell’amministrazione della impresa individuale, non può essere ragionevolmente ridimensionata la rilevanza, ai fini che qui rilevano, dell’associazione tra la stessa e la EG, che, al contrario, per quanto sporadica e risalente ad alcuni anni addietro, attesta, con valenza indiziaria particolarmente significativa, la partecipazione dell’odierna ricorrente al vincolo collusivo accertato in sede penale a carico della prima impresa, o, in ogni caso, il rischio che la società destinataria dell’interdittiva in esame venga condizionata o inquinata da illeciti accordi intesi a favorire il clan camorristico insediato nel territorio del casertano.
Come già osservato, infatti, ai fini della legittima applicazione della misura contestata, non è necessario che venga accertata in via definitiva l’infiltrazione dell’impresa da parte della criminalità organizzata, ma è sufficiente, alla stregua della normativa di riferimento (per come interpretata dalla Sezione nella citata sentenza n. 1743 del 2016), che vengano acquisiti indizi univocamente significativi del pericolo che la società sia esposta all’influenza di interessi criminali.
Ora, alla stregua del paradigma appena richiamato, la documentata esistenza di cointeressenze economiche con un’impresa individuale gestita da un soggetto condannato in sede penale per associazione mafiosa (finalizzata proprio ad alterare le gare di appalto per favorire il clan dei casalesi) integra senz’altro gli estremi di quella situazione di rischio di permeabilità alla criminalità organizzata che il codice antimafia ha inteso reprimere o, comunque, scongiurare proprio per mezzo dell’adozione delle informative interdittive.
5.3- Né vale, di contro, obiettare l’irrilevanza della relazione di parentela tra una socia e un’amministratrice della EG con un esponente di spicco del clan dei casalesi, posto che tale elemento, valorizzato nell’iniziale interdittiva emessa il 14 settembre 2010, non risulta, poi, menzionato nel provvedimento oggi controverso, né appare indicato come decisivo nei rapporti istruttori ad esso sottesi.
5.4- Risultano inoltre ininfluenti le singole posizioni soggettive, valorizzate dall’appellante come prive di controindicazioni di carattere penale, dei soci della stessa EG, atteso che l’interdittiva risulta basata su elementi diversi, rispetto all’ascrivibilità ad essi di condotte illecite (sicché la dedotta assenza di addebiti a loro carico resta del tutto neutra, ai fini del giudizio di legittimità del provvedimento impugnato).
6.- Alle considerazioni che precedono conseguono, in definitiva, il rigetto dell’appello e la conferma della decisione impugnata.
7.- Le spese del secondo seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello n. 880 del 2016, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna la società appellante a rifondere le spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori di legge, se dovuti, in favore delle Amministrazioni statali costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2016, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Carlo Deodato – Consigliere, Estensore
Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Depositata in Segreteria il 26 maggio 2016.
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