Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 11 febbraio 2019, n. 982.
La massima estrapolata:
Il termine per impugnare il permesso di costruire, laddove si contesti il quomodo dell’edificazione, decorre dalla piena conoscenza del provvedimento, che ordinariamente s’intende avvenuta al completamento dei lavori, a meno che sia data prova di una conoscenza anticipata da parte di chi eccepisce la tardività del ricorso anche a mezzo di presunzioni semplici; l’inizio dei lavori segna il dies a quo per la tempestiva proposizione del ricorso laddove si contesti invece l’an dell’edificazione; dal momento della constatazione della presenza dello scavo (a quella data deve per legge essere presente il cartello dei lavori e deve essere stata data effettiva pubblicità sull’albo pretorio del rilascio del titolo edilizio), è ben possibile ricorrere enucleando le censure (ivi comprese quelle in ordine all’asserito divieto di nuova edificazione) senza differire il termine di proposizione del ricorso all’avvenuto positivo disbrigo della pratica di accesso agli atti avviata né, a monte, che si possa differire quest’ultima; la richiesta di accesso non è idonea ex se a far differire i termini di proposizione del ricorso, perché se, da un lato, deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall’altro lato, deve parimenti essere salvaguardato l’interesse del titolare del permesso di costruire a che l’esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche contraria ai principi ordinamentali.
Sentenza 11 febbraio 2019, n. 982
Data udienza 24 gennaio 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 474 del 2018, proposto dal signor An. Ce., rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Fu., con cui elettivamente domicilia presso lo studio dell’avvocato Ma. Di Lu. in Roma, via (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. Pa., elettivamente domiciliato presso l’indirizzo informatico come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
il signor Gi. Mo., rappresentato e difeso dall’avvocato An. Ab., con cui elettivamente domicilia in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza in forma semplificata del T.a.r. per la Campania, Sede di Napoli, Seconda Sezione, n. 77 del 4 gennaio 2018.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e del signor Gi. Mo.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 24 gennaio 2019 il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti l’avvocato Gi. Fu. e l’avvocato An. Ab.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il signor An. Ce., quale proprietario di un immobile attiguo, ha proposto ricorso al T.a.r. per la Campania per l’annullamento del permesso di costruire n. 18 del 13 febbraio 2017, rilasciato dal Comune di (omissis) a favore del signor Gi. Mo. in relazione ad un immobile sito in via (omissis).
Il T.a.r. per la Campania, Sede di Napoli, Seconda Sezione, con sentenza n. 77 del 4 gennaio 2018, ha dichiarato il ricorso irricevibile per tardività .
Di talché, il signor Ce. ha proposto il presente appello, articolato nei seguenti motivi di impugnativa:
In rito. Error in iudicando. Della violazione degli artt. 29 e 41, comma 2, c.p.a. Della violazione art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001. Del travisamento dei fatti. Della violazione dell’art. 24 Cost. Della violazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale. Della effettiva percezione della lesività ai fini della decorrenza del termine ad impugnare.
Il termine per impugnare, secondo il giudice di primo grado, decorrerebbe dall’apposizione del cartello di cantiere, da cui avrebbe fatto erroneamente derivare anche la percezione della portata lesiva dell’intervento. Tale conseguenza si sarebbe potuta desumere qualora il cartello fosse stato completo delle indicazioni e corredato da rilievi fotografici dell’erigendo edificio, nonché della fonte normativa in virtù della quale l’intervento sarebbe assentito in via straordinaria.
La manifesta genericità ed incompletezza del cartello di cantiere, con la mera indicazione “lavori di demolizione e ricostruzione”, invece, neanche astrattamente avrebbe potuto lasciare intendere che non si trattava di un intervento ordinario di demolizione e ricostruzione sussumibile nella previsione di cui all’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001, ma che, viceversa, potesse celare un intervento straordinario di ricostruzione con un incremento del 35%, da giovarsi illegittimamente ai sensi dell’art. 5 della L.R. Campania n. 19 del 2009.
La portata lesiva dell’intervento assentito, pertanto, non sarebbe stata percepibile dal cartello, ma solo dal momento dell’accesso agli atti, atteso che i lavori di ricostruzione non erano iniziati.
La regola generale, ai fini della decorrenza del termine ad impugnare i titoli edilizi, andrebbe riferita all’ultimazione dei lavori, residuando quale eccezione la conoscenza aliunde che, comunque, dovrebbe consentire all’interessato di percepire inequivocabilmente l’effettiva portata lesiva del progetto assentito.
La mera indicazione di un ordinario intervento di demolizione e ricostruzione del preesistente fabbricato, con l’ambigua indicazione permesso/DIA, non avrebbe consentito di percepire la lesività del provvedimento impugnato, in quanto non si sarebbe compresa la normativa regionale illegittimamente applicata, né l’esatta dimensione, consistenza e finalità dell’erigendo fabbricato.
L’appellante, di conseguenza, solo a seguito dell’accesso avrebbe avuto piena ed effettiva conoscenza che l’intervento era stato assentito in via straordinaria ai sensi dell’art. 5 L.R. Campania n. 19 del 2009 e, quindi, solo in tale contesto avrebbe percepito la reale e concreta lesività del permesso rilasciato.
In altri termini, l’appellante, al momento della richiesta di accesso ed in assenza di lavori che potessero disvelarne la portata lesiva, sarebbe stato consapevole solo del rilascio del permesso de quo qualificato in “demolizione e ricostruzione”; in un siffatto contesto, la condizione dell’azione, vale a dire la percezione della lesività, si sarebbe inverata allorquando l’appellante ha acquisito agli atti e percepito che il progetto assentito beneficiava illegittimamente della normativa straordinaria di cui alla L.R. Campania n. 19 del 2009, consentendo di effettuare un intervento con incremento del 35% in deroga alla strumentazione urbanistica.
Le censure sollevate avverso l’impugnato permesso di costruire non sarebbero inerenti a quello che poteva essere un ordinario intervento di demolizione e ricostruzione in quanto astrattamente assentibile, ma sarebbero intimamente connesse all’illegittima applicazione dell’art. 5 della L.R. Campania n. 19 del 2009, atteso che si consentirebbe un incremento del 35% nonostante la violazione dell’art. 3, lett. a), b) e c) del piano casa.
Nel merito. Error in iudicando correlativamente all’omessa considerazione di motivi di ricorso rilevanti ai fini del decidere: Dell’illegittimità dell’intervento assentito di demolizione e ricostruzione con aumento del 35% della volumetria esistente per violazione degli artt. 3 e 5 della L.R. Campania n. 19 del 2009 e successive modifiche. Dell’eccesso di potere per difetto di istruttoria e sviamento ovvero per insussistenza dei presupposti giuridici e fattuali. Della nullità dei titoli per inveritiera rappresentazione dello stato di fatto. Della violazione dell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001. Della violazione del D.M. n. 1444 del 1968.
L’art. 3 della legge regionale in epigrafe, rubricato “cause di esclusione”, stabilisce che gli interventi edilizi de quibus non possono essere realizzati su edifici che, al momento della presentazione della richiesta di permesso di costruire, risultano realizzati in assenza o in difformità al titolo abilitativo per il quale non sia stata rilasciata concessione in sanatoria.
Nel caso di specie, l’unità immobiliare oggetto dell’intervento sarebbe difforme dai titoli abilitativi, come indicato nella relazione tecnica posta a corredo dell’impugnato permesso; né potrebbe assumere rilievo che la preesistente difformità risulta eliminata e non utilizzata ai fini del computo planovolumetrico, sicché sarebbe rispettata la ratio legis.
La normativa regionale, in quanto eccezionale e straordinaria, perché conferisce una premialità del 35% in deroga alla strumentazione urbanistica, sarebbe soggetta a regole di stretta interpretazione.
La preesistenza edilizia, al momento della proposizione della domanda, sarebbe stata difforme dai titoli anche per intervenuto mutamento d’uso materiale.
La premialità, inoltre, non potrebbe essere realizzata su edifici che, al momento della richiesta del permesso di costruire, sono collocati all’interno di zone territoriali omogenee di cui alla lettera A9 del d.m. n. 1444/1968 o ad esse assimilabili.
Il permesso sarebbe illegittimo anche per violazione dell’art. 5, comma 2, lett. c), della L.R. Campania n. 19 del 2009, in quanto il titolo edilizio ha abilitato ad erigere un fabbricato di altezza pari a metri 13,20, mentre l’art. 6 delle NN.TT.AA. allegate al vigente PRG stabilisce che nelle zone B1 l’altezza massima dei nuovi edifici non può superare l’altezza degli edifici preesistenti e circostanti. L’intervento assentito supererebbe l’altezza del fabbricato preesistente e degli edifici circostanti.
Il Comune di (omissis) ed il controinteressato signor Gi. Mo., sia in rito che nel merito, hanno analiticamente contestato la fondatezza delle argomentazioni proposte dall’appellante ed hanno concluso per il rigetto del gravame.
L’appellante ed il controinteressato hanno depositato altre memorie a sostegno delle rispettive difese.
All’udienza del 24 gennaio 2019, la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. La sentenza del T.a.r. per la Campania, Sede di Napoli, Seconda Sezione, n. 77 del 4 gennaio 2018, ha dichiarato irricevibile per tardività il ricorso proposto dal signor An. Ce. per l’annullamento del permesso di costruire n. 18 del 13 febbraio 2017, con cui il signor Gi. Mo. è stato abilitato ad effettuare un intervento di demolizione e ricostruzione di un edificio destinato ad uso residenziale ai sensi dell’art. 5 della L.R. Campania n. 19 del 2009.
La decisione è stata così motivata:
“Considerato
che il ricorso va dichiarato irricevibile per tardività, meritando accoglimento l’eccezione sollevata dalla difesa delle parti resistenti;
che, come chiarito dalla giurisprudenza anche del Giudice d’Appello, la “piena conoscenza” del provvedimento impugnabile non deve essere intesa quale “conoscenza piena ed integrale” del provvedimento stesso, ovvero di eventuali atti endoprocedimentali, la cui illegittimità infici, in via derivata, il provvedimento finale, dovendosi invece ritenere che sia sufficiente ad integrare il concetto la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere percepibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso (Cons. Stato, Sez. IV, 6 ottobre 2015 n. 6242; 28 maggio 2012 n. 3159). In tale quadro è stato evidenziato, infatti, che mentre la consapevolezza dell’esistenza del provvedimento e della sua lesività, integra la sussistenza di una condizione dell’azione, rimuovendo in tal modo ogni ostacolo all’impugnazione dell’atto (così determinando quella “piena conoscenza” indicata dalla norma), invece la conoscenza “integrale” del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi. Del resto, la previsione dell’istituto dei “motivi aggiunti” – per il tramite dei quali il ricorrente può proporre ulteriori motivi di ricorso derivanti dalla conoscenza di ulteriori atti (già esistenti al momento di proposizione ma ignoti) o dalla conoscenza integrale di atti prima non pienamente conosciuti, e ciò entro il (nuovo) termine decadenziale di sessanta giorni decorrente da tale conoscenza sopravvenuta – comprova la fondatezza dell’interpretazione resa in ordine al significato della “piena conoscenza”;
che nell’elaborazione dei principi enucleati dalla giurisprudenza del Giudice di Appello, integralmente condivisa dal Collegio, in ordine alla questione della verifica della piena conoscenza dei titoli edilizi, al fine di ponderare il rispetto del termine decadenziale per proporre l’azione di annullamento, è stato sottolineato, per quanto di rilievo nella fattispecie in esame, che: a) la richiesta di accesso non è idonea ex se a far differire i termini di proposizione del ricorso, perché se da un lato, infatti, deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall’altro lato deve parimenti essere salvaguardato l’interesse del titolare del permesso di costruire a che l’esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche contraria ai principi ordinamentali; b) l’apposizione del prescritto cartello di cantiere ha la funzione di esporre al pubblico i titoli edilizi rilasciati e i nominativi dei responsabili dall’attività edilizia in corso, onde consentire a eventuali controinteressati di far valere in sede amministrativa e/o giurisdizionale le proprie posizioni giuridiche soggettive eventualmente lese dall’attività edilizia (e rendere agevolmente individuabili i soggetti responsabili qualora durante lo svolgimento delle attività di cantiere derivino danni nel confronti di terzi), sicché è onere del ricorrente di attivarsi immediatamente e senza indugio presso i competenti uffici comunali per prendere visione del progetto. Infatti, se per un verso deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, per altro verso deve parimenti essere salvaguardato l’interesse del titolare del permesso di costruire a che l’esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente o colposamente differito nel tempo, al fine di evitare la creazione di una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche in contrasto con il principio dell’affidamento (in termini, Cons. St., Sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5675);
che facendo applicazione dei su esposti principi al caso di specie, emerge che il ricorrente, proprietario confinante di un immobile attiguo a quello oggetto del contestato titolo edilizio, quanto meno dagli inizi del mese di agosto 2017, ha avuto piena contezza della esistenza del titolo edilizio e della sua portata lesiva, sicché da tale data è iniziato a decorrere il termine per impugnare il permesso di costruire, che risulta inutilmente decorso alla data di notifica del ricorso introduttivo del presente giudizio;
che, in particolare, dallo stesso ricorso introduttivo e dalla documentazione versata in atti risulta: I) che non è in contestazione l’apposizione del cartello di cantiere, recante i contenuti prescritti dalla legge, tra i quali anche l’indicazione dell’oggetto dell’intervento, di “demolizione e ricostruzione”; II) che lo stesso cartello di cantiere reca l’indicazione del 7 giugno 2017 quale data di inizio dei lavori (all. 6 delle produzioni della difesa del controinteressato del 15 dicembre 2017); III) che, in ogni caso, per stessa ammissione di parte ricorrente (pag. 2 ricorso introduttivo), l’apposizione del cartello di cantiere è stata dal medesimo rilevata agli “inizi del mese di agosto”; IV) che solo in data 9 agosto 2017 è stata presentata istanza di accesso agli atti del procedimento inerente al rilascio del titolo edilizio de quo;
che, dunque, alla luce degli evidenziati elementi fattuali, gravi, precisi e concordanti, nonché tenuto conto della natura delle censure dedotte – incentrate anche sulla impossibilità di procedere alla demolizione e ricostruzione del manufatto, tenuto conto, nello specifico, della preclusione costituita dall’assimilazione, asserita da parte ricorrente, della Z.T.O. B1 “Residenziale- Nuovo Centro” (nella quale è inserita l’area interessata dall’intervento) con la Z.T.O. A, come definita dalla sopra richiamata disposizione del d.m. n. 1444 del 1968 -, della disciplina urbanistica ed edilizia comunale dettata per la predetta Z.T.O. B1 e dello stato di esecuzione dei lavori (risultando dalla documentazione in atti la completa demolizione della preesistenza e l’avvio della fase di ricostruzione), deve ritenersi incontrovertibilmente comprovato che il ricorrente, sin dal mese di giugno 2017, fosse a piena conoscenza dell’intervento progettato ed in grado di valutarne l’eventuale incidenza lesiva sulla propria sfera giuridica;
che, in ogni caso, anche prendendo in considerazione quale data di piena conoscenza gli “inizi del mese di agosto”, a cui risalirebbe, secondo quanto affermato dalla stessa parte ricorrente, la conoscenza del titolo edilizio attraverso la visione del cartello di cantiere, il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato notificato solo in data 14 novembre 2017, e, dunque, ampiamente oltre il termine di decadenza ex artt. 29 e 41, comma 2 c.p.a., pure escludendo dal computo il periodo di sospensione ferale”.
3. Il Collegio, diversamente da quanto statuito nella sentenza di primo grado, ritiene che il ricorso proposto in primo grado dal signor An. Ce. sia ricevibile.
3.1. In limine, deve essere senz’altro affermato il principio secondo cui la sussistenza degli elementi di fatto posti a sostegno della eccezione di tardività deve essere provata dalla parte che la formula.
3.2. L’art. 41, comma 2, c.p.a. dispone che, qualora sia stata proposta azione di annullamento, il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla pubblica amministrazione e ad almeno uno dei controinteressati che sia individuato nell’atto stesso entro il termine previsto dalla legge, decorrente dalla notificazione, comunicazione o piena conoscenza, ovvero, per gli atti di cui non sia richiesta la notificazione individuale, dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge.
3.3. Ne consegue che la decisione sulla ricevibilità o meno del ricorso di primo grado impone di precisare il concetto di “piena conoscenza” del provvedimento, vale a dire di quella conoscenza idonea a far decorrere il termine perentorio di sessanta giorni per l’impugnazione.
3.3.1. La giurisprudenza di questa Sezione (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. IV, n. 3875 del 2018; Cons. Stato, Sez. IV, n. 5675 del 2017; Sez. IV, n. 5654 del 2017) ha avuto modo di chiarire che la “piena conoscenza” non deve essere intesa quale “conoscenza piena ed integrale” del provvedimento stesso, ovvero di eventuali atti endo procedimentali, la cui illegittimità sia idonea a viziare, in via derivata, il provvedimento finale, dovendosi invece ritenere che sia sufficiente ad integrare il concetto la percezione dell’esistenza di un provvedimento amministrativo e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della sfera giuridica del potenziale ricorrente, in modo da rendere riconoscibile l’attualità dell’interesse ad agire contro di esso.
La norma intende per “piena conoscenza”, quindi, la consapevolezza dell’esistenza del provvedimento e della sua lesività e tale consapevolezza determina la sussistenza di una condizione dell’azione, l’interesse al ricorso, mentre la conoscenza “integrale” del provvedimento (o di altri atti del procedimento) influisce sul contenuto del ricorso e sulla concreta definizione delle ragioni di impugnazione, e quindi sulla causa petendi.
La previsione dell’istituto dei motivi aggiunti cc.dd. propri – per il tramite dei quali il ricorrente può proporre ulteriori motivi di ricorso derivanti dalla conoscenza di ulteriori atti (già esistenti al momento dell’introduzione del giudizio, ma ignoti) o dalla conoscenza integrale di atti prima non pienamente conosciuti, e ciò entro il (nuovo) termine decadenziale di sessanta giorni decorrente da tale conoscenza sopravvenuta – comprova la fondatezza dell’interpretazione resa in ordine al significato della “piena conoscenza”.
Infatti, se quest’ultima dovesse essere intesa come “conoscenza integrale”, il tradizionale rimedio dei motivi aggiunti non avrebbe una pratica ragion d’essere, o dovrebbe essere considerato residuale.
3.3.2. Con specifico riferimento alla impugnazione dei titoli edilizi, va innanzitutto rilevato che la vicinitas di un soggetto rispetto all’area e alle opere edilizie contestate induce a ritenere che lo stesso abbia potuto avere più facilmente conoscenza della loro entità anche prima della conclusione dei lavori.
3.3.3. Ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di un permesso di costruire da parte di terzi, la percezione dell’effetto lesivo si atteggia diversamente a seconda che si contesti l’illegittimità del titolo per il solo fatto che esso sia stato rilasciato (ad esempio, per contrasto con l’inedificabilità assoluta dell’area) ovvero, come nel caso di specie, che si contesti il contenuto specifico del permesso (ad esempio, per eccesso di volumetria o per violazione delle distanze minime tra fabbricati).
Il momento da cui computare i termini decadenziali di proposizione del ricorso, nell’ambito dell’attività edilizia, è infatti individuato, secondo la giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, n. 3875 del 2018; Sez. IV, n. 5754 del 2017; Sez. VI, n. 4830 del 2017; Sez. IV, n. 3067 del 2017; Sez. IV, 15 novembre 2016, n. 4701; Sez. IV, n. 1135 del 2016; Sez. IV, nn. 4909 e 4910 del 2015; Sez. IV, 22 dicembre 2014 n. 6337; Sez. V, 16 aprile 2013, n. 2107; Sez. VI, 18 aprile 2012, n. 2209, che si conformano sostanzialmente all’insegnamento dell’Adunanza Plenaria n. 15 del 2011, sviluppandone i logici corollari): nell’inizio dei lavori, nel caso si sostenga che nessun manufatto poteva essere edificato sull’area; ovvero, laddove si contesti il quomodo (distanze, consistenza ecc.), dal completamento dei lavori o dal grado di sviluppo degli stessi, se si renda comunque palese l’esatta dimensione, consistenza, finalità, dell’erigendo manufatto, ferma restando:
a) la possibilità, da parte di chi solleva l’eccezione di tardività, di provare, anche in via presuntiva, la concreta anteriore conoscenza del provvedimento lesivo in capo al ricorrente (ad esempio, ai sensi del combinato disposto degli artt. 20, comma 6, e 27, comma 4, t.u. edilizia, avuto riguardo alla presenza in loco del cartello dei lavori [specie se munito di rendering e indicazione puntuale del titolo edilizio] ovvero alla effettiva comunicazione all’albo pretorio del comune del rilascio del titolo edilizio; alla consistenza del tempo trascorso fra l’inizio dei lavori e la proposizione del ricorso; alla effettiva residenza del ricorrente in zona confinante con il lotto su cui sono in corso i lavori; ecc. ecc.);
b) l’onere di chi intende contestare adeguatamente un titolo edilizio di esercitare sollecitamente l’accesso documentale.
In altri termini, la giurisprudenza di questo Consiglio (ex multis: Cons. Stato, IV, n. 3075 del 2018; Sez. IV; n. 5675 del 2017; Sez. IV, n. 4701 del 2016; Sez. IV, n. 1135 del 2016) ha sistematizzato i seguenti principi sulla verifica della piena conoscenza dei titoli edilizi, al fine di valutare il rispetto del termine decadenziale per proporre l’azione di annullamento:
– il termine per impugnare il permesso di costruire, laddove si contesti il quomodo dell’edificazione, decorre dalla piena conoscenza del provvedimento, che ordinariamente s’intende avvenuta al completamento dei lavori, a meno che sia data prova di una conoscenza anticipata da parte di chi eccepisce la tardività del ricorso anche a mezzo di presunzioni semplici;
– l’inizio dei lavori segna il dies a quo per la tempestiva proposizione del ricorso laddove si contesti l’an dell’edificazione;
– dal momento della constatazione della presenza dello scavo (a quella data, si badi, deve per legge essere presente il cartello dei lavori e deve essere stata data effettiva pubblicità sull’albo pretorio del rilascio del titolo edilizio), è ben possibile ricorrere enucleando le censure (ivi comprese quelle in ordine all’asserito divieto di nuova edificazione) senza differire il termine di proposizione del ricorso all’avvenuto positivo disbrigo della pratica di accesso agli atti avviata né, a monte, che si possa differire quest’ultima;
– la richiesta di accesso non è idonea ex se a far differire i termini di proposizione del ricorso, perché se, da un lato, deve essere assicurata al vicino la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi nei confronti di un intervento edilizio ritenuto illegittimo, dall’altro lato, deve parimenti essere salvaguardato l’interesse del titolare del permesso di costruire a che l’esercizio di detta tutela venga attivato senza indugio e non irragionevolmente differito nel tempo, determinando una situazione di incertezza delle situazioni giuridiche contraria ai principi ordinamentali.
3.3.4. L’applicazione dei descritti principi alla fattispecie in esame porta a ritenere che l’originario ricorrente, proprietario di un immobile confinante a quello oggetto del contestato titolo edilizio, abbia avuto la “piena conoscenza” della lesività dell’intervento assentito solo a seguito della esibizione degli atti richiesti con l’istanza di accesso.
Infatti, le censure dedotte dal signor Ce. non attengono all’an dell’intervento edilizio, nel qual caso il dies a quo del termine di impugnazione sarebbe stato individuabile nell’inizio dei lavori o nella stessa apposizione del cartello di cantiere, ma al quomodo dello stesso, vale a dire all’attribuzione delle premialità di cui all’art. 5 L.R. Campania n. 19 del 2009 (c.d. piano casa), sicché, in presenza della sola locuzione “demolizione e ricostruzione” sul cartello di cantiere ed anche con l’avvio dei lavori di scavo, il “vicino” non sarebbe stato in grado di percepire la portata lesiva dell’intervento in quanto costituita non già dalla mera demolizione e costruzione, ma dalla differente volumetria e altezza dell’edificio al termine della ricostruzione.
Pertanto, in base alle coordinate ermeneutiche in precedenza esposte, assume rilievo il momento in cui è stato apposto il cartello di cantiere con l’indicazione “demolizione e ricostruzione”, al fine di valutare la tempestività con cui il signor Ce. ha proceduto ad attivarsi presso il Comune per richiedere l’accesso agli atti del relativo procedimento edilizio.
Infatti, come evidenziato, costituisce onere di chi intende contestare adeguatamente un titolo edilizio il sollecito esercizio dell’accesso documentale.
Nel caso di specie, ribadito il principio secondo cui la fondatezza degli elementi di fatto posti a sostegno della eccezione di tardività deve essere provata dalla parte che la formula, le controparti non hanno fornito elementi decisivi per provare che il cartello sia stato apposto in loco in data 7 giugno 2017, rispetto alla quale data l’istanza di accesso presentata al Comune dal signor Ce. in data 9 agosto 2017 si sarebbe effettivamente rivelata poco sollecita.
In particolare, dalla produzione documentale, anche fotografica, depositata dal signor Mo. non sussistono elementi per dedurre che il cartello sia stato apposto il 7 giugno 2017 o in altra data ed il Comune di (omissis), nella propria memoria, ha indicato che, pur considerando “gli inizi del mese di agosto” quale evento temporale di apposizione del cartello (come sostenuto dal signor Ce., che ha altresì evidenziato l’assenza di opere edilizie in corso a tale data) la notifica del ricorso sarebbe comunque tardiva.
Nella stessa sentenza di primo grado è stato evidenziato che l’interessato “quanto meno dagli inizi del mese di agosto 2017”, ha avuto piena contezza della esistenza del titolo e della sua portata lesiva.
Tuttavia, rispetto agli “inizi del mese di agosto”, l’istanza di accesso, in data 9 agosto 2017, si presenta sicuramente tempestiva.
3.4. Di talché – considerato che la portata lesiva del provvedimento, vale a dire delle concrete caratteristiche del progetto assentito in termini di volumetria ed altezza, non poteva essere acquisita dal solo cartello di cantiere e dall’eventuale inizio dei lavori, ma è stata verosimilmente acquisita a seguito della esibizione dei documenti richiesti in sede di accesso, avvenuta in data 12 settembre 2017 – il ricorso di primo grado è stato tempestivamente proposto in quanto notificato in data 11 novembre 2017 (data di spedizione della raccomandata).
4. Nel merito, l’appello è fondato e va accolto e, per l’effetto, va accolto il ricorso proposto in primo grado dal signor Ce..
L’art. 5 della L.R. Campania n. 19 del 2009, rubricato “interventi straordinari di demolizione e ricostruzione”, stabilisce che, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, è consentito l’aumento, entro il limite del trentacinque per cento, della volumetria esistente degli edifici residenziali per interventi di demolizione e ricostruzione, da realizzarsi all’interno dell’area nel quale l’edificio esistente è ubicato, di proprietà del soggetto richiedente.
4.1. L’art. 3, lett. a), della L.R. Campania n. 19 del 2009, rubricato “cause di esclusione”, sancisce che gli interventi edilizi di cui all’art. 5 non possono essere realizzati su edifici che, al momento della richiesta del permesso di costruire, risultano realizzati in assenza o in difformità al titolo abilitativo per i quali non sia stata rilasciata concessione in sanatoria.
La relazione tecnica prodotta dal signor Mo. per la demolizione e ricostruzione ampliamento, ai sensi dell’art. 5 della L.R. Campania n. 19 del 2009, di un’unità residenziale sita in (omissis), via (omissis) ha indicato che “allo stato attuale l’immobile presenta delle superfetazioni realizzate sul prospetto interno al cortile”, ha evidenziato che “nello specifico, la vecchia proprietà nel corso degli anni ha realizzato mediante una struttura in ferro un ampliamento nella porzione sottostante il pensile di loro proprietà ” ed ha rappresentato che “tale struttura, che verrà rimossa, non verrà computata ai fini planivolumetrici, considerando quindi, come volumetria utilizzabile ai fini della L.R. 19/09, quella assentita dalla L.E. n° 10053 del 04/09/1964”.
La violazione dell’art. 3, comma 1, lett. a), della L. R. Campania n. 19 del 2009, dedotta in primo grado dall’appellante e reiterata con il presente appello, sussiste in quanto, “al momento della richiesta del permesso di costruire”, l’edificio risultava realizzato in difformità al titolo abilitativo.
In presenza del chiaro dettato normativo, da interpretare in senso rigoroso per l’eccezionalità della premialità concessa, nessun rilievo può assumere la circostanza che, nella relazione tecnica, è evidenziato che la struttura abusiva sarebbe stata rimossa e non è stata computata ai fini planivolumetrici.
In altri termini, la normativa regionale applicabile alla fattispecie, come correttamente rilevato dall’appellante, in quanto eccezionale e straordinaria perché conferisce una premialità del 35% in deroga alla strumentazione urbanistica, è soggetta a regole di stretta interpretazione.
Pertanto, la circostanza che il signor Mo., in qualità di acquirente da una procedura esecutiva ed in applicazione della normativa in materia avrebbe potuto presentare una CILA per la demolizione della piccola veranda e, poi, un’autonoma richiesta ai sensi della L.R. Campania n. 19 del 2009 addivenendo al medesimo risultato, non fa venire meno il dato di fatto oggettivo che, al momento della presentazione della domanda, sussisteva la causa di esclusione di cui all’art. 3. Comma 1, lett. a), della L.R. Campania n. 19 del 2009.
4.2 Parimenti fondata è la doglianza secondo cui il permesso sarebbe illegittimo anche per violazione dell’art. 5, comma 2, lett. c), della L.R. Campania n. 19 del 2009, in quanto il titolo edilizio ha abilitato ad erigere un fabbricato di altezza pari a metri 13,20, mentre l’art. 6 delle NN.TT.AA. allegate al vigente PRG stabilisce che, nelle zone B1, l’altezza massima dei nuovi edifici non può superare l’altezza degli edifici preesistenti e circostanti, laddove l’intervento assentito supererebbe l’altezza del fabbricato preesistente e degli edifici circostanti.
L’art. 5 comma 2, lett. c), della L.R. Campania n. 19 del 2009 consente l’intervento nel caso di edifici residenziali ubicati in aree urbanizzate, nel rispetto delle distanze minime e delle altezze massime dei fabbricati di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444.
L’art. 8 del D.M. 2 aprile 1968 sancisce che le altezze massime degli edifici per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue: zona B) l’altezza massima dei nuovi edifici non può superare l’altezza degli edifici preesistenti e circostanti, con la eccezione di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche, sempre che rispettino i limiti di densità fondiaria di cui all’art. 7.
Ugualmente, ai sensi dell’art. 6 delle NN.TT.AA. del PRG del Comune di (omissis), nella zona territoriale omogenea B1, l’altezza massima dei nuovi edifici non può superare l’altezza degli edifici preesistenti e circostanti.
Dalla citata relazione tecnica, emerge che il fabbricato avrà le seguenti caratteristiche dimensionali:
volume residenziale complessivo di progetto: 663,52 mc
volume residenziale realizzabile: 665,09 mc
altezza di progetto: 13,20 m
altezza esistente: 4,20
area a parcheggio: 103,14 mq
area a parcheggio L. 122/89: 66,35 mq.
L’altezza di progetto, secondo quanto affermato dall’appellante, supera l’altezza degli edifici preesistenti e circostanti.
La deduzione non è stata efficacemente smentita dalle controparti.
Infatti – premesso che l’art. 5, comma 1, della legge regionale in discorso, prevede la deroga agli strumenti urbanistici vigenti con riferimento alla volumetria esistente e non anche all’altezza – il signor Mo. ha affermato che l’altezza di 13,20 metri sarebbe “in linea con l’altezza dei circostanti edifici”, senza precisare se supera o meno l’altezza degli edifici preesistenti e circostanti.
Il Comune di (omissis) si è limitato ad indicare che l’avvenuta presentazione da parte del controinteressato, in data 11 dicembre 2017, di un progetto di variante in corso d’opera all’impugnato permesso di costruire n. 18 del 2017, che prevede l’eliminazione del sottotetto termico con conseguente riduzione dell’altezza dell’edificio in progetto, toglierebbe pregio al motivo di censura relativo alla violazione delle altezze prescritte dall’art. 6 delle N.T.A.
Allo stesso modo, il signor Mo. ha rappresentato la presentazione di una variante in corso d’opera al permesso di costruire n. 18 del 2017, autorizzata con permesso n. 47 del 29 marzo 2018, che prevede l’eliminazione del sottotetto termico con una riduzione dell’altezza dell’edificio di progetto.
Tali sopravvenienze, però, non determinano il venir meno della circostanza che, al momento della richiesta del permesso di costruire ed al momento del rilascio dello stesso, sussisteva la dedotta violazione dell’art. 5, comma 2, lett. c), della L.R. Campania n, 19 del 2019.
Né può assumere rilievo che il signor Mo. ha presentato una variante per ridurre l’altezza dell’edificio in quanto, come già evidenziato, la compatibilità del progetto con le norme che prevedono le premialità di cui alla L.R. Campania n. 19 del 2009 deve sussistere al momento della presentazione del permesso di costruire.
4.3. La fondatezza delle doglianze esaminate, assorbite le ulteriori censure, determina la fondatezza dell’appello ed il suo accoglimento cui segue, in riforma della sentenza impugnata, l’accoglimento del ricorso di primo grado e, per l’effetto, l’annullamento degli atti impugnati.
5. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in euro 10.000,00 (euro 4.000,00 per il giudizio di primo grado ed euro 6.000,00 per il presente giudizio di appello), oltre accessori di legge, sono poste a favore dell’appellante ed a carico, per euro 3.000,00, del Comune di (omissis) e, per euro 7.000,00, del signor Gi. Mo., senza vincolo di solidarietà tra le parti.
6. Va posto a carico delle parti soccombenti, nelle stesse proporzioni e senza vincolo di solidarietà, ai sensi dell’art. 13, comma 6-bis.1, d.P.R. n. 115 del 2002, il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso di primo grado e del ricorso in appello.
“P.Q.M.”
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello in epigrafe (R.G. n. 474 del 2018) e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara ricevibile ed accoglie il ricorso proposto in primo grado e, per l’effetto, annulla il permesso di costruire n. 18 del 13 febbraio 2017, rilasciato dal Comune di (omissis) al signor Gi. Mo..
Condanna il Comune di (omissis), nella misura di euro 3.000,00, ed il signor Gi. Mo., nella misura di euro 7.000,00, senza vincolo di solidarietà, al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate complessivamente in euro 10.000,00, (euro 4.000,00 per il primo grado di giudizio ed euro 6.000,00 per il presente giudizio di appello), oltre accessori di legge, in favore dell’appellante.
Pone a carico delle parti appellate, quali parti soccombenti, il contributo unificato corrisposto per la proposizione del ricorso di primo grado e del ricorso in appello, nelle stesse proporzioni (70% a carico del signor Gi. Mo. e 30% a carico del Comune di (omissis)) e senza vincolo di solidarietà .
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2019, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere, Estensore
Per aprire la mia pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui
Leave a Reply