Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 22 ottobre 2019, n. 43254.

Massima estrapolata:

Il silenzio serbato dall’indagato in sede di interrogatorio di garanzia non può essere utilizzato quale elemento di prova a suo carico, ma da tale comportamento processuale il giudice può trarre argomenti di prova, utili per la valutazione delle circostanze aliunde acquisite, senza che, naturalmente, ciò possa determinare alcun sovvertimento dell’onere probatorio. Con l’ulteriore precisazione che il silenzio dell’imputato, come desumibile dalla presa di posizione assunta dalla Cedu (sentenza 8 febbraio 1996, Murray contro Regno unito), se in partenza costituisce un dato processualmente neutro, può nondimeno assumere anche un più significato rilievo, in misura direttamente proporzionale alla solidità degli elementi di accusa, che in ipotesi risultino privi di idonea spiegazione.

Sentenza 22 ottobre 2019, n. 43254

Data udienza 19 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – rel. Consigliere

Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 17/09/2018 della CORTE APPELLO di CAGLIARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GASTONE ANDREAZZA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. MOLINO Pietro, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’;
udito il difensore di fiducia Avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari in data 17/09/2018 di conferma della sentenza del Tribunale della medesima citta’ in data 07/04/2017 di condanna per il reato di cui all’articolo 609 quater c.p., comma 1 n. 1, per aver compiuto atti sessuali con (OMISSIS) (capo sub a) e per il reato di cui all’articolo 609 bis c.p., per avere costretto la stessa a subire atti sessuali (capo sub b).
2. Con un primo motivo lamenta l’inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale nonche’ vizio di motivazione in relazione alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Nel corso dell’istruttoria sarebbe stato escusso il M.llo (OMISSIS), il quale avrebbe precisato come i contatti originati dai diversi numeri di telefono in uso al (OMISSIS) sarebbero stati prodotti dalla medesima scheda SIM, tale circostanza venendo ricavata dal numero seriale identificativo della medesima scheda. Il Tribunale avrebbe inoltre fondato la penale responsabilita’ dell’imputato anche a fronte del numero di contatti originati dalle utenze telefoniche in uso al (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS), posto che la prima utenza avrebbe generato 1253 contatti dal 27/07/2012 al 20/12/2012 mentre la seconda ne avrebbe generati 9228 dal 08/06/2012 al 31/12/2012. Pertanto, il (OMISSIS), oltre ad aver utilizzato il medesimo telefono cellulare, avrebbe usufruito della medesima scheda SIM materiale dalla quale sarebbe stato generato un traffico telefonico riconducibile a due differenti numeri telefonici. Deduce tuttavia che una sola scheda SIM non avrebbe potuto generare contemporaneamente traffico da due utenze differenti e che tale circostanza avrebbe pertanto leso la congruita’ della deposizione del teste essendo stata, con i motivi di appello, conseguentemente richiesta una rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale a fronte della incompletezza dell’indagine proprio per appurare tale possibilita’ e ricondurre le utenze all’imputato, richiesta tuttavia non accolta dalla Corte di appello.
3. Con un secondo motivo lamenta travisamento della prova e contraddittorieta’ della motivazione, violazione dei canoni di valutazione della prova ed inversione del corretto ragionamento logico probatorio nonche’ mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alle dichiarazioni della persona offesa e, da ultimo, violazione dell’articolo 192 c.p.p.. Il Tribunale e la Corte di appello avrebbero erroneamente ritenuto attendibile la persona offesa le cui dichiarazioni sarebbero state connotate da genuinita’ e non revocabilita’ in dubbio; infatti: la persona offesa avrebbe riferito a dibattimento che nel mese di luglio 2012 l’imputato le avrebbe chiesto il numero di telefono con il pretesto di sentire la suoneria mentre,, quando era stata sentita a sommarie informazioni, la (OMISSIS) avrebbe riferito che il (OMISSIS) sarebbe stato gia’ in possesso del proprio numero di telefono ed avrebbe fatto squillare il telefono della persona offesa e non viceversa; in relazione al primo rapporto sessuale, la (OMISSIS), in sede dibattimentale, aveva riferito che lo stesso era avvenuto a Gonnostramatza mentre, sentita precedentemente a sommarie informazioni, aveva collocato il luogo a (OMISSIS); inoltre, mentre in sede dibattimentale aveva specificato che solo uno dei successivi rapporti era avvenuto senza protezione, in sede di sommarie informazioni aveva riferito che anche il primo era avvenuto senza uso di preservativo. In relazione poi al momento in cui sarebbero insorte le minacce, la Corte di appello avrebbe ritenuto che l’atteggiamento in tal senso del ricorrente ebbe ad iniziare subito dopo il primo rapporto sessuale, in contrasto tuttavia rispetto alla deposizione resa dalla (OMISSIS) a dibattimento, secondo cui le minacce erano avvenute solo in un secondo momento. Quanto al tenore delle minacce, la persona offesa aveva riferito a dibattimento di domande semplicemente fattele dall’uomo su dove si trovassero i propri genitori, mentre in sede di sommarie informazioni aveva dichiarato che le minacce proferite dal ricorrente sarebbero state esplicitamente rivolte a prospettare la morte sua e dei genitori.
In altri termini, dagli atti del processo sarebbe emerso il difetto di prova circa gli elementi necessari all’integrazione del fatto di reato contestato al (OMISSIS), quali il luogo di adescamento, quello del primo rapporto, il momento nel quale il ricorrente avrebbe convinto la persona offesa a consumare un rapporto sessuale senza protezione, l’integrazione della condotta di minacce al fine di reiterare il reato ed infine il tenore delle stesse. Ne’ si spiegherebbe la ragione per la quale (OMISSIS), gia’ in possesso del numero di telefono della (OMISSIS), avrebbe dovuto nuovamente chiedel-lo a quest’ultima al sol fine di farlo squillare e sentire la suoneria, tanto piu’ cio’ potendo creare sospetti sul perche’ l’imputato volesse il numero della minore. Quanto in particolare al luogo del primo incontro, la persona offesa nell’immediatezza dei fatti aveva inverosimilmente indicato come tale il paese di residenza, ove quest’ultima poteva infatti essere vista e riconosciuta all’interno di una autovettura condotta da una persona adulta e non in Gonnosfanadiga ove la (OMISSIS) si recava saltuariamente e, dunque, con minori possibilita’ di essere riconosciuta, solo a dibattimento poi correggendo tali prime, non credibili, dichiarazioni. Quanto poi alle minacce, al (OMISSIS) sarebbero state contestate le ipotesi di reato di cui all’articolo 609 quater c.p., comma 1, n. 1, e articolo 609 bis c.p., in quest’ultimo caso per aver costretto la (OMISSIS) a compiere e subire atti sessuali con minaccia; la data del 29 settembre, momento dal quale e’ stata poi contestata al (OMISSIS) la condotta di cui al capo sub b) dell’imputazione, coinciderebbe con la data di nascita della (OMISSIS) e, quindi, il compimento degli anni quattordici configurerebbe la differente condotta delittuosa di cui all’articolo 609 bis c.p., che, tuttavia, gia’ comprenderebbe la condotta minacciosa. Le minacce di cui al capo sub b) dell’imputazione sarebbero state null’altro che la ripetizione delle parole che avrebbe pronunciato il (OMISSIS) durante ed immediatamente dopo il primo rapporto sessuale cosi’ come riferito in sede di sommarie informazioni dalla persona offesa che tuttavia, a dibattimento, aveva riferito che in un primo momento non vi sarebbero state minacce aggiungendo non ricordare quando queste sarebbero state proferite.
4. Con un terzo ed ultimo motivo lamenta inosservanza ed erronea applicazione delle legge penale nonche’ mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione relativamente all’utilizzo delle dichiarazioni dell’imputato. Deduce che le mancate risposte fornite dal (OMISSIS) non avrebbero potuto essere utilizzate probatoriamente e che in particolare all’imputato non si sarebbe potuto chiedere di spiegare il tenore dei messaggi con la teste (OMISSIS), posto che la domanda sarebbe stata formulata in palese violazione dell’articolo 198 c.p.p., comma 2, in quanto finalizzata a farlo deporre su fatti similari ai reati contestati dai quali sarebbe potuta emergere una sua responsabilita’ penale. Sicche’ la conclusione relativa alla personalita’ dell’imputato come incline a intrattenere deprecabili attitudini con minorenni sarebbe illegittima.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo e’ inammissibile.
Anche a volere prescindere dal fatto che nel ricorso non si specifica quale avrebbe dovuto essere l’atto di rinnovazione da compiere (gia’ cio’ solo rendendo generico il motivo), va osservato che la ordinanza della Corte territoriale con cui e’ stata rigettata la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ha spiegato, come.riportato nello stesso motivo di ricorso, che il dato della titolarita’ delle due utenze telefoniche interessate dai contatti intervenuti con la persona offesa “come intestate e in uso all’imputato” non era in contestazione, essendo cio’ stato accertato dallo stesso M.llo (OMISSIS). Tale dato, evidentemente fondante la effettiva riconducibilita’ all’imputato dei numerosissimi contatti con la persona offesa, e la cui sussistenza neppure col ricorso l’imputato (che preferisce soffermarsi sul solo aspetto della scheda trascurando le utenze) oggi contesta, appare pertanto rendere logicamente motivato il rigetto della richiesta di rinnovazione, discendendo infatti dallo stesso la mancanza del requisito dell’assoluta necessita’ ex articolo 603 c.p.p., comma 3, dell’atto richiesto (e, come sopra detto, neppure specificato).
2. Il secondo motivo di ricorso, concernente il profilo della motivazione della sentenza resa con riguardo alla valutazione dell’attendibilita’ della persona offesa, e’ inammissibile. E cio’, in particolare, alla luce della necessaria e preliminare considerazione circa la natura delle doglianze sollevate che, a dispetto della formale indicazione dei vizi motivazionali asseritamente individuabili nella sentenza impugnata, sono in realta’ dirette a sollecitare a questa Corte una non consentita rilettura del compendio probatorio e a richiedere direttamente una nuova valutazione dello stesso e, in particolare, della credibilita’ della testimone-persona offesa e dell’attendibilita’ delle sue dichiarazioni. Va infatti ribadito che, anche dopo le modifiche dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), introdotte dalla L. n. 46 del 2006, il sindacato della Cassazione continua a restare quello di sola legittimita’ si’ che esula dai poteri della stessa quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione anche laddove venga prospettata dal ricorrente una diversa e piu’ adeguata valutazione delle risultanze processuali (tra le altre, Sez. 2, n. 23419 del 23/05/2007, P.M. in proc. Vignaroli, Rv. 236893 e Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099).
Ricondotta dunque l’analisi della motivazione della sentenza impugnata all’interno dei confini cognitivi fisiologicamente propri del giudizio di legittimita’, va osservato che la Corte territoriale ha, con argomentazioni del tutto logiche ed esaustive, argomentato in ordine alla sussistenza dei fatti addebitati all’imputato prendendo le mosse anzitutto dalle dichiarazioni della persona offesa circa la sua avvenuta induzione, prima del compimento di quattordici anni, ad intrattenere, dapprima in forze di lusinghe persuasive e, successivamente, una volta consumato il primo rapporto completo, sulla base di atteggiamenti minacciosi, rapporti sessuali con l’imputato.
Tali dichiarazioni, ritenute lineari e coerenti, nonche’ assistite, quanto al momento genetico, da spontaneita’, atteso che, come posto in evidenza dalla sentenza impugnata, la ragazza ebbe a rivelare per prima alla insegnante (OMISSIS) di essere stata ripetutamente costretta a tali atti dall’imputato, sono state poi ritenute riscontrate in primo luogo dalle migliaia di contatti e messaggi telefonici intervenuti, per lo piu’ in orario notturno, e nel periodo indicato dalla stessa ragazza, con utenze, come gia’ detto, riconducibili all’imputato senza che quest’ultimo, pur sottopostosi ad esame dinttimentale, abbia ritenuto di spiegare tale fatto, essendosi su cio’ avvalso della facolta’ di non rispondere.
In secondo luogo la Corte ha correttamente valorizzato la emersione oggettiva dell’ulteriore dato della frequentazione dell’imputato, da questi riferito alla stessa persona offesa, con la sorella della propria convivente, ovvero (OMISSIS), essendo infatti stato individuato il relativo riscontro nelle intercettazioni telefoniche (ove, a conferma delle propensioni dell’imputato, e, dunque, ad indiretta conferma della attendibilita’ della persona offesa, e’ emersa anche l’offerta alla (OMISSIS) di dieci grammi di stupefacente per ottenere un rapporto sessuale con altra ragazzina, (OMISSIS), poi direttamente contattata dallo stesso (OMISSIS)).
In terzo luogo, la sentenza ha evidenziato, oltre al dato della accertata deflorazione a seguito della visita ginecologica effettuata dopo la presentazione della querela, i gravi disturbi comportamentali palesati dalla persona offesa come riferiti dalla psicologa esaminata, dai genitori della ragazza e dalla professoressa (OMISSIS).
A fronte di tale complessivo quadro probatorio la sentenza ha tratto dunque coerenti conclusioni circa la addebitabilita’ all’imputato delle condotte di cui all’imputazione, ritenendo, con consequenzialita’ logica, recessive le denunciate “contraddizioni” interne alle dichiarazioni della persona offesa, in realta’ inidonee ad incidere, al di la’ di diversita’ su circostanze marginali e di contorno (l’avere l’imputato, per stabilire il contatto telefonico, fatto squillare il proprio cellulare o, invece, il cellulare della persona offesa, l’avere l’imputato usato precauzioni gia’ in occasione del primo rapporto consumato o invece dei soli successivi, l’avere l’imputato usato minacce esplicite ovvero implicite), sui fatti essenziali; tanto piu’ avendo, anzi, la persona offesa riferito di circostanze peculiari (come il fatto che l’imputato, appreso del possibile rischio di una gravidanza della ragazza, le aveva imposto di incontrare un altro ragazzo al fine di scaricare sullo stesso eventuali responsabilita’) di per se stesse evidenzianti la credibilita’ della testimone.
3. Il terzo motivo di ricorso, che pare incentrato sulla doglianza per cui i giudici del merito non avrebbero potuto valorizzare il silenzio mantenuto dall’imputato, durante il proprio esame, su alcune domande (in particolare quelle relative ai rapporti con la minorenne (OMISSIS)) e’ anch’esso inammissibile.
Va, pregiudizialmente, detto che la sentenza non ha ritenuto provate le frequentazioni dell’imputato con la (OMISSIS) (valorizzate, come gia’ detto, ad indiretto riscontro delle dichiarazioni della persona offesa) sulla base della mancata risposta dell’imputato a domande sul punto, ma, come gia’ spiegato, in forza dell’inequivocabile contenuto di intercettazioni telefoniche agli atti, sicche’ il preteso divieto di utilizzazione appare, in tal caso, mal posto.
Una utilizzazione sfavorevole del silenzio dell’imputato e’ stata semmai fatta dalla sentenza impugnata, come, anche in tal caso, gia’ anticipato sopra, in relazione alla mancata risposta alla richiesta di spiegazibne delle ragioni, che’ non fossero quelle de’ttate da un interesse di carattere sessuale, per le quali tra lo stesso e la persona offesa siano intercorsi migliaia di contatti telefonici.
In proposito va pero’ ricordato che, come affermato da questa Corte, il silenzio serbato dall’indagato in sede di interrogatorio non puo’ essere utilizzato quale elemento di prova a suo carico, ma da tale comportamento processuale il giudice puo’ comunque trarre argomenti utili per la valutazione delle circostanze “aliunde” acquisite, senza che, naturalmente, cio’ possa determinare alcun sovvertimento dell’onere probatorio (tra le altre, Sez. 2, n. 6348 del 28/01/2015, Drago, Rv. 262617; Sez. 1, n. 2653 del 26/10/2011, M., Rv. 251828; Sez. 2, n. 22651 del 21/04/2010,, Di Perna, Rv. 247426). Si e’ anche, di recente, precisato, anche richiamando la posizione presa al riguardo dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (sent. 08/02/1996, Murray c. Regno Unito), che il silenzio dell’imputato, se in partenza costituisce un dato processualmente neutro, puo’ nondimeno assumere anche un piu’ significativo rilievo, in misura direttamente proporzionale alla solidita’ degli elementi di accusa, che in ipotesi risultino privi di idonea spiegazione (Sez. 6, n. 28008 del 19/06/2019, Arena e altri, non ancora massimata; Sez. 6, n. 40347 del 02/07/2018, Berlusconi, non massimata sul punto).
E, nella specie, nessuna violazione di un tale principio e’ stata operata posto che, come gia’ visto, la sentenza non ha, ovviamente, assunto la mancata spiegazione sul punto a prova della responsabilita’ dell’imputata, responsabilita’ come gia’ detto, fondata su ben altri presupposti, tra cui, innanzitutto, le dichiarazioni della persona offesa.
4. In definitiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, a cio’ conseguendo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di denaro di Euro 2.000 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2009, articolo 196, in quanto imposto dalla legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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