Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 5 novembre 2014, n. 23526
Svolgimento del processo
I. – E stata depositata in cancelleria relazione, resa ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. e datata 7.5.14, regolarmente notificata ai difensori delle parti, relativa al ricorso avverso la sentenza del tribunale di Messina n. 2182 del 22.11.12 e la successiva ordinanza, dichiarativa di inammissibilità dell’appello avverso la medesima ex art. 348 bis cod. proc. civ., del 7.6.13 della corte di appello di Messina, del seguente letterale tenore:
“1. – D.P.M.C. ricorre – affidandosi a quattro motivi – direttamente a questa Corte, ai sensi dell’art. 348-ter cod. proc. civ., per la cassazione sia della sentenza del tribunale di Messina indicata in epigrafe, che dell’ordinanza – pure indicata in epigrafe – della corte di appello di quel capoluogo, con cui è stato dichiarato ex art. 348-bis cod. proc. civ. l’appello contro la prima. In particolare, l’odierna ricorrente aveva visto accolta in primo grado l’opposizione – dispiegata ai sensi degli artt. 615 e 617 cod. proc. civ. e fondata sulle doglianze di mancata previa notifica del precetto e di inesistenza di titolo esecutivo nei confronti del debitore – di A.E. avverso l’espropriazione presso terzi intentata dalla prima ai danni suoi e dell’INPDAP, nonché rigettata la riconvenzionale di restituzione della somma di Euro 243.199,55.
Resiste con controricorso il solo A. .
2. – Il ricorso, al quale resiste l’intimata con controricorso, va trattato in camera di consiglio – ai sensi degli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ. – parendo dovervi essere dichiarato inammissibile.
3. – Va premesso che la ricorrente impugna, con atto spedito per la notifica il 9.10.13 e riferendo tutte le censure indistintamente ai nn. 3 e 5 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ.: col primo (di violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 113, comma 1, c.p.c.) e col secondo (di violazione e falsa applicazione dell’art. 36 c.p.c.) motivo, l’ordinanza della corte di appello; col terzo (di violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 167 c.p.c.) e col quarto (di violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115, comma 1, c.p.c.) la sentenza di primo grado.
Il controricorrente, premesso che l’ordinanza è stata comunicata via p.e.c. il 7.6.13, eccepisce sotto diversi profili l’inammissibilità del ricorso, ma confuta partitamente i quattro motivi di doglianza.
4. – In punto di ammissibilità del ricorso ex art. 348-ter cod. proc. civ. questa Corte ha avuto modo di pronunziarsi con le ordinanze del 17 aprile 2014, nn. 8940 a 8943, alle cui ampie argomentazioni può qui bastare un richiamo.
Basti qui ricordare che – pur in astratto ammessa la congiunta impugnazione di ordinanza di secondo grado e sentenza di primo grado, in caso di dichiarazione, con la prima, dell’inammissibilità dell’appello avverso la seconda nei casi previsti dall’art. 348 – bis cod. proc. civ. – l’ordinanza del giudice di appello in esame non è mai ex se impugnabile, perché, per quanto decisoria, non è definitiva, mentre la sentenza di primo grado può essere impugnata, per vizi suoi propri, ma a condizione che non sia decorso il più prossimo tra il termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza di secondo grado, dalla sua notificazione e quello ordinario di un anno o di sei mesi (eventualmente maggiorati della sospensione feriale, se applicabile).
5. – Nella specie paiono allora inammissibili:
– i primi due motivi, perché rivolti direttamente contro l’ordinanza del giudice di appello;
– gli altri due, siccome rivolti contro la sentenza di primo grado, essendo documentato dal controricorrente essere avvenuta la comunicazione, via p.e.c, dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello fin dal 7.6.13, a fronte del dispiegamento del ricorso per cassazione non prima del 9.10.13.
6. – Tanto esime dal rilevare, comunque, l’ulteriore profilo di inammissibilità consistente nella mancata riproduzione, nel tenore testuale del ricorso per cassazione proposto ai sensi del terzo comma dell’art. 348-ter cod. proc. civ. ed in violazione del disposto del n. 3 dell’art. 366 cod. proc. civ., sia dell’integrale motivazione dell’ordinanza ex artt. 348-bis e 348-ter, primo comma, cod. proc. civ., sia dei motivi di appello, affinché sia evidente che sulle questioni rese oggetto del giudizio di legittimità non si sia formato alcun giudicato interno, essendo esse state ancora prospettate adeguatamente al giudice dell’appello: e tanto perché l’atto di appello poi dichiarato inammissibile e la stessa ordinanza che a tale declaratoria abbia proceduto costituiscono i medesimi requisiti processuali speciali di ammissibilità del ricorso diretto per cassazione avverso il provvedimento di primo grado.
7. – Del ricorso pare impossibile evitare di proporre al Collegio la declaratoria di inammissibilità”.
Motivi della decisione
II – Non sono state presentate conclusioni scritte, ma la ricorrente ha depositato memoria ed il suo difensore è comparso in camera di consiglio per essere ascoltato.
III. – A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella su trascritta relazione e di doverne fare proprie le conclusioni, non comportandone il superamento gli argomenti sviluppati nella memoria depositata dal ricorrente.
III.1. Infatti, in nessun luogo della relazione è asserito – e tanto meno, quindi, falsamente, come con affermazioni esse sì avulse dalla verità processuale più volte ripete la ricorrente nella memoria difensiva – che l’ordinanza di inammissibilità della corte di appello sia stata notificata. Al contrario, con tutta evidenza invece nella relazione si legge, quale motivo di inammissibilità del ricorso avverso la sentenza di primo grado, che era stato “documentato dal controricorrente essere avvenuta la comunicazione, via p.e.c., dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello fin dal 7.6.13, a fronte del dispiegamento del ricorso per cassazione non prima del 9.10.13”.
III.2. La sufficienza della comunicazione, sia essa via p.e.c. che per via tradizionale, dell’ordinanza di secondo grado ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare la sentenza di primo grado – nel nuovo sistema dell’art. 348-ter cod. proc. civ. – è stata ribadita da questa Corte con ord. 15 maggio 2014, n. 10723, alla quale può bastare qui un integrale richiamo, ribadendosi i principi di diritto ivi affermati:
– è inammissibile per tardività il ricorso per cassazione, ai sensi del secondo periodo del secondo comma dell’art. 348-ter cod. proc. civ., avverso l’ordinanza che ha dichiarato inammissibile l’appello per carenza di ragionevole probabilità di accoglimento, ai sensi dell’art. 348-tó- cod. proc. civ., ove sia proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla comunicazione, quand’anche eseguita a mezzo posta elettronica certificata, dell’ordinanza stessa;
– è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 348-ter, comma terzo, cod. proc. civ. in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui fa decorrere il termine ordinario per proporre il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado dalla comunicazione dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348-bis cod. proc. civ.: a) in primo luogo, perché l’ordinamento prevede già da tempo numerosi altri analoghi casi di decorrenza del termine di impugnazione dalla mera comunicazione di un provvedimento; b) in secondo luogo, perché il provvedimento da impugnare non è quello oggetto di comunicazione, ma quello di primo grado, compiutamente conosciuto dall’appellante fin da tempo di molto anteriore alla comunicazione stessa; c) in terzo luogo, perché il termine ordinario comunque non decorrerebbe, in estensione delle conclusioni già raggiunte per fattispecie analoghe, ove in concreto fosse del tutto impossibile ricavare dalla comunicazione trattarsi di ordinanza resa ai sensi dell’art. 348-bis cod. proc. civ. e, in quanto tale, idonea a far decorrere il termine ordinario suddetto avverso il provvedimento di primo grado; d) in quarto luogo, perché l’appello non è oggetto di garanzia costituzionale ed il relativo grado di giudizio è affetto da crescenti criticità, sicché è coerente con un tentativo di recupero di funzionalità del sistema la semplificazione del relativo processo ed il mantenimento di un livello di garanzia – mediante il ricorso per cassazione diretto contro la sola pronuncia di primo grado – ancorato a requisiti, anche temporali, di ammissibilità che sono sì rigorosi, ma tutt’altro che in grado di impedire, sia pure a prezzo di un modesto maggior impegno dell’interessato, l’esercizio del diritto di difesa.
IV. – La conclusione non muta affatto a seguito della modifica del secondo comma dell’art. 133 cod. proc. civ., di cui all’art. 45, co. 1, lett. b), del di 24 giugno 2014, n. 90, conv. con modif. in legge 11 agosto 2014, n. 114, il quale risulta ora del seguente tenore testuale: “Il cancelliere da atto del deposito in calce alla sentenza e vi appone la data e la firma, ed entro cinque giorni, mediante biglietto contenente il testo integrale della sentenza, ne da notizia alle parti che si sono costituite. La comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’articolo 325”.
IV.1. In disparte la questione dell’applicabilità – o meno – della norma così modificata alla fattispecie, siccome avveratasi in tempo anteriore alla sua entrata in vigore, visto che nella specie la comunicazione via p.e.c. si è avuta il 7.6.13, in via dirimente osserva il Collegio che la modifica dell’art. 133 cod. proc. civ. attiene al regime generale delle comunicazioni dei provvedimenti da parte della Cancelleria, sicché non può investire, neppure indirettamente, le previsioni speciali che, appunto in via derogatoria, comportino la decorrenza di termini – anche perentori – dalla semplice comunicazione del provvedimento.
La teoria generale del processo delle impugnazioni conosce, invero, quale regola, l’alternatività tra il termine breve e quello lungo, attivandosi – ma, appunto, di norma – il primo soltanto a seguito di uno specifico atto d’impulso della controparte, consistente nella notificazione del provvedimento suscettibile di impugnazione.
IV.2. In questo contesto, la novella dell’art. 133 cod. proc. civ. ha generalizzato la comunicazione via posta elettronica certificata come modalità ordinaria – e del resto coerente con le esigenze di snellimento del lavoro e razionalizzazione dei tempi di lavorazione – di messa a conoscenza della parte, ad opera della cancelleria, del documento in cui il provvedimento reso è consacrato; e, poiché le materiali modalità di trasferimento potrebbero comportare che oggetto della comunicazione diventi il provvedimento nel suo integrale tenore, ci si è posti la questione della conseguita o sopravvenuta idoneità di tale nuova forma di comunicazione, per via elettronica, a dare contezza al destinatario dell’integralità dell’atto e ad attivare – di conseguenza – nei suoi confronti il termine breve per impugnarlo.
È parso allora opportuno al legislatore, significativamente in sede di conversione del decreto legge e su segnalazione allarmata di molte categorie di operatori del diritto, specificare che il regime alternativo di introduzione dell’impugnazione non era innovato, di per sé solo almeno, dalla sostituzione della comunicazione per estratto o del solo dispositivo con la comunicazione, ove fosse poi integrale, del documento via p.e.c.; in tal modo, si sono neutralizzati o sterilizzati gli effetti della pienezza della conoscenza del provvedimento, derivanti dalla nuova forma di comunicazione, ai fini del regime ordinario di impugnabilità: e quindi si è certo mantenuta ferma, quale regola generale, l’alternatività suddetta e la decorrenza del termine breve, di norma, dall’atto di impulso della controparte.
IV.3. Tuttavia, né dal tenore letterale del nuovo testo dell’art. 133 cod. proc. civ., né dalla sua ratio appena ricostruita può ricavarsi alcuna abrogazione delle numerose norme speciali che a quel regime ordinario avevano apportato deroga, ancorando, per evidenti finalità di accelerazione del processo, la decorrenza del termine breve non all’atto di impulso della controparte, ma comunque alla comunicazione, proprio ad opera della cancelleria e quindi ufficosa, del provvedimento da impugnare.
IV.4. Non è infatti nuova, nel vigente ordinamento processuale, la previsione della decorrenza di termini perentori per impugnare ancorata alla mera comunicazione del provvedimento che ne sarebbe oggetto, come nel caso del termine per proporre:
– il regolamento di competenza: art. 47 cpv. cod. proc. civ.;
– le impugnazioni del pubblico ministero: penult. co. dell’art. 72 cod. proc. civ.;
– il reclamo avverso le ordinanze di estinzione dei processi di cognizione e di esecuzione: rispettivamente, art. 178, co. terzo, nonché art. 630, co. terzo, cod. proc. civ.;
– l’istanza di pronunzia di sentenza in caso di emissione di ordinanza ex art. 186-quater cod. proc. civ.: v. ult. co. di tale norma;
– l’impugnazione del decreto di estinzione per rinuncia del giudizio di legittimità: art. 391, co. terzo, cod. proc. civ.;
– lo stesso ricorso per cassazione, avverso la sentenza su pregiudiziale questione di efficacia, validità o interpretazione di contratti o accordi collettivi: v. art. 420-tó, co. secondo, cod. proc. civ.;
– il reclamo cautelare: art. 669-terdecies, co. primo, cod. proc. civ.;
– il reclamo camerale: art. 739, co. primo, cod. proc. civ., quanto ai procedimenti camerali ed all’impugnazione della parte privata; art. 740 cod. proc. civ., quanto alle impugnazioni del pubblico ministero;
– il reclamo avverso il diniego di esecutorietà al lodo: art. 825, ult. co., cod. proc. civ., quanto a quello nazionale.
In tutti tali casi è sempre stato irrilevante, fin dalla formulazione della relativa disposizione, che la comunicazione ad opera della cancelleria – con la sola cautela che se da essa fosse stato impossibile desumere la natura del provvedimento, il termine non sarebbe decorso – fosse stata integrale oppur no.
IV.5. Ora, pare evidente al Collegio che la specialità di tali disposizioni – in virtù di principi generalissimi in tema di conflitto apparente tra norme (per i quali lex generalis posterior non derogai legi speciali anteriori) – rimane allora ferma, per la persistente preminenza delle valutazioni legislative speciali della prevalenza della conoscenza suscitata dall’iniziativa dell’ufficio sull’atto di impulso di controparte.
IV.6. In conclusione, va applicato il seguente principio di diritto:
la novella del secondo comma dell’art. 133 cod. proc. civ., di cui all’art. 45, co. 1, lett. b), del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, conv. con modif. in 1.11 agosto 2014, n. 114, secondo cui la comunicazione, da parte della cancelleria, del testo integrale del provvedimento depositato non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 cod. proc. civ., è finalizzata a neutralizzare gli effetti della generalizzazione della modalità telematica della comunicazione, se integrale, di qualunque tipo di provvedimento, ai fini della normale decorrenza del termine breve per le impugnazioni solo in caso di atto di impulso di controparte; la novella stessa non incide peraltro, lasciandole in vigore, sulle norme processuali, derogatorie e speciali (come l’art. 348-ter, comma terzo, cod. proc. civ., nella parte in cui fa decorrere il termine ordinario per proporre il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado dalla comunicazione dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348-bis cod. proc. civ.), che ancorino la decorrenza del termine breve di impugnazione alla mera comunicazione di un provvedimento da parte della cancelleria, restando irrilevante che la comunicazione sia integrale o meno.
V. – In applicazione di tale principio alla fattispecie, pertanto, non rileva che la comunicazione dell’ordinanza di appello sia avvenuta a mezzo posta elettronica certificata e sia stata integrale oppur no, visto che essa è pacificamente avvenuta in tempo anteriore di oltre sessanta giorni alla proposizione del ricorso per cassazione previsto dall’art. 348-ter cod. proc. civ. e che da essa si evinceva la definizione dell’appello con le forme speciali previste dalla novella del 2012 del giudizio di secondo grado, così risultando pienamente idonea ad attivare il termine breve per impugnare, con il ricorso per cassazione, la già ben nota sentenza di primo grado.
In definitiva, tanto preclude in rito l’ammissibilità del ricorso avverso il provvedimento di primo grado – confermandosi, invece, per i motivi già indicati in relazione, non idoneamente contestati, l’inammissibilità del ricorso per cassazione avverso quello di secondo grado – e l’esame di ogni altro profilo in rito e nel merito agitato dalla ricorrente.
VI. – Pertanto, ai sensi degli artt. 3$0-bis e 385 cod. proc. civ., il ricorso va dichiarato in ogni sua parte inammissibile; tuttavia, l’assoluta novità delle questioni processuali in base alle quali è stato sostanzialmente definito il ricorso, rende di giustizia – ad avviso del Collegio – la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
VII. – Nondimeno, nonostante la disposta compensazione (e mancando sul punto ogni discrezionalità: Cass. 14 marzo 2014, n. 5955), deve trovare applicazione l’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. 24 dicembre 2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: ai sensi di tale disposizione, il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che la definisce, a dare atto – senza ulteriori valutazioni discrezionali – della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, a norma del comma 1-bis del medesimo art. 13.
Non vi è altra scelta, pertanto, anche nel presente caso e nonostante la disposta compensazione delle spese del giudizio di legittimità, che dare atto della dichiarazione d’inammissibilità del ricorso, quale presupposto per il versamento, da parte della ricorrente principale ed ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/02 come modif. dalla l. 228/12, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso principale.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; compensa le spese del giudizio di legittimità; ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. 115/02, come modif. dalla l. 228/12, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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