Ricorso per cassazione avverso sentenza di applicazione della pena

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 9 luglio 2019, n. 29982.

La massima estrapolata:

In tema di ricorso per cassazione avverso sentenza di applicazione della pena, difetta l’interesse dell’imputato ad impugnare la confisca del denaro provento del reato di cessione di sostanze stupefacenti, in quanto frutto di un negozio inesistente improduttivo di effetti giuridici, privo di una situazione giuridica soggettiva tutelata dall’ordinamento.

Sentenza 9 luglio 2019, n. 29982

Data udienza 22 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SARNO Giulio – Presidente

Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere

Dott. CORBO Antonio – Consigliere

Dott. NOVIELLO Giuseppe – Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 13/07/2018 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di BERGAMO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ALDO ACETO;lette le conclusioni del PG.

RITENUTO IN FATTO

1. Il sig. (OMISSIS) ricorre per l’annullamento della sentenza del 13/07/2018 del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Bergamo che, ai sensi dell’articolo 444 c.p.p. e segg., ha applicato nei suoi confronti la pena concordata di due anni e quattro mesi di reclusione e 3.000,00 Euro di multa per il reato di cui agli articoli 110 e 81 cpv. c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5 (reiterate cessioni, nel tempo, di singole dosi di sostanza stupefacente del tipo cocaina in favore di plurimi acquirenti), reato commesso in varie localita’ delle province di (OMISSIS).
1.1.Con unico motivo deduce, ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), la mancanza di motivazione della confisca, facoltativa, della somma di Euro 1.315,00.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso e’ inammissibile.
3.La sentenza impugnata e’ stata pubblicata dopo l’entrata in vigore della L. n. 103 del 2017, articolo 1, comma 50, che, a decorrere dalle richieste di applicazione della pena presentate, come nel caso di specie, dopo il 4 agosto 2017, ha limitato la possibilita’ di proporre ricorso per cassazione contro la sentenza che ha accolto la richiesta “solo per motivi attinenti all’espressione della volonta’ dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalita’ della pena o della misura di sicurezza” (articolo 448 c.p.p., comma 2-bis, inserito dal citato articolo 1, comma 50).
3.1.Ne deriva la astratta ammissibilita’ del ricorso che pone il tema della legalita’ della misura di sicurezza. Come gia’ affermato da questa Corte, tutto cio’ che si riferisce alla erronea applicazione di una misura di sicurezza fuori dei casi consentiti, in quanto violazione del piu’ ampio principio di legalita’ (articolo 199 c.p. e articolo 25 Cost.), cui e’ sottoposto, come le pene, anche il regime delle misure di sicurezza, costituisce causa di illegalita’ della misura stessa (Sez. 3, n. 1044 del 10/07/1967, Bertolini, Rv. 105611) e consente il ricorso per cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena limitatamente alla sua disposta applicazione (nel caso di specie, la confisca; nel senso che la confisca immotivata e’ di per se’ illegale, cfr., di recente, Sez. 3, n. 4252 del 15/01/2019, Rv. 274946).
3.2. Nel caso in esame, il GUP ha disposto la confisca della somma in contanti di Euro 1315,00 sul rilievo che si tratta del profitto del reato. Si tratta di somma che, afferma il Giudice, era stata rinvenuta nel vano portaoggetti dell’autovettura dell’imputato suddivisa in banconote di diverso taglio, da 100 a 5 Euro.
Le modalita’ di detenzione del denaro, la mancanza di valida giustificazione del suo possesso, hanno indotto il Giudice a ritenere tale denaro provento dell’attivita’ illecita. Cio’ sull’ulteriore rilievo della non credibilita’ delle dichiarazioni difensive rese sul punto circa lo svolgimento in passato di un’attivita’ lavorativa in nero, perche’ – afferma il GUP – si tratta di affermazioni del tutto sfornite di riscontro documentale ed – in ogni caso perche’ non e’ credibile che l’imputato recasse con se’ tutti i risparmi economici dell’attivita’ lavorativa, detratte le normali e comuni spese di mantenimento.
3.3.Dunque, il Giudice ha espressamente illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto che la somma di denaro in questione costituisce profitto del reato e sul punto il ricorrente non pare obiettare alcunche’. Egli pone la questione relativa alla mancanza di motivazione sulla relazione di asservimento tra la “cosa” ed il reato.
3.4.La confisca facoltativa di cui all’articolo 240 c.p., comma 1, e’ “misura di sicurezza patrimoniale fondata sulla pericolosita’ derivante dalla disponibilita’ delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato ovvero delle cose che ne sono il prodotto o il profitto; talche’ l’istituto, che consiste nell’espropriazione di quelle cose a favore dello Stato, tende a prevenire la commissione di nuovi reati e, come tale, ha carattere cautelare e non punitivo, anche se, al pari della pena, i suoi effetti ablativi si risolvono in una sanzione pecuniaria” (Sez. U, n. 1 del 22/01/1983, Costa, Rv. 158681; Sez. 6, n. 24756 del 01/03/2007, Mauro Martinez, Rv. 236973).
3.5. Secondo il costante insegnamento della Corte, in tema di patteggiamento, l’attuale disposizione (nel testo risultante dalla modifica apportata dalla L. n. 134 del 2003) prevede l’applicabilita’ della misura di sicurezza della confisca a tutte le ipotesi previste dall’articolo 240 c.p., ivi compresa la confisca facoltativa, sicche’, anche in tal caso, il giudice e’ tenuto a indicare le ragioni per cui ritiene di dover disporre la confisca di specifici beni in quanto serviti o destinati a commettere il reato, ovvero prodotto o profitto dello stesso (Sez. 3, n. 30133 del 05/04/2017, Saldutti, Rv. 270324; Sez. 6, n. 10531 del 21/02/2007, Baffoe’, Rv. 235928; Sez. 5, n. 47179 del 03/11/2009, D’Ambrosio, Rv. 245387; Sez. 6, n. 17266 del 16/04/2010, Trevisan, Rv. 247085; Sez. 2, n. 6618 del 21/01/2014, Fiocco, Rv. 258275).
3.6.Non ignora il Collegio che, secondo alcune pronunce, in caso di confisca di beni gia’ sequestrati, l’onere motivazionale potrebbe ritenersi assolto anche mediante il richiamo al sequestro stesso che si estende anche alle ragioni del vincolo (e dunque alla sua motivazione) e non alla sola parte dispositiva (in termini, Sez. 2, n. 1934 del 18/12/2015, dep. 2016, Spagnuolo, con richiamo a precedenti; nello stesso senso Sez. 5, n. 1154 del 22/03/2013, Defina, n. m. sul punto).
3.7.Sennonche’ il richiamo al sequestro potrebbe al piu’ soddisfare l’esigenza di qualificare il bene come provento, prezzo o profitto del reato, ma, trattandosi di confisca facoltativa, non assolve all’onere di spiegare le specifiche ragioni special-preventive che sottendono alla applicazione della misura ablatoria.
3.8.Nemmeno la semplice constatazione del nesso di strumentalita’ del bene rispetto all’esecuzione del reato legittima di per se’ la confisca; il nesso e’ relazione che giustifica l’esercizio del potere discrezionale del giudice che, in questi casi, “puo'” disporre la confisca ma e’ percio’ gravato di specifico onere motivazionale (Sez. 6, n. 17266 del 16/04/2010, Trevisan), onere che non puo’ essere eluso dalla natura necessariamente “contratta” della sentenza resa ai sensi dell’articolo 444 c.p.p. e segg.. Detta sentenza, infatti, fonda su un patto che non ha ad oggetto le ulteriori conseguenze derivanti dall’applicazione della pena, ma la sola decisione delle parti di rinunciare del tutto ad un giudizio di cognizione in ordine alla responsabilita’ dell’imputato in cambio di una riduzione della pena a suo favore. Tutto il resto, confisca ed altri effetti della condanna, sono fuori dal patto. Dunque il giudice deve motivare, spiegando perche’, una volta accertata la sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 240 c.p.p., comma 1, l’imputato debba essere privato della proprieta’ del bene. E’ a questa fase del giudizio che appartiene ogni valutazione sulla prognosi sulla pericolosita’ sociale derivante dal mantenimento del possesso della cosa da parte dell’imputato.
3.9.Sennonche’, trattandosi di provento del reato di cessione di sostanze stupefacenti, e dunque di un negozio radicalmente inesistente, improduttivo di effetti giuridici, il ricorrente non vanta nei confronti del denaro alcuna situazione giuridica soggettiva attiva riconosciuta e tutelata dall’ordinamento. Egli dunque non vanta alcun diritto sul denaro del quale chiede la restituzione, con conseguente mancanza di interesse a proporre ricorso (sulla mancanza, in capo all’imputato, parte di un negozio illecito per contrarieta’ a norme imperative, del diritto a rientrare nella disponibilita’ della somma costituente la controprestazione della cessione, cfr. Sez. U. n. 9149 del 03/07/1996, Chabni Samir, Rv. 205708;.
4.Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonche’ del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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