Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 19922.
Risarcimento del danno alla persona e la liquidazione del danno morale
In tema di risarcimento del danno alla persona, ai fini della liquidazione del danno morale, ontologicamente diverso dal danno biologico, ben possono essere utilizzate le Tabelle milanesi, nelle versioni successive al 2008, laddove comprendono nell’indicazione dell’importo complessivo del danno anche una quota diretta a risarcire il danno morale, secondo il criterio logico-presuntivo di proporzionalità diretta tra gravità della lesione e insorgere di una sofferenza soggettiva, a condizione che nel caso concreto tale liquidazione sia giustificata da un corretto assolvimento dell’onere di allegazione e prova e senza riconoscere ulteriori importi, altrimenti incorrendosi in una duplicazione risarcitoria.
Ordinanza|| n. 19922. Risarcimento del danno alla persona e la liquidazione del danno morale
Data udienza 21 giugno 2023
Integrale
Tag/parola chiave: Circolazione stradale – Sinistro – Invalidità – Risarcimento alla perdita di chance – Rimborso degli accompagnatori dell’invalido se necessari – Art. 2043 cc
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26396/2019 R.G. proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS);
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS) s.c.a.r.l., (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS);
– controricorrente –
e nei confronti di
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania, n. 450/2019, pubblicata il 26 febbraio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 giugno 2023 dal Consigliere Emilio Iannello.
Risarcimento del danno alla persona e la liquidazione del danno morale
CONSIDERATO CHE:
(OMISSIS) convenne in giudizio davanti al Tribunale di Catania, Sezione distaccata di Giarre, (OMISSIS) S.p.a., l’ (OMISSIS) ed (OMISSIS), chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti a seguito di sinistro stradale ascrivibile ad esclusiva responsabilita’ di quest’ultimo, assicurato per la r.c.a. dalla compagnia straniera (OMISSIS) AG.
Con sentenza n. 3349/2016, depositata in data 16 giugno 2016, il Tribunale dichiaro’ il difetto di legittimazione passiva di (OMISSIS) Ass.ni S.p.a. e condanno’ gli altri due convenuti in solido al risarcimento dei danni subiti dalla (OMISSIS), liquidati in complessivi Euro 113.155,90 (per danno non patrimoniale da lesione della salute, utilizzando le tabelle di Milano, e per danno patrimoniale, in relazione agli esborsi sostenuti per cure e trattamenti sanitari), oltre accessori e spese di lite, previa detrazione di quanto gia’ corrisposto dalla (OMISSIS) S.p.a., quale mandataria.
In parziale accoglimento del gravame interposto dalla danneggiata, in punto di individuazione delle voci di danno e quantificazione del risarcimento, la Corte d’appello di Catania, fermo il resto, ha condannato l’ (OMISSIS) al pagamento della ulteriore somma di Euro 3.147,90, relativa ad altri documentati esborsi, compresi alcuni relativi a cure ricevute fuori del luogo di residenza, ed ai viaggi e alle spese di alloggio a tal fine affrontate.
Ha invece rigettato i motivi con i quali l’appellante lamentava la mancata “adeguata personalizzazione del danno morale” e il mancato riconoscimento del danno da perdita della capacita’ lavorativa specifica.
Sotto il primo profilo, i giudici d’appello, premesso che la liquidazione del danno e’ stata dal primo giudice operata sulla base dei parametri tabellari elaborati dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano, in conformita’ ai principi dettati dalle note sentenza delle Sezioni Unite del 2008 (Cass. Sez. U. nn. 26972 – 26975 dell’11/11/2008), hanno osservato che, “nel caso di specie, le sofferenze dovute ai patimenti conseguenti agli interventi chirurgici subiti in relazione alla patologia conseguente al sinistro in esame (frattura esposta pluriframmentaria caviglia sinistra con lussazione epifisi distale tibia-frattura del terzo distale della tibia-frattura del malleolo peroneale) nonche’ la ridotta autonomia di deambulazione, devono essere considerate come normale conseguenza della patologia riportata dalla (OMISSIS) a seguito del sinistro, mentre per converso non risulta provata una particolare sofferenza risarcibile, in via autonoma, rispetto al danno tabellare, il cui accertamento deve essere separato e ulteriore, con onere di allegazione e prova di tutte le circostanze utili ad apprezzare la concreta incidenza della lesione patita” ed hanno per tal motivo ritenuto che la liquidazione effettuata dal Tribunale, “sulla base della giurisprudenza corrente”, soddisfacesse “anche il risarcimento del lamentato danno morale”.
Sotto il secondo profilo, hanno poi osservato che:
– in punto di fatto emergeva, dalle dichiarazioni testimoniali delle figlie, che l’appellante era di ausilio al marito per la coltivazione di alcuni terreni di famiglia, ma non vi era prova alcuna della sussistenza di una vera e propria attivita’ lavorativa, della percezione di una retribuzione prima dell’incidente e del suo venir meno successivamente, in conseguenza del medesimo;
– era stata accertata una percentuale di invalidita’ permanente non particolarmente elevata, ne’ si era data prova di ragionevole probabilita’ che in futuro la vittima avrebbe percepito un reddito inferiore a quello che avrebbe conseguito in assenza dell’infortunio;
– occorreva inoltre considerare la documentata seria patologia alla colonna vertebrale dalle quale era gia’ affetta la (OMISSIS), tale da richiedere ulteriori interventi chirurgici, precedenti e successivi al sinistro.
La Corte etnea ha infine compensato per un quarto le spese dei due gradi di giudizio, condannando (OMISSIS) e (OMISSIS), in solido, alla rifusione, in favore dell’appellante, della restante parte.
Avverso tale sentenza (OMISSIS) propone ricorso per cassazione articolando quattro motivi, cui resistono, con separati controricorsi, (OMISSIS) S.p.A. e l’ (OMISSIS).
All’esito dell’adunanza camerale del 31 marzo 2022 – in vista della quale la ricorrente aveva depositato memoria – questa Corte, con ordinanza interlocutoria n. 14165/2022, pubblicata il 4 maggio 2022, rilevata la mancata prova del perfezionamento della notifica del ricorso diretta ad (OMISSIS), litisconsorte necessario, ha ordinato l’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, ai sensi dell’articolo 331 c.p.c., fissando a tal fine termine perentorio di giorni sessanta dalla comunicazione dell’ordinanza medesima e rinviando la causa a nuovo ruolo.
E’ stata quindi fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’articolo 380-bis.1 c.p.c., con decreto del quale e’ stata da rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Risarcimento del danno alla persona e la liquidazione del danno morale
RILEVATO CHE:
1. Deve darsi preliminarmente atto che la ricorrente ha ottemperato, ritualmente e tempestivamente, all’ordine di integrazione del contraddittorio nei confronti dell’intimato (OMISSIS), il quale non ha svolto difese.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360, comma 1, num. 3, c.p.c., violazione dell’articolo 343 c.p.c., per avere la Corte d’appello parzialmente compensato le spese del primo grado di giudizio cosi’ modificando a suo discapito, in assenza di appello incidentale delle controparti, la statuizione sul punto resa dal primo giudice, che le aveva poste interamente a carico dei convenuti soccombenti.
3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, “violazione di legge ex articolo 360 c.p.c., n. 3 in relazione al disposto degli articoli 2056, 2059, 2697 e 2700 del c.c. e degli articoli 113, 114, 115 e 116 c.p.c. e violazione dell’articolo 360 c.p.c. n. 5 in relazione al disposto degli articolo 2043, 2059, 2697 e 2700 del codice civile e degli articoli 113, 114, 115 e 116 c.p.c.” (cosi’ testualmente nell’intestazione)
Lamenta che la decisione impugnata, nella parte in cui disattende le doglianze svolte in punto di danno morale, contrasta con il piu’ recente indirizzo della S.C. circa l’autonomia ontologica del danno morale e la necessita’ di considerarlo, nel rispetto del principio di integralita’ del risarcimento, distintamente dal danno biologico.
Afferma che, nella specie, occorreva “dare adeguata personalizzazione al danno morale”, “in presenza di una situazione particolarissima, quali i numerosi interventi chirurgici subiti e documentati”, che avrebbe dovuto condurre a superare “i valori presuntivi tabellari”.
Avrebbe quindi “errato il decidente a riferirsi alle tabelle milanesi aggiungendovi una limitatissima e quasi inesistente personalizzazione del danno, laddove andava distinto e specificato puntualmente il criterio da seguire per la quantificazione e liquidazione del danno morale”.
4. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’articolo 360, comma 1, num. 3, c.p.c., violazione degli articoli 2043, 2056, 2697 e 2700 c.c. e degli articoli 113, 114, 115 e 116 c.p.c., in relazione al confermato rigetto della domanda di risarcimento del danno da perdita della capacita’ lavorativa specifica.
Lamenta che la Corte d’appello, pur avendo dato atto che dalle dichiarazioni testimoniali delle figlie emergeva che l’appellante era di ausilio al marito per la coltivazione di alcuni terreni di famiglia, non ne ha tratto le dovute conseguenze, erroneamente ritenendo che per riconoscere un tale risarcimento l’attrice aveva l’onere di provare la percezione di una retribuzione prima dell’incidente, e omettendo di considerare che quella svolta nel fondo agricolo della stessa era attivita’ autonoma in proprio, dalla quale non percepiva una retribuzione come dipendente.
Avrebbe, altresi’, errato la Corte d’appello a non considerare la svolta attivita’ di casalinga.
5. Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, infine, con riferimento all’articolo 360, comma 1, num. 3, c.p.c., degli articoli 2043, 2056, 2697 e 2700 c.c. e degli articoli 113, 114, 115 e 116 c.p.c., in relazione all’esclusa risarcibilita’ del danno patrimoniale rappresentato dagli esborsi sostenuti, per spese di viaggio aereo e alloggio, dal marito e dagli altri parenti che via via l’hanno dovuta accompagnare nelle trasferte da (OMISSIS) all’Istituto Ortopedico (OMISSIS).
Risarcimento del danno alla persona e la liquidazione del danno morale
Rileva che la lesione invalidante accertata nella misura del 21% dimostrava di per se’ che essa non aveva alcuna autonomia di movimento per recarsi in aeroporto, ed indi all’Istituto Ortopedico (OMISSIS), e che pertanto si trattava di spese direttamente collegate ai viaggi necessari per gli interventi chirurgici cui essa e’ stata sottoposta, onde non poteva negarsi la loro risarcibilita’ a titolo di danno patrimoniale causalmente correlato all’evento dannoso.
6. Va preliminarmente rilevata l’inammissibilita’ del ricorso in quanto proposto nei confronti di (OMISSIS) S.p.a.
Come quest’ultima evidenzia nel proprio controricorso:
– nella sentenza di primo grado era stato dichiarato il suo difetto di legittimazione passiva sul rilievo che, risultando il veicolo investitore immatricolato all’estero ed assicurato per la r.c.a. presso (OMISSIS) AG (con sede in (OMISSIS)), unico legittimato passivo doveva considerarsi l’ (OMISSIS), ai sensi dell’articolo 126 cod. ass., a nulla rilevando che, nella fase stragiudiziale, (OMISSIS) avesse agito in nome e per conto dell'(OMISSIS) e della societa’ assicuratrice straniera;
– tale statuizione non e’ stata impugnata in appello, essendo stato anzi espressamente precisato dall’appellante che nessuna pretesa di condanna era avanzata nei confronti di (OMISSIS), la cui evocazione nel giudizio di appello era effettuata solo nell’intento di “mantenere l’integrita’ del contraddittorio del primo grado di causa”.
Il giudicato interno che si e’ pertanto formato sulla detta statuizione rende inammissibile il ricorso in questa sede ancora indirizzato nei confronti della predetta societa’, atteso che l’acclarato, ormai irretrattabilmente, difetto di legittimazione esclude di per se’ anche la persistenza di alcuna esigenza di integrita’ del contraddittorio.
7. E’ fondato il primo motivo di ricorso.
La pronuncia sulle spese risulta in effetti erronea in diritto nella parte in cui dispone la compensazione, sia pur parziale, anche delle spese del giudizio di primo grado tra l’attrice, danneggiata, e i convenuti, tenuti al risarcimento del danno.
Tale statuizione si appalesa illegittima dal momento che l’affermazione della (piena) responsabilita’ dal responsabile del danno e dell’ (OMISSIS) per i danni subiti dall’attrice e la conseguente condanna degli stessi al risarcimento per l’importo ivi determinato ed alla rifusione delle spese di lite non era stata in se’ impugnata dai soccombenti ed era pertanto passata in giudicato.
L’unica parte a proporre gravame era stata la stessa danneggiata e, come detto, solo al fine di ottenere il riconoscimento, a vario titolo, di un importo risarcitorio maggiore.
Risarcimento del danno alla persona e la liquidazione del danno morale
In termini, ed in fattispecie analoghe, questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare piu’ volte che, in tema di impugnazioni, il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata la decisione sulle spese puo’ essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione. Tuttavia – anche in considerazione dell’operare del c.d. effetto espansivo interno di cui all’articolo 336, comma 1, c.p.c., in ordine ai capi della sentenza non espressamente impugnati solo in quanto dipendenti da quelli riformati o cassati – l’accoglimento parziale del gravame della parte vittoriosa al cui favore il giudice di primo grado abbia emesso condanna alla rifusione delle spese di lite non comporta, in difetto di impugnazione sul punto, la caducazione della condanna, onde la preclusione nascente dal giudicato impedisce al giudice dell’impugnazione di modificare la pronuncia sulle spese della precedente fase di merito qualora abbia valutato la complessiva situazione sostanziale in senso piu’ favorevole alla parte vittoriosa in primo grado (Cass. 7/1/2004 n. 58; v. anche Cass. 29/10/2019 n. 27606, che, in applicazione dei suindicati principi, ha cassato la sentenza del giudice di appello il quale, nel riformare la sentenza impugnata aumentando l’entita’ della condanna al risarcimento dei danni pronunciata in favore degli appellanti, aveva modificato il regolamento delle spese di primo grado in termini meno favorevoli per gli appellanti, in difetto di appello incidentale sul capo relativo alle spese; e v. pure le successive conformi Cass. 18/3/2021 n. 7616, 5/10/2021 n. 26997 e 26/11/2021 n. 36864).
8. Il secondo motivo e’ in parte infondato, in parte inammissibile.
In disparte l’evidentemente erroneo, ma comunque irrilevante, riferimento del denunciato error iuris, oltre che alla previsione di cui al n. 3 dell’articolo 360, c.p.c., anche a quella del n. 5, e tralasciando altresi’ l’eccentrico riferimento a una serie di norme sostanziali e processuali di cui non si spiega dove e perche’ sarebbero state violate dalla Corte di merito, appare chiaro che il nucleo della doglianza si concentra sulla liquidazione del danno morale, in quanto non operata in modo distinto e autonomo dal danno biologico e comunque inadeguata rispetto alla effettiva entita’ delle sofferenze patite.
8.1. Sotto il primo profilo la doglianza e’ infondata.
Come evidenziato in sentenza, il primo giudice ha liquidato il danno alla salute in base ad una elaborazione delle c.d. tabelle milanesi successiva alle note sentenze c.d. di San Martino del 2008, fondate dunque su un sistema che “incorpora” nel valore monetario del singolo punto di invalidita’ anche il pregiudizio morale.
Risarcimento del danno alla persona e la liquidazione del danno morale
In proposito questa Corte ha di recente chiarito che siffatta operazione e’ erronea (solo) se frutto di un automatismo liquidatorio non piu’ predicabile, e non se presuppone invece l’accertamento, su base necessariamente presuntiva, della sussistenza di una apprezzabile sofferenza soggettiva in rapporto di diretta proporzionalita’ alla gravita’ della menomazione che, come tale, trova corrispondenza nella tecnica liquidatoria sottostante alle tabelle (Cass. n. 25164 del 2020).
Ferma, infatti, “la diversa (e non piu’ discutibile) ontologia del danno morale” e ferma la necessita’ per la parte che ne pretenda il risarcimento di allegarlo e provarlo, occorre pur sempre considerare che:
a) trattandosi di pregiudizio che attiene ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva puo’ costituire anche l’unica fonte di convincimento del giudice;
b) il danneggiato ha pur sempre l’onere di allegare i fatti noti da cui risalire, in base a ragionamento inferenziale, a quello ignoto della sussistenza ed entita’ del pregiudizio; tuttavia, considerata la dimensione eminentemente soggettiva del danno morale, ad un cosi’ puntuale onere di allegazione non corrisponde un onere probatorio altrettanto ampio;
c) esiste, difatti, nel territorio della prova dei fatti allegati, un ragionamento probatorio di tipo presuntivo, in forza del quale al giudice e’ consentito di riconoscere come esistente un certo pregiudizio morale in tutti i casi in cui si verifichi una determinata lesione, posto che in tal caso la massima di esperienza puo’ da sola essere sufficiente a fondare il convincimento dell’organo giudicante;
d) ebbene un attendibile criterio logico-presuntivo funzionale all’accertamento del danno morale quale autonoma componente del danno alla salute e’ quello della corrispondenza, su di una base di proporzionalita’ diretta, della gravita’ della lesione rispetto all’insorgere di una sofferenza soggettiva; tanto piu’ grave infatti sara’ la lesione della salute, tanto piu’ il ragionamento inferenziale consentira’ di presumere l’esistenza di un correlato danno morale inteso quale sofferenza interiore, morfologicamente diversa dall’aspetto dinamico relazionale conseguente alla lesione stessa (cosi’ Cass. n. 25164 del 2020, cit., cui si rimanda per una piu’ articolata illustrazione dell’esposta struttura argomentativa);
e) da qui deriva la piena utilizzabilita’ ai fini della liquidazione del danno morale delle tabelle milanesi, nelle versioni successive al 2008, in quanto elaborate comprendendo nella indicazione dell’importo complessivo del danno alla persona anche una quota diretta a risarcire il danno morale, secondo il detto attendibile criterio di proporzionalita’ diretta, sempre che nel caso concreto tale liquidazione sia giustificata da un corretto assolvimento dell’onere di allegazione e prova nei termini predetti e non invece da un non consentito automatismo (Cass. n. 25164 del 2020, cit., ha pertanto ritenuto gia’ correttamente compreso nella liquidazione del danno secondo le tabelle predette anche il risarcimento del danno morale e conseguentemente ritenuto che costituisce una mera duplicazione della medesima posta risarcitoria la liquidazione di ulteriore importo a titolo di danno morale).
Orbene, nella specie, e’ certamente da escludere che la ricorrente voglia lamentarsi – contro il suo interesse – del risarcimento ottenuto in quanto frutto di automatismo e in assenza di allegazione e prova del danno; la doglianza, dunque, nella sua prima parte va intesa come riferita al mero fatto formale in se’ della liquidazione unitaria operata sulla base delle dette tabelle, che pero’, per le ragioni dette, costituisce una tecnica pienamente legittima.
Risarcimento del danno alla persona e la liquidazione del danno morale
8.2. Diversa valutazione va effettuata in riferimento al secondo profilo di censura, relativa alla presunta inadeguatezza del risarcimento.
Per tale parte la doglianza si appalesa inammissibile, perche’: a) manca la ricorrente di precisare quale debba ritenersi, in base alle tabelle applicate, l’importo liquidato dal giudice di primo grado e quanto invece avrebbe dovuto essere maggiore l’importo risarcitorio dovuto e in base a quale criterio; b) risulta del tutto generica e comunque inosservante dell’onere di specifica indicazione degli atti e documenti richiamati, ex articolo 366 c.p.c., n. 6, anche nella descrizione delle situazioni che detta maggiore liquidazione avrebbero dovuto giustificare; c) si risolve nella prospettazione di una mera quaestio facti, volta a contestare apoditticamente la validita’ del ragionamento presuntivo applicato in sentenza, legittimamente fondato invece sul detto criterio, sottostante alle tabelle utilizzate, di diretta proporzionalita’ tra gravita’ della menomazione, quale attestata dal grado di invalidita’, e danno morale, la prima peraltro non censurata nemmeno in appello, considerando poi che, come ammette la stessa ricorrente, il tribunale ha anche operato una personalizzazione del danno.
9. Il terzo motivo e’ in parte inammissibile, in parte infondato.
9.1. La motivazione della sentenza impugnata e’ certamente erronea nella parte in cui sembra attribuire rilievo ostativo al fatto che l’attivita’ svolta dall’appellante prima dell’infortunio consistesse nell’ausilio al coniuge nella coltivazione di alcuni terreni di famiglia e che, pertanto, non ne derivasse la percezione di una retribuzione al cui eventuale venir meno potersi commisurare il danno reddituale (dal momento che certamente anche la perdita della capacita’ di svolgere lavoro agricolo non subordinato puo’ comportare danno reddituale risarcibile).
9.2. Il rigetto, pero’, della doglianza sul punto e’ motivato in sentenza pure da altre autosufficienti considerazioni, vale a dire:
a) la mancanza di prova che in futuro la vittima avrebbe percepito un reddito inferiore a quello che avrebbe conseguito in assenza dell’infortunio (scilicet: la mancata dimostrazione che, in dipendenza dell’infortunio, il reddito familiare cui l’odierna ricorrente contribuiva con la sua attivita’ di ausilio alla coltivazione dei terreni, ha subito delle contrazioni, anche soltanto per la necessita’ di ricorrere all’ausilio oneroso di altro bracciante, o non ha potuto fruire di prevedibili incrementi);
b) la misura dell’accertata invalidita’ permanente non particolarmente elevata (e tale, dunque, da non giustificare essa stessa la presunzione di un danno patrimoniale);
c) la necessita’ di considerare la documentata seria patologia alla colonna vertebrale dalle quale era gia’ affetta la (OMISSIS), tale da richiedere ulteriori interventi chirurgici, precedenti e successivi al sinistro.
Il motivo non individua espressamente tra gli obiettivi di critica queste distinte e alternative rationes decidendi (a pag. 25 del ricorso, primo cpv., la motivazione impugnata viene invero sintetizzata con esclusivo riferimento al primo rilievo, che gia’ si e’ detto effettivamente erroneo: v. § 9.1) e dalla successiva illustrazione possono ricavarsi argomenti riferibili solo alle prime due, non anche alla terza.
9.3. Piu’ precisamente, alla prima ratio dedicendi sono riferibili le considerazioni leggibili alle pagg. 25 – 28 del ricorso, le quali si risolvono nel richiamo al contenuto di dichiarazioni testimoniali che avrebbero dato conferma, per quanto qui rileva, del fatto che dopo l’infortunio l’odierna ricorrente non aveva potuto piu’ svolgere l’attivita’ di coltivazione dei terreni in ausilio al marito, ne’ aveva potuto piu’ attendere alle incombenze domestiche, ed era stata costretta a rivolgersi, per la coltivazione, a terze persone con i conseguenti relativi esborsi per i compensi di tale opera (non anche pero’ per le incombenze domestiche alle quali avevano poi provveduto i familiari).
Risarcimento del danno alla persona e la liquidazione del danno morale
9.3.1. Si tratta, tuttavia, di allegazioni censorie, bensi’ svolte con osservanza degli oneri di specificita’ e autosufficienza imposti dall’articolo 366 n. 6 c.p.c., ma tuttavia estranee ai vizi di violazione di legge, sostanziale e processuale, denunciati in rubrica.
Esse invero non espongono un vizio di sussunzione o erronea applicazione di norme di diritto, ma entrano piuttosto nella ricognizione del fatto.
Giova rammentare che, secondo il costante indirizzo di questa Corte, il vizio di violazione e falsa applicazione della legge, di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilita’, denunciato mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito al giudice di legittimita’ di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. nn. 16132/05, 26048/05, 20145/05, 1108/06, 10043/06, 20100/06, 21245/06, 14752/07, 3010/12 e 16038/13). In altri termini, non e’ il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3, ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle.
Nel caso in esame la decisione muove da una ricostruzione fattuale in cui non vi e’ alcun cenno alle circostanze di fatto cui fa invece riferimento il ricorso e segnatamente alla necessita’ di far ricorso all’ausilio di terzi per il lavoro nei campi.
La ricorrente avrebbe pertanto dovuto svolgere censura non di violazione di legge ma di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti.
9.3.2. Peraltro, pur ammesso che il motivo possa leggersi in tale diversa prospettiva censoria (nell’esercizio dei poteri/doveri di autonoma qualificazione del vizio dedotto: v. Cass. Sez. U. 24/07/2013, n. 17931), dovrebbe comunque dirsi inammissibile per aspecificita’, in quanto non riesce a cogliere pure l’ulteriore ratio decidendi che, nel rimarcare la necessita’ di considerare altresi’ le esigenze di cura, anche successive al sinistro, legate a preesistente patologia, sembra voler comunque esprimere un giudizio di incertezza probatoria circa la possibilita’ di ascrivere all’evento dannoso, piuttosto che alle preesistenti patologie, l’impossibilita’ di attendere alle occupazioni precedenti.
9.4. Al netto, dunque, di tali argomenti fattuali, la censura si rivela infondata.
In punto di diritto infatti la decisione si rivela conforme al principio, piu’ volte affermato da questa Corte, secondo cui la riduzione della capacita’ lavorativa non costituisce un danno di per se’ (danno-evento) ma rappresenta una possibile causa del danno da riduzione del reddito (danno-conseguenza); pertanto, una volta provata la riduzione della capacita’ di lavoro, non puo’ ritenersi automaticamente e meccanicisticamente provata l’esistenza d’un danno patrimoniale, ove il danneggiato non dimostri concretamente, anche per mezzo di presunzioni semplici, l’esistenza d’una conseguente riduzione della capacita’ di guadagno (in tal senso gia’ Cass. 21/4/1999 n. 3961).
Il danno da perdita di capacita’ lavorativa specifica, ben lungi dal costituire danno in re ipsa, va pertanto allegato e provato nell’an e nel quantum (sia pure a mezzo di presunzioni semplici) da parte del danneggiato (cfr. Cass. 6/6/2008 n. 15031).
9.5. E’ infondata pure la doglianza di omesso esame del motivo di gravame svolto per la mancata considerazione dell’attivita’ di casalinga.
E’ bensi’ vero che la Corte d’appello non affronta nemmeno il tema, e tuttavia tale omissione non puo’ considerarsi frutto di error in procedendo per violazione dell’articolo 112 c.p.c., non essendo nemmeno specificamente indicato che al riguardo fosse stato proposto specifico motivo di gravame.
Si ricava, anzi, dalla stessa esposizione della vicenda processuale anteposta alla illustrazione del motivo (v. ricorso pag. 11, in fine, e pag. 12), che:
a) il Tribunale aveva rigettato la pretesa risarcitoria riferita alla dedotta incapacita’ di continuare a svolgere il lavoro domestico sul rilievo che non vi era prova che la danneggiata avesse dovuto sostenere esborsi per affidare a terzi il lavoro domestico;
b) questa parte della sentenza di primo grado era stata criticata con appello solo in relazione al tema, unitamente trattato, della lamentata perdita della capacita’ di lavoro nei campi, oltre che con l’insistito riferimento alla dichiarazione della teste (OMISSIS), figlia dell’attrice, secondo la quale dopo l’incidente la madre non aveva piu’ potuto svolgere neanche la normale attivita’, che prima prestava, di conduzione della casa: non e’ detto pero’, ne’ risulta, che fosse stata pure specificamente censurata la ratio decidendi implicitamente posta a fondamento della decisione del Tribunale, secondo cui la pretesa risarcitoria sotto tale profilo richiedeva la dimostrazione, nella specie mancante, di “esborsi economici” per affidare il lavoro domestico a terzi.
In mancanza, dunque, di specifico motivo di gravame su tale statuizione di rigetto cosi’ motivata (benche’, e’ opportuno incidentalmente evidenziare, erronea in diritto: v. Cass. n. 16896 del 2010; n. 17129 del 2023), il silenzio sul tema mantenuto dal giudice d’appello deve considerarsi giustificato e, comunque, non rivelatore di alcun error in procedendo, dovendo anzi sul punto considerarsi formato giudicato interno.
9.6. Un terzo gruppo di considerazioni e’, infine, riferibile alla rilevanza presuntiva in tesi attribuibile alla gravita’ delle lesioni (v. ricorso, pagg. 29 – 30).
Detta rilevanza, come visto, e’ stata espressamente esclusa dalla Corte d’appello sul rilievo che la percentuale invalidante non era tale da giustificarla.
A cio’ la ricorrente oppone la contraria tesi della rilevanza delle lesioni, evocando a supporto il precedente di Cass. n. 26850 del 2017.
A fondamento della tesi censoria si richiama, dunque, il principio, in effetti piu’ volte affermato da questa Corte ed applicato anche nel richiamato precedente, per cui in tema di danni alla persona l’invalidita’ di gravita’ tale da non consentire alla vittima la possibilita’ di attendere neppure a lavori diversi da quello specificamente prestato al momento del sinistro, e comunque confacenti alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, integra non gia’ lesione di un modo di essere del soggetto, rientrante nell’aspetto del danno non patrimoniale costituito dal danno biologico, quanto piuttosto un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacita’ lavorativa specifica, e derivante invece dalla riduzione della capacita’ lavorativa generica, il cui accertamento spetta al giudice di merito in base a valutazione necessariamente equitativa ex articolo 1226 cod. civ (Cass. 12 giugno 2015 n. 12211; principio di recente ribadito anche da Cass. 31/1/2018 n. 2348).
Nei casi in cui l’elevata percentuale di invalidita’ permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacita’ lavorativa specifica ed il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice puo’ procedere all’accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi (Cass. 23/8/2011 n. 17514; 7/11/2005 n. 21497). La liquidazione di detto danno puo’ avvenire attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorche’ possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepira’ un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell’infortunio (Cass. 14/11/2013, n. 25634).
Siffatto principio pero’ non giustifica automaticamente la liquidazione di un danno patrimoniale, tanto meno in termini di danno da perdita di capacita’ lavorativa specifica, bensi’ richiede la prospettazione di elementi sulla base dei quali poter svolgere tale giudizio prognostico presuntivo.
Nel caso di specie, al di la’ della percentuale di invalidita’ permanente accertata (21%) – inferiore a quella considerata nel precedente richiamato – manca qualsiasi altro elemento cui riferire detto giudizio prognostico.
Dalla sentenza in esame e dal ricorso nulla e’ invero dato sapere con esattezza circa le attitudini lavorative della vittima (sessantunenne alla data del sinistro) e le sue condizioni personali e familiari, in modo da poter far presumere la possibilita’ di poter attendere, in futuro, a lavori altri e diversi o piu’ remunerativi da quello prestato al momento del sinistro.
Risarcimento del danno alla persona e la liquidazione del danno morale
10. Il quarto motivo e’, invece, fondato.
L’esclusione della risarcibilita’ del danno rappresentato dagli esborsi sostenuti per le spese di viaggio e alloggio delle persone da cui la danneggiata e’ stata accompagnata nelle trasferte fuori sede per ragioni di cura e’ in sentenza del tutto immotivata e, come tale, si rivela frutto di un giudizio aprioristico, di per se’ privo di giuridico fondamento.
Se e in quanto si possano ritenere dimostrati da un lato gli esborsi e dall’altro la necessita’ che la danneggiata, in ragione delle condizioni invalidanti, avesse necessita’ di un accompagnatore, non puo’ escludersi il nesso di causalita’ (giuridica) di siffatti esborsi con l’evento dannoso e la spettanza dunque del risarcimento, in applicazione del principio di integralita’ del risarcimento, ex articolo 1223 c.c..
11. In accoglimento, dunque, del primo e del quarto motivo di ricorso, rigettati i rimanenti, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo, in diversa sezione e diversa composizione, al quale va demandato anche il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
accoglie il primo e il quarto motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione; rigetta il secondo e il terzo; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Catania.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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