Il sindacato giurisdizionale volto ad accertare le intese anticoncorrenziali

Consiglio di Stato, sezione sesta, Sentenza 2 settembre 2019, n. 6022.

La massima estrapolata:

Il sindacato giurisdizionale volto ad accertare le intese anticoncorrenziali è finalizzato a verificare se l’Autorità ha violato il principio di ragionevolezza tecnica, senza che sia consentito, in coerenza con il principio costituzionale di separazione, sostituire le valutazioni, anche opinabili, dell’amministrazione con quelle giudiziali.

Sentenza 2 settembre 2019, n. 6022

Data udienza 13 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8451 del 2017, proposto da
Iv. It. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati An. Cl., An. Ca., Pa. Zi., Da. Li., Ga. Co., con domicilio eletto presso lo studio An. Cl. in Roma, via (…);
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del Presidente pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
Id. Se. s.r.l., non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza 28 luglio 2017, n. 9048 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, Sezione Prima.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 marzo 2019 e nella camera di consiglio del 13 giugno 2019 il Cons. Vincenzo Lopilato e uditi per le parti gli avvocati An. Cl., Pa. Zi., An. Ca. e An. Co. dell’Avvocatura Generale dello Stato.

FATTO

1.-.L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con delibera 17 luglio 2014, n. 25038, ha avviato il procedimento istruttorio n. 1783 “Accordo tra operatori del settore del vending”, nei confronti del Gr. Ar. s.p.a. ed altri.
Il suddetto procedimento è stato avviato a seguito di una segnalazione inviata da Id. Se. s.r.l. in relazione alla presunto esistenza di un “patto di non belligeranza” tra le citate imprese attive nella distribuzione automatica e semiautomatica di alimenti e bevande.
1.1.- L’Autorità, con delibera 25 febbraio 2015, n. 25339, ha esteso l’intesa: i) oggettivamente al “coordinamento tra le parti relativo ai prezzi dei beni e dei servizi offerti e ai comportamenti da tenere in occasione di gare bandite da soggetti pubblici e privati per l’affidamento dei servizi di distribuzione automatica e semiautomatica”; ii) soggettivamente alle società Su. s.p.a. ed altri.
1.2.- In data 10 dicembre 2015, il termine di conclusione del procedimento è stato differito dal 31 dicembre 2015 al 30 aprile 2016.
In data 17 marzo 2016, il suddetto termine è stato differito al 10 giugno 2016.
1.3.- L’Autorità ha adottato, all’esito del procedimento, la delibera 8 giugno 2016, con la quale è stata accertata la esistenza di una intesa segreta, unica, complessa e continuata posta in essere dalla imprese sopra indicate nel settore del vending sull’intero territorio nazionale o sua una parte rilevante di esso.
In particolare, al gruppo Iv. It. s.p.a. è stata irrogata una sanzione pari ad euro 31.917.662.
2.- Le impresa sanzionate hanno impugnato la suddetta delibera innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio che ha rigettato i ricorsi, accogliendo soltanto alcuni di essi nella parte relativa alla determinazione della sanzione.
Per quanto riguarda la posizione dell’appellante, il Tribunale ha adottato la sentenza 28 luglio 2017, n. 9048.
3.- La ricorrente in primo grado ha proposto appello.
3.1.- Si è costituita in giudizio l’Autorità, chiedendo il rigetto dell’appello.
4.- La causa è stata decisa all’esito delle camere di consiglio del 14 marzo e del 13 giugno 2019.

DIRITTO

1.- L’Autorità antitrust ha accertato, con provvedimento 8 giugno 2016, n. 26064, la commissione di una intesa unica e complessa da parte di quindici imprese, con applicazione del relativo regime sanzionatorio.
La Sezione ha deciso gli appelli proposti dalle diverse imprese coinvolte nel procedimento, unitamente agli appelli dell’Autorità, alle medesima udienza pubblica. La trattazione congiunta si è resa necessaria propri o in ragione della contestazione di una intesa unica, che implicava la necessità di avere un quadro processuale unitario. Le peculiarietà delle vicende che hanno coinvolto le singole imprese hanno, però, imposto una trattazione separata dei singoli procedimenti.
2.- In via preliminare è necessario ricostruire il quadro normativo rilevante e la vicenda oggetto di accertamento da parte dell’Autorità
2.1.- L’art. 101, par. 1, Tfue prevede che “sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno”.
L’art. 2 della legge n. 287 del 1990 contiene analoga disposizione.
La giurisprudenza amministrativa ha chiarito che occorre distinguere le “intese per oggetto” e le “intese per effetto”.
Le prime si caratterizzano per il fatto che hanno un oggetto di per sé vietato e, quindi, sono, per loro stessa natura, dannose per il buon funzionamento del normale gioco della concorrenza, con la conseguenza che è inutile dimostrare in concreto la sussistenza di effetti dannosi sul mercato.
Le seconde, invece, ricorrono quando non sussistono i presupposti per configurare la sussistenza di una intesa per “oggetto”, con la conseguenza che, in tale caso, è necessario verificare in concreto quali siano gli effetti che causano nel mercato. Ne deriva, quindi, che in questo secondo caso devono sussistere tutti gli elementi comprovanti che il gioco della concorrenza è stato, di fatto, impedito, ristretto o falsato in mo¬ do significativo (Cons. Stato, sez. VI, 24 ottobre 2014, n. 5275).
La stessa giurisprudenza ha messo, altresì, in rilievo la diversità esistente tra l’accordo e la pratica concordata. Il primo ricorre quando le imprese hanno espresso la loro comune volontà di comportarsi sul mercato in un determinato modo. La seconda ricorre quando si realizza una forma di coordinamento fra imprese che “senza essere spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, sostituisce, in modo consapevole, un’espressa collaborazione fra le stesse per sottrarsi ai rischi della concorrenza” (Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 2018, n. 3197). È evidente come la figura dell’accordo sia rara nella prassi in quanto “gli operatori del mercato, ove intendano porre in essere una pratica anticoncorrenziale, ed essendo consapevoli della sua illiceità, tenteranno con ogni mezzo di celarla, evitando accordi scritti o accordi verbali espressi e ricorrendo, invece, a reciproci segnali volti ad addivenire ad una concertazione di fatto”. Per queste ragioni la giurisprudenza, “consapevole della rarità dell’acquisizione di una prova piena, ritiene che la prova della pratica concordata, oltre che documentale, possa anche essere indiziaria, purché gli indizi siano gravi, precisi e concordanti” (Cons. Stato, sez. VI, n. 3197 del 2018, cit.; Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4123).
A tale proposito, occorre distinguere tra elementi di prova endogeni ed esogeni.
I primi sono afferenti all’anomalia della condotta delle imprese, non spiegabile secondo un fisiologico rapporto tra di loro, con onere della prova in capo all’Autorità .
I secondi sono afferenti all’esistenza di contatti sistematici tra le imprese e scambi di informazioni, con onere in capo all’imprese che dovranno fornire una diversa spiegazione lecita delle loro condotte (Cons. Stato, sez. VI, 13 maggio 2011, n. 2925).
L’intesa può essere anche “unica e complessa”.
La particolarità di tale tipologia di intesa risiede nel peculiare atteggiarsi dell’elemento soggettivo e oggettivo.
L’elemento soggettivo attiene, innanzitutto, alla presenza di plurime imprese che pongono in essere la pratica vietata. La unicità dell’illecito contestato presuppone che tra le imprese via sia la consapevolezza dell’azione delle altre imprese. Anche tale elemento deve desumersi in via indiziaria da elementi oggettivi.
L’elemento oggettivo attiene alla condotta che deve avere rilevanza sul piano causale, contribuendo alla realizzazione dell’illecito.
Il sindacato giurisdizionale volto ad accertare le intese anticoncorrenziali è finalizzato a verificare se l’Autorità ha violato il principio di ragionevolezza tecnica, senza che sia consentito, in coerenza con il principio costituzionale di separazione, sostituire le valutazioni, anche opinabili, dell’amministrazione con quelle giudiziali.
In particolare, la giurisprudenza amministrativa più recente – superate alcune incomprensioni lessicali legate all’inziale distinzione tra sindacato “debole” e “forte” – ha ammesso una piena conoscenza del fatto e del percorso intellettivo e volitivo seguito dall’amministrazione. Si è affermato che “l’unico limite in cui si sostanzia l’intangibilità della valutazione amministrativa complessa è quella per cui, quando ad un certo problema tecnico ed opinabile (in particolare, la fase di c.d. “contestualizzazione” dei parametri giuridici indeterminati ed il loro raffronto con i fatti accertati) l’Autorità ha dato una determinata risposta, il giudice (sia pure all’esito di un controllo “intrinseco”, che si avvale cioè delle medesime conoscenze tecniche appartenenti alla scienza specialistica applicata dall’Amministrazione) non è chiamato, sempre e comunque, a sostituire la sua decisione a quella dell’Autorità, dovendosi piuttosto limitare a verificare se siffatta risposta rientri o meno nella ristretta gamma di risposte plausibili, ragionevoli e proporzionate, che possono essere date a quel problema alla luce della tecnica, delle scienze rilevanti e di tutti gli elementi di fatto” (Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 2019, n. 4990). Tale sindacato è stato definito di “”attendibilità tecnica” e “non sostitutivo”” (Cons. Stato, sez. VI, n. 4990 del 2019).
2.2.- Nella fattispecie concreta, l’Autorità ha accertato l’esistenza di un’intesa unica e complessa, consistente in un “accordo generale di non belligerenza” tra le imprese di gestione volto alla ripartizione del mercato e della clientela, i cui partecipanti si sarebbero identificati, in un’apposita lista rinvenuta dall’Autorità, come “concorrenti amici”.
In particolare, detto accordo avrebbe previsto: i) l’astensione reciproca dal formulare offerte ai rispettivi clienti; ii) un meccanismo di compensazione dei clienti reciprocamente sottratti tra le parti, finalizzato a mantenere invariati i volumi di vendita tra i concorrenti partecipanti all’intesa, nonché gli ambiti rispettivi di operatività geografica; iii) il ricorso, a fini spartitori, a subappalti, nonché la partecipazione concertata a gare nazionali dei cd. “grandi clienti”, le cessioni incrociate di rami d’azienda e l’utilizzo distorto di raggruppamenti temporanei tra imprese in occasione di gare pubbliche e private.
A tale intesa, in “maniera complementare”, sono state affiancate le seguenti “Iniziative”: i) elaborazione, a partire da novembre del 2008, di un “capitolato standard” da sottoporre alle stazione appaltanti per contrastare un’eccessiva competizione sulle condizioni economiche (prezzi e ristorni) in occasione di gare pubbliche; ii) aumento dei prezzi di vendita dei prodotti, la cui necessità sarebbe stata sostenuta da Co. dal marzo del 2001; iii) sensibilizzazione degli associati affinché venisse traslato a valle l’aumento dell’Iva da 4% al 10%.Nell’analisi delle singole condotte, l’Autorità, correttamente, non ha ritenuto che dovessero ricorrere tutti questi elementi, avendo ritenuto sufficiente la dimostrazione di alcuni di essi ai fini dell’accertamento dell’intesa unica e complessiva.
Il mercato, da punto di vista geografico, è stato individuato nell’intero territorio nazionale o in parte rilevante di esso.
Il mercato, dal punto di vista merceologico, è stato individuato nell’attività di cd. vending, consistente nella somministrazione di bevande calde e fredde e di cibi preconfezionati, mediante apparecchi di distribuzione automatici (cd. vending machines-Fs.) e semi-automatici (cd. Oc.).
3.- Con un primo motivo si assume l’erroneità della sentenza per non avere individuato le seguenti illegittimità del provvedimento impugnato: i) erronea individuazione del mercato merceologico, in quanto sono diversi i beni e i servizi che vengono distribuiti con il vending automatico (installazione della macchina, rifornimento dei prodotti da inserire nei distributori, vendita dei prodotti con il metodo self-service, gestione degli incassi, gestione dei rapporti con i clienti, manutenzione dei distributori) rispetto a quelli che vengono distribuiti con il vending semiautormatico (cessione in comodato della macchina e ricavi dalla vendita del caffè porzionato); si aggiunge che non si comprende perché non siano stati ricompresi dall’Autorità anche i venditori esclusivamente di Oc. e quelli che esercitano l’attività tramite canali fisici e online; ii) erronea individuazione del mercato geografico che, per la particolarità dell’attività che viene in rilievo e per i costi del personale, non può che avere dimensione locale.
Il motivo non è fondato.
In relazione alla definizione del mercato, sotto il profilo merceologico e geografico, essa è necessaria per individuare l’ambito nel quale le imprese interessate sono in concorrenza tra loro e dunque il contesto economico e giuridico nel quale l’intesa può restringere o falsare il meccanismo concorrenziale, consentendo di verificare il grado di offensività dell’intesa stessa (Cons. Stato, sez. VI, 10 luglio 2018, n. 4211).
Il mercato del prodotto rilevante comprende tutti i prodotti e/o servizi che sono considerati intercambiabili o sostituibili dal consumatore, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell’uso al quale sono destinati (Corte di Giustizia, sentenza del 28 febbraio 2013, Ordem dos Té cnicos Oficiais de Contas, C 1/12, punto 77). Il mercato geografico rilevante comprende l’area nella quale le imprese in causa forniscono o acquistano prodotti o servizi, nella quale le condizioni di concorrenza sono sufficientemente omogenee e che può essere tenuta distinta dalle zone geografiche contigue perché in queste ultime le condizioni di concorrenza sono sensibilmente diverse.
La individuazione del mercato, sul piano geografico e merceologico, è espressione del potere di valutazione tecnica che può essere sindacato solo quando viola il principio di ragionevolezza.
Nella fattispecie in esame, l’Autorità ha correttamente individuato il mercato, dal punto di vista geografico, nell’intero territorio nazionale o in una sua parte rilevante. In particolare, si è affermato che: i) “l’articolazione delle imprese parti del procedimento sul territorio nazionale evidenzia la presenza di ampie aree di sovrapposizione tra le stesse, più o meno estese a seconda della loro scala di attività “; ii) “imprese attive su scala nazionale, come ad esempio Iv. e Ar., si trovano in relazione di concorrenza diretta con pressoché tutte le altre parti del procedimento”; iii) “poiché le parti del procedimento rappresentano i principali operatori nazionali dell’attività di gestione, in assenza di significative barriere all’entrata a livello locale, tali imprese individuano anche i principali concorrenti potenziali, l’una dell’altra, in grado di espandere la propria attività a nuove aree territoriali in un breve lasso di tempo con una produzione parimenti competitiva”.
Dal punto di vista merceologico, le imprese coinvolte operano esclusivamente o prevalentemente nell’attività di gestione che consistente nell’installazione presso il cliente dei distributori automatici e/o delle macchine per il caffè (Oc.) in comodato d’uso gratuito, fornendo l’assistenza tecnica e la manutenzione ordinaria e straordinaria e vendendo prodotti alimentari grazie al rifornimento periodico dei distributori o alla consegna presso il cliente della cialde o capsule per le macchine Oc.. La diversità attiene solo alla circostanze che le macchine Oc. sono più piccole e semplici da installare, il che non impedisce di considerare, come fatto dall’Autorità, in maniera unitaria il mercato di riferimento.
L’individuazione del mercato, così effettuata, non risulta in contrasto con il principio di ragionevolezza.
Lo svolgimento di un’attività locale circoscritta ad un territorio, come nella specie, non esclude la rilevanza nazionale dell’intesa illecita proprio in ragione della sua valenza unita e complessa. L’Autorità ha individuato, infatti, lo scopo dell'”accordo” tra le diverse imprese coinvolte anche nel solo mantenimento della posizione acquisita in un determinato territorio.
4.- Con un secondo e quarto motivo si assume l’erroneità della sentenza per non avere individuato le seguenti illegittimità del provvedimento impugnato: i) mancherebbe la prova dell’intesa e l’Autorità non avrebbe considerato la posizione di Iv.; ii) la registrazione tra il segnalante e il call center del Gr. Ar. sarebbe stata fraintesa, in quanto le istruzioni date al call center avrebbero riguardato l’attività di Argenta nella sua qualità di distributore dei prodotti Ne.; iii) il sistema delle compensazioni avrebbe il solo fine di ottimizzare la logistica del territorio dell’impresa; iv) inesistenza dell’asserita concertazione tra le parti in occasione di gare pubbliche o private e, in ogni caso, estraneità di Iv. a tali condotte (il ricorso allo strumento delle Ati avveniva per non sostenere i costi dell’investimento delle macchine; il ricorso allo strumento del subappalto era legato a ragioni di convenienza); insussistenza di partecipazioni incrociate
I motivi non sono fondati.
L’Autorità ha dimostrato la sussistenza di un’intesa unica e complessa. La prova di accordi bilaterali tra l’appellante e le altre società indicate assume valenza sufficiente, in ragione della stesse caratteristiche del mercato, a dimostrare l’esistenza dell’intesa unica in quanto si tratta di tasselli che si inseriscono in un quadro complessivo indiziario idoneo a provare l’intesa stessa. Non è necessario, dunque, come correttamente sottolineato dal primo giudice, che ci sia la prova della partecipazione dell’appellante ad ogni singolo episodio contestato dall’Autorità .
Tale prova è stata fornita in modo adeguato dall’Autorità mediante l’istruttoria che ha fornito gli elementi probatori puntualmente indicati al par. 136-139 del provvedimento impugnato. In particolare, risultano: i) accordo tra Iv. e Ar. relativo ad un accordo sottoscritto tra le società a fine 2008; ii) sistema di compensazioni tra Iv. e Ar.; iii) contatti e appoggi tra Iv. e Li. con riguardo alla gara relativa alla casa circondariale di Ba.; iv) costituzione con Li. ed altri di raggruppamenti temporanei di impresa che inseriti in questo specifico contesto non sono sorretti da ragioni di convenienza economica ma di falsificazione delle regole della concorrenza; v) contatti con il Gruppo Bu. considerati concorrenti “amici”; vi) sistemi di compensazioni tra Da. e Iv.; vii) costituzione di concorrenti “amici” di associazioni temporanee di imprese (spec. punto 39; altri analoghi elementi probatori sono contenuti nei paragrafi sopra indicati del provvedimento, che si omettono per ragioni di sinteticità ).
Si tratta di un quadro probatorio sufficiente a ritenere provata l’intesa senza che le argomentazioni difensive dell’appellante siano in grado di inficiarne la validità .
5.- Con un terzo motivo si assume l’erroneità della sentenza per avere travisato il ruolo di Co.. In particolare: i) la redazione di un capitolato standard e di un capitolato breve avrebbe costituito uno strumento legittimo per evitare la redazione di bandi di gara imprecisi e lacunosi, evitando che le singole imprese iniziassero procedure competitive una diversa dall’altra e assicurando qualità dei servizi con finalità pro-competitiva; ii) non sarebbe corrispondente al vero che Co. avrebbe promesso un aumento generalizzato dei prezzi, essendosi limitata ad informare i consumatori; iii) non sarebbe corrispondente al vero il ruolo che l’Autorità ha attribuito a Co. in relazione all’aumento dell’Iva, non essendo sostenibile, sul piano economico, che senza l’intervento dell’Associazione non vi sarebbe stata una traslazione economica piena dell’aumento dell’imposta sui consumatori
Il motivo non è fondato.
Nel provvedimento dell’Autorità sono riportati, con ampia motivazione, una serie di elementi istruttori acquisiti che dimostrano in modo chiaro il ruolo che ha avuto Co. nell’ambito della dell’intesa in esame. In particolare, con riferimento alla redazione del capitolo standard, dalla lettura di alcuni messaggi tra imprese emerge come il fine sia stato quello di evitare che potesse liberamente operare la concorrenza nella fase di presentazione dell’offerta economica (spec. par. 184-194). Allo stesso modo dalle risultanze istruttorie emerge anche un ruoto attivo dell’Associazione con riguardo sia all’aumento generalizzato dei prezzi (par. 195-202) sia all’adeguamento dell’Iva (par. 203-221).
La tesi difensiva volta a dimostrare come si sia trattato di comportamenti alternativi leciti non è riuscita a sconfessare l’ampio corredo motivazionale del provvedimento dell’Autorità .
6.- Con un quinto motivo si assume l’erroneità della sentenza per non avere considerato illegittima la modalità di determinazione della sanzioni per le seguenti ragioni: i) l’intesa non è grave essendo mancata la valutazione degli effetti prodotti sul mercato; ii) la durata non può farsi risalire al 27 agosto 2007, in quanto tale data si riferisce ad un incontro bilaterale tra due soli concorrenti, dovendosi, al più, farsi risalire alla riunione del 29 luglio 2010 che si è svolta in Co.; iii) applicazione erronea della cd. entry fee e della circostanza aggravante relativa al ruolo che la società avrebbe svolto nell’ambito dell’intesa
Il motivo è in parte fondato.
L’art. 15, primo comma, della legge n. 287 del 1990 prevede che nei casi “di infrazioni gravi, tenuto conto della gravità e della durata dell’infrazione” si applica “una sanzione amministrativa pecuniaria fino al dieci per cento del fatturato realizzato in ciascuna impresa o ente nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida”.
L’art. 31 della legge n. 287 del 1990 precisa poi che: “per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla violazione della presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689”.
L’articolo 11 della legge 24 novembre 1981, n. 689, detta i criteri per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie stabilendo che: “nella determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria fissata dalla legge tra un limite minimo ed un limite massimo e nell’applicazione delle sanzioni accessorie facoltative, si ha riguardo alla gravità della violazione, all’opera svolta dall’agente per la eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione, nonché alla personalità dello stesso e alle sue condizioni economiche”.
Le linee guida dell’Autorità, ai fini del calcolo della sanzione, prevedono quanto segue:
– “affinché la sanzione abbia un’effettiva efficacia deterrente, è almeno necessario che essa non sia inferiore ai vantaggi che l’impresa si attende di ricavare dalla violazione”; “tali vantaggi, dipendendo dalla tipologia di infrazione posta in essere, sono funzione del valore complessivo delle vendite interessate dalla condotta illecita”; “per questa ragione, l’Autorità ritiene che le sanzioni applicabili agli illeciti antitrust debbano essere calcolate a partire dal valore delle vendite dei beni o servizi oggetto, direttamente o indirettamente, dell’infrazione, realizzate dall’impresa nel mercato/i rilevante/i nell’ultimo anno intero di partecipazione alla stessa infrazione (di seguito, valore delle vendite)” (par. 8);
– “la percentuale da applicarsi al valore delle vendite cui l’infrazione si riferisce sarà determinata in funzione del grado di gravità della violazione. Tale percentuale non sarà superiore al 30% del valore delle vendite” (par. 11);
– “nel valutare la gravità della violazione, l’Autorità terrà conto in primo luogo della natura dell’infrazione”; “l’Autorità ritiene che le intese orizzontali segrete di fissazione dei prezzi, di ripartizione dei mercati e di limitazione della produzione costituiscano le più gravi restrizioni della concorrenza”; “al riguardo, l’eventuale segretezza della pratica illecita ha una diretta relazione con la probabilità di scoperta della stessa e, pertanto, con la sanzione attesa” (par. 12);
– per le infrazioni da ultimo indicate “la percentuale del valore delle vendite considerata sarà di regola non inferiore al 15%” (par. 12, ult. cpv).
Le stesse linee guida dispongono che quando l’importo finale della sanzione superi il massimo edittale del 10 per cento del fatturato “esso è ridotto nella misura eccedente tale limite”; in questi casi la base di calcolo del massimo edittale è rappresentata dal “fatturato totale realizzato a livello mondiale nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida, da parte di ciascuna impresa partecipante all’infrazione” (par. 29).
Infine, si prevede che “le specifiche circostanze del caso concreto o l’esigenza di conseguire un particolare effetto deterrente possono giustificare motivate deroghe dall’applicazione delle presenti Linee Guida, di cui si dà espressamente conto nel provvedimento che accerta l’infrazione” (part. 34).
Alla luce di quanto esposto risulta che le linee guida hanno previsto che, nell’applicazione delle sanzioni pecuniarie, da un lato, non occorre superare il limite massimo del 10% del fatturato in attuazione di quanto prescritto dall’art. 15 della legge n. 287 del 1990, dall’altro, il limite minimo del 15% del valore delle vendite.
Le due prescrizioni hanno una portata differente e rispondono a finalità diverse.
Il limite massimo del 10% persegue una finalità di garanzia per l’impresa e ha ad “oggetto” il fatturato globale.
Il limite minimo del 15% persegue una finalità punitiva per l’impresa e ha ad “oggetto” il valore delle vendite relativi all’intesa illecita.
Tale normativa, quando vengono in rilievo imprese multiprodotto, implica, in relazione alla parte di attività oggetto dell’intesa illecita, l’applicazione del limite minimo del 15% che, spostato sull’intero fatturato, non deve comunque superare il 10%.
Nel caso di imprese monoprodotto l’applicazione del minimo edittale del 15% implica l’applicazione sempre del massimo edittale del 10%.
Nella fattispecie concrete tali regole sono state solo in parte rispettate.
In relazione al coefficiente di gravità, esso è stato correttamente applicato dall’Autorità venendo in rilievo un’intesa per oggetto.
In relazione alla durata essa è stata ragionevolmente individuata dall’Autorità . In particolare, l’Autorità ha motivato in modo non irragionevole in ordine al dies a quo che viene individuato nel 27 agosto 2017 alla luce di contatti bilaterali tra imprese che, anche alla luce di quanto sopra riportato in ordine alla ricostruzione complessiva dell’intesa unica e complessa, rappresenta sufficiente elemento probatorio. Allo stesso modo non risulta irragionevole, alla luce del materiale istruttorio raccolto, avere individuato il dies ad quem nel giorno dell’ispezione dell’Autorità che si è svolta il 3 marzo 2015.
In relazione al cd. entry fee, il punto 17 delle linee guida prevede che “l’Autorità potrà considerare opportuno l’inserimento nell’importo di base di un ammontare supplementare compreso tra il 15% e il 25% del valore delle vendite dei beni o servizi oggetto dell’infrazione”.
In questi casi, occorre che l’applicazione di tale importo sia adeguatamente motivato. Nella specie, avuto riguardo a quanto risulta dal materiale probatorio, tale specifica motivazione manca.
In relazione all’applicazione della circostanza aggravante del cartelringleader (capofila del cartello), la giurisprudenza di questo Consiglio ha affermato, alla luce degli orientamenti maturati in sede comunitaria, che, ai fini dell’applicazione della cd. “aggravante organizzativa”, è necessario, alternativamente, che l’impresa: i) “abbia rappresentato una forza promotrice ed abbia avuto una particolare responsabilità nel suo funzionamento; ii) si sia incaricata di elaborare e di suggerire la condotta, dando impulso fondamentale all’esecuzione dell’accordo; iii) si sia impegnata al fine di assicurare la stabilità e la riuscita degli accordi illeciti; iv) si sia incaricata di organizzare gli incontri” (Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2014, n. 4511).
Nella vicenda in esame l’Autorità, nel provvedimento impugnato, non ha fornito tale prova, non essendo sufficienti, per la loro genericità, i riferimenti alla diffusione della società sul territorio e alla circostanza di essere consultata dai concorrenti.
Alla luce di quanto esposto, l’Autorità dovrà rideterminare la sanzioni inflitta nei limiti indicati nella motivazione della presente sentenza.
6.- L’esito della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando:
a) rigetta l’appello principale proposto dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, con il ricorso indicato in epigrafe;
b) in parte rigetta e in parte accoglie l’appello proposto da Iv., con il ricorso indicato in epigrafe.
c) dichiara integralmente compensate le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 14 marzo 2019, 13 giugno 2019, con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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