Corte di Cassazione, sezione prima penale, Sentenza 7 novembre 2018, n. 50382
La massima estrapolata:
In tema di sospensione del processo per incapacità dell’imputato, ai fini dell’esclusione del requisito della sua cosciente partecipazione, non è sufficiente la presenza di una patologia psichiatrica, ma è necessario che l’imputato risulti in condizioni tali da non comprendere quanto avviene in sua presenza e da non potersi difendere.
Sentenza 7 novembre 2018, n. 50382
Data udienza 8 giugno 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BONITO Francesco M.S. – Presidente
Dott. MANCUSO Luigi Fabrizio – Consigliere
Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere
Dott. RENOLDI Carlo – rel. Consigliere
Dott. BARONE Luigi – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 9/06/2017 della Corte di assise di appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore generale, Dott. CASELLA Giuseppina, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso;
udito, per la parte civile (OMISSIS), l’avv. (OMISSIS), che ha chiesto il rigetto del ricorso e la conferma della sentenza impugnata;
udito, per l’imputato, l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 9/06/2017, la Corte di assise di appello di Brescia confermo’ la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brescia in data 14/07/2016, pronunciata all’esito del giudizio abbreviato, con la quale (OMISSIS) era stato condannato, con la diminuente del rito, alla pena dell’ergastolo in quanto riconosciuto colpevole dei delitti di omicidio plurimo, tentato omicidio, lesioni personali e porto illegale di armi e munizioni. Con lo stesso provvedimento l’imputato era stato dichiarato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale durante l’esecuzione della pena e era stato, altresi’, condannato al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, da liquidarsi in separata sede nonche’ al pagamento delle somme a titolo di provvisionale quantificate in sentenza.
2. Nel corso dei due giudizi di merito era stato accertato che, in data 9/04/2015, a seguito di una sparatoria avvenuta all’interno del Palazzo di giustizia di Milano, l’imputato aveva cagionato la morte di (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), aveva tentato di uccidere (OMISSIS) e aveva cagionato lesioni personali aggravate ai danni di (OMISSIS).
2.1. In una prima fase, la tragica vicenda si era svolta all’interno dell’aula di udienza in cui si celebrava il processo penale, in cui era imputato lo stesso (OMISSIS), relativo alla bancarotta fraudolenta commessa nell’ambito del fallimento della (OMISSIS) s.r.l., di cui l’odierno ricorrente era socio. Nel corso dell’udienza penale del 9/04/2015, (OMISSIS) si era posizionato, fin dall’inizio, sul fondo dell’aula e non, come era stato ripetutamente invitato a fare, vicino al proprio difensore, avv. (OMISSIS), con il quale egli aveva avuto subito uno screzio dovuto all’atteggiamento insistente dell’imputato. Costui, infatti, aveva incalzato il legale affinche’, nell’esame di un testimone, rivolgesse domande non consentite, tanto che lo stesso avv. (OMISSIS) aveva manifestato in modo plateale la volonta’ di rinunciare al mandato difensivo, pur accettando di proseguire la sua attivita’ limitatamente a quell’udienza. Quindi, pochi momenti dopo l’ingresso in aula, in qualita’ di teste, di (OMISSIS), avvocato civilista che si era occupato delle vicende societarie della (OMISSIS) s.r.l., e mentre costui si apprestava a pronunciare la formula di rito, (OMISSIS), dopo avere proferito a voce alta la frase “Ora basta”, aveva esploso, in ripetizione e a breve distanza dalle vittime, alcuni colpi di pistola, che avevano attinto (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali sarebbero deceduti durante il tragitto in ambulanza verso le strutture sanitarie. Inoltre, nel frangente erano stati colpiti (OMISSIS), nipote dell’imputato, il quale era stato raggiunto all’emitorace sinistro e ricoverato in ospedale in prognosi riservata e (OMISSIS), commercialista gia’ consulente di (OMISSIS), il quale si trovava all’esterno dell’aula di udienza e aveva riportato ferite agli arti inferiori.
L’aggressione non si era, pero’, esaurita nell’aula udienza e nello spazio ad essa antistante, posto che (OMISSIS), portatosi al secondo piano del Palazzo di giustizia, aveva colpito a morte anche il giudice civile (OMISSIS), raggiunto da due proiettili alla schiena mentre si trovava nel suo ufficio sito negli uffici dell’Ottava sezione civile del tribunale milanese. Quindi, (OMISSIS), tenendo il braccio abbassato e la pistola in pugno, si era allontanato dal Palazzo di giustizia, confondendosi con la folla delle persone che scappavano e facendo perdere le proprie tracce.
2.2. Le ricerche dell’aggressore, subito attivate grazie ai sistemi di video-rilevazione delle targhe dei mezzi in transito, avevano consentito di fermare il fuggitivo nel territorio del comune di Vimercate, ove, alla vista dei Carabinieri si era lasciato arrestare senza opporre alcuna resistenza, proferendo all’indirizzo dei militari la seguente frase: “Meno male che mi avete fermato perche’ stavo andando ad ammazzarne un altro”; frase successivamente interpretata come riferibile all’intenzione di uccidere anche il socio (OMISSIS), quel giorno casualmente assente all’udienza che si stava celebrando presso il tribunale milanese. Quindi, (OMISSIS) era stato sottoposto a perquisizione e nel vano ubicato sotto la sella del suo ciclomotore era stato rinvenuto un sacchetto contenente una pistola Beretta calibro 9X21 regolarmente denunciata, con il cane alzato e avente un proiettile in canna e ulteriori quattro colpi nel caricatore. Inoltre, un ulteriore caricatore rinvenuto nello stesso frangente conteneva altri dodici colpi inseriti. La perquisizione successivamente eseguita nell’abitazione di (OMISSIS) aveva, poi, consentito fra l’altro di rinvenire ulteriori venti proiettili calibro 9X21, collocati all’interno della custodia per pistola trovata aperta sul tavolo della cucina; ove erano stati anche rinvenuti, fra l’altro, atti giudiziari e documenti vari, collocati in faldoni intestati a (OMISSIS) e a (OMISSIS).
2.3. Dagli esami balistici e chimici era pacificamente emerso che i numerosi colpi di pistola fossero stati esplosi proprio dall’arma sequestrata a (OMISSIS), la quale, sulla base di una serie di elementi indiziari, anche di carattere logico, valutati dai giudici di merito, era stata introdotta nei locali del Palazzo di giustizia il giorno stesso dell’azione omicidiaria. (OMISSIS), infatti, era stato ripreso dalle telecamere esterne e interne al Palazzo mentre, alle ore 8.48, si sottoponeva ai controlli attraverso il metal detector posto in corrispondenza dell’ingresso di via (OMISSIS). In tale occasione, egli aveva inserito la valigetta che portava con se’ nel macchinario F.E.P., le cui immagini, successivamente visionate, avevano rivelato la presenza, nella borsa usata dall’uomo, di alcune macchie compatibili con le singole componenti della pistola, la quale, accuratamente smontata, era stata evidentemente nascosta nella borsa onde consentire di eludere i sistemi di controllo. Inoltre, nella cucina della sua abitazione, era stata rinvenuta la custodia dell’arma con all’interno alcuni proiettili, indice che essa era stata prelevata la mattina degli omicidi. Lo stesso (OMISSIS), del resto, aveva ammesso di avere introdotto l’arma quella stessa giornata, salvo poi rettificare tale versione all’interrogatorio del 30/06/2016, allorche’ aveva dichiarato di avere introdotto l’arma circa tre mesi prima; affermazioni ritenute non verosimili in ragione dell’estrema vaghezza, non essendo stato specificato il luogo in cui, fino al momento del suo utilizzo, essa sarebbe stata nascosta.
2.4. I successivi accertamenti avevano consentito di appurare che i gravissimi fatti erano maturati nel contesto della vicenda imprenditoriale che aveva portato al fallimento dell’ (OMISSIS) e degli asperrimi contrasti che ne erano scaturiti in relazione alla ripartizione di imponenti guadagni in nero conseguiti sul mercato immobiliare milanese. Una vicenda nella quale erano stati a vario titolo coinvolti, oltre a (OMISSIS), anche (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), i quali avevano rivestito vari ruoli, anche operativi, all’interno della (OMISSIS) e delle societa’ controllate, (OMISSIS) S.r.l. e (OMISSIS) S.r.l., e che erano stati accusati dall’imputato di avergli sottratto cospicue risorse finanziarie. Tra i soggetti coinvolti vi erano stati anche l’avv. (OMISSIS), che dopo averlo assistito aveva preteso da (OMISSIS) il pagamento dei suoi onorari arrivando a presentare l’istanza di fallimento, nonche’ il giudice (OMISSIS), il quale aveva presieduto il collegio del tribunale milanese che aveva dichiarato il fallimento della (OMISSIS) e della (OMISSIS) S.r.l.. La conflittualita’ tra (OMISSIS) e i soci e gli amministratori delle predette societa’, sfociate in numerose denunce e azioni giudiziarie, avevano fortemente turbato l’equilibrio psicologico dell’imputato, descritto dal fratello come depresso, agitato e nervoso, animato, secondo le sue affermazioni dell’epoca, dalla volonta’ di “fare un casino”, peraltro senza manifestare chiaramente uno specifico disegno criminale.
2.5. Il contesto sopra descritto aveva, quindi, indotto i giudici di merito a ricondurre, in primo luogo, il ferimento di (OMISSIS) nell’alveo del tentato omicidio, considerati i pessimi rapporti tra la vittima e lo sparatore e le modalita’ dell’azione criminosa, che non aveva portato alla morte della persona offesa solamente a causa del suo inopinato spostamento, pochi attimi prima dell’esplosione del colpo; e considerato, altresi’, il rammarico manifestato da (OMISSIS), in occasione di una conversazione intercettata in carcere, verso “quel nipote li’ che se l’e’ cavata”.
2.6. Ma soprattutto, il peculiare contesto piu’ sopra riassunto aveva condotto i giudici dei primi due gradi ad affermare che gli omicidi fossero stati commessi con premeditazione.
A questo proposito, del tutto inattendibili erano state ritenute le dichiarazioni dell’imputato, secondo cui l’arma era stata introdotta nel Palazzo di giustizia milanese in quanto egli, nel suo disegno originario, intendeva uccidersi, in maniera plateale, nel luogo simbolico delle ingiustizie patite, sicche’ la successiva sequenza omicidiaria si sarebbe sviluppata con modalita’ d’impeto a partire da una reazione “a corto circuito” innescata dalla condotta poco professionale tenuta dall’avv. (OMISSIS) nel corso dell’udienza penale. Secondo i giudici di merito, infatti, tali dichiarazioni, oltre a essere in contrasto con l’affermazione dell’imputato secondo cui l’ingresso in tribunale di pistola e munizioni fosse avvenuta ben tre mesi prima, erano smentite dal fatto che il carico di munizioni – ben ventiquattro, suddivise in due caricatori – era certamente incompatibile con una volonta’ suicidiaria, la quale di regola si appaga dell’utilizzo di una sola pallottola; che la decisione, sin dal principio dell’udienza, di non sedersi vicino al suo difensore, collocandosi sul fondo dell’aula, era da ricondursi all’angolo visuale assai migliore della scena e dei possibili obiettivi dell’azione criminosa che di li’ a poco si sarebbe dispiegata; che lo stesso imputato aveva riferito di avere parcheggiato lo scooter “nella stessa via del Tribunale in modo da poter girare a destra in via Sforza per fare ritorno a casa”.
E che l’azione omicidiaria non si fosse sviluppata con modalita’ d’impeto era anche dimostrato, secondo i giudici di merito, dall’accurata selezione degli obiettivi da colpire che l’imputato aveva compiuto nei concitati momenti della sparatoria, allorche’ aveva raggiunto unicamente le persone che riteneva coinvolte nell’asserito complotto ai suoi danni, senza ad esempio colpire l’avv. (OMISSIS), pure responsabile, secondo le dichiarazioni dello stesso (OMISSIS), di quella gestione scarsamente attenta alle sue esigenze difensiva che aveva innescato la menzionata reazione “a corto circuito”. E quanto, poi, al giudice (OMISSIS), assolutamente significativa doveva ritenersi la circostanza che (OMISSIS) fosse andato a cercarlo nel suo ufficio, peraltro recandosi non nelle stanze della Sezione fallimentare ove il magistrato aveva lavorato fino a pochi mesi prima, quanto in quelle della Sezione Imprese, ove il magistrato al momento prestava servizio. E del resto, assolutamente significativa doveva ritenersi la circostanza che il percorso compiuto dall’imputato per raggiungere, prima di darsi alla fuga, l’ufficio della vittima designata, fosse del tutto incompatibile con la casualita’ dell’incontro, atteso che (OMISSIS) si era recato sino alla fine del corridoio posto al secondo piano, ove si trovava l’ufficio del giudice, senza seguire la via piu’ breve per darsi alla fuga. E anzi, l’atteggiamento da lui tenuto nell’occasione, caratterizzato, secondo quanto riferito dai testimoni, da grande calma e autocontrollo, era stato ritenuto incompatibile con una reazione “a corto circuito”, dall’inevitabile effetto perturbante sulla dimensione emotiva del soggetto, per essere piu’ agevolmente spiegabile con la lucida e fredda esecuzione di un proposito criminoso a lungo covato. Le stesse intercettazioni ambientali effettuate in carcere avevano evidenziato il pervicace convincimento dell’imputato dell’esistenza di un accordo occulto tra il nipote, i soci, il giudice (OMISSIS) e l’avv. (OMISSIS), i quali, non a caso, l’uomo aveva ucciso, con l’eccezione dei “due che mancavano” (ovvero (OMISSIS) e (OMISSIS)), fortunosamente scampati alla sua furia omicida. E anche il teste (OMISSIS), il quale aveva prestato, circa due anni prima dei fatti, la somma di 800,00 Euro a (OMISSIS), per l’acquisto della pistola, aveva ricordato che costui gli aveva confidato di essere “intenzionato a commettere un atto estremo uccidendo il nipote, i soci, il commercialista e il giudice che si stava occupando della sua causa fallimentare”.
2.7. Nel corso del giudizio di appello, con ordinanza in data 9/06/2017, la Corte territoriale aveva rigettato, in quanto palesemente infondata, la richiesta di sospensione del procedimento per incapacita’ da parte dell’imputato di partecipare coscientemente al processo, nonche’ di perizia finalizzata ad accertare tale incapacita’, essendosi (OMISSIS) difeso dalle accuse con piena comprensione di quanto avveniva nel corso del giudizio e avendo manifestato un’analoga lucidita’ durante l’esecuzione delle azioni criminose ascrittegli nonche’ in occasione delle conversazioni oggetto delle ricordate captazioni ambientali. Ne’ la difesa aveva allegato alcun elemento documentale idoneo a dimostrare che (OMISSIS), dopo la pronuncia di primo grado, non fosse piu’ in grado di comprendere pienamente quanto avveniva in sua presenza e di non potersi adeguatamente difendere.
2.8. Nel merito, infine, le due sentenze ritennero la piena capacita’ di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto. Dalla perizia psichiatrica disposta dal primo giudice, eseguita dai dottori (OMISSIS) e (OMISSIS), in occasione della quale era stata vagliata la documentazione clinica acquisita presso enti pubblici e privati e il periziando era stato sottoposto a test psico-diagnostici e a colloqui anamnestici e di valutazione clinica, era emersa l’assenza di sintomi tali da indurre anche un mero sospetto sulla sussistenza di un disturbo psicotico, essendo stato documentato unicamente un semplice disturbo ansioso-depressivo, per il quale egli era stato sottoposto a un coerente trattamento farmacologico.
3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso (OMISSIS) a mezzo del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), deducendo sette distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
3.1. Con il primo di essi, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera E), la motivazione apparente dell’ordinanza processuale emanata dalla Corte di assise di appello di Brescia in data 9/06/2017 che aveva rigettato sia l’istanza di sospensione del processo per carenza di capacita’ processuale dell’imputato di partecipare coscientemente al giudizio di secondo grado, sia la richiesta della difesa finalizzata a ottenere una perizia ad hoc tendente ad accertare l’incapacita’ di stare in giudizio dell’imputato, avendo le consulenze di parte e la perizia riscontrato, in capo all’imputato, un disturbo della personalita’ configurato quale “delirio lucido sistematizzato schizoideo di tipo persecutorio”. Secondo l’impugnazione, la circostanza che la decisione della Corte territoriale non avesse tenuto conto della indicata risultanza processuale concretizzerebbe, come detto, un’ipotesi di motivazione apparente.
3.2. Con il secondo motivo, la difesa di (OMISSIS) censura, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera E), la contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla richiamata ordinanza processuale dalla Corte di assise di appello di Brescia in data 9/06/2017 con la quale e’ stata respinta sia l’istanza di sospensione del giudizio di secondo grado per la incapacita’ dell’imputato di partecipare coscientemente al processo, sia la richiesta difensiva di accertamento peritale finalizzato ad accertare la sussistenza o meno della capacita’ di stare in giudizio dell’imputato. Si opina che la decisione della Corte abbia illogicamente disatteso le conclusioni della perizia, secondo cui l’imputato sarebbe affetto da un “delirio lucido sistematizzato schizoideo di tipo persecutorio” e, dunque, da una patologia “idonea a determinare un annientamento totale della capacita’ processuale dell’imputato”.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera B), l’inosservanza o erronea applicazione della legge processuale penale in relazione all’articolo 70 c.p.p., in quanto la Corte territoriale avrebbe dovuto sospendere il processo perche’ l’imputato non sarebbe stato in grado di esercitare materialmente il diritto di difesa, non avendo la capacita’ di stare in giudizio poiche’ affetto da disturbi della personalita’ imputabili a fatti esistenziali (tossicofilia da assunzione cronica da cocaina, ludopatia con spiccata propensione al giuoco d’azzardo pluridecennale, idea permanente persecutoria di essere vittima di un complotto da parte degli amici, dei soci, del commercialista degli avvocati difensori e del Giudice delle proprie cause civili) che avrebbero fatto insorgere nella personalita’ di (OMISSIS) un “delirio lucido sistematizzato di tipo schizoideo derivante da mania di persecuzione”, il quale ne avrebbe offuscato il settore noetico, determinando l’impossibilita’ di partecipare coscientemente al processo penale. Invero, le descritte situazioni psicopatologiche, si sarebbero accentuate dopo la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado alla pena dell’ergastolo, sicche’ la descritta sindrome psicopatologica avrebbe eliminato radicalmente la capacita’ di stare in giudizio del prevenuto. Secondo il ricorrente, la Corte avrebbe errato nell’assimilare la capacita’ di stare in giudizio a quella di intendere e di volere.
3.4. Con il quarto motivo, la difesa di (OMISSIS) denuncia, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera B), l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli articoli 89 e 575 c.p., in tema di esclusione della seminfermita’ mentale dell’imputato. La sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto dei rilievi contenuti nelle consulenze e nella perizia che avrebbero attestato la presenza di un disturbo della personalita’ denominato “delirio lucido sistematizzato con mania di persecuzione di tipo schizoideo” e avrebbe illegittimamente negato la richiesta di perizia psichiatrico-forense per accertare la sussistenza di una parziale infirmitas rationis. Secondo la tesi difensiva, la suddetta sindrome di carattere psicotico avrebbe determinato l’impulso criminoso. I delitti di sangue, invero, troverebbero la loro criminogenesi e criminodinamica nella “pressione psichica derivante da un violento ed esasperato vissuto di persecuzioni, angherie, vessazioni e soprusi”, la quale avrebbe totalmente obnubilato il settore noetico di (OMISSIS) e, quindi, annullato parzialmente la sua capacita’ di autocontrollo. Pertanto, conformemente a quanto affermato dalle Sezioni Unite nella nota sentenza Raso, la Corte territoriale avrebbe dovuto valorizzare l’anamnesi dell’imputato, connotata da tossicofilia da cocaina, ludopatia con pratica ultradecennale di giochi d’azzardo e mania di persecuzione permanente: accadimenti che avrebbero cagionato il fallimento delle imprese di (OMISSIS), consolidando nella sua psiche una forma di delirio lucido sistematizzato che ne avrebbe devastato totalmente la personalita’.
3.5. Con il quinto motivo, il ricorrente si duole, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera B), dell’inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 577 c.p., comma 1, n. 3), in quanto sarebbe stata esclusa l’aggravante della premeditazione. Diversamente da quanto ritenuto dalle sentenze, (OMISSIS) non avrebbe agito con freddezza d’animo e lucidita’ mentale, essendosi trattato di un triplice omicidio da “corto circuito”, atteso che l’imputato avrebbe agito per effetto del disturbo della personalita’ definito come “sindrome schizoide con delirante mania di persecuzione”.
3.6. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera B), l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione agli articoli 85 e 89 c.p.. Cio’ in quanto la Corte territoriale, negando la richiesta difensiva di una nuova perizia psichiatrica, avrebbe omesso la valutazione del nesso eziologico sussistente tra il disturbo mentale che connoterebbe la personalita’ dell’imputato e i fatti di reato allo stesso ascritti, precludendo ai giudici di appello di accertare compiutamente sia la presenza o meno del dolo di premeditazione, sia la sussistenza di una eventuale seminfermita’ mentale imputabile al disturbo della personalita’ di (OMISSIS). Tale accertamento non potrebbe essere pretermesso in virtu’ di un’esigenza individuale e garantista di tutela della persona in relazione “all’antropocentrismo giusfilosofico del neocostituzionalismo Europeo contemporaneo”. Ne’ si potrebbe sostenere che l’indagine sull’aspetto personologico dell’imputato trovi un ostacolo per il fatto che la capacita’ di intendere e di volere dell’agente debba essere valutata in relazione al momento in cui ha commesso gli omicidi, poiche’ l’analisi psicosoggettiva dell’autore con riferimento agli episodi omicidiari sarebbe utile per individuare le condizioni motivanti e la causale dei delitti e il nesso eziologico tra l’individuo ed i fatti criminosi.
3.7. Con il settimo motivo, la difesa di (OMISSIS) censura, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera C), l’inosservanza o erronea applicazione della legge delle norme processuali prevista a pena di inutilizzabilita’ ai sensi e per gli effetti dell’articolo 191 c.p.p.. Cio’ in quanto il dolo di premeditazione sarebbe stato ritenuto sussistente dalla Corte territoriale mediante il riferimento specifico a prove illegittime, non acquisite in sede di istruzione dibattimentale e senza il contraddittorio delle parti, trattandosi di elementi probatori fondate su intercettazioni ambientali effettuate nel corso dei colloqui nel carcere di Monza tra (OMISSIS) e il fratello (OMISSIS), allorquando l’imputato era gia’ stato condannato nel giudizio di primo grado e, quindi, nel periodo intercorrente tra la celebrazione del giudizio di primo grado e la presentazione dell’appello. Cio’ avrebbe determinato una violazione dei principi fondamentali del processo penale secondo cui le prove d’accusa devono essere formate e acquisite nel contraddittorio delle parti, violando, altresi’, il diritto di difesa dell’imputato.
4. In data 22/05/2018, l’avv. (OMISSIS), nell’interesse di (OMISSIS), costituito parte civile, ha depositato una memoria nella quale affronta le varie questioni poste dal ricorrente con il ricorso introduttivo.
4.1. Sul primo motivo, si osserva che i periti non avrebbero affatto affermato l’esistenza di un “delirio lucido sistematizzato schizoideo di tipo persecutorio”, diagnosticato invece dai consulenti di parte, limitandosi a configurare un “disturbo dell’adattamento con umore depresso”, inidoneo a influire sulla capacita’ di intendere e di volere. La Corte avrebbe correttamente rigettato, con motivazione immune da vizi logici, la richiesta di sospensione, tenuto conto dell’assenza di documentazione clinica idonea a supportarla ed emergendo, al contrario, dallo sviluppo del processo, la piena capacita’ dell’imputato di difendersi dalle accuse e, quindi, di comprendere il significato del processo.
4.2. Sul secondo motivo, ribadita l’affermazione, da parte dei periti, della esistenza di un semplice “disturbo dell’adattamento con umore depresso”, si sottolinea come la presenza di una patologia psichiatrica sia stata risolutamente esclusa dagli stessi, sicche’ nessuna contraddizione vi sarebbe tra il loro elaborato e la conclusione della Corte territoriale.
4.3. Per quanto concerne il terzo motivo, la Corte non avrebbe assimilato affatto la capacita’ di intendere di volere con quella di partecipare coscientemente al processo, ma si sarebbe limitata ad affermare che quest’ultima non possa essere esclusa nemmeno in presenza di una patologia psichiatrica, sottolineando, dopo avere scrutinato ogni elemento emerso nel giudizio di primo grado, che l’imputato fosse pienamente consapevole di quanto avveniva, non emergendo alcun elemento contrario nelle relazioni dei periti e dei sanitari del carcere e essendo l’incapacita’ smentita dalle dichiarazioni dell’imputato nel corso del giudizio. Fermo restando che la difesa non avrebbe offerto alcuna dimostrazione di segno contrario.
4.4. Con riferimento al quarto motivo, si rileva come i periti non abbiano mai riscontrato alcun disturbo della personalita’, che anzi sarebbe stato risolutamente escluso. Tale conclusione sarebbe stata pienamente condivisa dalla Corte territoriale, anche alla luce della dinamica omicidiaria e delle intercettazioni in carcere, oltre che delle sommarie informazioni testimoniali, sicche’ la relativa decisione sarebbe scevra da ogni profilo di illogicita’ e contraddittorieta’. E del resto, se i periti avessero accolto la tesi difensiva sulla esistenza del disturbo della personalita’, non si comprenderebbe perche’ la difesa avrebbe lamentato il mancato accoglimento della richiesta di una nuova perizia.
4.5. Sul quinto motivo, si osserva che l’appello e i motivi aggiunti avevano avuto ad oggetto unicamente la contestazione della riconosciuta premeditazione in relazione all’omicidio del giudice (OMISSIS), sicche’ le doglianze espresse in ricorso in ordine alla configurabilita’ dell’aggravante con riferimento anche agli altri delitti sarebbero in realta’ precluse dalla formazione del giudicato sul punto specifico. Nel merito, il motivo sarebbe manifestamente infondato, attesa la puntuale e logica ricostruzione compiuta dalla Corte di appello. Per tale ragione, la censura sarebbe anche aspecifica, atteso che il ricorrente, senza confrontarsi con il ragionamento svolto dalla sentenza di secondo grado, si sarebbe limitato ad affermare l’incompatibilita’ della premeditazione con il “disturbo schizoideo di mania di persecuzione”, ancora una volta apoditticamente affermata.
4.6. Quanto al sesto motivo, la Corte avrebbe puntualmente motivato sia in relazione al profilo della capacita’ di intendere e di volere, alla stregua dell’approfondita disamina compiuta dai periti; sia sul rapporto tra situazione psichica dell’imputato e i reati commessi, motivando adeguatamente e in maniera esente da vizi logici sul punto.
4.7. Quanto, infine, al settimo motivo, esso sarebbe manifestamente infondato in quanto le intercettazioni ambientali utilizzate ai fini del giudizio si collocherebbero tra il 30 aprile e il luglio 2015, ovvero prima della sentenza di primo grado. La difesa, in violazione del principio di autosufficienza, non avrebbe indicato in quale parte del fascicolo sarebbero rinvenibili le intercettazioni asseritamente inutilizzabili in quanto assunte in violazione delle norme processuali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ inammissibile.
2. I primi tre motivi, tutti attinenti alla asserita illegittimita’, per violazione di legge e per vizio di motivazione, dell’ordinanza in data 9/06/2017 con cui la Corte ha rigettato sia l’istanza di sospensione del processo per carenza di capacita’ dell’imputato di parteciparvi coscientemente, sia la richiesta di perizia volta a verificare la capacita’ di stare in giudizio dell’imputato, devono essere trattati unitariamente, attesa l’evidente afferenza degli stessi alle medesime problematiche. Secondo la tesi difensiva, avendo le consulenze di parte e la perizia riscontrato, in capo all’imputato, un disturbo della personalita’ configurato quale “delirio lucido sistematizzato schizoideo di tipo persecutorio” e, dunque, da una patologia “idonea a determinare un annientamento totale della capacita’ processuale dell’imputato”, la Corte territoriale avrebbe dovuto sospendere il processo, atteso che l’imputato non sarebbe stato in grado di esercitare materialmente il diritto di difesa, essendosi peraltro registrata una ulteriore accentuazione della condizione psicopatologica a partire dalla sentenza di condanna di primo grado alla pena dell’ergastolo.
2.1. Preliminarmente, giova rilevare che ai fini di escludere il requisito della capacita’ dell’imputato di partecipare coscientemente al processo non e’ sufficiente la presenza di una patologia psichiatrica, che nella specie e’ stata comunque esclusa, essendo al contrario necessario che l’imputato risulti in condizioni tali da non comprendere quanto avviene in sua presenza da non potersi difendere (Sez. 6, n. 25939 del 17/03/2015, dep. 19/06/2015, Zanetti, Rv. 263807; Sez. 1, n. 14803 del 7/03/2012, dep. 18/04/2012, Condello, Rv. 252267; Sez. 6, n. 2419 del 23/10/2009, dep. 20/01/2010, Baldi, Rv. 245830; Sez. 1, n. 19338 del 11/05/2006, dep. 5/06/2006, Santapaola, Rv. 234223).
2.2. Nel caso di specie, nondimeno, i periti non hanno affatto affermato l’esistenza di un “delirio lucido sistematizzato schizoideo di tipo persecutorio”, riscontrato dai consulenti di parte, limitandosi a ipotizzare l’esistenza di un semplice “disturbo dell’adattamento con umore depresso”, come tale inidoneo a incidere sulla capacita’ dell’imputato di comprendere il significato del processo, essendo emerso nel giudizio di primo grado che (OMISSIS) era pienamente consapevole di quanto avveniva, sicche’ la sentenza impugnata non si e’ posta in alcun contrasto con le risultanze dell’accertamento peritale.
3. Venendo alle questioni relative alla capacita’ di intendere e di volere, l’impugnazione prospetta, con il quarto e il sesto motivo, una serie di doglianze in ordine alla non corretta valutazione delle risultanze dell’accertamento peritale svolto nel corso del giudizio di primo grado, con illogica pretermissione di una serie di elementi probatori idonei a suffragare la tesi difensiva della non imputabilita’, totale o parziale, del ricorrente. Si assume, in tesi difensiva, che le emergenze processuali avrebbero attestato la presenza di un disturbo della personalita’ denominato “delirio lucido sistematizzato con mania di persecuzione di tipo schizoideo”; e che, a partire da tale condizione psicopatologica la Corte territoriale avrebbe dovuto, innanzitutto, accedere alla richiesta difensiva di una nuova perizia psichiatrica e, in ogni caso, avrebbe dovuto riconoscere, conformemente a quanto affermato dalle Sezioni Unite nella nota sentenza Raso, che tale condizione psicopatologica, unitamente alla storia clinica connotata da tossicofilia da cocaina, ludopatia con pratica ultradecennale di giochi d’azzardo e mania di persecuzione permanente, avrebbero favorito l’insorgenza di una reazione “a corto circuito” di cui l’imputato non sarebbe in alcun modo responsabile, in quanto totalmente incapace, ovvero parzialmente responsabile, in quanto affetto da vizio parziale di mente.
3.1. Osserva il Collegio che la sentenza impugnata ha correttamente rilevato come, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, i periti, i realta’, non abbiano mai riscontrato alcun disturbo della personalita’ in capo all’odierno ricorrente, escluso anche alla luce delle particolari modalita’ dell’azione delittuosa, dei contenuti delle captazioni di conversazioni in carcere, delle sommarie informazioni testimoniali. E anzi, proprio il mancato riconoscimento della fondatezza della tesi difensiva sulla esistenza del disturbo della personalita’ ha consentito al ricorso di censurare il rigetto della richiesta di una nuova perizia sullo stato mentale dell’imputato da parte della Corte territoriale. Invero, gli accertamenti peritali svolti nel corso del giudizio di primo grado hanno consentito di escludere, da un lato, la sussistenza di un disturbo delirante paranoideo di tipo persecutorio; e, dall’altro lato, anche di un vero e proprio “disturbo di personalita’”, ossia una situazione patologica strutturale eventualmente idonea di incidere, in maniera anche significativa, sulla capacita’ di intendere e di volere del soggetto, non essendo stata ritenuta significativa la certificazione in data 29/10/2010 del medico di famiglia, dott.ssa (OMISSIS), peraltro mai prodotta dalla difesa, asseritamente attestante un disturbo ossessivo-compulsivo con grado da dipendenza da gioco; diagnosi ritenuta generica e riferibile a un vizio del gioco risalente a diversi anni prima e non piu’ coltivato anche per mancanza di denaro. E anche le periodiche visite psichiatriche eseguite dopo l’attuale carcerazione, fin dalle prime ore trascorse all’interno della struttura penitenziaria, non hanno registrato alcun sintomo di tipo psicotico, il quale e’ stato categoricamente escluso dai periti, anche alla luce dei positivi effetti conseguenti alla somministrazione delle terapie con antidepressivi e ansiolitici. Inoltre, quanto ai dati anamnestici, per stessa ammissione dell’imputato, egli aveva smesso di assumere cocaina da anni e il vizio del gioco risaliva a meta’ degli anni 2000.
4. Venendo, poi, al quinto motivo, con il quale la difesa di (OMISSIS) lamenta l’esclusione dell’aggravante della premeditazione in ragione della peculiarita’ dell’azione, sul piano criminodinamico, caratterizzata dalla reazione a “corto circuito” a sua volta correlata al disturbo della personalita’ definito come “sindrome schizoide con delirante mania di persecuzione”, la relativa doglianza e’, sotto diversi aspetti, inammissibile.
Sotto un primo profilo, merita di essere condivisa l’osservazione contenuta nella memoria della parte civile depositata in data 22/05/2018, secondo cui con l’atto di appello e con i relativi motivi aggiunti era stata censurata la configurabilita’ della premeditazione con riferimento al solo omicidio del giudice (OMISSIS). Ne consegue che le doglianze espresse nel ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimita’ in ordine alla configurabilita’ dell’aggravante in relazione agli ulteriori delitti devono ritenersi precluse.
Sotto altro aspetto, il motivo e’ manifestamente infondato. Intanto, perche’ le censure sono chiaramente aspecifiche, dal momento che il ricorrente si e’ limitato ad affermare che la premeditazione avrebbe dovuto essere esclusa in ragione della reazione a “corto circuito”, apoditticamente affermata a partire dall’esistenza di un “disturbo schizoideo di mania di persecuzione”, che le sentenze hanno motivatamente escluso e che la difesa ha, ancora una volta, affermato esistesse senza pero’ dimostrarlo. E in questo modo, senza confrontarsi in alcun modo con il ragionamento svolto dalla sentenza di secondo grado, il ricorso ha sviluppato una lettura alternativa del materiale probatorio, peraltro integrandolo con indimostrati elementi fattuali.
In ogni caso, anche a voler prescindere da tali definitivi e comunque insuperabili rilievi, va rilevata la puntuale e congrua motivazione offerta dai giudici di merito in relazione alla configurabilita’, nella specie, della premeditazione, avuto riguardo al fatto che l’azione criminosa, considerate le modalita’ di introduzione dell’arma e dei caricatori nel palazzo di giustizia, non poteva che essere frutto di una “progettazione” attenta e certamente non circoscritta alle ore immediatamente precedenti al fatto, ma sicuramente dispiegatasi in un tempo significativamente piu’ ampio, nonche’ all’esistenza di un chiarissimo movente “riconducibile all’esacerbata visione complottistica che l’imputato aveva da tempo maturato” in ordine al fatto che il giudice (OMISSIS) si fosse accordato con le controparti e con gli avvocati per depredare il suo patrimonio e in relazione al livore “globale” maturato da (OMISSIS) nei confronti del nipote, (OMISSIS), degli altri soci e del commercialista (rei di averlo “truffato”).
5. Infine, anche le questioni poste con il settimo motivo sono inammissibili.
Sotto un primo profilo il ricorso non e’ autosufficiente, dal momento che esso non indica, in maniera specifica, a quali intercettazioni esso intenda riferirsi, ne’ le ha allegate al ricorso. Sotto altro aspetto, la doglianza e’, comunque, manifestamente infondata, dal momento che secondo quanto specificato nella sentenza impugnata le captazioni ambientali effettuate presso la Casa circondariale di Monza, cui sembrerebbe riferirsi il ricorso, devono essere collocate, temporalmente, tra il 30 aprile 2015 e il luglio dello stesso anno e, dunque, ben prima della sentenza di primo grado, pronunciata nel luglio 2016. Manifestamente infondate, anche per la loro scarsa perspicuita’, sono le deduzioni difensive circa la mancata assunzione in dibattimento delle intercettazioni e la violazione del contraddittorio, tenuto conto della peculiare natura giuridica delle intercettazioni quali tipici atti “a sorpresa” compiuti fuori dalla cornice del giudizio dibattimentale e non essendo, per definizione, ipotizzabile, al momento della captazione, alcun contraddittorio tra le parti, che quindi involge unicamente il momento della loro acquisizione agli atti del giudizio e della valutazione del loro contenuto, pienamente assicurato nel caso di specie e in ogni caso fatto oggetto di generiche censure.
6. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionalee rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 2.000,00 Euro. Inoltre, (OMISSIS) deve essere condannato alla rifusione delle spese processuali in favore delle parti civili costituite, spese che devono essere liquidate, in favore di (OMISSIS), in tremilacinquecento Euro, in favore di (OMISSIS), in tremilacinquecento Euro, in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), in quattromiladuecento Euro, in favore di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in seimilatrecento Euro, in favore di (OMISSIS), in quattromila Euro, oltre, per tutti, a spese generali, Iva e Cpa come per legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna altresi’ il ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore delle parti civili costituite, spese che liquida, in favore di (OMISSIS), in Euro tremilacinquecento, in favore di (OMISSIS), in Euro tremilacinquecento, in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), in Euro quattromiladuecento, in favore di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), in Euro seimilatrecento, in favore di (OMISSIS), in Euro quattromila, oltre, per tutti, spese generali, Iva e Cpa come per legge.
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