Consiglio di Stato, Sentenza|6 maggio 2021| n. 3554.
Una volta accertata l’esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità totale dal titolo abilitativo, non costituisce onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull’attività edilizia: l’atto può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria.
Sentenza|6 maggio 2021| n. 3554
Data udienza 11 novembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Sanzioni – Ordine di demolizione e ripristino – Adozione atti sanzionatori – Competenza dirigenziale – Motivazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7719 del 2014, proposto dal signor Fe. Ca., rappresentato e difeso dall’avvocato Lo. Br. An. Mo., domiciliato presso la Segreteria Sezionale CdS in Roma, piazza (…);
contro
Comune di (omissis) non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania Sezione Sesta n. 2125/2014, resa tra le parti, concernente ordine di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 11 novembre 2020 il consigliere Andrea Pannone e uditi per le parti gli avvocati indicati in verbale.
L’udienza si svolge ai sensi dell’art. 4, comma 1, decreto legge 28 del 30 aprile 2020 e dell’art. 25, co.2, del decreto legge 137 del 28 ottobre 2020 attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Mi. Te.” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario generale della Giustizia amministrativa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
A) La sentenza, qui impugnata, del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sezione Sesta, 15 aprile 2014, n. 2125, è stata pronunciata sul ricorso RG n. 399 del 2010, per l’annullamento:
– quanto al ricorso principale, dell’ordine di demolizione n. 122 del 9 novembre 2009;
– quanto ai motivi aggiunti, dell’accertamento dell’inosservanza dell’ordine di demolizione, di cui al verbale del 17 marzo 2010, prot.llo n. 1480.
Con il ricorso principale il ricorrente impugna l’ordine di demolizione n. 122 del 9 novembre 2009, spedito dal Comune di (omissis) a fronte della realizzazione, in via (omissis), di opere abusive consistenti in “manufatto in muratura della superficie di mq. 63,00 avente un’altezza di circa mt. 3,60 dal piano di campagna, realizzato in sostituzione del garage con annesso piccolo wc oggetto dell’istanza di condono edilizio prot. n. 2129/95. Il manufatto internamente risulta diviso in n. 4 vani e n. 1 wc con intonaco rifinito bianco sia interno che esterno, pavimenti, impianti sia idrico che elettrico, presenta n. 5 vani finestra e n. 1 vano porta provvisti di infissi. La copertura risulta essere in lamiere coibentate sorrette da n. 4 profilati metallici”.
B) Avverso il suddetto atto il ricorrente ha articolato le seguenti censure:
1) l’adozione delle misure sanzionatorie dovrebbe intendersi inibita nel periodo di sospensione prescritto dagli articoli 38 e 44 della legge 47/1985, richiamato dall’articolo 39 della l. 724/94, dovuto al fatto che, per il manufatto adibito a garage e per l’annesso locale w.c., è stata presentata domanda di condono (in data 20 febbraio 1995 prot. 2129) ai sensi della l. 724/94;
2) risulterebbero violate le garanzie di partecipazione al procedimento ex art. 7 della l. n. 241/1990;
3) il provvedimento impugnato non evidenzierebbe l’interesse specifico alla demolizione né le ragioni di contrasto degli interventi eseguiti con il locale regime urbanistico e, inoltre, sarebbe espressione di un’istruttoria incompleta quanto alla dedotta pendenza di un’istanza di condono edilizio;
4) le opere in contestazione (e lo stesso ampliamento) andrebbero qualificate come opere edilizie minori non soggette all’obbligo del previo rilascio del permesso di costruire siccome realizzabili con d.i.a. e dunque non soggette a misure di tipo ripristinatorio;
5) il provvedimento impugnato non sarebbe assistito da congrua motivazione;
6) il provvedimento impugnato risulterebbe adottato da un organo (quello burocratico) incompetente;
7) non risulterebbe acquisito il parere della C.E.I.
Con ricorso recante motivi aggiunti, il ricorrente ha, altresì, impugnato l’accertamento della inosservanza dell’ordine di demolizione, di cui al verbale del 17 marzo 2010, prot.llo n. 1480.
Avverso tale atto ha, dunque, articolato le seguenti aggiuntive censure:
1) illegittimità derivata;
2) l’inottemperanza non dipenderebbe da una scelta del ricorrente ma dal sequestro giudiziario che priverebbe il ricorrente della disponibilità del manufatto;
3) risultava ancora pendente la domanda di condono già sopra menzionata;
C) La sentenza ha osservato quanto segue.
“Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.
Nel caso di specie, assume rilievo dirimente in senso ostativo al costrutto di parte ricorrente la sopravvenuta sostituzione – di cui dà adeguatamente conto lo stesso provvedimento impugnato – del garage con annesso piccolo wc oggetto dell’istanza di condono edilizio prot. n. 2129/95 con opere del tutto diverse ed in evidentemente rapporto di alterità con l’originario fabbricato, e cioè un nuovo manufatto in muratura della superficie di mq. 63,00 avente un’altezza di circa mt. 3,60 dal piano di campagna, diviso in n. 4 vani e n. 1 wc con intonaco rifinito bianco sia interno che esterno, pavimenti, dotato di impianti, sia idrico che elettrico, di n. 5 vani finestra e di n. 1 vano porta provvisti di infissi, con copertura in lamiere coibentate sorrette da n. 4 profilati metallici.
In definitiva, a giudizio del Collegio, l’Autorità procedente ha fatto corretta applicazione delle sue prerogative accertando l’insussistenza, in fatto, di una domanda di condono avente ad oggetto le medesime opere poste a base dell’ordine di demolizione e concludendo pertanto per la piena sanzionabilità degli abusi accertati.
Acclarata dunque l’inconferenza della pendente domanda di condono rispetto alle opere in contestazione, va poi disattesa la censura con cui parte ricorrente deduce l’incompetenza dell’organo burocratico che ha adottato il provvedimento impugnato.
Tanto in ragione del fatto che, in tale atto, non risultano menzionate le disposizioni, statutarie o regolamentari, che avrebbero consentito il conferimento al dirigente dei poteri de quibus.
Sul punto, è agevole obiettare che il passaggio ai dirigenti, nella materia edilizia, delle competenze originariamente attribuite al sindaco ha avuto un’evoluzione progressiva, che risulta, però, da tempo definitivamente completata: ad opera dell’art. 6, comma 2, della legge n. 127/1997, che ha modificato l’art. 51 legge n. 142/90, è stata, infatti, attribuita ai dirigenti, tra l’altro, la competenza ad emanare atti in materia edilizia, anche se solo in virtù dell’art. 2 della legge n. 191/1998 il legislatore ha univocamente ricompreso tra gli atti di gestione anche i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi. Ad ogni buon conto, l’art. 107, comma 2, del d. l.vo 18 agosto 2000 n. 267, nel quale sono confluite le disposizioni citate, prevede che sono di competenza dei dirigenti “(omissis)”.
Va aggiunto che del tutto coerentemente con il descritto quadro normativo, il Testo unico sull’edilizia, di cui al d.P.R. 380 del 2001, attribuisce la competenza ad adottare le misure sanzionatorie in subjecta materia sempre “al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale”.
In tale quadro normativo, che risponde ad una tendenza irretrattabile di organizzazione dei poteri pubblici secondo l’apicale esigenza di distinzione fra livello politico e livello burocratico di gestione amministrativa, l’orientamento della giurisprudenza si è da tempo consolidato nel far rientrare le ripetute misure, direttamente e senza l’intermediazione di fonti regolamentari, nella sfera di competenza del dirigente (omissis).
Prive di pregio si rivelano, poi, le doglianze con cui la parte ricorrente lamenta la violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento, la cui cura è imposta all’Autorità procedente dall’art. 7 della legge 241/1990 ovvero, nei procedimenti ad istanza di parte, anche dall’art. 10 bis della medesima legge.
L’infondatezza delle censure in esame discende, come già ripetutamente affermato dalla Sezione, dalla ineluttabilità della sanzione repressiva applicata dal Comune di (omissis), anche a cagione dell’assenza – come di seguito meglio evidenziato – di specifici e rilevanti profili di contestazione in ordine ai presupposti di fatto e di diritto che ne costituiscono il fondamento giustificativo, sicché alcuna alternativa sul piano decisionale si poneva all’Amministrazione procedente.
Dirimente in senso ostativo alle pretese attoree appaiono, altresì, le previsioni di cui all’art. 21 octies della legge 241/1990, secondo cui “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.
Palesemente infondate si rivelano, poi, le ulteriori censure con cui parte ricorrente lamenta l’inadeguatezza dell’istruttoria condotta dal Comune intimato e l’insufficienza del corredo motivazionale dell’atto impugnato.
Sul punto, è sufficiente osservare che alcun dubbio residua sulla completezza delle risultanze istruttorie acquisite dal Comune attraverso i propri organi, di cui vi è indiretta conferma nella stessa mancanza di una contestazione, in fatto, sulla natura degli abusi accertati.
Giusta quanto già evidenziato in premessa, all’esito dei suddetti accertamenti, è stata rilevata l’abusiva realizzazione, in assenza di qualsivoglia titolo giustificativo, di un nuovo manufatto di circa mq. 63,00.
Nella suddetta prospettiva, il programma edificatorio coltivato dal ricorrente riflette con assoluta evidenza la rilevanza edilizia dei contestati abusi, fatta palese dalla chiara attitudine dei suddetti interventi a dar vita ad opere edilizie del tutto nuove con conseguente, significativa alterazione dell’originario stato dei luoghi, di talché s’imponeva il previo rilascio, oltre che dell’autorizzazione paesistica anche, del permesso di costruire.
In ragione di quanto detto, stante l’alterazione dell’aspetto esteriore dei luoghi, l’intervento in questione, per il solo fatto di insistere in zona vincolata, risultava soggetto alla previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, titolo autonomo non conseguibile a sanatoria ex combinato disposto fra art. 146 e successivo art. 167, commi 4 e 5 del medesimo decreto, che esclude sanatorie per interventi non qualificabili come manutentivi o che abbiano determinato la creazione di superfici utili o volumi (TAR Campania, questa sesta sezione, sentenza n. 1973 del 14 aprile 2010).
Sotto diverso profilo, la consistenza delle opere realizzate imponeva il previo rilascio (oltre che dell’autorizzazione paesistica anche) del permesso di costruire.
Si rivelano, al riguardo, manifestamente infondate le doglianze attoree secondo cui, venendo in rilievo un mero ampliamento che avrebbe dato luogo alla realizzazione di un modesto volume tecnico, risulterebbe predicabile per l’intervento in argomento una semplice d.i.a. la cui mancanza comporterebbe, al più, l’applicazione di una sanzione pecuniaria.
A tal riguardo, è sufficiente fare rinvio alle considerazioni già sopra svolte in cui si è evidenziato che la parte ricorrente ha realizzato, in luogo di un garage con annesso w.c. (oggetto di istanza di condono), un nuovo manufatto, suddiviso in 4 vani ed un w.c., completo di infissi ed impianti e, dunque, con evidente destinazione residenziale.
A fronte della descritta istruttoria, la realizzazione dell’opera in contestazione, in mancanza dei prescritti titoli abilitativi, di per sé stessa, fondava la reazione repressiva dell’organo di vigilanza.
Ed invero, la disciplina di settore richiamata nel provvedimento impugnato, nella specie l’art. 31 del d.p.r. 380/2001, sanziona con la demolizione – atto da intendersi pertanto dovuto ed a contenuto vincolato – l’esecuzione di nuove opere in assenza del permesso di costruire.
In considerazione di quanto fin qui espresso – e cioè a cagione della ineluttabilità della sanzione comminata – non può poi esser concesso ingresso ai profili di doglianza che lamentano la mancanza di ulteriori approfondimenti istruttori, anche in ragione dell’omessa acquisizione del parere della commissione edilizia integrata; d’altro canto, in sede di emanazione di ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive su area vincolata non è necessario acquisire il parere della Commissione edilizia integrata, dal momento che l’ordine di ripristino discende direttamente dall’applicazione della disciplina edilizia vigente (nella specie art. 31 T.U. edilizia) e non costituisce affatto irrogazione di sanzioni discendenti dalla violazione di disposizioni a tutela del paesaggio (omissis).
Per le medesime ragioni si rivela immune dalle censure attoree l’ordito motivazionale in cui impinge il provvedimento impugnato, manifestamente idoneo ad evidenziare la consistenza degli abusi in contestazione. Nel modello legale di riferimento non vi è, infatti, spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo mediante applicazione della misura ripristinatoria costituisce atto dovuto, per il quale è “in re ipsa” l’interesse pubblico alla sua rimozione (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 26 agosto 2010, n. 17240).
D’altro canto, è ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui, una volta accertata l’esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità totale dal titolo abilitativo, non costituisce onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull’attività edilizia (T.A.R. Campania, Sez. IV, 24 settembre 2002, n. 5556; T.A.R. Lazio, sez. II ter, 21 giugno 1999, n. 1540): l’atto può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria.
Esaurita la disamina del ricorso principale, occorre ora passare in rassegna le censure aggiuntive introdotte con atto depositato il 21 maggio 2010 ed articolate avverso l’accertamento della inosservanza dell’ordine di demolizione, di cui al verbale del 17 marzo 2010, prot.llo n. 1480.
Al riguardo, il collegio ritiene di poter prescindere dal profilo della inammissibilità di tale impugnazione, stante la sua evidente infondatezza.
Orbene, assorbito nelle considerazioni suesposte il motivo di doglianza incentrato sulla pretesa illegittimità derivata del suddetto atto, rileva il Collegio come non possa essere condivisa l’ulteriore censura con cui si deduce che, nel caso di specie, l’inottemperanza non dipenderebbe da una sua libera scelta ma dal sequestro giudiziario che lo avrebbe privato della disponibilità del manufatto.
È, infatti, ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui l’esistenza di un sequestro penale sul manufatto abusivo oggetto di ingiunzione comunale di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi non rientra tra gli impedimenti assoluti, tali da non consentire di dare esecuzione all’ingiunzione. Il ricorrente, in siffatte evenienze, resta tenuto ad assumere un comportamento diligente nell’attivarsi al fine di consentire il dissequestro finalizzato ad eseguire la demolizione (cfr. da ultimo T.A.R. Napoli Campania sez. VI, n. 5509 del 04 dicembre 2013; Consiglio di Stato sez. VI, n. 3626 del 09 luglio 2013).
Né può trovare qui ingresso la censura con la quale il ricorrente ripropone la medesima doglianza, già sopra disattesa, secondo cui i poteri repressivi del Comune resterebbero interdetti dalla dedotta pendenza della domanda di condono n. 2129 del 20 febbraio 1995. Si è già evidenziato che l’oggetto della suddetta domanda è oramai venuto meno in conseguenza della sua irreversibile trasformazione, per effetto di interventi abusivamente eseguiti, in un nuovo manufatto completamente diverso”.
D) Ha proposto ricorso in appello l’interessato deducendo quanto segue:
“Error in iudicando. Erroneità dei presupposti di fatto e di diritto. Travisamento. Omessa pronuncia su punti decisivi della controversia. Eccesso di potere giurisdizionale”.
I. Ha errato il Tribunale, innanzitutto, nel ritenere non fondata – quantomeno in relazione alle opere oggetto della domanda di condono edilizio ex lege n. 7324/94 – la censura di violazione degli artt. 38 e 44 della legge n. 47/85, in ordine alla illegittimità dei provvedimenti sanzionatori adottati in pendenza di istanza di sanatoria straordinaria.
L’adito T.A.R. motiva, sul punto specifico, la propria decisione, affermando che:
“Nel caso di specie, assume rilievo dirimente in senso ostativo al costrutto di parte ricorrente la sopravvenuta sostituzione – di cui dà adeguatamente conto lo stesso provvedimento impugnato – del garage con annesso piccolo wc oggetto dell’istanza di condono edilizio prot. n. 2129/95 con opere del tutto diverse ed in evidentemente rapporto di alterità con l’originario fabbricato”.
Invero, contrariamente a quanto affermato dal primo giudice e coerentemente alle risultanze dell’istruttoria effettuata dal CTP ing. Genio, degli attuali mq 61 lordi occupati dall’intero manufatto sanzionato, mq 36 lordi (corrispondenti a mq 25,33 utili) sono propri quelli oggetto dell’istanza di condono edilizio del 20.2.1995, mentre gli ulteriori 25 mq lordi contestati rappresentano un modesto ampliamento eseguito successivamente.
Va da sé che, in relazione alla porzione di fabbricato di mq 36, diversamente da quanto affermato in sentenza, trovano applicazione gli arti. 38 e 44 della legge n. 47/1985 richiamati dall’art. 39 della legge n. 724/1994. (omissis).
II. Fermo quanto innanzi e senza riconoscimento alcuno, l’impugnata sentenza è illegittima anche perché disattende i motivi di ricorso con i quali è stato censurato il difetto di istruttoria e di motivazione del provvedimento sanzionatorio in esame, sull’assunto che, come già evidenziato, l’appellante avrebbe realizzato un manufatto del tutto diverso da quello oggetto di domanda di condono, omettendo, tuttavia, qualunque riferimento alla relazione tecnica a firma dell’ing. Antonio Genio, il quale ha dato atto della pendenza della richiamata domanda di sanatoria straordinaria e della sua riconducibilità a gran parte delle opere sanzionate. (omissis).
III. Nella fattispecie, inoltre, trattandosi di fatti tutt’altro che pacifici ed incontestati, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di prime cure, dovevano essere assicurate all’appellante le garanzie partecipative ex art. 7 legge n. 241/90 (cfr. Cons. Stato, Sez. V, sent. n. 14.12.2006, n. 7404). (…).
IV. In ordine, infine, alle ragioni che hanno indotto il Tribunale a rigettare il ricorso per motivi aggiunti avverso il verbale di accertamento di inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 122/09, fermo quanto sin qui eccepito in merito alla pendenza della predetta domanda di sanatoria straordinaria, va, in ogni caso, aggiunto che, contrariamente all’avverso assunto, il sequestro penale su un manufatto abusivo è impedimento tale da non consentire di dare esecuzione all’ingiunzione di demolizione.
Come è noto, infatti, il terzo comma dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/01 (già art. 7 della legge n. 47 del 1985) dispone che “se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune”.
D’altra parte, l’imputabilità della mancata demolizione al destinatario della diffida era stata già ritenuta necessario presupposto dell’acquisizione ex art. 15 l. 28 gennaio 1977, n. 10, ed essenzialmente per il carattere sanzionatorio che ad essa, anche per l’area di sedime del fabbricato abusivo, era sembrato potesse accreditarsi (Cons. Stato, Sez. V, 19.3.1984 n. 252). (omissis).
E) Il ricorso in appello non può trovare accoglimento.
F) Questo Collegio osserva preliminarmente che i ricorrenti, eredi del ricorrente in primo grado, hanno presentato una nuova domanda di fissazione d’udienza, datata 22 maggio 2020, ma non hanno depositato nessuno scritti difensivo, idoneo ad aggiornare la situazione di fatto, che resta cristallizzata alla data della presentazione del ricorso di primo grado (anno 2010).
Il comma 4 dell’artico 64 del Codice del processo amministrativo prevede che: “Il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento e può desumere argomenti di prova dal comportamento tenuto dalle parti nel corso del processo”.
Orbene, con il primo motivo del ricorso in appello, gli interessati rinnovano la censura dedotta in primo grado di illegittimità dell’ordine di demolizione in pendenza della domanda di condono.
La domanda di condono è stata presentata il 20 febbraio 1995.
Il ricorso in trattazione è passato in decisione l’11 novembre 2020.
Tra la presentazione della domanda e il passaggio in decisione del ricorso in appello sono trascorsi più di 25 anni, un termine sufficiente ampio per ottenere una pronuncia dall’amministrazione.
Parte appellante non ha documentato di aver sollecitato l’amministrazione in tal senso e, quindi, alla luce della disposizione codicistica richiamata, la domanda di condono, ai fini del presente giudizio, può ritenersi respinta.
G) Alla luce di quanto osservato al paragrafo precedente anche il secondo e terzo motivo di ricorso non possono trovare accoglimento perché tutte le opere realizzate (sia con riferimento alla domanda di condono, che alle opere realizzate successivamente) sono da considerarsi abusive e, quindi, non v’era necessità di svolgere alcuna istruttoria.
H) Sul quarto motivo d’appello è sufficiente richiamare la giurisprudenza di questo Consiglio.
“La sottoposizione di un manufatto abusivo a sequestro penale non costituisce impedimento assoluto a ottemperare a un ordine di demolizione, né integra causa di forza maggiore impeditiva della demolizione, dato che sussiste la possibilità di ottenere il dissequestro dell’immobile al fine di ottemperare all’ingiunzione di demolizione” (Consiglio di Stato sez. VI – 28/01/2016, n. 283).
I) Non v’è luogo a pronuncia sulle spese in assenza di costituzione di parte appellata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Nulla per le spese.
Spese.Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Andrea Pannone – Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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