Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 18 ottobre 2018, n. 47501.
La massima estrapolata:
In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente e di valutazione dei beni che ne sono oggetto, il giudice del riesame è privo di poteri istruttori, incompatibili con la speditezza del procedimento incidentale e con il principio informatore del nuovo processo penale, basato essenzialmente sull’iniziativa delle parti, sicché decide esclusivamente tenendo conto degli elementi emergenti dagli atti trasmessigli dal pubblico ministero e di quelli eventualmente addotti dalle parti nel corso dell’udienza.
Sentenza 18 ottobre 2018, n. 47501
Data udienza 24 settembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. GALTERIO Donatella – rel. Consigliere
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere
Dott. SEMERARO Luca – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la ordinanza in data 19.4.2018 del Tribunale di Latina;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Gaeta Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. (OMISSIS) in sostituzione dell’avv. (OMISSIS) che si e’ riportato ai motivi del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 19.4.2018 il Tribunale di Latina, adito in sede di appello, ha confermato il provvedimento di sequestro preventivo disposto nei confronti di (OMISSIS), indagato per i reati di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, articolo 2621 c.c. e articolo 648 ter c.p., avente ad oggetto somme di danaro, unita’ immobiliari e quote societarie per il complessivo valore di Euro 1.313.016 rigettando la richiesta di dissequestro parziale proposta da quest’ultimo.
2. Avverso il suddetto provvedimento l’imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione, articolando un unico pluriarticolato motivo con il quale deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’articolo 325 c.p.p. e articolo 322-ter c.p., la violazione del principio di proporzionalita’ nella quantificazione del valore dei beni sequestrati, avvenuta in riferimento sia alle quote societarie che agli immobili sulla base di criteri meramente nominalistici e non gia’ di una valutazione di mercato che competeva al giudice della misura cautelare accertare.
Sostiene in particolare l’irragionevolezza della motivazione resa dal Tribunale che, pur condividendo le censure difensive, aveva affermato che le scritture contabili societarie fatte valere dal consulente di parte non potevano essere ritenute idonee a comprovare il valore di mercato delle quote risultando, stante l’omessa indicazione delle poste attive di bilancio della societa’ e la mancata contabilizzazione dei beni distratti, inattendibili senza tuttavia spiegare quale diversa metodologia contabile avrebbe dovuto essere seguita. Omissione questa cui si aggiunge l’inerzia dell’ufficio di Procura che non aveva ritenuto di disporre alcuna perizia al fine di quantificare l’effettivo valore delle quote societarie e degli immobili appresi dalla misura cautelare
CONSIDERATO IN DIRITTO
In tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, questa Suprema Corte ha reiteratamente affermato il principio, che in questa sede si intende ribadire, secondo il quale, al fine di evitare che la misura cautelare si riveli eccessiva nei confronti del destinatario ed in ossequio al principio di adeguatezza, gradualita’ e proporzionalita’ comune a tutte le misure cautelari, anche il valore delle cose sequestrate deve essere adeguato e proporzionale all’importo del credito garantito, costituendone la stima oggetto di ponderata valutazione preventiva da parte del giudice della cautela, controllabile dal Tribunale del riesame e non differibile alla fase esecutiva della confisca, cosi’ da assicurare la congruita’ al prezzo o al profitto del reato dei beni da sottoporre al vincolo in riferimento e il giudice, nel compiere tale verifica, deve fare riferimento alle valutazioni di mercato degli stessi, avendo riguardo al momento in cui il sequestro viene disposto (Sez. 3, n. 17465 del 22/03/2012, Crisci, Rv. 252380; Sez. 3, n. 3260 del 04/04/2012, Curro’, Rv. 254679; Sez. 3, n. 42639 del 26/09/2013, Lorenzini, Rv. 257439; Sez. 6, n. 15807 del 09/01/2014, Anemone, Rv. 259702; Sez. 2, n. 36464 del 21/07/2015, Armeli, Rv. 265059).
Tale principio deve tuttavia contemperarsi con il rilievo parimenti concludente secondo il quale il tribunale del riesame, e’ privo di poteri istruttori, in quanto incompatibili con la speditezza del procedimento incidentale e con il principio informatore del nuovo processo penale, basato essenzialmente sulla iniziativa delle parti, sicche’ decide esclusivamente tenendo conto degli elementi emergenti dagli atti trasmessigli dal pubblico ministero e di quelli eventualmente addotti dalle parti nel corso dell’udienza, dovendo per espletare il ruolo di garanzia dei diritti costituzionali che la legge gli demanda, prendere in considerazione e valutare, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali, e quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma anche le confutazioni e gli elementi offerti dall’indagato che possano avere influenza sulla decisione (cfr., ex plurimis, Sez. 3, 26 gennaio 2011, n. 19594, Cinturino; Sez. 3, 12 gennaio 2010, n. 6656, Calvaruso; Sez. 1, 11 maggio 2007, n. 21736, Citarella; Sez. 4, 21 maggio 2008, n. 23944, Di Fulvio; Sez. 2, 2 ottobre 2008, n. 2808/09, Bedino).
Sulla scorta di tali premesse cui il Tribunale di Latina risulta essersi correttamente uniformato, le censure che il ricorrente rivolge al provvedimento impugnato si configurano meramente fattuali, basate come sono su una astratta critica della metodologia seguita nella valutazione delle quote societarie, senza che vengano con cio’ individuati vizi denunciabili nella presente sede di legittimita’.
I giudici dell’appello cautelare hanno infatti ritenuto, prendendo in esame gli elementi offerti dalla difesa, che la perizia di parte che aveva incentrato la valutazione delle quote sulle scritture contabili delle societa’ non potesse costituire un valido parametro al fine di superare criterio legato al loro valore nominalistico) atteso che era proprio l’inattendibilita’ delle suddette scritture che aveva dato luogo all’imputazione elevata nei confronti dell’odierno ricorrente, cui e’ stato contestato fra i vari capi, il reato di falso in bilancio, la composizione del quale altro non e’ che una sintesi delle stesse scritture contabili. Dal che discende che queste ultime non possano essere poste a fondamento di una perizia di stima del valore delle quote societarie, non essendo idonee a determinare nella fattispecie concreta il valore di mercato dei cespiti attinti dalla misura cautelare reale, stante l’assunta violazione dei criteri di correttezza e trasparenza che attengono alle comunicazioni sociali poste alla base della stessa imputazione in cui figura l’omessa indicazione di poste attive e di beni, vieppiu’ in difetto di elementi diversi offerti dalla difesa dai quali desumere attendibilmente un diverso valore del compendio sequestrato.
Siffatto rilievo risulta del tutto tralasciato dal ricorso che si diffonde in doglianze astratte in ordine al principio di proporzionalita’ ed all’esatta quantificazione del valore dei beni oggetto di apprensione secondo i criteri di mercato, senza affatto confrontarsi sull’incidenza delle scritture contabili sul bilancio che la difesa ritiene cio’ nondimeno utilizzabile.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Segue a tale esito la condanna del ricorrente a norma dell’articolo 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’, al versamento della somma equitativamente liquidata alla Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.