Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 17 maggio 2019, n. 21747.
La massima estrapolata:
Nel reato di bancarotta semplice di cui all’art. 217, comma 1, 4), legge fall., la mancata tempestiva richiesta di dichiarazione di fallimento da parte dell’amministratore (anche di fatto) della società è punibile se dovuta a colpa grave, che può essere desunta non sulla base del mero ritardo nella richiesta di fallimento, ma, in concreto, da una provata e consapevole omissione.
Sentenza 17 maggio 2019, n. 21747
Data udienza 26 marzo 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE GREGORIO Eduardo – Presidente
Dott. MICHELI Paolo – Consigliere
Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere
Dott. BORRELLI Paola – rel. Consigliere
Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 10/10/2017 della CORTE APPELLO di BARI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PAOLA BORRELLI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. SECCIA Domenico, che ha concluso per l’annullamento con rinvio, limitatamente alla pena accessoria e per l’inammissibilita’ nel resto.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata e’ stata pronunziata il 10 ottobre 2017 dalla Corte di appello di Bari, che ha confermato quella pronunziata dal Tribunale di Foggia nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), il primo condannato per bancarotta preferenziale ed entrambi per bancarotta semplice da ritardata richiesta di fallimento, in ordine alla societa’ (OMISSIS) s.r.l., di cui il (OMISSIS) era stato socio e legale rappresentante fino al 15 agosto 2010 ed il (OMISSIS) liquidatore dal giorno successivo, societa’ dichiara fallita dal Tribunale di Lucera il 13 giugno 2012.
2. Avverso detta sentenza ha proposto un unico ricorso per cassazione il difensore di entrambi gli imputati, ricorso strutturato su tre motivi, seguiti alla trascrizione dei motivi di appello ed alla sintesi della ratio decidendi della sentenza di primo grado.
2.1. Con un primo motivo – centrato sulla bancarotta preferenziale ascritta al (OMISSIS) – il ricorso assume essersi verificata violazione di legge con riferimento alla L. Fall., articoli 216 e 223 e articolo 2467 c.c..
La conclusione cui e’ giunta la Corte distrettuale, sposando la tesi del perito nominato ex articolo 603 c.p.p., tradirebbe il disposto della suddetta norma del codice civile perche’ suppone essere preferenziali delle restituzioni per cui non aveva verificato la ricorrenza dei presupposti per reputare postergati i relativi crediti, accertamento che neanche il consulente della difesa aveva potuto svolgere.
2.2. Il secondo motivo anch’esso diretto verso la condanna per bancarotta preferenziale di (OMISSIS) – lamenta vizio di motivazione perche’, nonostante l’appellante avesse dubitato della valenza probante di alcune emergenze contabili rispetto all’effettiva restituzione delle somme ai soci, anche veicolate dal consulente di parte (OMISSIS), la Corte di appello aveva taciuto sul punto.
2.3. Il terzo motivo di ricorso – relativo al reato di cui al capo e), la bancarotta semplice da ritardata richiesta di fallimento – censura la sentenza impugnata reputandola carente di motivazione in punto di gravita’ della colpa degli imputati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi di entrambi gli imputati possono trovare accoglimento quanto al reato di cui al capo e), mentre quello del (OMISSIS) – che risponde anche del delitto sub c) – va, quanto a quest’ultima fattispecie, respinto. A cio’ si aggiunga che, poiche’ al (OMISSIS) erano state applicate le pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c. per la durata fissa di dieci anni, la sentenza, quanto alla sua posizione, va annullata con rinvio anche quanto a questo specifico aspetto.
2. Il primo motivo di ricorso – che reputa affetta da violazione di legge la conferma della condanna di (OMISSIS) per il reato sub c) per non essere stato accertato nel giudizio di merito che i crediti rimborsati fossero postergati, secondo la nozione di cui all’articolo 2467 c.c. – e’ infondato.
A prescindere dalla risposta che la Corte di merito ha offerto al motivo di appello che concerneva, appunto, la natura dei crediti il cui rimborso era contestato, deve rilevarsi che la sentenza impugnata presenta delle proposizioni argomentative che, quand’anche mutuate testualmente dalla perizia conferita ex articolo 603 c.p.p., non sono, contrariamente a quanto predica il ricorrente, errate in diritto.
Giova premettere – come puntualmente ricostruito da Sez. 5, n. 15712 del 12/03/2014, Consol e altri, Rv. 260221 – 01 – che la fattispecie di cui alla L. Fall., articolo 216, comma 3, punisce il fallito che esegue pagamenti o simula titoli di prelazione allo scopo di favorire, a danno di altri creditori, alcuni di essi. Essenziale per la configurabilita’ del reato e’ la violazione della par condicio creditorum (espressione del principio inteso ad evitare disparita’ di trattamento che non trovino giustificazione nelle cause legittime di prelazione fatte salve dall’articolo 2741 c.c.) e, in relazione all’elemento psicologico, il dolo specifico, costituito dalla volonta’ di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l’accettazione dell’eventualita’ di un danno per gli altri. Se n’e’ correttamente arguito che l’offesa non consiste nell’indebito depauperamento del patrimonio del debitore, ma nell’alterazione dell’ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori.
Quanto, in particolare, a quella particolare categoria di pagamenti che sono costituiti dalle restituzioni dei “finanziamenti” dei soci che abbiano le caratteristiche del mutuo o di altro negozio equivalente, va altresi’ ricordato che la giurisprudenza di legittimita’ e’ consolidata nel ritenere che dette restituzioni siano pienamente legittime durante l’ordinaria vita societaria e che esse assumono i caratteri della bancarotta preferenziale allorche’ avvengano in periodo di dissesto societario, che lasci intravedere l’evoluzione dell’impresa verso il fallimento, giacche’ la restituzione (da ritenere, in tal caso, indebita) comporta l’alterazione dell’ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori (Sez. 5, n. 42568 del 19/06/2018, E., Rv. 273925, in motivazione; Sez. 5, n. 13318 del 14/02/2013, Viale, Rv. 254985 – 01; Sez. 5, n. 1793 del 10/11/2011, rv 252003; sez. 5, n. 14908 del 7/3/2008, rv 239487).
Di fronte a questa esegesi, se ne deve dedurre che, sotto il profilo penalistico, l’iscrivibilita’ del credito dei soci della fallita che sono stati rimborsati nella categoria di quelli postergati di cui all’articolo 2467 c.p.p. perde di significato dal momento che cio’ che rileva e’ che il rimborso del finanziamento sia avvenuto in una fase in cui la societa’ era in condizioni che lasciavano intravedere come prossima l’insolvenza – come, nella specie, emerge dalla motivazione della sentenza impugnata -, che i crediti rimborsati non fossero assistiti da titoli di prelazione che consentissero di preferirli a quelli degli altri creditori sociali di pari grado e che, cio’ nonostante, essi siano stati soddisfatti con precedenza rispetto a questi ultimi.
D’altra parte, come sostenuto da Sez. 5, n. 14908 del 07/03/2008, Frigerio, Rv. 239487 – 01 – in relazione a fatti commessi prima dell’entrata in vigore della riforma societaria e comunque espressamente svalutando la portata dell’articolo 2467 c.c. – il soddisfacimento dei crediti vantati dal socio, prima di quelli degli altri creditori, non e’ giustificabile in termini di interesse societario, poiche’ il primo, a differenza della restante massa creditoria, non ha alcun interesse ad avanzare, in caso di inadempimento, istanza di fallimento verso la societa’. Unica ragione del pagamento di un credito chirografario del socio e’, quindi, il volontario e specifico perseguimento dell’interesse del creditore privilegiato, a danno della restante massa creditoria.
3. Anche il secondo motivo di ricorso e’ infondato, dal momento che, se pure la Corte di appello non ha fornito un’esplicita risposta alle perplessita’ manifestate dall’appellante (OMISSIS) circa l’effettivita’ dei rimborsi a prescindere dal dato contabile, deve dirsi che il relativo motivo di appello era manifestamente infondato. Esso, infatti, era fondato su una prospettiva assertiva e soggettivamente orientata che supponeva la non corrispondenza con la realta’ dei fatti delle annotazioni contabili, non solo senza alcun riscontro obiettivo ma anche prescindendo dall’affermazione dello stesso consulente della difesa Dott. (OMISSIS), che aveva sostenuto la veridicita’ delle restituzioni (cfr. tredicesima pagina dell’atto di appello).
Deve pertanto ritenersi che la mancanza di una risposta specifica non conduca all’annullamento della sentenza, trattandosi appunto di motivo di appello manifestamente infondato, rispetto al quale il ricorrente e’ privo di interesse a dolersi di una lacuna motivazionale che, in caso di annullamento, non sortirebbe alcun esito positivo nel giudizio di rinvio (Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, Arcone e altri, Rv. 265878; Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015, Bianchetti, Rv. 263157).
4. Il terzo motivo di ricorso e’, invece, fondato.
Con detta doglianza entrambi i ricorrenti censurano la sentenza impugnata in ordine alla bancarotta semplice di cui al capo e), reputandola carente di motivazione in punto di gravita’ della colpa dei soggetti agenti.
La giurisprudenza di questa Corte e’ concorde nell’affermare che, nel reato di bancarotta semplice di cui alla L. Fall., articolo 217, comma 1, n. 4), la mancata tempestiva richiesta di dichiarazione di fallimento da parte dell’amministratore (anche di fatto) della societa’ e’ punibile se dovuta a colpa grave, che puo’ essere desunta non sulla base del mero ritardo nella richiesta di fallimento, ma, in concreto, da una provata e consapevole omissione (Sez. 5, n. 18108 del 12/03/2018, Dolcemascolo, Rv. 272823 – 01; Sez. 5, n. 38077 del 15/07/2015, Preatoni, Rv. 264743; Sez. 5, n. 43414 del 25/09/2013, Pg in proc. Zille e altri, Rv. 257533).
In particolare, i precedenti citati, fermo restando il dato pacifico che il connotato della colpa grave debba caratterizzare tutte le condotte di cui alla norma citata, si sono interrogati sulla possibilita’ di ritenerla presunta in caso di ritardata richiesta di fallimento, giungendo alla conclusione – puntualmente argomentata – che tale presunzione sarebbe priva di ragionevolezza nonche’ ingiustificata a tenore del dato letterale della disposizione.
Quanto al profilo della ragionevolezza, si e’ condivisibilmente osservato che il ritardo nell’adozione della richiesta del proprio fallimento puo’ avere genesi variegate – che vanno dall’ipotesi estrema dell’assoluta noncuranza per gli effetti del possibile aggravamento del dissesto a quello della fiducia nella ricerca di nuove risorse utili alla prosecuzione della vita dell’impresa – che lasciano escludere la loro obbligata riconducibilita’ alla dimensione della colpa grave. Quanto al dato letterale, gli arresti suddetti hanno rimarcato che la locuzione “altra grave colpa” che si legge nella norma incriminatrice non implica necessariamente che la mancata, tempestiva richiesta del proprio fallimento sia intesa da legislatore come manifestazione tipica di colpa grave, essendo ben possibile una lettura che sottintende tale condotta come punibile solo in quanto in concreto connotata da detto coefficiente soggettivo.
Alla luce di tale considerazioni – che il Collegio condivide appieno – e della proposizione di una specifica doglianza in sede di appello, l’omissione motivazionale della Corte di merito si presenta insuperabile e foriera di una compromissione del tessuto argomentativo della sentenza impugnata che va ripianata. La sentenza, infatti, sempre con la tecnica della trasposizione testuale della perizia, si e’ – peraltro brevemente -intrattenuta su circostanze contabili e patrimoniali della societa’, senza interrogarsi sull’atteggiamento soggettivo degli imputati e sulle ragioni che li avevano condotti a non richiedere tempestivamente il fallimento della (OMISSIS) s.r.l.. Ne consegue che, sulla scorta dei principi giurisprudenziali sopra indicati, la Corte di rinvio dovra’ ritornare sul tema del coefficiente soggettivo di entrambi gli imputati, fornendo una compiuta giustificazione sul punto.
5. Come gia’ anticipato, la sentenza va annullata, di ufficio, per quanto concerne il profilo della durata delle pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c., applicate a (OMISSIS) in relazione al reato di bancarotta preferenziale per la durata fissa di dieci anni.
5.1. La necessita’ dell’annullamento con rinvio in punto di pene accessorie deriva dalla recente evoluzione sia della giurisprudenza costituzionale che di quella di legittimita’.
Con la sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018, la Corte costituzionale ha, infatti, dichiarato l’illegittimita’ costituzionale della L. Fall., articolo 216, ultimo comma, nella parte in cui dispone che la condanna per uno dei fatti di bancarotta fraudolenta importa l’applicazione delle anzidette pene accessorie per la durata fissa di dieci anni, anziche’ fino a dieci anni. Il testo della norma, risultante dalla dichiarazione di illegittimita’ costituzionale, si applica con efficacia ex tunc anche nel presente processo in corso, secondo il disposto dell’articolo 136 Cost., comma 1, e L. Cost. 11 marzo 1953, n. 87, articolo 30, comma 3.
Ne consegue che oggi, a prescindere dall’assenza di uno specifico motivo di ricorso, si impone la necessita’ di operare una rimodulazione della durata delle pene accessorie in discorso che tenga conto del venir meno della rigidita’ della disposizione dichiarata incostituzionale, rigidita’ che rende illegale, in parte qua, il trattamento sanzionatorio.
5.2. Quanto al concreto epilogo – annullamento con o senza rinvio – del processo di adeguamento al quadro normativo ridisegnato dalla Consulta, soccorre una recentissima decisione (28 febbraio 2019) delle Sezioni Unite di questa Corte, della quale, al momento della redazione della presente decisione, non si conoscono le motivazioni. Con la citata pronunzia, al quesito “se le pene accessorie previste per il reato di bancarotta fraudolenta dalla L. Fall., articolo 216, come riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte Costituzionale, debbano essere commisurate, ai sensi dell’articolo 37 c.p., alla pena principale applicata, ovvero debbano essere determinate dal giudice, nell’ambito dei limiti edittali risultanti dalla nuova formulazione, in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p.”, le Sezioni Unite hanno risposto che “Le pene accessorie previste dalla L. Fall., articolo 216, nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte Costituzionale, cosi’ come le altre pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice in base ai criteri di cui all’articolo 133 c.p.”.
Sulla scorta di tale autorevole indicazione nomofilattica e considerato che la determinazione della durata del trattamento sanzionatorio ai sensi dell’articolo 133 c.p. implica valutazioni di merito che esulano dai limiti cognitivi della Corte di cassazione, essa va rimessa al Giudice di merito.
P.Q.M.
Annulla con rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla posizione di (OMISSIS), quanto al delitto di cui al capo c), con riguardo alle pene accessorie di cui alla L. Fall., articolo 216, u.c., e con riguardo al capo e). Annulla con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari quanto alla posizione di (OMISSIS). Rigetta nel resto il ricorso di (OMISSIS).
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