Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 15 ottobre 2018, n. 46728.

La massima estrapolata:

Il delitto di attivita’ organizzate per il traffico illecito di rifiuti (gia’ previsto dal Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, articolo 260, e oggi inserito nel codice penale all’articolo 452-quaterdecies) e’ reato abituale, che si perfeziona soltanto attraverso la realizzazione di piu’ comportamenti non occasionali della stessa specie, finalizzati al conseguimento di un ingiusto profitto, con la necessaria predisposizione di una, pur rudimentale, organizzazione professionale di mezzi e capitali, che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo ed il requisito dell’ingiusto profitto non deriva dall’esercizio abusivo dell’attivita’ di gestione dei rifiuti, bensi’ dalla condotta continuativa ed organizzata dei rifiuti finalizzata a conseguire vantaggi (risparmi di spesa e maggiori margini di guadagno) altrimenti non dovuti. Il requisito dell’abusivita’ della gestione, d’altro canto, deve essere interpretato in stretta connessione con gli altri elementi tipici della fattispecie, quali la reiterazione della condotta illecita e il dolo specifico d’ingiusto profitto.

Sentenza 15 ottobre 2018, n. 46728

Data udienza 6 aprile 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAVALLO Aldo – Presidente

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni F. – rel. Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 21/12/2017 del Tribunale di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Gianni Filippo Reynaud;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Baldi Fulvio, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con ordinanza del 21 dicembre 2017, la sezione per il riesame del Tribunale di Bari, accogliendo l’appello proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari, ha applicato ad (OMISSIS) la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione al reato di cui al Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, articolo 260.
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore dell’indagato deducendo i vizi di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e) in relazione alla violazione del Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 260 e articolo 110 c.p.. Lamenta, in particolare, il ricorrente che il Tribunale abbia ritenuto il (OMISSIS) concorrente nel reato di attivita’ organizzate per il traffico illecito di rifiuti commesso da tale (OMISSIS) benche’ la condotta addebitatagli fosse riconducibile a quella di gestione di una discarica abusiva, non avendo egli il dolo specifico di ingiusto profitto richiesto dalla norma incriminatrice ravvisata. Il giudice di merito sarebbe poi incorso nel vizio di travisamento della prova nel ritenere che tra i due soggetti vi fossero contatti di tipo continuativo.
3. Il ricorso e’ inammissibile, perche’ generico e manifestamente infondato e la decisione puo’ essere assunta con motivazione semplificata.
L’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione delle norme di legge ed e’ ampiamente e logicamente motivata, anche sull’elemento soggettivo.
3.1. Ed invero, secondo il consolidato orientamento interpretativo di questa Corte il delitto di attivita’ organizzate per il traffico illecito di rifiuti (gia’ previsto dal Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, articolo 260, e oggi inserito nel codice penale all’articolo 452-quaterdecies) e’ reato abituale, che si perfeziona soltanto attraverso la realizzazione di piu’ comportamenti non occasionali della stessa specie, finalizzati al conseguimento di un ingiusto profitto, con la necessaria predisposizione di una, pur rudimentale, organizzazione professionale di mezzi e capitali, che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo (Sez. 3, n. 52838 del 14/07/2016, Serrao e aa., Rv. 268920) ed il requisito dell’ingiusto profitto non deriva dall’esercizio abusivo dell’attivita’ di gestione dei rifiuti, bensi’ dalla condotta continuativa ed organizzata dei rifiuti finalizzata a conseguire vantaggi (risparmi di spesa e maggiori margini di guadagno) altrimenti non dovuti (Sez. 3, n. 35568 del 30/05/2017, Savoia, Rv. 271138). Il requisito dell’abusivita’ della gestione, d’altro canto, deve essere interpretato in stretta connessione con gli altri elementi tipici della fattispecie, quali la reiterazione della condotta illecita e il dolo specifico d’ingiusto profitto.
Ne consegue che la mancanza delle autorizzazioni non costituisce requisito determinante per la configurazione del delitto che, da un lato, puo’ sussistere anche quando la concreta gestione dei rifiuti risulti totalmente difforme dall’attivita’ autorizzata; dall’altro, puo’ risultare insussistente, quando la carenza dell’autorizzazione assuma rilievo puramente formale e non sia causalmente collegata agli altri elementi costitutivi del traffico (Sez. 3, n. 44449 del 15/10/2013, Ghidoli, Rv. 258326).
Come ben argomentato nella motivazione della citata sentenza Ghidoli – che richiama precedente giurisprudenza e che e’ stata confermata da successive pronunce, come Sez. 3, n. 21030 del 10/03/2015, Furfaro, non massimata – il reato di attivita’ organizzate per il traffico illecito di rifiuti, oggi punito dall’articolo 452-quaterdecies c.p., prima delineato dal Decreto Legislativo n. 152 del 2006, articolo 260, comma 1, e gia’ previsto dal Decreto Legislativo n. 22 del 1997, articolo 53-bis, come introdotto dalla L. 23 marzo 2001, n. 93, deve concretizzarsi in una pluralita’ di operazioni con allestimento di mezzi ed attivita’ continuative organizzate, ovvero attivita’ di intermediazione e commercio (cfr. Sez. 3, n. 40827 del 6/10/2005, Carretta, Rv. 232348) e tale attivita’ deve essere “abusiva”, ossia effettuata o senza le autorizzazioni necessarie (ovvero con autorizzazioni illegittime o scadute) o violando le prescrizioni e/o i limiti delle autorizzazione stesse (ad esempio, la condotta avente per oggetto una tipologia di rifiuti non rientranti nel titolo abilitativo, ed anche tutte quelle attivita’ che, per le modalita’ concrete con cui sono esplicate, risultano totalmente difformi da quanto autorizzato, si’ da non essere piu’ giuridicamente riconducibili al titolo abilitativo rilasciato dalla competente Autorita’ amministrativa) (cfr. Sez. 3, n. 40828 del 6/10/2005, Fradella, Rv. 232350). Quindi il delitto in esame sanziona comportamenti non occasionali di soggetti che, al fine di conseguire un ingiusto profitto, fanno della illecita gestione dei rifiuti la loro redditizia, anche se non esclusiva attivita’, per cui per perfezionare il reato e’ necessaria una, seppure rudimentale, organizzazione professionale (mezzi e capitali) che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo, ossia con pluralita’ di operazioni condotte in continuita’ temporale, operazioni che vanno valutate in modo globale: alla pluralita’ delle azioni, che e’ elemento costitutivo del fatto, corrisponde una unica violazione di legge, e percio’ il reato e’ abituale dal momento che per il suo perfezionamento e’ necessaria le realizzazione di piu’ comportamenti della stessa specie (cfr. Sez. 3, n. 46705 del 3/11/2009, Caserta, Rv. 245605, confermata anche da Sez. 3, n. 29619 dell’8/7/2010, Leorati, Rv. 248145).
3.2. L’ordinanza impugnata da’ motivatamente atto degli elementi indiziari di prova acquisiti, che hanno consentito di individuare – in assoluta conformita’ ai caratteri del reato ipotizzato, quali fissati dalla giurisprudenza sopra richiamata un’articolata attivita’ di traffico organizzato di ingenti quantita’ di rifiuti speciali non pericolosi finalizzata allo smaltimento non autorizzato in provincia di Foggia, facente capo a tale (OMISSIS), amministratore della (OMISSIS) Srl, societa’ per attivita’ di recupero rifiuti operante in (OMISSIS), e con sicuro coinvolgimento dell’odierno ricorrente. Questi fu visto dagli operanti, in plurime occasioni nell’arco di circa tre mesi, lavorare in un sito non autorizzato affittato dal (OMISSIS) dove i veicoli della (OMISSIS) Srl provvedevano a trasportare tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi e dove (OMISSIS) – unitamente a tale (OMISSIS) provvedeva a riceverli e poi a movimentarli con un piccolo escavatore. I rifiuti ivi trasportati e smaltiti – ha argomentato il tribunale – erano certamente di ingente quantita’ posto che in quel sito furono trasportati in almeno otto occasioni circa 200 tonnellate di rifiuti e l’attivita’, professionalmente organizzata sfruttando i mezzi della societa’ ed i capitali del (OMISSIS) ed il concorso di diverse persone, consentiva evidentemente, quantomeno al suo ideatore ed organizzatore, di trarre ingiusti profitti dall’illecito smaltimento dei rifiuti senza sopportare i costi richiesti dal corretto smaltimento.
Che (OMISSIS) – stabilmente e continuativamente occupato nel sito di Foggia – fosse consapevole partecipe dell’organizzata attivita’ illecita descritta il tribunale lo ha non illogicamente ricavato da quanto accertato dagli operanti e dalla natura e modalita’ delle condotte (gli illeciti trasporti avvenivano peraltro in orari ancora quasi notturni, si’ da ridurre il rischio di controlli) mentre, tenendo conto del fatto che il (OMISSIS) svolgeva professionalmente l’attivita’ di recupero, non poteva sfuggire a chicchessia, chiosa logicamente l’ordinanza impugnata, il fine di ingiusto profitto che sorreggeva la abituale condotta di illecito smaltimento.
4. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso, tenuto conto della sentenza Corte cost. 13 giugno 2000, n. 186 e rilevato che nella presente fattispecie non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., oltre all’onere del pagamento delle spese del procedimento anche quello del versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 28 reg. esec. c.p.p. e articolo 665 c.p.p..
Motivazione semplificata.

Avv. Renato D’Isa