Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|13 dicembre 2022| n. 36345.

Terzo estraneo al giudizio asseritamente offeso da frasi contenute negli atti di causa

L’articolo 89, comma 2, proc. civ., che prevede la possibilità di assegnare alla persona offesa dalle espressioni sconvenienti od offensive contenute negli atti difensivi di un giudizio, una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale, predispone un rimedio soltanto interno al processo, nel senso che è applicabile solo quando l’offensore e l’offeso siano parti in causa nel medesimo giudizio. Ne consegue che il terzo estraneo al processo a cui l’espressione ingiuriosa sia riferita non può intervenire in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni: egli, infatti, non è portatore di alcun diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo su cui statuirà la “sentenza che decide la causa”, atteso che l’azione a difesa del proprio onore ha carattere non soltanto di indipendenza, ma di estraneità assoluta rispetto ai diritti in contestazione. Conseguentemente, il terzo estraneo al giudizio, asseritamente offeso da frasi contenute negli atti di causa, può soltanto agire autonomamente, in altro processo, per chiedere il risarcimento dei danni, ma non può ottenere tutela ai sensi dell’articolo 89 cod. proc. civ. poiché è necessario armonizzare tale disposizione con quella dettata dall’articolo 105, comma 1, cod. proc. civ. Tale norma infatti rende ammissibile l’intervento del terzo soltanto quando il diritto che viene fatto valere nel giudizio pendente tra altre parti sia relativo all’oggetto sostanziale dell’originaria controversia, da individuare con riferimento al “petitum” ed alla “causa petendi”, ovvero dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo a fondamento della domanda giudiziale originaria (Nel caso di specie, relativo ad un giudizio di impugnazione di una delibera assembleare condominiale, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata con la quale la corte del merito, nel rigettare l’appello avverso la statuizione di accoglimento, aveva confermato l’ammissibilità dell’intervento spiegato in proprio da parte dell’amministratore condominiale allo scopo specifico di ottenere la cancellazione delle frasi, contenute negli atti del condomino impugnante, a suo dire offensive nei confronti della sua persona). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile III, sentenza 19 febbraio 2016, n. 3274; Cassazione, sezione civile III, sentenza 20 ottobre 2011, n. 21696).

Ordinanza|13 dicembre 2022| n. 36345. Terzo estraneo al giudizio asseritamente offeso da frasi contenute negli atti di causa

Data udienza 3 maggio 2022

Integrale

Tag/parola chiave: Condominio negli edifici – Parti comuni – Innovazioni ex art. 1120 c.c. e modificazioni ex art. 1102 c.c. – Presupposti e rispettivi ambiti di operatività –

Individuazione

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. PAPA Patrizia – rel. Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. POLETTI Dianora – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 23173-2017 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS) che lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso, con indicazione della pec;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore (OMISSIS) e quest’ultimo anche in proprio, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende come da procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –
nonche’ contro
(OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1232/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 23/03/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/05/2022 dal consigliere Dott. PAPA PATRIZIA.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato in data 8/7/2009, (OMISSIS) in proprio e quale legale rappresentante di (OMISSIS) s.r.l. convenne in giudizio il Condominio di (OMISSIS), chiedendo la dichiarazione di nullita’ o l’annullamento della delibera condominiale del 9 giugno 2009 di approvazione del punto 6 dell’ordine del giorno e, cioe’, il consenso chiesto da un condomino ai lavori di collegamento tra gli appartamenti al sesto e al settimo piano con una struttura al settimo piano in proprieta’ individuale. (OMISSIS) sostenne che le opere preannunciate fossero vietate dal regolamento condominiale e determinassero effetti dannosi.
Il Condominio si costitui’ in giudizio evidenziando che la delibera impugnata aveva natura meramente consultiva e che l’intervento prospettato non si configurava come innovazione e non implicava sopraelevazioni rispetto al colmo dell’edificio, non determinava un maggiore sfruttamento delle parti comuni ne’ causava un incremento delle spese condominiali, consistendo soltanto in una miglioria di una proprieta’ individuale attraverso il collegamento tra due porzioni di edificio in proprieta’ esclusiva di un medesimo condomino.
Nel giudizio si costitui’ anche in proprio l’amministratore del Condominio, (OMISSIS), chiedendo la cancellazione di alcune frasi asseritamente offensive nei confronti della sua persona, scritte da parte attrice in citazione e la conseguente condanna al risarcimento dei danni.
Senza attivita’ istruttoria, con sentenza n. 1000/2014, il Tribunale rigetto’ la domanda e condanno’ gli attori alla cancellazione delle espressioni individuate come offensive nei confronti di (OMISSIS), oltre al pagamento delle spese del Condominio e del suo amministratore in proprio quale terzo intervenuto.
Con sentenza n. 1232/2017, la Corte d’appello di Milano, adita da (OMISSIS) in proprio e quale legale rappresentante di (OMISSIS) s.r.l., confermo’ la sentenza di primo grado e, in particolare, pur condividendo la natura meramente consultiva della delibera come affermata dal primo giudice, ribadi’ che il condomino aveva soltanto chiesto di spostare la porta di ingresso al suo appartamento sullo stesso muro comune su cui era aperta e che, percio’, le opere oggetto di assenso dell’assemblea non costituivano certamente innovazione, ma unicamente manutenzione straordinaria; in conseguenza, escluse l’applicabilita’ della clausola n. 3 del regolamento invocata dall’appellante, disciplinante invece le innovazioni delle parti comuni; rilevo’ infine che l’appellante non aveva dedotto che lo spostamento della porta di entrata dell’appartamento fosse in se’ lesivo dei suoi diritti sulle cose comuni quale condomino, ne’ che l’intervento sul cespite individuale incidesse sul decoro dell’edificio comune.
Quanto all’intervento di (OMISSIS), la Corte d’appello ritenne effettivamente offensiva, in quanto lesiva dell’onorabilita’ professionale, specie in riferimento alla qualita’ di amministratore del condominio, la frase contenuta nell’atto di citazione secondo cui l’intervenuto amministratore “si era adoperato nascondendo e favorendo la famiglia (OMISSIS)- (OMISSIS) a costruire al 7 piano un appartamento abusivo”.
Avverso questa sentenza ha spiegato ricorso per cassazione (OMISSIS) in proprio, affidato a tre motivi; il Condominio di Via (OMISSIS), in Milano e (OMISSIS) hanno resistito con controricorso; (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, rubricato “violazione e falsa applicazione degli articoli 1117, 1120, 1130, 1136, 1138, 1321, 1322 e 1372 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5” il ricorrente ha sostenuto che la Corte territoriale avrebbe erroneamente escluso la denunciata violazione dell’articolo 3 del regolamento condominiale, sebbene lo spostamento della porta implicasse l’abbattimento di un muro condominiale; in forza dell’articolo 3 lo spostamento – costituente certamente innovazione della cosa comune – avrebbe dovuto essere autorizzato con le maggioranze di cui all’articolo 1936 c.c., comma 5; avrebbe, inoltre, erroneamente ritenuto di natura soltanto consultiva della delibera impugnata, laddove la natura deliberativa, peraltro propria di ogni decisione assembleare, emergeva evidente dal fatto che la relazione tecnico-descrittiva depositata allo Sportello unico per l’edilizia del Comune di Milano prevedeva proprio l’assenso condominiale allo spostamento della porta; lo stesso tecnico istruttore della pratica aveva rilevato la mancanza dell’assenso condominiale.
Con il secondo motivo, rubricato “violazione e falsa applicazione degli articoli 1117, 1120, 1336 e 1137 c.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 per l’approvazione senza il raggiungimento delle maggioranze richieste dalla legge e dal regolamento di condominio del punto 6 della delibera illegittimamente ritenuta consultiva e non deliberativa” il ricorrente ha prospettato che erroneamente la Corte d’appello avrebbe ritenuto unicamente necessaria l’autorizzazione dei competenti uffici comunali e non l’autorizzazione dell’assemblea del condominio da adottarsi con le maggioranze qualificate in quanto concernente lavori sulle parti comuni.
Con il terzo motivo, rubricato “violazione e falsa applicazione dell’articolo 105 c.p.c. in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3 e 4 medesimo codice”, il ricorrente ha ribadito che erroneamente la Corte territoriale avrebbe ritenuto ammissibile l’intervento di (OMISSIS) seppure non diretto a far valere un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo.
2.1 I primi due motivi – che possono essere trattati congiuntamente per continuita’ di argomentazione – sono inammissibili per alcuni profili e per il resto infondati.
Inammissibili sono le censure ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5: l’appello deciso con la sentenza qui impugnata e’ stato infatti proposto oltre il termine prescritto dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv., con modif., in L. 7 agosto 2012, n. 134; in conseguenza, poiche’ la sentenza ha confermato la decisione di primo grado, nella fattispecie opera la preclusione della “doppia conforme” superabile soltanto con la specifica indicazione – non effettuata in ricorso – delle eventuali differenze tra le ragioni di fatto poste a base della sentenza di appello rispetto a quelle poste a base della sentenza di primo grado (Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 8320 del 15/03/2022). Inammissibile e’ pure la censura ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, perche’, dopo la riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimita’ sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del “minimo costituzionale” richiesto dall’articolo 111 Cost., comma 6, violato soltanto qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purche’ il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: nessuna di queste ipotesi e’ stata prospettata in ricorso.
Cio’ precisato, deve quindi considerarsi che la Corte territoriale, seppure ha ribadito la natura meramente consultiva della delibera come affermata dal primo giudice, ha soprattutto ugualmente escluso un vizio di deliberazione per mancanza di maggioranza qualificata perche’ le opere assentite non costituivano innovazione della cosa comune, ma unicamente una miglioria di una proprieta’ individuale: consistendo, infatti, nello spostamento, nel muro condominiale, della porta di accesso ad una proprieta’ individuale e nel collegamento tra i due appartamenti in proprieta’ dello stesso condomino, non determinavano aumento volumetrico (se non un ampliamento di circa mq 15 ma interno alle due unita’ collegate), ne’ sopraelevazioni rispetto al colmo dell’edificio, ne’ maggiore sfruttamento delle parti comuni ne’ incremento delle spese condominiali.
E’ pertanto quest’ultima la ratio decidendi che ha fondato il rigetto dell’appello, giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata: conseguentemente, sono inammissibili i profili di censura concernenti la qualificazione della funzione della delibera.
Quel che qui rileva e’ che la Corte territoriale, rimarcando che le opere assentite dalla delibera impugnata non avessero natura di innovazione ha correttamente applicato i principi, consolidati nell’interpretazione di questa Corte, in materia di innovazioni ex articolo 1120 c.c. e di modificazioni ex articolo 1102 c.c..
L’articolo 1102 c.c. e l’articolo 1120 c.c. sono disposizioni non sovrapponibili, avendo presupposti ed ambiti di operativita’ diversi. Le innovazioni di cui all’articolo 1120 c.c. consistono in opere di trasformazione incidenti sull’essenza della cosa comune, alterandone l’originaria funzione e destinazione; le modificazioni di cui all’articolo 1102 c.c. esprimono la facolta’ del condomino della migliore, piu’ comoda e razionale utilizzazione della cosa, facolta’ che incontra solo i limiti indicati nello stesso articolo 1102 c.c.. (Sez. 2, Ordinanza n. 20712 del 04/09/2017).
La Corte territoriale ha, sul punto, precisato correttamente che lo spostamento dell’entrata era stato prospettato dal condomino come necessario ad una nuova e migliore riorganizzazione degli spazi interni; ha, quindi, escluso in merito la fondatezza dei pretesi profili di lesivita’ dei diritti degli altri condomini sulle cose comuni dipendenti da questa modifica, come allegati dall’appellante.
Conseguentemente, sono infondate le censure relative alla violazione dell’articolo 3 del regolamento condominiale e dell’articolo 1136 c.c. sulle maggioranze qualificate.
2.2. Fondato e’, invece, il terzo motivo.
Deve considerarsi, invero, che, secondo l’articolo 1131 c.c., comma 20, l’amministratore del condominio e’ legittimato passivo in ordine ad ogni lite (anche di carattere reale) avente ad oggetto le parti comuni dell’edificio; nella fattispecie, tuttavia, l’amministratore (OMISSIS) e’ intervenuto in proprio allo scopo specifico di ottenere la cancellazione delle frasi, contenute negli atti del condomino impugnante, a suo dire offensive nei confronti della sua persona e il conseguente risarcimento.
L’intervento del terzo, tuttavia, e’ ammissibile soltanto quando il diritto che, ai sensi dell’articolo 105 c.p.c., comma 1, fatto valere nel giudizio pendente tra altre parti sia relativo all’oggetto sostanziale dell’originaria controversia, da individuare con riferimento al petitum ed alla causa petendi, ovvero dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo a fondamento della domanda giudiziale originaria.
Rigettando l’appello avverso la statuizione di accoglimento, la Corte territoriale ha confermato l’ammissibilita’ di questo intervento, ma cosi’ decidendo non ha correttamente applicato gli articoli 105 e 89 c.p.c..
Questa Corte, infatti, ha gia’, costantemente nel tempo, condiviso l’opinione della dottrina secondo cui l’articolo 89 c.p.c. predispone un rimedio soltanto interno al processo, nel senso che e’ applicabile soltanto quando l’offensore e l’offeso siano parti in causa nel medesimo giudizio (Sez. 3, Sentenza n. 21696 del 20/10/2011): attraverso la formula negativa del divieto di usare espressioni sconvenienti e offensive il comma 1 dell’articolo individua un requisito del comportamento processuale della parte e del suo difensore e il correlato potere del giudice di predisporre la cancellazione in pendenza dell’istruzione e, con la sentenza che decide la causa, di assegnare una somma a titolo risarcitorio.
La proponibilita’ in giudizio separato, tuttavia, non e’ percio’ sempre preclusa perche’ la responsabilita’ conseguente ad affermazioni offensive contenute negli scritti difensivi di un giudizio civile comunque deriva da un fatto illecito ex articolo 2043 c.c. e permane anche quando non possa operare il meccanismo sanzionatorio del comma 2 dell’articolo 89 cit., nel senso che il giudice non possa – o non possa piu’ – provvedere con sentenza sulla domanda di risarcimento: cio’ accade, per esempio, quando le espressioni offensive siano contenute in atti di un processo di cognizione che si estingua, in atti che precludano una richiesta tempestiva – quali la comparsa conclusionale – o in atti del processo di esecuzione che per tale sua natura non si conclude con sentenza o, ancora, quando la domanda di risarcimento sia proposta nei confronti non della parte ma del suo difensore (da ultimo Sez. 3, Sentenza n. 3274 del 19/02/2016).
Queste premesse consentono di escludere pure che il terzo estraneo al processo a cui l’espressione ingiuriosa sia riferita possa intervenire in giudizio per chiedere il risarcimento dei danni: egli, infatti, non e’ portatore di alcun diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo su cui statuira’ la “sentenza che decide la causa”, atteso che l’azione a difesa del proprio onore ha carattere non soltanto di indipendenza, ma di estraneita’ assoluta rispetto ai diritti in contestazione.
Conseguentemente, il terzo estraneo al giudizio asseritamente offeso da frasi contenute negli atti di causa puo’ soltanto agire autonomamente, in altro processo, per chiedere il risarcimento dei danni (Sez. 1, Sentenza n. 627 del 10/03/1950), ma non puo’ ottenere tutela ai sensi dell’articolo 89 c.p.c. poiche’ e’ necessario armonizzare questo articolo con la previsione dell’articolo 105 c.p.c..
3. In accoglimento del terzo motivo di ricorso, pertanto, l’impugnata sentenza deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, perche’ statuisca sull’ammissibilita’ dell’intervento di (OMISSIS) in proprio e sulle spese di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso; accoglie il terzo motivo e, in riferimento al motivo accolto, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.

 

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