Società cooperative ed il giudizio d’opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 11319.

Società cooperative ed il giudizio d’opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio

 

In tema di società cooperative, nel giudizio d’opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio, resa dai competenti organi collegiali per inosservanza del socio medesimo a determinate previsioni dello statuto, mentre resta preclusa un’indagine sull’opportunità della sanzione, essendo le relative valutazioni riservate ai predetti organi, deve ritenersi consentita l’interpretazione di quelle previsioni statutarie, anche alla luce dell’interesse sociale perseguito, al fine del controllo sulla riconducibilità in esse del fatto contestato a motivo dell’esclusione. Il giudice del merito deve, pertanto, valutare la riconducibilità in concreto dei comportamenti del socio escluso alla previsione statutaria che giustifica il provvedimento di esclusione, tenendo conto a tal fine – soprattutto quando la previsione statutaria si riferisca a comportamenti solo genericamente o sinteticamente indicati come contrari all’interesse sociale, senza enunciare una casistica specifica – della rilevanza della lesione eventualmente inferta dal socio all’interesse della società, atteso che la regola negoziale contenuta nello statuto sottintende un criterio di proporzionalità tra gli effetti del comportamento addebitato al socio e la risoluzione del rapporto sociale a lui facente capo (Nel caso di specie, nel dichiarare inammissibile il ricorso, la Suprema Corte ha ritenuto incensurabile la decisione gravata in quanto la corte di appello, condividendo la valutazione espressa dal tribunale, aveva ritenuto che il mancato assolvimento degli obblighi sociali in violazione di una previsione statutaria integrasse un inadempimento connotato da gravità idonea a giustificare l’esclusione, sottolineando che la censura nei termini in cui era stata dedotta non aveva specificamente attaccato tutte le tre argomentazioni su cui il primo giudice aveva fondato il suo convincimento)

Ordinanza|| n. 11319. Società cooperative ed il giudizio d’opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio

Data udienza  9 marzo 2023

Integrale

Tag/parola chiave: Società di capitali – Esclusione del socio – Assolvimento di un obbligo sociale previsto dallo statuto

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 29576-2018 R.G. proposto da:

(OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS));

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SRL, domiciliato ex lege in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) ( (OMISSIS));

-controricorrente-

avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 1498-2018 depositata il.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/03/2023 dal Consigliere MAURA CAPRIOLI.

Società cooperative ed il giudizio d’opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Ritenuto che:

Con sentenza del 2.12.2011 il Tribunale di Catania rigettava l’impugnazione proposta da (OMISSIS) avverso la delibera di esclusione del 28.3.2007 adottata nei suoi confronti dal Consiglio di amministrazione della (OMISSIS).

(OMISSIS) proponeva gravame avverso tale decisione avanti alla Corte di appello di Catania chiedendo l’annullamento della delibera.

Con sentenza nr 1490-2018 il decidente rigettava l’appello.

La Corte rilevava che l’esclusione dalla cooperativa dell’impugnante era stata deliberata a causa del mancato adempimento delle obbligazioni sociali.

Osservava che le contestazioni di natura formale veicolate con il secondo motivo di ricorso circa la carente motivazione della sentenza impugnata non tenevano in considerazione le articolate argomentazioni contenute nella decisione del Tribunale riportata per esteso dal giudice del gravame Con riguardo al credito vantato dalla cooperativa pari ad Euro 7.083,22 la Corte rilevava che detta pretesa trovava titolo in varie deliberazioni dell’assemblea dei soci che non erano state impugnate e come tali erano vincolanti per tutti i soci, in forza del contratto sociale.

Escludeva poi che sussistessero le condizioni per operare la compensazione di un credito vantato dall’appellante nei confronti della cooperativa difettandone i requisiti.

Sottolineava che in merito alla questione relativa all’entita’ del credito vantato dalla cooperativa l’assenza di una specifica contestazione da parte dell’appellante in ordine all’affermazione riportata in sentenza secondo cui le deliberazioni dell’assemblea, prese in conformita’ della legge e dell’atto costitutivo vincolano i soci ancorche’ non intervenuti o dissenzienti salva la possibilita’ di impugnazione delle stesse nella specie non avvenuta, aveva reso non piu’ esaminabile tale punto che era ormai coperto da giudicato.

Il Giudice di appello rilevava altresi’ che l’inadempimento degli obblighi nascenti dal contratto sociale integrava un inadempimento grave anche sotto il profilo quantitativo sottolineando che le censure dell’appellante avevano attinto solo una delle tre argomentazioni con cui il Tribunale aveva motivato il suo convincimento.

Con riguardo inoltre all’eccezione relativa alla tardivita’ della costituzione della Cooperativa e alla denunciata inammissibilita’ della produzione documentale la Corte distrettuale osservava che la tardivita’ della costituzione non assumeva alcun rilievo in assenza di eccezioni non rilevabili d’ufficio e per quanto atteneva invece alle istanze istruttorie non erano ancora maturate le preclusioni previste dalla legge.

In relazione alla domanda risarcitoria il giudice del gravame riteneva che la stessa doveva ritenersi implicitamente rigettata, alla luce della riconosciuta legittimita’ della delibera impugnata, mentre con riguardo alla contestazione circa il mancato accoglimento della domanda di restituzione degli importi versati alla Cooperativa, affermava che una simile richiesta non era stata avanzata in primo grado essendosi l’opponente limitato ad invocare, per l’ipotesi che la cooperativa richiedesse il rilascio dell’immobile, che tale rilascio fosse subordinato alla restituzione delle somme.

Avverso tale sentenza (OMISSIS) propone ricorso per cassazione affidato a sette motivi cui resiste (OMISSIS) s.r.l. con controricorso illustrato da memoria.

Società cooperative ed il giudizio d’opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 116 c.p.c. e 2533 comma 1 n. 1 e 2 c.c., in relazione all’articolo 360 comma 1 nr 3 c.p.c. per avere la Corte di appello ritenuto legittima la delibera di esclusione sull’errato presupposto che il (OMISSIS) non avesse adempiuto alle obbligazioni sociali, fondando il suo convincimento sul verbale del Consiglio di amministrazione del 28.3.2007.

Si sostiene che in detto verbale non sarebbe stata riportata la comunicazione del 12.3.2007 inviata dal ricorrente tramite raccomandata alla Cooperativa, missiva con cui il (OMISSIS) avrebbe dimostrato la piena disponibilita’ ad effettuare il pagamento degli importi ancora dovuti.

Con il secondo motivo si deduce la violazione della Cost , articolo 24, dell’articolo 2533 c.c. nr 2 e 3 c.c. in relazione all’articolo 360 comma 1 nr 3 c.p.c. per avere la Corte di appello ritenuto insussistente il difetto di motivazione denunciato nei riguardi della decisione di primo grado stante la carenza e genericita’ della doglianza fatta valere dall’appellante. Lamenta che la Corte di appello sarebbe incorsa in errore, non avendo rilevato che la delibera impugnata non avrebbe esposto le ragioni poste a base dell’esclusione in violazione dei canoni dell’autonomia e della completezza.

Con un terzo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’articolo 824 bis c.p.c. e dell’articolo 116 c.p.c. in relazione all’articolo 360 comma 1 nr 3 c.p.c., per avere la Corte di appello omesso di dare il giusto rilievo ad un provvedimento avente valore analogo di una sentenza come il lodo arbitrale.

Si sostiene che il giudice del gravame si sarebbe limitato a ribadire le considerazione rese dal Tribunale, “svilendo cosi’ di valore il lodo arbitrale giungendo a dare la prevalenza e definitivita’ alle delibere consiliari della cooperativa risultate erronee rispetto al dictum del lodo stesso”.

Con un quarto motivo si duole della violazione e falsa applicazione dell’articolo 2533 comma I nr 2 c.c. dell’articolo 2697 c.c., dell’articolo 2286 c.c. e dell’articolo 1455 c.c. in relazione all’articolo 360 comma 1 nr 3 c.p.c.. per essersi la Corte di appello in punto di gravita’ dell’adempimento allineata alla motivazione del Tribunale fondata su tre distinte argomentazioni ritenute tutte e tre completamente autosufficienti, scontrandosi con le risultanze del lodo arbitrale.

Con il quinto motivo si censura la violazione dell’articolo 112 c.p.c., dell’articolo 2043 c.c. in relazione all’articolo 360 comma 1 nr 3 c.p.c. per avere la Corte di appello rigettato la richiesta risarcitoria derivante dall’atteggiamento inutilmente persecutorio adottato dalla societa’ appellata sull’errato presupposto della legittimita’ della delibera di esclusione.

Con il sesto motivo si deduce, in via subordinata rispetto al I,II, III e IV motivo, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112, dell’articolo 2535 c.c., dell’articolo 2033 c.c., dell’articolo 2041 c.c. in relazione all’articolo 360 comma 1 nr 3 e 4 c.p.c. per avere la Corte di appello, una volta riconosciuta la legittimita’ della delibera di esclusione, omesso di condannare la Cooperativa alla restituzione al socio escluso di tutti gli importi da quest’ultimo versati in relazione alla quota sociale in conformita’ a quanto richiesto.

Con il settimo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2516 c.c., della Cost., articolo 3 in relazione all’articolo 360 comma 1 nr 3 c.p.c. per avere la Corte di appello ritenuto infondata la doglianza relativa alla disparita’ di trattamento tra l’odierno ricorrente e gli altri soci morosi ma non esclusi.

Società cooperative ed il giudizio d’opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio

Si sostiene che la Corte distrettuale avrebbe dovuto uniformare, in ossequio all’articolo 3 della Cost., la sua decisione verso tutti i soci morosi che si erano limitati a manifestare una disponibilita’ analoga a quella data dal (OMISSIS), a mezzo lettera raccomandata del 25.7.2006 e del 12.3.2007, senza poi sanare la morosita’.

Il primo motivo e’ inammissibile.

Osserva il Collegio come con la censura in esame il ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalle norme di legge richiamate – si sia limitato ad allegare un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensi’ alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura e’ in sede di legittimita’ ammissibile unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171).

Nel caso di specie, al di la’ del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, la censura si risolve in una critica alla valutazione espressa dalla Corte di appello relativamente al contenuto del verbale consiliare del 28.3.2007 e alla documentazione allegata in causa offrendone una diversa lettura.

Il motivo d’impugnazione cosi’ formulato e’ inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui assume essere incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale pronunciare, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ai fini del controllo della legittimita’ della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti.

Il secondo motivo e’ parimenti inammissibile per violazione del principio di specificita’ essendo redatto senza il rispetto delle prescrizioni imposte dall’articolo 366 c.p.c..

Il ricorrente si duole della valutazione espressa dalla Corte di appello in ordine alla genericita’ del motivo di gravame con cui era stata denunciata la lacunosita’ della motivazione della sentenza di primo grado senza riportare i passaggi piu’ significativi della doglianza.

Inoltre la censura nei termini in cui e’ proposta si risolve in un sindacato di merito non consentito in questa sede.

Il terzo motivo e’ inammissibile in quanto difetta di autosufficienza.

Il ricorrente infatti non trascrive il motivo di appello con cui avrebbe censurato la statuizione del Tribunale, il quale aveva riconosciuto la morosita’ nel pagamento dell’importo di Euro 7.083,22 in ragione dell’effetto vincolante per i soci delle delibere non oggetto di impugnativa e quindi non dimostra di aver impugnato specificatamente con il gravame la statuizione del primo Giudice.

La censura, nei termini in cui e’ stata dedotta, non si confronta neppure con quanto affermato dalla Corte distrettuale relativamente all’avvenuto passaggio in giudicato formatosi sull’entita’ della morosita’ proprio in assenza di una critica specifica, limitandosi a far richiamo alle statuizioni del lodo che non sarebbero state in alcun modo apprezzate dalla Corte distrettuale.

Il quarto motivo e’ inammissibile.

La Corte di appello non e’ incorsa in alcuna delle violazioni indicate in rubrica.

Su punto e’ stato affermato che nel giudizio di opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio di una societa’ cooperativa, incombe sulla societa’ – che, pur se formalmente convenuta, ha sostanziale veste di attore – l’onere di provare i fatti posti a fondamento dell’atto impugnato (cfr. Cass. 8096/1993; 3342/2003; 22087/2013; 16617/2016).

Va osservato, infatti, che, nel giudizio d’opposizione contro la deliberazione di esclusione del socio, resa dai competenti organi collegiali per inosservanza del socio medesimo a determinate previsioni dello statuto, mentre resta preclusa un’indagine sull’opportunita’ della sanzione, essendo le relative valutazioni riservate ai predetti organi, deve ritenersi consentita l’interpretazione di quelle previsioni statutarie, anche alla luce dell’interesse sociale perseguito, al fine del controllo sulla riconducibilita’ in esse del fatto contestato a motivo dell’esclusione. Il giudice del merito deve, pertanto, valutare la riconducibilita’ in concreto dei comportamenti del socio escluso alla previsione statutaria che giustifica il provvedimento di esclusione, tenendo conto a tal fine – soprattutto quando la previsione statutaria si riferisca a comportamenti solo genericamente o sinteticamente indicati come contrari all’interesse sociale, senza enunciare una casistica specifica – della rilevanza della lesione eventualmente inferta dal socio all’interesse della societa’, atteso che la regola negoziale contenuta nello statuto sottintende un criterio di proporzionalita’ tra gli effetti del comportamento addebitato al socio e la risoluzione del rapporto sociale a lui facente capo (cfr. Cass. 5767/1990; 19414/2004).

Cio’ posto la Corte di appello, condividendo la valutazione espressa dal Tribunale, ha ritenuto che il mancato assolvimento degli obblighi sociali in violazione di una previsione statutaria integrasse un inadempimento connotato da gravita’ idonea a giustificare l’esclusione sottolineando che la censura nei termini in cui era stata dedotta non aveva specificamente attaccato tutte le tre argomentazioni su cui il primo Giudice aveva fondato il suo convincimento.

Tale passaggio argomentativo non e’ stato specificamente criticato dal ricorrente che si e’ limitato a prospettare una diversa lettura nel merito dei fatti di causa.

Con il quinto motivo il ricorrente insiste nella richiesta risarcitoria ex articolo 2043 c.c. senza dunque cogliere la ratio decidendi della pronuncia qui in discussione.

La Corte di appello infatti ha fatto discendere dalla riconosciuta legittimita’ della delibera di esclusione il rigetto della domanda risarcitoria necessariamente ancorata ad un vizio di invalidita’ dell’atto impugnato.

Non pertinente e’ pertanto il richiamo alla violazione dell’articolo 2043 c.c. che riguarda la responsabilita’ extracontrattuale e all’articolo 112 c.p.c. avendo la Corte di appello esaminato la relativa questione ritenendola prima di fondamento per le ragioni su esposte.

Con riguardo al VI motivo la censura appare inammissibile, in ragione della sua evidente genericita’ di deduzione e per difetto di autosufficienza ex articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6.

Va infatti considerato che, a fronte di una motivazione – quella impugnata – che ha espressamente sottolineato come “parte ricorrente non avesse in primo grado proposto una domanda di condanna alla restituzione limitandosi a richiedere per l’ipotesi eventuale che la cooperativa richiedesse il rilascio dell’immobile assegnatoli, che tale rilascio venisse subordinato alla restituzione delle suindicate somme” il ricorrente, venendo meno al suo onere di allegazione, ha proposto una doglianza assolutamente generica, che non riporta, ne’ descrive compiutamente la domanda proposta in primo grado.

Va inoltre considerato che la valutazione espressa dalla Corte di appello in merito all’effettiva portata della domanda svolta in via subordinata resta in ogni caso sottratta al sindacato di legittimita’.

Si rammenta in proposito che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, il giudice di merito, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, non e’ condizionato dalle espressioni adoperate dalla parte ma deve accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non esclusivamente dal tenore letterale degli atti ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla medesima parte e dalle precisazioni da essa fornite nel corso del giudizio, nonche’ dal provvedimento concreto richiesto, con i soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta. Il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, e’ sindacabile in sede di legittimita’ unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione (v. Cass. n. 8225 del 29/04/2004; n. 27428 del 13/12/2005; n. 13602 del 21/05/2019).

Infine per quanto riguarda l’ultimo motivo vanno ribadite le considerazioni gia’ sopra sviluppate in merito ai limiti del sindacato di legittimita’.

Il motivo e’ volto a rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito relativamente alla posizione degli altri soci morosi tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in se’ coerente.

L’apprezzamento dei fatti e delle prove e’, pero’, sottratto al sindacato di legittimita’, dal momento che alla Corte di cassazione non e’ conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilita’ e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore della (OMISSIS) s.r.l. delle spese di legittimita’ che si liquidano in complessive Euro 7.900 oltre ad Euro 200,00 per esborsi ed accessori di legge nella misura del 15%. Da’ atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, ove dovuto.

 

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