Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 17 dicembre 2018, n. 7093.
La massima estrapolata:
In tema di sanzioni disciplinari a carico di appartenenti alla polizia di Stato, il capo è competente a verificare in autotutela la legittimità di ogni fase del procedimento, compresa la deliberazione della commissione disciplinare, fermo restando che la predetta autorità non può invece intervenire (se non a favore dell’incolpato) sul merito della sanzione proposta dall’organo consultivo.
Sentenza 17 dicembre 2018, n. 7093
Data udienza 6 dicembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3885 del 2018, proposto dal Signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ci., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Interno, Ministero della Difesa, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via (…);
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Sesta n. 884/2018.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e del Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2018 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’avvocato Gi. Ci. e l’avvocato dello Stato Pi. Ga.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 884 dell’8 febbraio 2018 il Tribunale amministrativo regionale per la Campania -Sede di Napoli – ha respinto il ricorso, corredato da motivi aggiunti, proposto dalla odierna parte appellante, Signor -OMISSIS-, teso ad ottenere l’annullamento dei provvedimenti con i quali ne era stata disposta la destituzione dal servizio.
2. L’originario ricorrente aveva prospettato numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere, sostenendo che l’azione amministrativa era viziata sotto il profilo sostanziale ed infraprocedimentale.
3. Il Ministero dell’Interno si era costituito in giudizio, chiedendo la reiezione del ricorso, in quanto inammissibile od infondato.
4.Il T.a.r. con la sentenza impugnata, ha innanzitutto rammentato quale fosse stata la cronologia infraprocedimentale, evidenziando che:
a) l’originario ricorrrente, assistente capo di P.S., era stato “sospeso cautelarmente dal servizio, a decorrere da oggi 16.5.2011” in quanto attinto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per “concorso in riciclaggio”;
b) l’ordinanza cautelare era stata annullata ex art. 309 cpp, ed il procedimento penale era stato poi archiviato nei confronti del predetto;
c) avviata l’azione disciplinare, con la “contestazione degli addebiti”‘ veniva ipotizzata “la mancanza disciplinare prevista dall’art. 7 punti 1 e 2 del d.P.R. 737/81;
d) la commissione di disciplina, invece riqualificava l’illecito, ed applicava la sanzione della sospensione dall’impiego per mesi sei (“considerato il valore delle dichiarazioni ammissorie rese dal dipendente dinanzi al Consiglio in sede di trattazione orale, ove lo stesso ha manifestato sincero ravvedimento per le gravi mancanze commesse, di cui si è assunto piena responsabilità, nella consapevolezza di avere agito in maniera sconsiderata; che la mancanza originariamente contestata possa essere derubricata in quella meno afflittiva prevista dall’art. 6 del D.P.R. 737/81, anche in ragione dello stato di servizio del dipendente e dell’assenza di precedenti disciplinari a suo carico, nonché in ossequio al principio di proporzionalità e gradualità della sanzione da applicare in concreto DELIBERA a maggioranza, di proporre -OMISSIS-, ai sensi dell’art,6 punto 1, in relazione all’art. 4 nn. 2 e 18, e punto 7 del D.P.R. 737/81… “);
e) in data 7.1.2015 il Ministero dell’Interno Dipartimento della Pubblica Sicurezza, ritenendo tale atto viziato, lo annullava, e disponeva la prosecuzione del procedimento disciplinare, che sfociava nella contestata destituzione.
4.1. Il T.a.r. ha quindi scrutinato partitamente le censure proposte, e le ha respinte sostenendo che:
a) non sussisteva alcuna violazione del principio c.d. di “divieto di reformatio in pejus” da parte del Ministero: legittimamente era stata annullata la prima deliberazione del consiglio di disciplina che aveva riqualificato i fatti; peraltro tale atto aveva natura infraprocedimentale e l’impugnazione, seppure infondata, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile;
b) l’azione disciplinare era tempestiva, ed erano state rispettate le garanzie partecipative;
c) la sostituzione di un componente della commissione di disciplina non integrava vulnus al principio del “giudice naturale” in quanto trattavasi di un ordinario avvicendamento;
d) le censure sulla proporzionalità della sanzione applicata erano infondate ed in parte sollecitavano un indebito sindacato di merito,
3. L’originario ricorrente rimasto soccombente, ha impugnato con l’odierno ricorso in appello la suindicata decisione criticandola sotto ogni angolo prospettico, e dopo avere rivisitato le principali tappe del contenzioso infraprocedimentale e giurisdizionale di primo grado ha tutte le censure già contenute nel ricorso di primo grado, attualizzandole rispetto al contenuto della motivazione della sentenza reiettiva.
4. Alla camera di consiglio del 14 giugno 2018 fissata per la delibazione dell’istanza di sospensione della esecutività dell’impugnata decisione la Sezione, con la ordinanza n. 2744/2018 ha respinto il petitum cautelare sui seguenti rilievi: “Rilevato sotto un profilo pregiudiziale ed assorbente che sotto il profilo del periculum in mora è prevalente l’interesse dell’amministrazione appellata, tenuto peraltro conto che i danni asseritamente subiti dall’appellante sono patrimonialmente restaurabili.”
5. In data 3.11.2018 l’amministrazione appellata ha depositato una memoria, puntualizzando le proprie difese e facendo presente che:
a)l’azione disciplinare era stata avviata tempestivamente, ai sensi dell’art. 103 del d.p.r. n. 3/1957;
b) il Capo della Polizia era il dominus dell’azione disciplinare e ben poteva intervenire in autotutela laddove fossero state perpetrate illegittimità in fase infraprocedimentale.
6. Alla odierna pubblica udienza del 6 dicembre 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’appello è infondato e va respinto, nei sensi di cui alla motivazione che segue.
1.1. Seguendo la tassonomia propria delle questioni (secondo le coordinate ermeneutiche dettate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015), e fatto presente che a mente del combinato disposto degli artt. artt. 91, 92 e 101, co. 1, c.p.a., il Collegio farà esclusivo riferimento alle censure poste a sostegno del ricorso in appello e già proposte in primo grado (senza tenere conto di motivi “nuovi” e ulteriori censure sviluppate nelle memorie difensive successivamente depositate, in quanto intempestive, violative del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione e della natura puramente illustrativa delle comparse conclusionali- cfr. ex plurimis Cons. Stato Sez. V, n. 5865 del 2015) si rileva che la ricostruzione fattuale resa dal T.a.r. è rimasta incontestata (art. 64 del c.p.a.) e pertanto, per esigenze di sinteticità, il Collegio ad essa farà integrale riferimento.
2. La prima doglianza da esaminare è quella concernente l’asserito vizio in cui sarebbe incorsa l’amministrazione nella fase immediatamente antecedente a quella culminata con l’emissione del provvedimento impugnato; essa infatti riveste portata pregiudiziale sotto il profilo logico, investendo un segmento iniziale della procedura e riposa nella asserita illegittimità commessa dall’Amministrazione procedente che:
I) ha dapprima annullato in autotutela il provvedimento con cui la commissione di disciplina, aveva riqualificato il fatto contestato (rispetto alla originaria contestazione avanzata dal Ministero e riposante nella” mancanza disciplinare prevista dall’art. 7 punto 1 e 2 del d.P.R. 737/81″) ed aveva applicato la sanzione della sospensione dall’impiego per mesi sei;
II) e, successivamente, aveva disposto la prosecuzione del procedimento disciplinare, sfociato nella contestata destituzione.
2.1. La questione da esaminare, come è agevole riscontrare, è assai delicata, ed investe la dialettica dei rapporti tra commissione di disciplina e Ministero, nel concreto esercizio della potestà disciplinare spettante all’Amministrazione: la disamina postula una accurata analisi del dato normativo.
2.2. Stabilisce in proposito l’art. 7 del Decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737 che “La destituzione consiste nella cancellazione dai ruoli dell’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza la cui condotta abbia reso incompatibile la sua ulteriore permanenza in servizio.
La destituzione è inflitta:
1) per atti che rivelino mancanza del senso dell’onore o del senso morale;
2) per atti che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento;
3) per grave abuso di autorità o di fiducia;
4) per dolosa violazione dei doveri che abbia arrecato grave pregiudizio allo Stato, all’Amministrazione della pubblica sicurezza, ad enti pubblici o a privati;
5) per gravi atti di insubordinazione commessi pubblicamente o per istigazione all’insubordinazione;
6) per reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari;
7) per omessa riassunzione del servizio, senza giustificato motivo, dopo cinque giorni di assenza arbitraria.
La destituzione è inflitta con le stesse modalità previste per la sospensione dal servizio. “.
L’art. 6 del medesimo testo normativo prevede invece che “La sospensione dal servizio consiste nell’allontanamento dal servizio per un periodo da uno a sei mesi, con la privazione della retribuzione mensile, salva la concessione di un assegno alimentare di importo pari alla metà dello stipendio e degli altri eventuali emolumenti valutabili a tal fine a norma delle disposizioni vigenti, oltre gli assegni per carichi di famiglia.
Comporta la deduzione dal computo della anzianità di un periodo pari a quello trascorso dal punito in sospensione dal servizio nonché il ritardo di due anni nella promozione o nell’aumento periodico dello stipendio o nell’attribuzione di una classe superiore di stipendio con la decorrenza di cui al precedente art. 5. Tale ritardo è elevato a tre anni se la sospensione dalla qualifica è superiore a quattro mesi.
Può essere inflitta nei seguenti casi:
1) mancanze previste dal precedente art. 4, qualora rivestano carattere di particolare gravità ovvero siano reiterate o abituali;
2) condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo che non comporti gli effetti di cui al successivo art. 8;
3) denigrazione dell’Amministrazione o dei superiori;
4) comportamento che produce turbamento nella regolarità o nella continuità del servizio di istituto;
5) tolleranza di abusi commessi da dipendenti;
6) atti contrari ai doveri derivanti dalla subordinazione;
7) assidua frequenza, senza necessità di servizio ed in maniera da suscitare pubblico scandalo, di persone dedite ad attività immorale o contro il buon costume ovvero di pregiudicati;
8) uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope risultante da referto medico legale;
9) allontanamento, senza autorizzazione, dalla sede di servizio per un periodo superiore a cinque giorni;
10) omessa o ritardata presentazione in servizio per un periodo superiore a quarantotto ore e inferiore ai cinque giorni o, comunque, nei casi in cui l’omissione o la ritardata presentazione in servizio di cui all’art. 4, n. 10, provochi gravi disservizi ovvero sia reiterata o abituale.
La sospensione dal servizio è inflitta con decreto del capo della polizia – direttore generale della pubblica sicurezza, previo giudizio del consiglio centrale di disciplina, qualora trattisi di personale appartenente alle qualifiche dirigenziali e direttive e, previo giudizio del consiglio provinciale di disciplina, per il restante personale.”.
2.2.1. Il procedimento applicativo di tali due tipologie di sanzione disciplinare è delineato dagli artt. 19 e 21 del predetto Decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737, che così rispettivamente, dispongono:
a) (art. 19) “L’istruttoria per irrogare la sospensione dal servizio o la destituzione deve svolgersi attraverso le seguenti fasi:
il capo dell’ufficio o il comandante del reparto che abbia notizia di un’infrazione commessa da un dipendente, per la quale sia prevista una sanzione più grave della deplorazione, se il trasgressore appartiene a qualifica dirigenziale o direttiva o, comunque, è in servizio presso il dipartimento della pubblica sicurezza, ne dà comunicazione all’autorità centrale competente a infliggere la sanzione;
se invece appartiene al restante personale, informa il questore della provincia in cui lo stesso presta servizio.
Le predette autorità, ove ritengano che l’infrazione comporti l’irrogazione della sospensione dal servizio o della destituzione, dispongono che venga svolta inchiesta disciplinare affidandone lo svolgimento ad un funzionario istruttore che appartenga a servizio diverso da quello dell’inquisito, e che rivesta qualifica dirigenziale o direttiva superiore a quella dell’incolpato.
Per il funzionario istruttore valgono le norme sulla astensione e sulla ricusazione dei componenti i consigli di disciplina.
Egli provvede, entro dieci giorni, a contestare gli addebiti al trasgressore invitandolo a presentare le giustificazioni nei termini e con le modalità di cui all’art. 14 e svolge, successivamente, tutti gli altri accertamenti ritenuti da lui necessari o richiesti dall’inquisito.
L’inchiesta dev’essere conclusa entro il termine di quarantacinque giorni, prorogabile una sola volta di quindici giorni a richiesta motivata dell’istruttore.
Questi riunisce tutti gli atti in un fascicolo, numerandoli progressivamente in ordine cronologico e apponendo su ciascun foglio la propria firma, e redige apposita relazione, alla quale allega tutto il carteggio raccolto, trasmettendola all’autorità che ha disposto l’inchiesta.
Detta autorità, esaminati gli atti, se ritiene che gli addebiti non sussistono, ne dispone l’archiviazione con provvedimento motivato, ovvero li trasmette con le opportune osservazioni, all’organo competente a infliggere una sanzione minore.
Qualora gli addebiti sussistano, trasmette il carteggio dell’inchiesta, con le opportune osservazioni, al consiglio di disciplina competente in base al disposto degli articoli 6 e 7.”;
b) (art. 21) “Il consiglio di disciplina, se ritiene che nessun addebito possa muoversi all’inquisito, lo dichiara nella deliberazione. Se ritiene che gli addebiti siano in tutto o in parte fondati, propone la sanzione da applicare. La deliberazione motivata viene redatta dal relatore o da altro componente il consiglio ed è firmata dal presidente, dall’estensore e dal segretario.
Copia della deliberazione con gli atti del procedimento e la copia del verbale della trattazione orale, viene trasmessa entro dieci giorni alla direzione centrale del personale del dipartimento della pubblica sicurezza.
Il capo della polizia – direttore generale della pubblica sicurezza provvede con decreto motivato a dichiarare l’inquisito prosciolto da ogni addebito o ad infliggergli la sanzione in conformità della deliberazione del consiglio, salvo che egli non ritenga di disporre in modo più favorevole all’inquisito.
Il decreto deve essere comunicato all’interessato entro dieci giorni dalla sua data, nei modi previsti dall’art. 104 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3.”.
2.3. Dalla disamina delle disposizioni suindicate, si evince con certezza che:
a) il potere di formulare la contestazione, spetta all'”autorità che ha disposto l’inchiesta” (id est: al Ministero) sulla scorta della relazione del funzionario istruttore;
b) la commissione di disciplina si pronuncia sul fatto, siccome cristallizzato dalla contestazione;
c) al Ministero non spetta alcun potere sindacatorio sulla delibera della commissione di disciplina affermativa della responsabilità, se non in favor dell’incolpato.
2.4. Le predette disposizioni, non disciplinano la questione relativa alla possibilità che la Commissione di disciplina possa discostarsi dalla contestazione formulata dalla “autorità che ha disposto l’inchiesta”.
Ma anche a volere ammettere tale potere, non potrebbe negarsi la possibilità per il Ministero procedente di intervenire repressivamente su una eventuale modifica, laddove la stessa appaia immotivata, apodittica, non aderente alle resultanze processuali.
E che detta “riqualificazione” operata dalla commissione di disciplina fosse immotivata ed apodittica, emerge dalla motivazione della stessa, laddove non si fa riferimento ad alcun dato concernente le condotte contestate, ma a fatti successivi ed esterni al perimetro della contestazione (un supposto ravvedimento, etc).
E’ opportuno evidenziare, in proposito, che per consolidata giurisprudenza (si veda Consiglio di Stato, Sezione VI nn. 4288/2010, 3963/2011), dalla quale il Collegio non intende discostarsi: “l’attribuzione a tale Autorità del potere di irrogare sanzioni disciplinari comprende, necessariamente, quello di controllare la regolarità delle diverse fasi nelle quali si articola il relativo procedimento, al fine di evitare che eventuali vizi procedimentali si riverberino sull’atto finale con effetti invalidanti; ritenere il contrario, affidare cioè all’organo titolare del potere disciplinare una mera funzione di presa d’atto, salva la potestà di derubricazione, significa vincolare l’espressione del potere stesso ad un procedimento anche patentemente irregolare, senza possibilità di disporre il riesame. Una tale conclusione configge, all’evidenza, con i canoni di buona amministrazione e di efficienza dell’Amministrazione; occorre allora concludere che il potere di riesame, necessariamente inerente alla funzione attribuita, attiene al rispetto della regolarità degli adempimenti procedurali, mentre il divieto di reformatio in peius inerisce al diverso ambito del merito dell’apprezzamento demandato all’organo consultivo. Erroneamente il Tar ha ritenuto che un tale potere di annullamento della proposta del Consiglio di disciplina e di disporre il riesame del caso presupponga necessariamente un rapporto gerarchico tra Capo della Polizia e Consiglio di disciplina, che non esiste: invece, il provvedimento impugnato è frutto di un procedimento che, nelle sue fasi, ha visto il dispiegarsi di poteri di controllo legittimamente esercitati, in quanto inerenti alla stessa funzione di amministrazione attiva.”.
In sostanza l’Autorità di vertice (nella specie il Capo della Polizia) può legittimamente esercitare un controllo di legittimità sulle diverse fasi del procedimento disciplinare (cfr. altresì III^ Sez. n. 3452 del 2013), fermo restando che può invece intervenire sul merito del deliberato della commissione disciplinare solo a favore del dipendente.
2.6. Discende da quanto sinora rilevato che:
a) il provvedimento ministeriale che ha annullato la “prima” proposta della commissione, non era immediatamente lesivo (nel senso che la rideterminazione della commissione avrebbe potuto, in teoria, approdare a conseguenze identiche a quelle raggiunte dalla stessa con la prima delibera, o, addirittura, più favorevoli all’odierno appellante) e quindi non doveva necessariamente essere impugnato immediatamente;
b) esso però poteva essere facoltativamente impugnato, possedendo un’attitudine lesiva, rappresentata dalla regressione procedimentale, ed un effetto esterno (vanificazione del primo pronunciamento della Commissione);
c) esso non è illegittimo, per le chiarite ragioni e la riconosciuta legittimità dello stesso impedisce di ritenere viziato il successivo iter procedimentale, e l’esito della delibera finale e della “seconda” delibera della Commissione (è incontestato che il provvedimento di destituzione sia stato adottato in sede disciplinare su conforme proposta del Consiglio di disciplina, a seguito del procedimento rinnovato: le norme di riferimento risultano quindi rispettate, posto che il Capo della Polizia si è determinato in senso conforme alla proposta e per le già chiarite ragioni non sussiste la violazione della norma nella fase anteriore del procedimento, e l’annullamento della precedente, più lieve, proposta non esorbita dalle competenze del Capo della Polizia);
d) d’altro canto, argomentare diversamente implicherebbe che il potere repressivo ministeriale su un atto posto in essere dalla Commissione disciplinare non potrebbe essere esercitato neppure in ipotesi di manifesta abnormità : ma detto approdo appare certamente non persuasivo; nel caso di specie, si ripete, la riqualificazione operata dalla commissione non era sostanziata da alcun dato “processuale” (riferibile, cioè, alle condotte contestate) ma traeva spunto esclusivamente da circostanze estranee alla valutazione della condotta
2.7. La prima censura va quindi disattesa.
3. Quanto alla doglianza incentrata sulla tardività dell’avvio dell’azione penale, si osserva che:
a) il provvedimento del Questore di Napoli è datato 23/07/2014, mentre il decreto di archiviazione venne emesso dal GIP del Tribunale di Napoli in data 28/05/2014: l’inizio dell’azione disciplinare è tempestivo, dovendosi fare riferimento alla data in cui l’amministrazione ha avuto conoscenza del decreto di archiviazione;
b) non è accoglibile la contraria tesi dell’appellante secondo cui, invece, la contestazione degli addebiti avrebbe dovuto avere luogo nel 2011 e ciò per una elementare quanto evidente circostanza: a quella data il procedimento si trovava in fase di indagini preliminari, e l’amministrazione non poteva avere conoscenza (né risulta, infatti, che abbia avuto conoscenza) degli atti sottesi all’ordinanza di custodia cautelare;
c) come è stato affermato nel parere del Consiglio di Stato, sez. I, n. 1972/2012, “il procedimento disciplinare, nel rispetto dei principi enucleati dell’ordinamento, deve essere sempre avviato a ridosso dell’acquisizione della notizia configurabile come illecito disciplinare. Tale principio generale, espresso dall’art. 103 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 trova applicazione anche nel caso di esercizio della potestà disciplinare a seguito del decreto di archiviazione del giudice delle indagini preliminari”;
d) ne deriva che il momento rilevante per l’esercizio della potestà disciplinare è quello “dell’acquisizione della notizia configurabile come illecito disciplinare”, anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione venga a conoscenza a seguito del decreto di archiviazione del giudice delle indagini preliminari di fatti e comportamenti che, sebbene non rilevanti in ambito penale, sono tuttavia suscettibili di valutazione a fini disciplinari;
e) ebbene, nel caso di specie, la compiuta conoscenza dei fatti configurabili come illecito disciplinare è stata acquisita dall’Amministrazione (solo) a seguito del decreto di archiviazione del giudice delle indagini preliminari: questo atto, infatti, consentiva alla stessa amministrazione di conoscere con intierezza le fonti probatorie a carico (od eventualmente anche a discarico) dell’odierno appellante;
f) erra, quindi, l’appellante nel ritenere che il termine decorresse dalla conoscenza dell’ordinanza cautelare e che l’avere iniziato il procedimento penale soltanto a ridosso del decreto di archiviazione integri un lasso di tempo sproporzionato, che violerebbe il principio di immediatezza della contestazione, ponendosi in contrasto con l’art. 103 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3;
g) al contrario di quanto sostenuto dalla difesa dell’appellante, si deve far presente che:
I)è ben noto il principio secondo cui il pubblico ministero non è tenuto ad ostendere tutti gli atti del processo penale allorchè richiede una misura cautelare, ma soltanto quelli che egli valuta utili a che la richiesta sia accolta dal Gip (in teoria, a fronte di una mole probatoria imponente, il pubblico ministero ne potrebbe ostendere una minima parte, che reputa idonea ad indurre il Gip a concedere la misura richiesta, evitando una anticipata discovery, in quanto non necessaria);
II) è altresì noto il principio per cui non vanno di necessità ostesi gli atti non funzionali alla concessione della misura, in quanto privi di rilievo penale, ancorchè gli stessi possano possedere rilievo disciplinare;
h) in questo quadro, non può dirsi che l’amministrazione dovesse inoltrare la contestazione degli addebiti prima che l’intero incartamento processuale fosse nella propria disponibilità ; ciò è avvenuto allorchè venne emesso il decreto di archiviazione, e pertanto l’azione disciplinare non è stata tardivamente iniziata;
i) per analogia si osserva che il superiore modus operandi è espressamente contemplato nel novellato art. 1393 del decreto Legislativo – 15 marzo 2010, n. 66, che ha ridotto ma non del tutto espunto la c.d. “pregiudizialità penale” nei procedimenti disciplinari a carico di militari ancorando il parametro valutativo alla “disponibilità di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare” (“1. Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l’autorità giudiziaria, è avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore di cui all’articolo 1362 o con le sanzioni disciplinari di stato di cui all’articolo 1357, l’autorità competente, solo nei casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al militare ovvero qualora, all’esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, promuove il procedimento disciplinare al termine di quello penale. Il procedimento disciplinare non è comunque promosso e se già iniziato è sospeso fino alla data in cui l’Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che concludono il procedimento penale, ovvero del provvedimento di archiviazione, nel caso in cui riguardi atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio. Rimane salva la possibilità di adottare la sospensione precauzionale dall’impiego di cui all’articolo 916, in caso di sospensione o mancato avvio del procedimento disciplinare.”).
3.1. Nel caso di specie, peraltro. la superiore considerazione si attaglia con evidenza al caso concreto: deve infatti essere considerato che, pur “caduta” l’originaria ipotesi di riciclaggio, non sono risultati smentiti, comunque, gli stretti rapporti di collaborazione intrattenuti dall’appellante (in collaborazione con altri appartenenti alla Polizia di Stato, taluni dei quali in corso di identificazione al momento in cui venne emessa l’ordinanza cautelare) nella gestione della discoteca, -OMISSIS-, appartenente ad un malavitoso – tale -OMISSIS–, accusato di fare parte del clan dei casalesi, esuberanti financo dal mero rapporto di guardiania e sfociati in una stabile collaborazione dell’organizzazione di serate danzanti ivi intrattenute: è evidente che una compiuta disamina di tutti gli indizi sottesi a detta condotta (reputata irrilevante sul piano penale, ma certamente rilevante invece, su quello disciplinare) non poteva che discendere dalla integrale conoscenza degli atti di causa il che, si ripete, è avvenuto soltanto con la emissione del decreto di archiviazione.
4. E’ certamente infondata, poi, la censura incentrata sulla asserita genericità della contestazione disciplinare, laddove si consideri che la fluidità della stessa discende dalle condotte siccome contestate in sede penale: l’appellante pretenderebbe che l’Amministrazione, sfornita di penetranti poteri di accertamento autonomi, “integrasse” quella che è stata la contestazione penale, ma, ovviamente, trattasi di pretesa priva di fondamento.
5. In ultimo, l’amministrazione ha motivato in ordine al rilievo disciplinare delle condotte contestate (sebbene sia rimasto escluso il rilievo penale delle medesime) e ciò discende dall’autonomia dei due procedimenti: trattasi di valutazione sindacabile soltanto nei limiti della manifesta irragionevolezza od arbitrarietà od abnormità, ma tali parametri non sono certamente riscontrabili nel caso in esame (l’avere intrattenuto comportamenti amichevoli con un malavitoso – tale -OMISSIS- – accusato di fare parte del clan dei casalesi, e di concorso nella gestione della discoteca, -OMISSIS-, esuberanti financo dal mero rapporto di guardiania e sfociati in una stabile collaborazione dell’organizzazione di serate danzanti ivi intrattenute, ben può rientrare nello spettro della incompatibilità assoluta all’esercizio di funzioni delicate come quelle di polizia giudiziaria, oltre che cagionare irrimediabili pregiudizi al prestigio del Corpo ci appartenenza), come non sembra quindi abnorme la sanzione applicata, a fronte delle dette condotte come sopra accertate.
6. Conclusivamente, l’appello deve essere respinto.
7. Le spese processuali del secondo grado di giudizio seguono la soccombenza, e pertanto l’appellante deve essere condannato a corrisponderle alle appellate amministrazioni, nella misura di complessivi Euro duemila (Euro 2000//00) oltre oneri accessori, se dovuti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese processuali del secondo grado di giudizio in favore delle appellate amministrazioni, nella misura di complessivi Euro duemila (Euro 2000//00) oltre oneri accessori, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante e gli altri soggetti citati nella parte in fatto e nella motivazione in diritto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Raffaele Greco – Consigliere
Fabio Taormina – Consigliere, Estensore
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
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